Prospettive assistenziali, n. 141, gennaio-marzo 2003

 

 

CONTINUA L’IMPOSIZIONE ILLEGITTIMA DI CONTRIBUTI ECONOMICI AI CONGIUNTI DEI SOGGETTI CON HANDICAP GRAVE E deGLI ULTRASESSANTACINQUENNI NON AUTOSUFFICIENTI

Francesco Santanera

 

 

Anche se, per quanto ho fatto per evitare che i parenti di assistiti maggiorenni fossero costretti a versare contributi economici non previsti dalle leggi vigenti, sono stato duramente attaccato (1), continuo a ritenere che una delle basi fondamentali della convivenza civile sia il rispetto delle disposizioni approvate dai Parlamenti democraticamente eletti.

Reputo, inoltre, che le norme in vigore debbano, in primo luogo, essere applicate dalle autorità preposte alla guida della Stato nelle sue diverse articolazioni: Governo, Regioni, Comuni, Pro­vin­ce, Asl, ecc.

 

Le disposizioni vigenti sono chiarissime

le norme attualmente operanti in materia di contributi economici relativi ai soggetti con handicap grave ed agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti sono di una chiarezza cristallina (2).

Infatti, l’articolo 25 della legge n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, stabilisce che «ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130» (3).

Ai sensi dell’articolo 3, comma 2 ter del decreto legislativo n. 109/1998, nel testo risultante a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 130/2000, si deve far riferimento esclusivamente alla situazione economica personale dei soggetti con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti per tutte le prestazioni sociali erogate a livello domiciliare, diurno o residenziale.

La condizione di handicap in situazione di gravità deve essere accertata dalle apposite commissioni sanitarie di cui all’articolo 4 della legge quadro n. 104/1992, mentre la non autosufficienza va certificata dalle Uvg, Unità valutative geriatriche, istituite presso le Asl.

Allo scopo di evitare ogni equivoco, il legislatore nell’articolo 2, comma 6 del decreto legislativo n. 130/2000 ha precisato che «le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente le prestazioni sociali agevolate» (4).

Da parte di alcuni funzionari e amministratori di enti pubblici è stato rilevato che il Governo non ha ancora emanato il decreto previsto dall’articolo 3, comma 2 ter, del testo coordinato dei decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000.

A questo proposito, devo precisare che la natura di detto decreto non può che essere meramente amministrativa e quindi non potrà apportare alcuna modifica ai decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000 i quali, invece, hanno pieno valore di legge.

Inoltre, il decreto amministrativo di cui sopra ha lo scopo di «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza»; pertanto, anche a questo riguardo, non può porre limitazioni o interferire sulla norma di legge concernente l’obbligo della presa in considerazione della «situazione economica del solo assistito» (5).

Rilevo, altresì, che l’emanazione del suddetto decreto non è più necessaria in quanto la legge quadro di riforma dell’assistenza n. 328/2000, varata dopo l’approvazione dei sopra indicati decreti legislativi, fornisce tutte le indicazioni occorrenti per la realizzazione del previsto sistema integrato di interventi e servizi sociali e per la valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari, comprese quelle dirette a «favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» (6).

Infine, è priva di ogni logica la decisione di non applicare una legge nei casi in cui non sia stato emanato un decreto amministrativo: significherebbe che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha il potere di condizionare (fra l’altro sine die) le decisioni del Parlamento.

Tuttavia, ammesso e non concesso che non fosse applicabile la parte del decreto legislativo 130/2000 riguardante gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti ed i soggetti con handicap in situazione di gravità, resta comunque indiscutibile il fatto che gli enti pubblici non possono pretendere  contributi economici dai parenti non conviventi.

