Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno 2003

 

 

l’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’inserimento lavorativo e sociale

maria grazia breda (*)

 

 

 

Sono più di trent’anni che le associazioni aderenti al Csa - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, si battono per il diritto all’integrazione scolastica degli alunni handicappati.

Abbiamo imparato, però, che il pieno inserimento scolastico passa attraverso la conquista di altri diritti, ugualmente importanti, e indispensabili per assicurare alla persona una vita veramente integrata, indipendentemente dalla gravità delle sue condizioni fisiche e/o intellettive.

Ad esempio, ben presto ci siamo accorti di quanto fosse utile mettere a disposizione della famiglia, a cui nasce un bambino handicappato, un servizio pubblico in grado di sostenerla e di orientarla  tra i diversi servizi sanitari e sociali per risolvere i mille problemi che il neonato pone, oltre a garantire l’accesso agli asili nido e alla scuola materna come per tutti gli altri bambini.

Di qui, la richiesta all’Assessorato ai servizi educativi della Città di Torino di attivare il servizio di consulenza educativa domiciliare, che ancora oggi accompagna la famiglia e i bambini fino all’ingresso nella scuola  dell’obbligo (1).

Un altro momento impegnativo, con il quale  le associazioni del Csa hanno dovuto confrontarsi, è stato il punto dolente della carenza di diritti (e quindi di opportunità formative e di servizi assistenziali) per gli handicappati intellettivi al termine dell’obbligo scolastico.

In primo luogo, ci siamo impegnati per dimostrare  che moltissimi di loro hanno potenzialità lavorative spendibili nel mercato del lavoro e che anche i soggetti con una riduzione della capacità lavorativa, se adeguatamente formati e collocati in mansioni idonee alle loro abilità, sono in grado di assicurare una resa produttiva certa e proficua per l’impresa.

A questo proposito i  punti di riferimento sono stati in sintesi i seguenti:

1. ottenere in primo luogo dagli enti locali (Comuni, Province) delibere per l’assunzione obbligatoria di handicappati così come previsto dalla legge, ma con una quota specifica riservata ai soggetti con handicap intellettivo e limitata autonomia, in possesso di capacità lavorative, anche se ridotte (2). Realizzate queste assunzioni, si sono sostenute analoghe richieste presso le aziende private, perché era incontestabile il fatto che queste persone erano in grado di svolgere proficuamente il loro lavoro, pur in mansioni semplici;

2. prevedere il finanziamento, nell’ambito delle normali attività di formazione professionale predisposte dalla Regione (e non da parte del settore assistenza), di corsi prelavorativi (3) all’interno dei centri di formazione professionale pubblici o privati convenzionati, al fine di offrire anche ai giovani con handicap intellettivo, al termine della scuola dell’obbligo, percorsi adeguati di formazione. I corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo, calibrati sulle loro effettive potenzialità, prevedono una parte di attività di apprendimento teorico e altre finalizzate allo sviluppo dell’autonomia della persona, ma soprattutto contemplano una parte consistente di attività concrete di laboratorio e di tirocinio in azienda, finalizzate a sviluppare quelle abilità che potranno essere spendibili nel mercato del lavoro. Tale azione ha permesso, nell’arco di circa quindici anni, di attivare nei normali centri di formazione professionale pubblici e privati convenzionati i corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo, attualmente presenti in tutte le province della Regione Piemonte. In questo modo è stato possibile assicurare agli allievi con handicap intellettivo il diritto a proseguire la loro formazione in vista di un possibile lavoro; nel contempo, abbiamo ottenuto la chiusura dei centri speciali di formazione professionale, veri luoghi di emarginazione, perché destinati solo ai soggetti con handicap;

3. ottenere (ancora prima dell’entrata in vigore della legge 68/1999 “Norme per il diritto al lavoro degli handicappati”) la messa a punto da parte dell’Assessorato al lavoro del Comune di Torino di un servizio per l’inserimento lavorativo mirato rivolto ai giovani con handicap intellettivo, in modo da favorire l’incontro tra le loro capacità e le richieste delle aziende tenute ad assumerli in base agli obblighi di legge;

4. agire nei confronti della Regione Piemonte, Assessorato al lavoro, per l’istituzione in tutto il territorio piemontese dei servizi per l’inseri-
mento lavorativo presso i Centri per l’impiego provin­ciali;

5. far comprendere agli assessorati all’assistenza della Regione, delle Province e dei Comuni che la competenza in materia di corsi prelavorativi e di inserimento al lavoro (strutture e funzioni) era degli assessorati al lavoro.

