Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno 2003

 

 

sentenza della corte costituzionale sui riposi giornalieri applicabili nei casi di adozione e di affidamento (*)

 

 

Con la sentenza n. 104 del 26 marzo 2003, depositata in Cancelleria il 1° aprile 2003, la Corte costituzionale, presieduta dal Dr. Riccardo Chieppa, relatore il Dr. Francesco Amirante, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000 n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli articoli 39, 40, 41 si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento “entro il primo anno di vita del bambino”, anziché “entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia”» (1).

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Signora R.R. nei confronti della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia  che le aveva negato il diritto ad usufruire dei periodi di riposo in quanto i due bambini avuti dalla ricorrente e dal proprio marito in affidamento preadottivo avevano superato il primo anno di vita. In effetti erano nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994.

Analogo ricorso alla Corte costituzionale era stato presentato dal Tribunale di Ivrea al quale si era rivolto l’Inps contro un provvedimento, assunto in via d’urgenza dal giudice, in cui veniva riconosciuto ad un padre adottivo di un minore il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri entro l’anno dall’ingresso del bambino nella famiglia.

La Regione Friuli Venezia Giulia ha sostenuto l’inammissibilità dell’istanza di anticostituzionalità in quanto i riposi giornalieri avrebbero solamente la finalità di consentire al genitore «di accudire il neonato nella fase immediatamente successiva alla nascita», per cui «tale necessità di assistenza si conclude, secondo la valutazione del legislatore, col compimento del primo anno di vita».

A sua volta l’Inps ha richiesto che l’istanza venisse respinta in quanto i riposi giornalieri sarebbero stati «istituiti con lo scopo primario di consentire l’allattamento del bambino, ossia per soddisfare l’esigenza di alimentazione e di cre­scita».

La questione sollevata è stata ritenuta fondata dalla Corte costituzionale «per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo dell’eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta a eguale trattamento situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca irragionevolezza».

Nella sentenza «si premette che l’istituto dei riposi giornalieri, senza indugiare sulla normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua originaria disciplina nell’articolo 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ed era regolato come strumento finalizzato esclusivamente all’allattamento. La norma richiamata attribuiva il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri bambini, prevedendo le pause in funzione di quell’unica necessità, tanto che la predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle cosiddette camere di allattamento e dell’asilo nido obbligava le lavoratrici ad allattare in sede, senza possibilità di uscire dai locali aziendali. I riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementari alle altre misure dirette alla protezione della maternità biologica oltre che parzialmente sostitutivi dell’astensione dal lavoro post partum. Il successivo articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra già un cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta non più strettamente connessa all’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento, tanto che la norma non obbliga più la lavoratrice ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido, e comincia a dare rilievo all’aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio».

Precisa la Corte costituzionale: «È indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della maternità nascono e vivono per un certo tempo in un contesto sociale e ordinamentale nel quale da un canto l’adozione, ed in particolare quella dei minorenni, ha scarsa applicazione e svolge una funzione ben diversa da quella che avrebbe successivamente assunto, dall’altro il ruolo del padre nella società e nella famiglia è ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla crescita e alla educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sicché ciò che ha preminente rilievo è pur sempre la maternità biologica. In tale periodo è soltanto la giurisprudenza ordinaria che, non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori adottivi i benefici previsti per i genitori naturali. Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta per effetto di una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia, parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro, adozione dei minori) e di alcune decisioni di questa Corte. Limitando l’indagine a ciò che più specificamente riguarda la questione in esame, l’art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso alle madri adottive o affidatarie gli istituti
dell’astensione dal lavoro obbligatoria e facoltativa e l’art. 7 ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto all’astensione facoltativa, ma solo a determinate condizioni. Ciò che occorre soprattutto sottolineare è che la legge, stabilendo che i benefici potevano essere goduti, in caso di adozione o affidamento, nel primo anno d’ingresso del bambino nella famiglia dell’adottante o dell’affidatario, anche se limitatamente all’ipotesi che il bambino non avesse superato i sei anni di età, ha attribuito rilievo alla diversità di esigenze del bambino adottato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i genitori naturali o con almeno uno di questi».