In merito alle richieste avanzate nei confronti dei congiunti di assistiti maggiorenni, il Difensore civico della Regione Campania in data 3 dicembre 2002 ha assunto la seguente decisione: «Visto il ricorso n. 658/2002 del Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino; constatato che in tale ricorso il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino ha evidenziato che nei Comuni della Campania gli enti erogatori di assistenza richiedono il pagamento delle spese di assistenza, fra cui le rette di ricovero, ai parenti degli anziani ultrasessantacinquenni non autosufficienti; constatato che il soggetto privo di mezzi può certamente rivolgersi ai parenti per la prestazione degli alimenti ai sensi degli articoli 433 del codice civile e seguenti ma si tratta di un rapporto privato in cui non è possibile sostituzione; constatato che dal carattere della prestazione alimentare ne deriva automaticamente la non legittimazione dell’ente locale nel richiedere il pagamento; constatato che, poiché negli anni passati sono emerse cattive interpretazioni, è intervenuto il decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, evidenziando che le norme in materia di prestazioni sociali agevolate “non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438 del codice civile, primo comma, nei confronti dei componenti il nucleo familiare dei richiedenti le prestazioni agevolate”; constatato che, allo stato, non v’è dubbio che gli enti non hanno facoltà di richiedere ai parenti il pagamento delle prestazioni assistenziali ed in particolare delle rette di ricovero; constatato che gli enti erogatori, nonostante la palese interpretazione autentica del legislatore, persistono in una cattiva prassi e che argomentano pretestuosamente che, poiché le disposizioni del decreto 130/2000 si applicano nei limiti stabiliti da un venturo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’esclusione della possibilità di richiedere ai parenti dei ricoverati il pagamento delle rette avverrebbe solo con tale emanando decreto; ritenuta infondata tale ricostruzione sia perché, già prima dell’interpretazione chiarificatrice, doveva essere esclusa la possibilità di richiedere i pagamenti ai parenti stante la vincolatività e la specialità della disciplina sugli alimenti sia perché la norma del decreto legislativo 130/2000 ha solo voluto escludere senza dubbio la facoltà di cui si erano arrogati gli enti senza alcun bisogno quindi di ulteriore intervento normativo; invita l’Anci della Campania a rappresentare ai Comuni della Campania l’illegittimità di richiedere ai parenti degli anziani ultrasessantacinquenni il pagamento delle prestazioni assistenziali e delle rette di ricovero».

La questione dei contributi economici richiesti ai parenti degli assistiti maggiorenni dagli enti pubblici era già stata affrontata dal Difensore civico della Regione Piemonte che, nella relazione sull’attività svolta nel 1997, aveva segnalato che «la prassi, talvolta seguita, del ricorso alla normativa concernente l’obbligo alimentare non è condivisibile, ponendo in evidenza che i soggetti dell’obbligazione alimentare sono, da un lato, l’avente diritto (che non può certo identificarsi con l’ente pubblico) e, dall’altro, l’obbligato per cui la relativa azione è proponibile solo nell’ambito di questi soggetti».

Prima di prendere in esame le violazioni di legge perpetrate da enti pubblici, ricordiamo che le Regioni, comprese quelle a statuto speciale, com’è evidenziato dall’art. 23 della Costituzione (7), non possono imporre contributi ai parenti di assistiti maggiorenni al di fuori delle norme approvate dal Parlamento.

 

Gli enti pubblici possono violare impunemente le leggi?

 

Nonostante l’assoluta chiarezza delle disposizioni vigenti dal 1° gennaio 2001, la stragrande maggioranza dei Comuni e degli altri enti pubblici continuano a disapplicarle. È una dimostrazione molto allarmante di prepotenza da parte delle istituzioni.

Invece di dare il buon esempio ai cittadini per il rispetto delle leggi, vi sono Regioni, Comuni, Province e Asl che compiono prevaricazioni di assoluta gravità.

Da notare che i cittadini vengono a trovarsi in una situazione estremamente complicata. Se non sottoscrivono l’impegno di versare i contributi economici illegalmente richiesti dal Comune (o da altro ente pubblico gestore di servizi), le prestazioni non vengono fornite al loro congiunto ultrassessantacinquenne affetto da malattia invalidante e da non autosufficienza (8) o al loro familiare colpito da handicap grave.

È un ricatto odioso, praticato molto frequentemente dagli enti pubblici e dal relativo personale.

Inoltre, ogni altra strada è sostanzialmente impraticabile per il cittadino che non intende sottostare al sopruso dei Comuni e pretende, com’è suo diritto, di non sottoscrivere impegni di pagamento non previsti dalle leggi vigenti: se si rivolge all’autorità giudiziaria rischia di aspettare per molti anni la conclusione del giudizio (prima e seconda istanza, nonché la decisione della Cassazione); durante tutto questo lungo periodo, il familiare dovrebbe essere assistito con oneri interamente a carico dell’interessato e/o dei suoi congiunti.

L’unica procedura attualmente praticabile è quella del ricorso all’autorità di pubblica sicurezza ai sensi degli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 (9).

Da notare che, per le persone in difficoltà, la suddetta procedura è valida solo per ottenere il ricovero e non per ricevere sostegni domiciliari o per la frequenza di centri diurni.

L’alternativa di far ricoverare presso il pronto soccorso l’anziano malato cronico non viene quasi mai presa in considerazione dai congiunti che temono ritorsioni a danno del paziente.

Stando così le cose, il percorso consigliato dal Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti consiste nell’accettare la sottoscrizione dell’impegno a versare il contributo economico richiesto dal Comune (o da altro ente gestore dei servizi), e nell’invio, appena ottenuto il ricovero del soggetto (comunità alloggio per handicappati, Rsa per anziani cronici non autosufficienti, ecc.), della disdetta dell’impegno sottoscritto (10).

Si tratta, com’è evidente, di azioni estremamente difficili da assumere da parte delle persone quasi sempre inesperte; molto spesso esse si lasciano convincere dalle notizie false trasmesse dagli operatori (11) circa presunti obblighi dei familiari di svolgere le funzioni che le leggi hanno, invece, assegnato al Servizio sanitario nazionale ed ai Comuni.