Nel dossier “Handicap intellettivo: assunzioni ottenute e proposte per ottenere nuovi posti di lavoro” (4) sono raccolti  una serie di articoli, che descrivono l’attività di volontariato dei diritti  svolta dalle associazioni aderenti al Csa e, in particolare, dal Gruppo “Genitori per il diritto al lavoro degli handicappati intellettivi”, senza la quale non si sarebbero ottenute le assunzioni di questi soggetti, che le leggi – compresa la legge 68/1999 – non tutelano in modo specifico.

Dal 1995 ad oggi, grazie a questa azione di pressione, che si fonda sul riconoscimento di un diritto, oltre 500 handicappati intellettivi (e un consistente numero di handicappati fisici con limitata autonomia) sono stati assunti in aziende pubbliche e private. Tra questi ci sono anche Maurizio, Marco, Daniela, Giulio, Enrico, Monica, Giuseppe, Ilaria, Elena, Salvatore, Mario, Antonella, Mariangela, Basilio, Davide, Dario, giovani dai 16 ai 35 anni, che nel “Libro bianco su handicap e lavoro: storie di giovani handicappati intellettivi in attesa di occupazione…” (numero monografico, 2ª  edizione aggiornata al 30.9.1999) avevano presentato in una conferenza stampa la loro storia fatta di percorsi scolastici, di formazione professionale, di tirocini lavorativi, di borse di lavoro ripetute a volte in attesa di una vera occupazione, che alla fine è arrivata.

Dalla lettura del dossier emerge con chiarezza che non è stato un caso, bensì il frutto di impegni precisi che hanno costretto le Amministrazioni pubbliche ad approvare delibere per l’assunzione di handicappati intellettivi e a destinare risorse e personale finalizzati alla realizzazione dei servizi necessari per il loro inserimento lavorativo.

È anche una testimonianza sulla validità dell’azione del volontariato dei diritti, in questo caso praticata dal Csa e dalle organizzazioni aderenti: viene dimostrato che è possibile, anche per dei semplici volontari, raggiungere risultati concreti.

In questo modo, abbiamo potuto altresì soddisfare il bisogno di lavoro di un numero di gran lunga maggiore di handicappati intellettivi disoccupati, rispetto alla scelta di gestione diretta che gli stessi volontari del Csa, o le famiglie di quei giovani, avrebbero potuto fare. Ad esempio, sovente in questi casi, di fronte alle difficoltà frapposte dalle istituzioni, si può pensare alla  costituzione di una cooperativa sociale. Invece, con la scelta del Csa di puntare sul ruolo spettante alle istituzioni, non solo abbiamo ottenuto un lavoro per i protagonisti del “Libro bianco” su citato, ma siamo riusciti a far assumere molti altri handicappati intellettivi disoccupati. Inoltre, queste persone non sono collocate tutte assieme in uno stesso posto di lavoro, ma sono inserite ognuna in una realtà produttiva diversa, con una piena integrazione sociale.

Anche il video predisposto dall’Assessorato al lavoro della Città di Torino, dal titolo “Un lavoro… tutto compreso” (5) è una importante testimonianza. In questo caso  sono  proprio gli operatori del servizio di inserimento lavorativo, che il Comune di Torino ha attivato  quando non era ancora previsto dalla normativa, che illustrano in modo semplice, ma inequivocabile, che anche giovani con handicap intellettivo (da non confondere con soggetti con “svantaggio sociale” come gli ex detenuti, i giovani a rischio, gli ex tossicodipendenti...  né con i malati psichiatrici che hanno lo stesso diritto al lavoro, ma problematiche diverse) hanno abilità e potenzialità lavorative sufficienti per raggiungere quell’autonomia indispensabile per svolgere un’attività lavorativa proficua.