La sentenza, infine, così si esprime: «Questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a protezione della maternità e dei minori, in particolare sotto il profilo della loro mancata o non totale estensione al padre lavoratore oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari). Per effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il diritto all’astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, è stato esteso al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987); il diritto all’astensione facoltativa è stato riconosciuto alla madre affidataria provvisoria e quello all’astensione obbligatoria alla madre affidataria in preadozione (sentenza n. 332 del 1988); il diritto all’astensione nei primi tre mesi dall’ingresso del bambino nella famiglia è stato attribuito al padre lavoratore affidatario di minore per i primi tre mesi successivi all’ingresso del bambino nella famiglia in alternativa alla madre (sentenza n. 341 del 1991); il diritto ai riposi giornalieri, infine, è stato esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).

«Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti dell’astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello dei riposi giornalieri oggi non hanno più l’originario necessario collegamento con la maternità naturale e non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche, come questa Corte ha già più volte affermato nelle motivazioni delle sentenze suindicate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalità.

«Ciò che più rileva, ai fini della soluzione della presente questione, è la piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di questa Corte appena richiamate e l’attività del legislatore. Questi, nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazione naturale alla filiazione adottiva ed all’affidamento ha avvertito che l’età del minore diveniva un elemento, se non trascurabile, certamente secondario, mentre veniva in primo piano il momento dell’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria, in considerazione delle difficoltà che tale ingresso comporta sia riguardo alla personalità in formazione del minore, soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria.

«Il d.lgs. n. 151 del 2001, il cui articolo 45 è censurato dal Tribunale di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternità e paternità dei figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché le misure di sostegno economico alla maternità e alla paternità (art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e di affidamento, la rilevanza del momento dell’ingresso del minore nella famiglia per quanto concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26, comma 2; art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo decreto).

«Le difese della Presidenza del Consiglio e dell’Inps, pur convenendo sull’evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno della maternità e della paternità hanno avuto nel corso degli ultimi decenni, sostengono che quello dei riposi giornalieri conserva pur sempre un
collegamento con le necessità connesse alla prima età del minore, come sarebbe dimostrato dall’art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001, secondo cui la durata dei riposi è raddoppiata in caso di parto plurimo.

«Tale tesi non può essere accolta.

«I riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si è detto, di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità. Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali. Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di adozione o di affidamento, il momento dell’ingresso del minore nella famiglia, considerando l’età del minore, peraltro diversamente disciplinata a seconda delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per l’adozione internazionale v. gli artt. 27 e 37 del d. lgs. n. 151 del 2001), esclusivamente come un limite alla fruizione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai riposi per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bambino non soltanto è intrinsecamente irragionevole, ma è anche in contrasto con il principio di eguaglianza, perché l’applicazione agli adottanti ed agli affidatari della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento deteriore, attesa la peculiarità della loro situazione.

«Né può indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione sulla disciplina dei riposi in caso di parto plurimo, poiché non solo le esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedono un tempo maggiore quando debbono essere soddisfatte riguardo a più persone».

Sulla base delle argomentazioni sopra riportate la Corte costituzionale conclude nei seguenti termini: «Deve essere, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto si applichino, in caso di adozione o di affidamento, entro il primo anno dall’ingresso effettivo del minore nella famiglia.

«Rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire eventualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati all’età del minore adottato o affidato».

 

 

 

(*) Sull’argomento si vedano l’articolo “Nuovo concetto di filiazione e di diritto al riposo giornaliero retribuito delle madri adottive: una sentenza innovativa”, Prospettive assistenziali, n. 139, 2002 e la nota “Congedi parentali: stessi diritto anche per i genitori adottivi”, Ibidem, n. 133, 2001.

(1) Il  decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 prevede quanto segue:

- art. 39: «1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata  e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. 3. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro o nell’unità produttiva, o nelle immediate vicinanze di essa»;

- art. 40: «I periodi di riposo di cui all’articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre»;

- art. 41: «In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall’articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre».

 

 

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