Inoltre, i congiunti sono pressati dalla ricerca di soluzioni urgenti (comprese, molto spesso, quelle che non tengono conto dei diritti dei loro familiari) e temono ritorsioni da parte dell’istituzione con la quale dovrebbero entrare in conflitto.

Vi è, altresì, da tener presente che, mentre nei confronti dei cittadini che violano le leggi c’è una molteplicità di sanzioni possibili sul piano civile e, a volte, anche sotto il profilo penale, gli enti pubblici, nonostante le disposizioni dell’art. 28 della Costituzione (12) sono protetti dalle leggi a tal punto che vi sono funzionari e amministratori che si sentono autorizzati a trasgredirle, sostenendo ovviamente che così agiscono nel superiore interesse delle persone in difficoltà!

Avviene, per esempio, che vinta da un parente una causa contro il Comune che ha approvato una delibera che l’obbligava illegalmente a versare contributi economici per il ricovero dell’anziano padre malato cronico, l’ente possa impunemente non modificare il provvedimento e continuare a pretendere  denaro dagli altri congiunti che si trovano nelle identiche condizioni di colui che ha ottenuto una sentenza favorevole dall’autorità giudiziaria.

D’altra parte i Difensori civici non hanno alcun potere coercitivo nei confronti delle Regioni, dei Comuni e degli altri enti pubblici.

Inoltre, la richiesta fatta dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, ai Prefetti perché invitassero i Comuni al rispetto delle norme vigenti in materia di contribuzioni economiche è rimasta lettera morta (13).

Infine, faccio presente che le Regioni finora non hanno assunto alcuna concreta iniziativa per il rispetto delle leggi vigenti, dando in questo modo ampio spazio alle illegalità compiute in materia da Comuni, Province e Asl. Anzi, alcune Regioni hanno approvato provvedimenti in cui è previsto che gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali possono pretendere contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni (14).

 

Il fuorviante parere dell’Anci

L’Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali), che aderisce al Csa, si è rivolta al Sindaco di Torino, nella sua funzione di Presidente della Sezione piemontese dell’Anci (Associazione nazionale dei Comuni d’Italia), per ottenere un sostegno per l’applicazione delle sopra citate norme di legge in materia di contri­buti economici nei confronti del Comune di Valenza (Al).

Il Sindaco di Torino ha trasmesso l’istanza dell’Utim al Presidente nazionale dell’Anci, Leonardo Domenici (15), il quale con una risposta (lettera del 24 maggio 2002) assolutamente fuorviante, non tenendo in nessuna considerazione le disposizioni stabilite dall’art. 25 della legge n. 328/2000 e dai decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000, considera lecito il comportamento del Comune di Valenza.

Ecco il testo integrale della lettera dell’Anci nazionale alla Sezione piemontese della stessa associazione: «La questione in oggetto verte, nella sostanza, sulla possibilità del Comune di richiedere contributi a carico dei parenti di soggetti con handicap ricoverati presso istituti di assistenza, sostituendosi al titolare-beneficiario della richiesta alle persone tenute all’adempimento dell’obbligazione patrimoniale agli alimenti  di cui l’articolo 433 codice civile.

«Si tratta in effetti di una questione controversa, sulla quale abbiamo richiesto agli esperti di Anci di rispondere ed ai nostri uffici un’ulteriore riflessione sulla base della quale può ragionevolmente ritenersi che:

– i ricoveri di soggetti con handicap presso strutture residenziali fanno carico al Comune di residenza (secondo le disposizioni dell’art. 6, comma 4, della legge n. 328/2000), fatta altresì salva la partecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina comunale (e/o regionale), come ricorda il Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 14 febbraio 2001 in materia di prestazioni socio-sanitarie (art. 3, comma 2), a condizione che l’interessato non disponga di redditi adeguati, da accertare secondo le disposizioni del decreto legislativo n. 109/1998 e successive modifiche;

– i decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000 non hanno modificato la disciplina relativa ai
soggetti tenuti agli alimenti ex art. 433 del codice civile;

– il Dpcm sulle modalità di applicazione del decreto legislativo n. 109/1998 nell’area (socio-sanitaria) delle prestazioni rivolte a persone con handicap permanente grave nonché a soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti “al fine… di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione” (previsto dall’art. 3, comma 2 ter, del citato decreto legislativo 109, come modificato dall’art. 3 del decreto legislativo n. 130/2000) non è stato ancora emanato;

– nella risposta al quesito inviato al Comune di Valenza non sembrano ravvisarsi elementi di illegittimità in relazione all’applicazione di oneri espressamente previsti dalla legge a carico di cittadini; non sembra quindi possa impedirsi al Comune di accedere alla “rivalsa” presso i soggetti tenuti agli alimenti, ovviamente in relazione alle loro condizioni economiche e soprattutto in relazione alla gravità della condizione fisica e psichica del soggetto portatore di handicap ricoverato (vedi l’art. 3 della legge n. 104/1992);

– a garanzia del Comune andrebbe comunque definita dal Comune stesso una adeguata cornice normativa, mediante specifici regolamenti (opportunamente) approvati previa ampia consultazione delle istituzioni-associazioni pubbliche e private a vario titolo interessate e coinvolte.