Nel video sono trasmesse immagini di giovani handicappati intellettivi assunti  in normali aziende pubbliche e private con regolari contratti di lavoro, che svolgono precise mansioni,  sono fieri di percepire uno stipendio e pensano alla loro vita come adulti e non come eterni bambini, mai cresciuti.

Questi giovani pagano le tasse, non percepiscono pensioni di invalidità, non chiedono servizi assistenziali.

I centri diurni, i laboratori protetti, i centri di lavoro guidato, oltre a comportare pesanti oneri economici per la collettività, sono un’esperienza emarginante per coloro che sono costretti a utilizzarli, pur possedendo autonomia e abilità che permetterebbero di condurre una vita insieme agli altri.

Per le ragioni sopra esposte, Governo, Regioni, Province ed Enti locali dovrebbero aver compreso che è interesse di tutti investire nell’integrazione scolastica e nella formazione professionale dei giovani con handicap intellettivo che hanno potenzialità lavorative,  perché essi hanno dimostrato con la loro autonomia, conquistata anche sul piano economico, che aiutarli a collocarli al lavoro non solo è possibile, ma è anche vantaggioso sotto il profilo della resa finanziaria degli investimenti.

Certamente  non dimentichiamo che vi sono anche  handicappati intellettivi in situazione di gravità tale da escludere ogni possibilità di avviamento al lavoro produttivo. Per queste persone, il Csa ha chiesto e chiede agli enti locali, responsabili del settore assistenziale, che sia riconosciuto il diritto certo ed esigibile:

– al centro diurno aperto almeno otto ore al giorno, con attività svolte dentro e fuori della struttura, per non meno di cinque giorni alla settimana;

– alle comunità alloggio con non più di otto posti letto in normali abitazioni, inserite nel contesto sociale e non accorpate ad altre, per non riproporre nuovi istituti;

– all’accesso a tutti i servizi sociali a cui hanno diritto tutti i cittadini (scuola, sanità, soggiorni estivi, tempo libero, sport, cultura…).

Per quanto riguarda i sopra indicati servizi socio-assistenziali, tenuto conto che attualmente non sono diritti esigibili (salvo che lo prevedano leggi regionali o delibere comunali), è necessario che tutti, in primo luogo i genitori, si rivolgano per tempo ai servizi sociali ed alle associazioni che sono in grado di sorreggerli nelle loro legittime richieste. A diciotto anni è troppo tardi! Quando la famiglia si rivolge ai servizi sociali si trova quasi sempre davanti a liste d’attesa e può  passare anche molto  tempo prima  di ottenere risposte positive.

 

Handicap grave. A quali servizi si ha diritto dopo l’obbligo scolastico/formativo?

I genitori di un bambino handicappato che compie sei anni sanno con certezza che, fatta l’iscrizione a scuola, il figlio ha il diritto a frequentare la sua classe. I genitori che hanno un figlio handicappato grave, non avviabile al lavoro a causa della gravità delle sue condizioni, non hanno invece nessuna certezza di ottenere un servizio assistenziale, una volta terminata la scuola dell’ob­bligo.

D’altra parte siamo tutti consapevoli che non si può parcheggiare nelle scuole superiori un soggetto con handicap intellettivo in situazione di gravità: non ne avrebbe alcun giovamento. Per questo è importante che gli insegnanti riconoscano la valenza positiva del centro diurno socio-assistenziale, un luogo in cui personale specia­lizzato assicura attività ed iniziative adatte ai
soggetti con handicap intellettivo così grave da rendere impossibile l’avviamento al lavoro proficuo. Ovviamente, il centro diurno deve programmare tutte le possibili attività esterne che favoriscano la socializzazione (6). Ad esempio, sono stati at­tivati a Torino positivi incontri tra scuole e centri diurni.

In base alla nostra esperienza, possiamo sostenere che dove i centri diurni non ci sono o sono insufficienti, i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità ricadono interamente sulla famiglia, con il rischio di ricoveri anticipati in strutture residenziali. Laddove i centri diurni esistono e funzionano, la richiesta di ricoveri da parte delle famiglie è invece di molto inferiore.