«È in ogni caso da ritenere opportuno un intervento del legislatore per individuare in maggiore dettaglio gli obblighi istituzionali dei Comuni in relazione ai diritti delle persone handicappate, non dovendosi dimenticare le responsabilità contabili, e non solo, in capo agli amministratori locali per aver dato luogo a spese non dovute (anche ricordando che l’Ufficio legislativo del Ministro per la solidarietà sociale - in data 15 ottobre 1999 - si è espresso nel senso che “l’adempimento dell’obbligazione patrimoniale agli alimenti di cui all’art. 433 del codice civile debba essere richiesto dal soggetto interessato e non dalla pubblica amministrazione)”».

Poiché nella riportata lettera dell’Anci è confermato che «i decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000 non hanno modificato la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti ex art. 433 del codice civile», non si comprende in base a quali considerazioni il Presidente nazionale dell’Anci possa affermare che «non sembrano ravvisarsi elementi di illegittimità» nella pretesa avanzata dal Comune di Valenza ai genitori per il pagamento di una parte della retta di ricovero del loro figlio colpito da handicap intellettivo grave.

Da notare che l’Assessore ai servizi sociali del Comune di Valenza, nella lettera inviata in data 21 febbraio 2002 al Difensore civico della Regione Piemonte, mentre sostiene che continuerà a richiedere l’illegittima prestazione  economica ai genitori di cui sopra, avanza una inquietante minaccia, precisando che «nella ipotesi di cui un giorno le amministrazioni comunali fossero, con norma esplicita, obbligate a intervenire economicamente nei confronti di chicchessia, non in grado di esprimere le proprie ragioni disapplicando l’art. 433 e seguenti del codice civile (16), questo Comune chiederebbe l’immediato trasferimento dei soggetti che, ove ospitati, necessitino di integrazioni rette di ricovero, in strutture con quote di degenza contenute, forse anche in Rsa di Valenza di prossima apertura» (17).

Allo scopo di non prendere posizione nei confronti dei Comuni che non rispettano la normativa vigente, il Presidente dell’Anci conclude la nota sollecitando un intervento del legislatore, non tenendo conto che le disposizioni dell’art. 25 della legge n. 328/2000 e dei decreti legislativi n. 109/1998 e n. 130/2000 - lo ripetiamo - sono estremamente chiare e non suscettibili di interpretazioni di comodo (18).

 

Assurdi pretesti avanzati da alcuni Sindaci

Vi sono Comuni che sostengono di non avere alcuna possibilità di applicare le norme vigenti in quanto non disporrebbero delle risorse necessarie per compensare le minori entrate conseguenti all’esclusiva valutazione della situazione economica personale dei soggetti con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti (19).

Si tratta di una scusa puerile, tenuto conto che le minori entrate possono essere facilmente e tempestivamente compensate da risparmi da realizzare nelle attività aventi carattere clientelare (come ad esempio i soggiorni di vacanza per anziani autosufficienti) o nei settori il cui impatto sociale è negativo (ad esempio, le iniziative pseudo culturali) o di nessuna utilità sociale (come molti viaggi all’estero di amministratori, di funzionari e di operatori).

Inoltre, i Comuni possono risolvere la questione aumentando di pochi centesimi le aliquote relative all’Ici (imposta comunale sugli immobili), con particolare riguardo agli alloggi sfitti e alle seconde case.

Ricordo, inoltre, l’esperienza del Comune di Rivoli (Torino) che, a seguito del censimento delle unità immobiliari (terreni e fabbricati), degli insediamenti produttivi, degli impianti pubblicitari, ha accertato tributi annuali evasi per quasi 8 miliardi delle vecchie lire (20).

Si noti, tuttavia, che in nessun periodo storico, recente o di antica data, gli enti pubblici hanno riconosciuto di avere mezzi economici da destinare alla fascia più povera della popolazione.

Devo, altresì, ricordare che la Provincia di Torino (21) ed i Comuni di Torino (22) e di Milano (23) hanno risolto il problema delle minori entrate conseguenti alla cessazione delle richieste di contributi ai parenti dei soggetti con handicap grave e/o degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti: così dovrebbero comportarsi gli altri enti pubblici. Analogamente hanno agito numerosi Comuni della prima e seconda cintura di Torino.