Sempre al fine di allontanare nel tempo la richiesta di ricovero occorre, altresì, pensare ad altre forme di sostegno per i congiunti di handicappati intellettivi in situazione di gravità. Il Csa  ha attivato a questo proposito iniziative volte a riconoscere in primo luogo la valenza di volontariato intrafamiliare svolto da questi parenti (non necessariamente i genitori, ma anche fratelli, sorelle, zii). La comunità locale ha il dovere di aiutarli e sostenerli, anche economicamente, perché la loro scelta di continuare ad accogliere a domicilio un handicappato maggiorenne in situazione di gravità, senza averne alcun obbligo,  è indubbiamente una soluzione migliore per il soggetto stesso e, come dimostra ad esempio la delibera approvata dal Consorzio Cisap di Collegno-Grugliasco, anche un vantaggio per l’ente locale (7).

Le attività di orientamento per i soggetti con handicap intellettivo grave assumono quindi una notevole rilevanza, affinché non si rincorrano false illusioni assecondando scelte formative che non hanno sbocchi operativi al termine del percorso scolastico, ma siano invece assicurati tutti i passi necessari  verso i servizi assistenziali alternativi al ricovero in istituto.

Il lavoro essenziale degli insegnanti e il processo dell’integrazione scolastica hanno un senso se si garantisce, anche ai soggetti più gravi, la possibilità di restare il più a lungo possibile in famiglia. Oggi, sono il centro diurno assistenziale e il riconoscimento del volontariato intrafamiliare che possono assicurare questo obiettivo, perché si permette ai genitori di continuare una vita accettabile e insieme a loro, consente anche ai figli handicappati intellettivi gravi di non essere socialmente isolati.

 

Non basta una buona integrazione scolastica: è necessario orientare e preparare per il lavoro

 

Le vicende dei giovani protagonisti del videoUn lavoro tutto compreso…” e quelle degli oltre 500 giovani con handicap intellettivo che siamo riusciti a far assumere in aziende pubbliche e private sono un segno tangibile della validità dell’integrazione scolastica e rappresentano un buon successo formativo.

Numerosi sono i giovani handicappati intellettivi giunti al lavoro a trenta-trentacinque anni  per una serie fortunata di circostanze, spesso, dopo aver provato di tutto: periodi di osservazione in centri di attività diurna socio-assistenziale, borse lavoro, tirocini rinnovati per anni.

Altri non hanno avuto neppure queste occasioni e, ad un certo punto, sono usciti da ogni possibilità di utilizzare il percorso per l’inserimento lavorativo, perché a causa della prolungata inattività hanno perso anche le abilità acquisite durante il percorso scolastico.

Nelle assunzioni pubbliche l’età e l’esperienza maturata in precedenza hanno contato; sono stati favoriti quei giovani che avevano un’età ancora compresa nelle agevolazioni previste, ad esempio, per i contratti di formazione e lavoro e che avevano frequentato corsi professionali o, meglio ancora, erano stati inseriti in un corso prelavo­rativo.

Dalle molteplici storie spezzate, che non siamo riusciti a strappare da un  percorso di assistenza a vita, abbiamo tratto il fermo convincimento che bisogna agire tempestivamente, con coscienza e conoscenza, perché percorrere una strada piuttosto che un’altra, può compromettere il futuro di tutta una vita.

Anche l’insegnante della scuola dell’obbligo, oltre che il docente della scuola superiore, così come gli assistenti sociali e gli educatori dei centri socio-assistenziali, se operano nell’interesse dei giovani con handicap intellettivo, non devono ignorare che si deve fare tutto il possibile per raggiungere l’obiettivo lavoro, ogni volta che ve ne sono le potenzialità, anche se ridotte.

Oggi un aiuto in più giunge dalle nuove norme  ottenute sia nell’ambito del diritto al lavoro (legge 68/1999) sia nel campo dell’istruzione e della formazione professionale con l’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni (art. 68 della legge 144/1999) (8) e la previsione di un  orientamento a partire dalla scuola dell’obbligo.

 

Gli errori da evitare

q Non parlare genericamente di “orientamento per gli allievi con handicap”.  Gli allievi con handicap non sono tutti uguali e devono poter fruire di un orientamento capace di considerare potenzialità, capacità, interessi, attitudini, aspirazioni personali, caratteristiche diverse a seconda del grado di autonomia che sono in grado di raggiungere nonostante la minorazione (fisica, sensoriale, intellettiva, psichica).

Ad esempio, gli allievi con handicap fisico o sensoriale sono in grado di svolgere percorsi scolastici uguali a quelli degli altri allievi: tuttavia  necessitano, altresì, di interventi strutturali (ad esempio eliminazione di barriere architettoniche, supporti all’autonomia e alla comunicazione, tutoraggio). Questi allievi sono pienamente in grado di svolgere le normali attività richieste, com’è il caso dei giovani in carrozzella o dei ragazzi non vedenti: pertanto, non devono essere previsti percorsi sostanzialmente diversi rispetto ai loro compagni di classe  per le  attività di orientamento.

q Riconoscere che per  gli allievi con handicap intellettivo la situazione è più complessa. Per questi soggetti l’orientamento deve prevedere una valutazione attenta dei percorsi a cui indirizzarli a seconda che si tratti di allievi con potenzialità lavorative o, al contrario, di soggetti che non potranno mai essere avviati in attività formative finalizzate al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni  intellettive.

q Pensare ad un percorso di orientamento specifico per gli allievi con  handicap intellettivo, ma con potenzialità lavorative, non è di per sé emarginante, se vengono salvaguardate alcune condizioni. Si deve partire dal presupposto che il nostro obiettivo è quello di capire se vi sono potenzialità oggettivamente spendibili in  futuro nel mercato del lavoro. L’esperienza insegna che un giovane con handicap intellettivo medio-grave apprende più facilmente attraverso “il fare”. Può, dunque, essere opportuno fornire un orientamento affinché  si utilizzi il canale della formazione professionale, oggi previsto dalle norme di legge in precedenza citate.

È quindi logico offrire agli allievi con handicap intellettivo attività formative specifiche in un contesto di “normalità”, attività che sarebbero assolutamente inadeguate per gli altri allievi. Ad esempio, la visita al centro di formazione professionale, con il quale la scuola superiore è in relazione, sarà organizzata in modo che nel gruppo “che esce dalla scuola” siano compresi sia gli allievi con handicap intellettivo, sia coloro che, per le loro caratteristiche e aspirazioni personali, potrebbero avvalersi del canale della formazione professionale per completare l’assolvimento dell’obbligo scolastico.

 

Il ruolo degli insegnanti preposti all’orientamento

 

Le norme vigenti in materia formativa e quelle relative all’inserimento lavorativo rappresentano un risultato importante, perché le Regioni e le Province sono finalmente obbligate a investire in questo settore ed anche per le persone handicappate. Non vi è però un esplicito obbligo per il finanziamento delle attività di formazione professionale e prelavorativa per gli allievi con handicap intellettivo.

Per questo motivo, deve restare vigile l’attenzione per garantire che risorse adeguate siano investite anche dalle Province (Assessorati alla formazione professionale) per la preparazione al lavoro di chi ha un handicap intellettivo. Anche le scuole, gli insegnanti, oltre alle famiglie e alle associazioni di tutela, attraverso i loro organismi di rappresentanza possono “condizionare” le scelte degli enti che sono chiamati ad assumere decisioni in materia e ad assicurare i relativi fondi.

Come abbiamo cercato di dimostrare, il diritto alla prosecuzione della formazione fino a 18 anni è una conquista molto positiva, a condizione che le attività siano mirate  alle effettive potenzialità del giovane.

Ad esempio, è opportuno consigliare ad un allievo con handicap intellettivo la prosecuzione nella scuola superiore, se si è verificato che si tratta di una struttura organizzata in modo da assicurare attività rivolte allo sviluppo delle sue potenzialità lavorative.

Sull’argomento vi sono  positive esperienze realizzate da istituti tecnici professionali statali d’intesa con centri di formazione professionale e/o con i centri per l’impiego provinciali (9).

Dobbiamo fare tutto il possibile perché questi allievi durante il percorso dell’obbligo formativo acquisiscano competenze e autonomie spendibili nel mercato del lavoro. L’opportunità dell’obbligo formativo è un’occasione assolutamente da non sprecare.