Un altro pretesto avanzato da qualche Comune, e purtroppo anche da alcuni operatori, riguarda la situazione vissuta da anziani che avrebbero trasferito ai figli tutti o gran parte dei loro beni e le cui esigenze sarebbero ignorate dai figli stessi che li hanno ricoverati presso istituti di assistenza.

Si tratta di uno dei numerosi pretesti che circolano in merito alla questione anziani (24). Mentre è ovvio che vi sono e vi saranno singoli casi di abbandono di anziani da parte dei familiari, finora nessuno fra coloro che hanno denunciato l’abbandono di anziani da parte dei figli che si sarebbero appropriati del loro patrimonio in base a modalità non lecite, ha mai fornito statistiche in merito al fenomeno esposto. È, pertanto, ipotizzabile che si tratti di casi isolati.

Dunque, ammesso e non concesso che il fenomeno esista in misura significativa, coloro che lo segnalano, se non agiscono in modo pretestuoso, dovrebbero fornire dati circa la sua ampiezza (25). Da parte nostra, riteniamo che le situazioni di cui sopra siano estremamente rare, mentre è ormai riconosciuto che la stragrande maggioranza degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer è curata a casa di loro congiunti (26). Ciò avviene - non dimentichiamolo - nonostante le rilevanti carenze delle cure sanitarie domiciliari fornite dalle Asl e il numero estremamente ridotto di centri diurni per dementi senili.

Tenendo conto che attualmente è estremamente carente il sostegno ai nuclei che accolgono un loro congiunto non autosufficiente ed allo scopo di incrementare il numero dei soggetti non istituzionalizzati, il Csa ha promosso e promuove il volontariato infra-familiare (27).

 

L’assistenza ai benestanti è molto diffusa e ben accettata dai “moralisti”

Mentre le illegali richieste di contributi econo­mici ai congiunti di anziani non autosufficienti e di soggetti con handicap grave, hanno ridotto in povertà centinaia di migliaia di famiglie (28) e
tale rovinosa situazione rischia di aumentare (29), gli enti pubblici nazionali e locali continuano a destinare somme ingentissime per assistere persone che non hanno alcuna esigenza di essere aiutate.

Inoltre, ricordo nuovamente che, a seguito della legge n. 328/2000 di riforma dell’assistenza, sono stati sottratti dall’esclusiva destinazione ai poveri i patrimoni delle Ipab ed ex Ipab ammontanti a 110-140 mila miliardi delle vecchie lire (30) e
menziono ancora una volta lo scandalo dell’integrazione al minimo delle pensioni Inps, complessivamente 44 mila miliardi di lire all’anno, per quanto riguarda i soggetti che hanno redditi adeguati alle loro esigenze e patrimoni anche consistenti (31).

In terzo luogo, ritengo inammissibile che gli alloggi dell’edilizia economica e popolare possano essere occupati da nuclei familiari con redditi annui da 70 a 105 milioni di lire, addirittura in una percentuale «stimata intorno al 20%» (32).

 

Nessun onere a carico dei parenti degli utenti dei servizi non assistenziali

 

È molto significativo osservare che in nessuno dei numerosi settori non assistenziali (casa, lavoro, scuola, ecc.) viene praticata dai Comuni la richiesta di contribuzione ai parenti nemmeno se conviventi (salvo qualche caso il coniuge).

Questo comportamento, che ritengo pienamente valido, ha lo scopo di consentire la massima autonomia possibile ai soggetti, soprattutto se in difficoltà e di rispettare le loro esigenze personali (o coniugali), indipendentemente dal comportamento dei parenti.

Da notare che finora, per i settori non assistenziali, nessuno ha avanzato riserve o presentato proposte di legge o delibere regionali o locali per coinvolgere i parenti tenuti agli alimenti.

Alcuni esempi di cui il Csa condivide le attuali modalità di contribuzione:

– i Comuni assumono sempre a proprio carico tutte le spese relative ai soggiorni di vacanza degli anziani non versate dal nucleo familiare interessato, indipendentemente dalle condizioni economiche dei parenti tenuti agli alimenti;

– i Comuni non hanno mai richiesto contributi economici ai nonni dei bambini che frequentano asili nido, scuole materne o utilizzano altri servizi educativi nei casi in cui i genitori non siano in grado di corrispondere la tariffa massima richiesta, anche se l’art. 148 del codice civile stabilisce che, quando i genitori non hanno le risorse occorrenti per provvedere all’obbligo di mantenere, educare e istruire i figli «gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi  necessari affinché possano adempire i loro doveri nei confronti dei figli».

Inoltre, non sono (giustamente a mio avviso) vincolate alle condizioni economiche dei parenti tenuti agli alimenti:

– i contributi erogati da Regioni e Comuni per il sostegno dei nuclei familiari in difficoltà per il pagamento dell’affitto delle loro abitazioni (33), i sussidi di disoccupazione, gli emolumenti ai lavoratori in cassa integrazione, l’assegnazione gratuita o a prezzi di favore dei terreni comunali da utilizzare per la costruzione di alloggi dell’edilizia agevolata, l’assegnazione degli alloggi popolari da parte delle Aziende territoriali per la casa (ex Iacp) (34), l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato (già gratuito patrocinio).