Gli insegnanti preposti all’orientamento hanno, pertanto, una responsabilità in più, che nasce anche dal rapporto di fiducia stabilito  con le famiglie degli allievi.

Spetta a questi insegnanti il compito, non sempre facile, di aiutare la famiglia a comprendere potenzialità e limiti del giovane per indirizzarlo in percorsi che davvero siano adatti alle sue capacità e, quindi, con una buona dose di speranza di successo. Aspetto questo da non sottovalutare perché molti abbandoni scolastici e formativi sono dovuti alla presa d’atto della propria inidoneità, fatto che può essere causato da richieste scolastiche o formative superiori alle capacità personali. Un corso prelavorativo, ad esempio, può essere più adatto a soddisfare i bisogni di preparazione al lavoro di un allievo con handicap intellettivo medio-grave rispetto ad una classe integrata di formazione professionale dove i programmi sono molto più difficili soprattutto per quanto concerne le nozioni teoriche.

Merita sottolineare, altresì, il ruolo importante dell’insegnante al termine dell’obbligo formativo perché, soprattutto in questo momento di forti cambiamenti normativi, non sempre i genitori posseggono tutte le informazioni del caso e sono capaci di rivolgersi autonomamente ai competenti servizi del territorio.

A nostro avviso, spetta agli insegnanti accompagnare la famiglia o, almeno, indirizzarla fornendo tutti i supporti necessari affinché si rivolga ai centri per l’impiego se l’allievo ha la possibilità di essere inserito in attività produttive oppure ai servizi socio-assistenziali qualora si tratti di un soggetto con handicap molto grave.

È anche un compito degli insegnanti evitare che, per una non corretta informazione, l’allievo, che ha buone speranze di trovare una piena integrazione attraverso il lavoro, finisca per restare relegato in casa, o, al massimo, collocato nei servizi assistenziali con la perdita e/o regressione di quanto aveva appreso attraverso la formazione scolastica.

Per chi è in situazione di gravità il rischio di esclusione sociale è ancora più grande, perché se la famiglia non trova, al termine della scuola, un supporto adeguato ai suoi bisogni nei servizi assistenziali territoriali, è portata a richiedere in anticipo il ricovero in istituto.

Quindi rivolgiamo un appello agli insegnanti perché si aprano alla conoscenza delle opportunità formative del territorio e collaborino con i servizi del lavoro e dell’assistenza. In questo modo potranno affiancare con cognizione di causa le famiglie nel momento di fondamentale importanza delle scelte che condizionano tutta la vita futura dei loro figli.

 

Dispersione scolastica: un obbligo in più per gli insegnanti e un decreto per ri-orientare

Il decreto del Presidente della Repubblica del 12 luglio 2000, n. 257 “Regolamento attuativo dell’art. 68 della legge 144/1999”, concernente l’obbligo della frequenza di attività formative, introduce, tra l’altro, specifici adempimenti per le istituzioni scolastiche, le quali devono rispettare precise scadenze con i Centri per l’impiego provinciali al fine di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica (10).

In base a queste nuove disposizioni gli insegnanti hanno l’obbligo di segnalare ai Centri per l’impiego provinciali gli allievi che decidono di non proseguire nella scuola superiore. Se dalle verifiche effettuate dai servizi per l’orientamento del Centro per l’impiego risulterà che l’allievo non ha proseguito né nella formazione professionale, né nell’apprendistato come è suo diritto, il servizio deve attivare immediatamente un contatto per riaccompagnare il giovane, che ha ancora diritto all’obbligo formativo, con un adeguato progetto di orientamento.

Pur essendo la norma un atto positivo contro il triste fenomeno dell’abbandono scolastico e formativo, è necessario che vengano predisposte attività formative a misura delle esigenze degli allievi.

Ricordiamo ancora una volta che l’aver ottenuto i corsi prelavorativi (alternanza scuola/lavoro con poca teoria e molto tirocinio in azienda) è stato il punto di forza per impedire la loro emarginazione nel settore dell’assistenza. Quindi, è necessario ottenere dalle Province (che oggi hanno la delega in materia) il finanziamento di corsi di formazione professionale e prelavorativa per la preparazione degli allievi con handicap intellettivo, che non possono frequentare con profitto i corsi integrati di formazione professionale. Tuttavia – lo ribadiamo – essi hanno diritto ad una formazione prelavorativa per consentire il loro inserimento lavorativo in aziende pubbliche e/o private.