Rammento, inoltre, che allo scopo di ridurre gli oneri a carico degli utenti, compresi quelli abbienti, dei servizi non assistenziali per le quote a carico non viene quasi mai fatto riferimento al costo della prestazione, come avviene per le contribuzioni addebitate agli assistiti e ai loro congiunti, ma a tariffe speciali, definite discrezionalmente dalle istituzioni interessate.

Ad esempio, di fronte ad un costo mensile dell’asilo nido di oltre 1.000 euro, la tariffa massima attribuita anche ai genitori estremamente ricchi non supera in genere i 350 euro.

Infine, è molto eloquente il fatto che l’art. 32 della Costituzione garantisca «cure gratuite agli indigenti» senza porre alcun limite in relazione alle condizioni economiche dei parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti.

Di conseguenza, anche le esenzioni dai ticket sanitari sono previste indipendentemente dalla presenza, nell’ambito dei congiunti, di persone abbienti.

A questo punto si pongono due interrogativi: perché molti amministratori e operatori ritengono eticamente corretta la richiesta di contributi economici ai parenti tenuti agli alimenti per i servizi socio-assistenziali e nulla obiettano per il mancato coinvolgimento dei congiunti per le attività sopra elencate (soggiorni di vacanza, sostegno economico per l’affitto, assegnazione alloggi popolari, ecc.), nonostante che anch’esse abbiano natura assistenziale ed i cui oneri a carico del settore pubblico siano molto gravosi e certamente superiori ai mancati introiti derivanti dalla corretta applicazione delle vigenti norme sui parenti tenuti agli alimenti? Perché non è giusto che dalle contribuzioni siano esentati i congiunti in difficoltà a causa della situazione di non autonomia dei loro parenti e lo siano quando i familiari sono pienamente autosufficienti e spesso anche benestanti?

 

Un’utile iniziativa per l’Anno della persona disabile

In data 3 dicembre 2001 il Consiglio d’Europa ha dichiarato il 2003 “Anno europeo delle persone disabili”. Com’era già successo nel 1981 “Anno internazionale della persona handicappata” proclamato dalle Nazioni Unite, verranno fatte promesse su promesse ai soggetti interessati ed ai loro congiunti.

Anche nel libro bianco sul welfare Proposte per una società dinamica e solidale, pubblicato nel febbraio 2003 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vi sono numerose dichiarazioni di intenti. Fra l’altro, è scritto che «il Governo riconosce alla famiglia un ruolo essenziale (…) nella costruzione della rete della solidarietà sociale».

Spero, pertanto, che il primo atto del Presidente del Consiglio dei Ministri in merito all’Anno europeo delle persone disabili consista nell’emanazione del provvedimento previsto dal decreto legislativo 130/2000 in modo da togliere ogni alibi ai Comuni singoli o associati che continuano ad imporre – ripeto: sovente con detestabili ricatti – contributi economici ai parenti di soggetti con handicap grave e di ultrasessantacinquenni non autosufficienti. Il Capo del Governo potrebbe anche cavarsela con poche righe ricordando agli amministratori, ai funzionari ed agli operatori degli enti pubblici che le norme da attuare «per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza» sono quelle indicate dalle legge 328/2000 sulla riforma dell’assistenza e dei servizi sociali.

Mediante l’emanazione del suddetto provvedimento verrebbe anche eliminata una delle cause più ingiustificate di povertà (cfr. la nota 28).

 

 

 

(1) Cfr. F. Santanera, “Sono un immorale: per i più deboli ho chiesto il rispetto delle leggi vigenti”, Prospettive assistenziali, n. 123, 1998.

(2) Ricordo che il Csa è attivamente intervenuto perché fosse profondamente modificato il pessimo decreto legislativo n. 109/1998. Al riguardo, si vedano l’articolo “Un preoccupante decreto sugli oneri economici a carico delle famiglie con congiunti handicappati o malati cronici non autosufficienti”, Ibidem, n. 127, 1999 e l’intervento di L. Lia, “Il riccometro: uno strumento per favorire i cittadini abbienti”, Ibidem, n. 129, 2000. All’allora Ministro per la solidarietà sociale, on. Livia Turco, erano state consegnate in data 21 gennaio 2000 le 4.384 firme raccolte dal Csa in merito alla petizione riportata sul n. 129, 2000 di Prospettive assistenziali, nonché l’elenco delle organizzazioni che avevano aderito alla suddetta iniziativa. Nel decreto legislativo 130/2000 sono state accolte le più importanti richieste contenute nella petizione.

(3) Sul n. 138, 2000 di Prospettive assistenziali, abbiamo pubblicato il testo del decreto legislativo n. 109/1998 coordinato con il decreto legislativo n. 130/2000.

(4) Com’è noto, il 1° comma dell’articolo 438 del codice civile stabilisce che «gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento».

(5) Cfr. Massimo Dogliotti, “Ancora sul pagamento delle rette di ricovero a carico dei parenti: errare umanum est, perseverare diabolicum”, Prospettive assistenziali, n. 138, 2002.

(6) Si vedano, in particolare, gli articoli 16 e 22 della legge n. 328/2000.

(7) L’art. 23 della Costituzione sancisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Com’è ovvio, detta legge deve essere nazionale e non regionale anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 3/2001 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, Cfr. Prospettive assistenziali, n. 137, 2002.

(8) Ricordo che a tutti questi soggetti (alcune centinaia di migliaia) è stato negato il diritto alle cure sanitarie, sicuramente gratuite prima dell’entrata in vigore dell’art. 54 della legge finanziaria 2003.

(9) Cfr. Massimo Dogliotti, “I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà...‘pericolosi per l’ordine pubblico’ hanno ancora il diritto ad essere assistiti dai Comuni”, Prospettive assistenziali, n. 135, 2001.

(10) Questa procedura  può essere praticata esclusivamente se l’accordo è intervenuto con l’ente pubblico tenuto a fornire le prestazioni assistenziali. Non può essere utilizzata nei confronti degli enti privati e delle Ipab, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

(11) Cfr. Maria Grazia Breda e Francesco Santanera, Gli assistenti sociali visti dagli utenti - Che cosa fanno, come dovrebbero agire, Utet Libreria, Torino, 2002.

(12) L’art. 28 della Costituzione recita: «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tal caso la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».

(13) Cfr. “Il comportamento pilatesco dell’ex Prefetto di Torino nei confronti dei Comuni che illegittimamente pretendono contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni”, Prospettive assistenziali, n. 132, 2000.

(14) Ad esempio, l’art. 6 della legge della Regione Lombardia 11 luglio 1997 n. 31 “Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali” stabilisce che i Comuni possono «rivalersi nei confronti dei soggetti tenuti agli alimenti». Con la legge 3 ottobre 1997 n. 72 “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari integrati”, la Regione Toscana ha stabilito che «gli utenti o le persone tenute al loro mantenimento (e cioè coniuge, figli e altri discendenti, genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle, n.d.r.) concorrono alla copertura del costo delle prestazioni socio-assistenziali nella percentuale determinata dagli enti locali istituzionalmente competenti, sui quali grava l’onere della spesa, in base a criteri ed a parametri di reddito stabiliti dal piano sociale regionale e dai rispettivi regolamenti».

(15) Segnalo che il Presidente nazionale dell’Anci è anche Sindaco di Firenze, Comune che da anni si rifiuta di applicare le norme vigenti in materia di contributi economici. Al riguardo, si vedano gli articoli “Contributi economici imposti agli assistiti e ai loro congiunti: una delibera illecita e vessatoria del Comune di Firenze”, Prospettive assistenziali, n. 124, 1998 e “Un’altra delibera illegittima e persecutoria del Comune di Firenze”, Ibidem, n. 137, 2002.

(16) Rammento nuovamente che in base all’art. 438 del codice civile «gli alimenti possono essere richiesti (e non “devono essere richiesti”) da chi versa in stato di bisogno».

(17) La minaccia non riguarda solo il trasferimento presso una struttura «con quote di degenza contenute», ma anche il ricovero insieme agli utenti delle Rsa e cioè con gli anziani cronici non autosufficienti e con le persone colpite da demenza senile.

(18) L’illegittimità della richiesta da parte degli enti pubblici di contributi ai parenti di assistiti maggiorenni era stata già esplicitata dal Ministero dell’Interno con nota del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70 e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 15 aprile 1994, prot. DAS/4390/1/H/795; 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e 29 luglio 1997, prot. DAS/247/UL/1/H/795.

(19) È molto significativo che nessuno dei suddetti Sindaci abbia presentato ricorso contro il decreto 29 novembre 2001 concernente i Lea (Livelli essenziali di assistenza) che pone a carico dei Comuni oneri estremamente pesanti.

(20) Cfr. Anna Paschero “L’esperienza del Comune di Rivoli: scovare gli evasori e ridurre le tasse”, Prospettive assistenziali, n. 116, 1996.

(21) Cfr. Carlo Sessano, “Vinta la vertenza contro la Provincia di Torino sui contributi economici richiesti agli handicappati e alle loro famiglie”, Ibidem, n. 122, 1998.

(22) Cfr. “Il Comune di Torino ha esonerato i parenti degli anziani non autosufficienti dal versamento di contributi economici”, Ibidem, n. 133, 2001. Precisiamo che il Comune di Torino da moltissimi anni non richiede alcun contributo ai congiunti di soggetti con handicap intellettivo per la frequenza dei centri diurni e per l’accoglienza presso comunità alloggio e istituti.