Per gli allievi che assolvono regolarmente l’obbligo formativo, gli insegnanti dovrebbero verificare che le famiglie provvedano alla loro iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio ai sensi della legge 68/1999 (11).

È un momento molto delicato, che può segnare significativamente il loro futuro. Molto dipende da come viene garantito il passaggio dalla scuola (o dalla formazione professionale) al Centro per l’impiego. È in questa sede che ha luogo la prima valutazione, dalla quale emerge se si tratta di soggetti immediatamente occupabili oppure se necessitano di ulteriori momenti di formazione. Nel primo caso saranno collocati, mediante il Sil (Servizio inserimento lavorativo), in una delle aziende soggette all’obbligo di assunzione.

Se, invece, il percorso formativo precedente è stato insufficiente o, peggio, è mancato del tutto, è indispensabile provvedere con nuove azioni formative, più o meno lunghe a seconda dei bisogni del soggetto, per rinforzare le sue potenzialità in modo da poterlo inserire  al termine del percorso in un’attività produttiva proficua.

Alle risorse necessarie per tali azioni provvede il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181 “Dispo-sizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro”.

 

Problemi aperti

È un dato di fatto che il successo dell’integrazione scolastica e, soprattutto, dell’obbligo formativo è raggiunto quando l’allievo (anche se questi è colpito da un handicap intellettivo, ma possiede capacità lavorative), riuscirà a realizzarsi da adulto attraverso il lavoro. È questa la piena integrazione sociale che è necessario assumere come riferimento.

Le nuove norme, che abbiamo in precedenza ricordato, hanno introdotto diritti esigibili e trasferito risorse alle Regioni e alle Province.

Tuttavia gli allievi con handicap intellettivo sono esposti al rischio di essere inseriti genericamente nei percorsi previsti per tutti, che non sempre sono in grado di rispondere adeguatamente alle loro esigenze specifiche.

In base all’esperienza fin qui maturata, le associazioni del Csa ritengono che sia quindi utile un maggior impegno della scuola perché faccia da tramite tra allievi, famiglia e servizi del territorio.

Inoltre, è necessario premere sulle Province, Assessorati alla formazione professionale e al lavoro, perché “non dimentichino” di destinare parte delle risorse che ricevono dallo Stato anche alle attività di orientamento, ai corsi di formazione professionale (integrati con la scuola), ai corsi prelavorativi  e all’apprendistato per gli allievi con handicap intellettivo con potenzialità lavorative.

Purtroppo, la situazione del mercato del lavoro continua ad essere incerta e vi sono certamente altri soggetti a rischio di esclusione sociale. Non vogliamo certamente privilegi. Chiediamo, però, di non dimenticare chi ha oggettive difficoltà anche nel rendere visibile il proprio bisogno di lavorare.

Anche un giovane handicappato intellettivo è un disoccupato, una persona che aspetta, come tutti, di dimostrare a se stesso e agli altri che ha diritto ad un posto nella società.

 

 

(*) L’articolo riprende i temi che sono stati sviluppati nel convegno che ha avuto luogo, con il medesimo titolo dell’articolo, a Torino il 30 novembre 2002. L’incontro era stato organizzato dal Csa - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, la cui sede è in Via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011-812.44.69, e-mail utim@unodinoicom.it, sito www.tutori.it

(1) Cfr. in questo numero, Enza Cavagna, “Consulenza educativa domiciliare: un servizio per la primissima infanzia colpita da handicap”.

(2) Contemporaneamente il Csa ha operato per l’inserimento lavorativo dei soggetti colpiti da gravi handicap fisici e con limitata autonomia. Il Csa non è intervenuto e non interviene in merito alle problematiche riguardanti i soggetti (compresi quelli colpiti da handicap) che sono in grado di tutelare autonomamente le proprie esigenze ed i propri diritti.

(3) I corsi prelavorativi per giovani con handicap intellettivo sono un’ideazione del Csa.

(4) Il dossier, realizzato per il convegno “L’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’inserimento lavorativo e sociale” (Torino, 30 novembre 2002), raccoglie i seguenti articoli pubblicati:

– da Prospettive assistenziali n. 126, 1999, “Handicappati intellettivi: assunzioni in aziende profit”; Ibidem, n. 128, 1999, “Lavorare in sinergia: un’esperienza di collocamento mirato di soggetti con handicap intellettivo” di E. Buffa; Ibidem, n. 132, 2000, “Concorso del Comune di Torino per l’assunzione di 45 lavoratori con handicap intellettivo, fisico o sensoriale” di
E. Buffa;

– da Controcittà n. 2-3, 1999, “La conquista di posti di lavoro presso la Provincia di Torino: analisi di un’esperienza”; Ibidem, n. 10, 1999, “Collocamento obbligatorio: da settembre assunti 20 handicappati intellettivi nel Comune di Torino con contratto part-time”; Ibidem, n. 9, 2000, “Avviamento al lavoro di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia”; Ibidem, n. 4-5, 2001, “Valido protocollo di intesa per la costituzione di un servizio intercomunale per l’inserimento lavorativo di soggetti con handicap e per la sperimentazione del collocamento mirato”.

(5) Per richiedere la videocassetta “Un lavoro… tutto compreso. Le politiche attive dell’amministrazione della Città di Torino per l’inserimento lavorativo dei disabili” rivolgersi all’Assessorato del lavoro del Comune di Torino, Corso Ferrucci 122, 10138 Torino, tel. 011-442.11.11.

(6) Un ruolo attivo può essere volto dalle commissioni di controllo. Cfr. M.G. Breda, “Come le associazioni di volontariato possono tutelare gli utenti dei servizi assistenziali”, Prospettive assistenziali, n. 140, 2002.

(7) Cfr. “Approvata la prima delibera sul volontariato intrafamiliare”, Ibidem, n. 133, 2001.

(8) L’art. 68 (Obbligo di frequenza di attività formative) della legge 144/1999 stabilisce quanto segue:

«1. Al fine di potenziare la crescita culturale e professionale dei giovani, ferme restando le disposizioni vigenti per quanto riguarda l’adempimento e l’assolvimento dell’obbligo dell’istruzione, è progressivamente istituito, a decorrere dall’anno 1999-2000, l’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età. Tale obbligo può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:

a) nel sistema di istruzione scolastica;

b) nel sistema di formazione professionale di competenza regionale;

c) nell’esercizio dell’apprendistato.

«2. L’obbligo di cui al comma 1 si intende comunque assolto con il  conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale. Le competenze certificate in esito a qualsiasi segmento della formazione scolastica, professionale e dell’apprendistato costituiscono crediti per il passaggio da un sistema all’altro.

«3. I servizi per l’impiego decentrati organizzano per le funzioni di propria competenza, l’anagrafe regionale dei soggetti che hanno adempiuto o assolto l’obbligo scolastico e predispongono le relative iniziative di orientamento».

(9) Nel prossimo numero riporteremo i progetti di integrazione scuola-formazione realizzati a Biella e Cuneo.

(10) Il punto 4, dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 237/2000 prevede quanto segue:

«Le istituzioni scolastiche comunicano, altresì, tempestivamente ai servizi per l’impiego decentrati i nominativi degli alunni che, nel corso dell’anno scolastico, hanno chiesto ed ottenuo il passaggio ad altre scuole, di quelli che sono passati nel sistema della formazione professionale e di quelli che hanno cessato di frequentare l’istituto prima del 15 marzo».

Al successivo art. 4 si precisa che «a tal fine detti istituti coordinano o integrano la propria attività con quella dei se­r­-vizi per l’impiego e degli enti locali nonché degli altri servizi individuati dalle regioni».

All’art. 5, infine, si rammenta che «l’obbligo formativo è assolto all’interno del percorso di apprendistato come disciplinato dall’articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e successive modificazioni e dai relativi provvedimenti attuativi, attraverso la frequenza di moduli formativi aggiuntivi per la durata di almeno 120 ore annue».

(11) Cfr. “I soggetti con handicap intellettivo: informazioni utili per la ricerca del lavoro”, Prospettive assistenziali, n. 141, gennaio-marzo 2003.

 

 

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