(23) Cfr. “Il Comune di Milano ha abrogato le norme relative ai contributi dei parenti degli anziani ricoverati”, Ibidem, n. 122, 1998.

(24) Ricordo, in particolare, le notizie fuorvianti circa l’abbandono massiccio di anziani nel periodo estivo da parte dei figli ingrati che trascorrerebbero le vacanze per conto loro e quelle riguardanti la solitudine quale principale problema dei vecchi. Le informazioni in materia, volutamente errate, hanno lo scopo di nascondere all’opinione pubblica la realtà delle cose e cioè il frequentissimo e perdurante abbandono degli anziani cronici non autosufficienti da parte degli ospedali e di giustificare in qualche modo le dimissioni dalle suddette strutture e dalle case di cura convenzionate. Sulle false notizie circa l’abbandono degli anziani in ospedale, ricordiamo l’editoriale del n. 67, 1984 di Prospettive assistenziali, “Anziani cronici: obblighi dal Servizio sanitario e l’alibi dei figli ingrati”, l’articolo di C. Hanau e R. Moretti, “Stagionalità dei ricoveri in ospedale, con particolare riferimento agli anziani”, Ibidem,
n. 96, 1991 in cui, sulla base dei dati raccolti su tutti i dimessi in Italia negli anni 1972 e 1982, si dimostra che nei mesi di luglio e agosto non vi è alcun aumento degli anziani ricoverati in ospedale. Anzi «le rilevazioni riferite agli ammessi in giugno, luglio e agosto (culmine delle ferie annuali) vedono una progressiva diminuzione della percentuale mensile dei ricoverati della quarta età». Un’ulteriore conferma dell’infondatezza dell’opinione comune sul fenomeno dell’ospedalizzazione estiva degli anziani «viene dalla Procura della Repubblica presso la Pretura di Torino, la quale ha chiesto alle direzioni sanitarie degli ospedali cittadini di essere informata circa eventuali casi di anziani ricoverati in ospedale senza alcun valido motivo sanitario e non ha ricevuto alcuna segnalazione in merito». Cfr. Ibidem, n. 96, 1991.

(25) Inoltre, non va dimenticato che su istanza motivata dell’ente che provvede all’assistenza, l’autorità giudiziaria può assumere tutti i provvedimenti necessari per la tutela del soggetto incapace, compresa la sostituzione dei tutori inidonei.

(26) Secondo Angelo Bianchetti e Fabio Guerrini (cfr. il capitolo “I nuclei Alzheimer” del volume curato da M. Trabucchi, E. Brizioli e F. Pesaresi, Residenze sanitarie per anziani, Il Mulino, Bologna, 2002) «la maggioranza dei malati (circa l’80%) vive in famiglia ed è assistita dal sistema di supporto informale, ossia da familiari o amici; il supporto formale del Servizio sanitario nazionale e dei presidi socio-assistenziali è spesso ancora carente e non sempre preparato alla gestione di una malattia così complessa».

(27) Cfr. i seguenti articoli pubblicati su Prospettive assistenziali: “proposta di delibera sul volontariato infra-familiare”, n. 123, 1998; “Seconda proposta di delibera sul volontariato infra-familiare rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”, n. 124, 1998; “Approvata la prima delibera sul volontariato infra-familiare”, n. 133, 2001.

(28) La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha segnalato che solo nel 1999 sono diventate povere oltre 2 milioni di famiglie per le somme spese per la cura di soggetti non autosufficienti.

(29) Si pensi alle nefaste conseguenze dei decreti dei Presidenti del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio e del 29 novembre 2001, quest’ulimo elevato a rango di legge dall’art. 54 della legge n. 289/2002 (Finanziaria 2003). Si vedano al riguardo gli editoriali dei numeri 135, 2001 e 138, 2002 di Prospettive assistenziali.

(30) Cfr. M. G. Breda, D. Micucci, F. Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali - Analisi della legge n. 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria.

(31) Cfr. “Per la creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale”, Prospettive assistenziali, n. 121, 1998.

(32) Cfr. “Disagio, povertà e esclusione sociale a Modena”, Ibidem, n. 134, 2001.

(33) I limiti del reddito da lavoro dipendente o autonomo riferiti al 2001 per l’accesso al contributo per il pagamento dell’affitto sono stati stabiliti, per il suddetto anno, in 16.768,00 euro se i componenti conviventi del nucleo familiare interessato sono 1 o 2 , in 20.469,68 se sono 3, in 23.824,73 se si tratta di 4 e in 26.844,76 nei casi in cui siano 5 o più persone.

(34) Pertanto, i genitori dei richiedenti e gli altri parenti tenuti agli alimenti possono essere proprietari anche di centinaia di appartamenti.

 

 

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