Prospettive assistenziali, n. 140, ottobre-dicembre 2002

 

 

competenze in materia di programmazione attribuite

alle province dalla legge n. 328/2000

 

 

In merito alle funzioni relative alla programmazione, il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, ha inviato alla Provincia di Torino la nota che riportiamo integralmente.

 

L’art. 7 della legge n. 328/2000 relativa alla riforma dell’assistenza e dei servizi sociali stabilisce che “le Province concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” mediante la raccolta dei dati sui bisogni, l’analisi dell’offerta assistenziale e dei fenomeni sociali più rilevanti, la promozione, d’intesa con i Comuni, di iniziative di formazione, la partecipazione alla definizione e all’attuazione dei piani di zona.

 

Deludenti le esperienze di programmazione

finora realizzate

Soprattutto se si parte dalle esigenze dell’utenza, sono estremamente deludenti le numerose esperienze relative alla programmazione del settore socio-assistenziale, comprese quelle realizzate a livello regionale e locale.

Per quanto riguarda il Piano sociale nazionale, varato dal Governo Amato in attuazione della legge n. 328/2000, si tratta di un insieme di ipotesi e di proposte che possono (e non devono) essere prese in considerazione dalle Regioni, dai Comuni e dalle Province.

Inoltre, le suddette ipotesi e proposte non assicurano nessun diritto esigibile ai cittadini, compresi quelli in gravi e urgenti condizioni di bisogno.

In definitiva, il Piano sociale nazionale non è uno strumento di programmazione, ma solamente un inutile insieme di generiche possibilità.

 

Programmazione e gestione

Schematicamente si può dire che tutte le attività, siano esse di tipo personale, familiare, sociale o economico, possono essere gestite caso per caso oppure in modo programmato.

La gestione dei servizi socio-assistenziali (o di altra natura), se è orientata a precisi obiettivi e a definite modalità di intervento, deve essere necessariamente programmata.

Ne deriva, conseguenza estremamente importante, che la gestione e la programmazione della gestione stessa non possono essere separate.

Ne consegue, altresì, che la programmazione non può essere decisa da un ente diverso da quello preposto alla gestione.

Pertanto, le Province dovrebbero esercitare le funzioni in materia di programmazione in accordo, in tutta la misura del possibile, con gli enti gestori delle attività socio-assistenziali.

Le Province dovrebbero pertanto assumere un ruolo di coordinamento non separato dai compiti gestionali attribuiti dalla legge n. 328/2000 ai Comuni singoli e associati.

 

Gruppo di lavoro permanente

Allo scopo di poter realizzare una programmazione socio-assistenziale condivisa dagli enti gestori, il Csa propone la costituzione di un gruppo permanente di lavoro composto da alcuni tecnici della Provincia di Torino e da un definito numero di operatori. Questi ultimi dovrebbero essere designati dai Comuni singoli o associati.

Del gruppo di lavoro non dovrebbero far parte esperti esterni agli enti sopra menzionati .

Il gruppo di lavoro dovrebbe confrontarsi periodicamente (e in base a tempi prefissati) con gli amministratori dei Comuni singoli o associati, nonché con i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale, delle organizzazioni di volontariato e delle cooperazione sociale, di modo che le risultanze siano effettivamente partecipate.

 

Scopi e contenuti della programmazione

L’attività di programmazione dovrebbe far riferimento sempre e solo agli obiettivi stabiliti dalla legge n. 328/2000, con particolare riferimento all’art. 22, e dalla redigenda legge attuativa regionale evitando i fiumi di inchiostro utilizzati per segnalare semplici possibilità di intervento.

Scopo della programmazione dovrebbe essere la predisposizione di progetti concreti di intervento. Detti progetti dovrebbero definire:

– gli utenti o, preferibilmente, gli aventi diritto;

– gli enti gestori;

– la configurazione degli interventi;

– il fabbisogno;

– gli standards strutturali;

– il personale addetto;

– i luoghi di erogazione delle prestazioni;

– i tempi di attuazione;

– i finanziamenti occorrenti;

– le eventuali contribuzioni a carico degli utenti.

 

Una bozza esemplicativa (1)

Obiettivo: realizzazione di comunità alloggio per soggetti con handicap (cfr. la legge n. 328/2000, art. 22, comma 2, lettera f).

Utenti: soggetti con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia per i quali non sia possibile provvedere mediante interventi alternativi al ri­covero.

Enti gestori: Comuni singoli e associati.

Conformazione degli interventi: sono previste convivenze guidate, comunità alloggio e case famiglia.

Le convivenze guidate sono strutture costituite da un normale alloggio in cui sono inseriti 2 o 3 soggetti maggiorenni aventi limitata autonomia personale, seguiti saltuariamente da operatori sociali.

Le comunità alloggio sono strutture costituite da un normale alloggio o da una abitazione mono o pluri familiare in cui sono accolti al massimo 6-8 soggetti minorenni oppure individui maggiorenni aventi autonomia molto limitata o nulla, a cui provvedono operatori sociali con carattere di continuità.

Le case famiglia sono strutture costituite da un nucleo familiare stabile in cui sono inseriti da 2 a 4 soggetti in difficoltà.

Il fabbisogno: per ciascun ambito territoriale i relativi enti gestori dovrebbero fornire i seguenti dati:

– strutture esistenti per ciascuna delle tre tipologie con l’indicazione dei rispettivi posti letto;

– il fabbisogno complessivo;

– le realizzazioni ipotizzabili nel periodo di validità del progetto. La definizione del numero delle strutture inserite nella programmazione definitiva dovrebbe emergere dal confronto fra le esigenze di tutti gli ambiti territoriali e le risorse disponibili.

Gli standards strutturali: precisazione per ciascuna delle tre tipologie degli standards strutturali minimi.

Il personale addetto: definizione per ciascuna delle tre strutture delle professionalità del personale addetto e delle ore settimanali minime complessive relative alle varie tipologie del personale.

I luoghi di erogazione delle prestazioni: definizione dei criteri.

I tempi di attuazione: per ciascuna struttura inserita nel progetto occorrerebbe definire i tempi di attuazione.

I finanziamenti occorrenti per l’istituzione della struttura e la sua gestione: valutazione delle concrete possibilità di finanziamento da parte del Comune singolo o associato per ciascuna delle tre tipologie delle strutture. Al riguardo i Comuni dovrebbero segnalare le eventuali disponibilità degli appartamenti di loro proprietà con particolare riguardo a quelli ad essi pervenuti a seguito dell’estinzione delle Ipab e dello scioglimento degli enti assistenziali (Eca, Onmi, Enaoli, Patronati scolastici, ecc.). I Comuni dovrebbero, inoltre, segnalare le concrete disponibilità di riconvertire alcuni fra i patrimoni mobiliari e immobiliari di cui sopra al fine di realizzare le risorse necessarie per l’acquisto o la costruzione dei locali occorrenti per le convivenze guidate, le comunità alloggio e le case famiglia. I Comuni singoli o associati dovrebbero accertare la disponibilità di alloggi  da parte dell’Agenzia territoriale per la casa, di Ipab funzionanti e di altri enti pubblici o privati. Occorrerebbe, inoltre, precisare le eventuali richieste di finanziamento da avanzare alla Regione.

Le eventuali contribuzioni a carico degli utenti: dovrebbero essere definite in applicazione dell’art. 25 della legge n. 328/2000 e dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Detta definizione dovrebbe essere conforme ai criteri generali approvati della Regione Piemonte. I criteri dovrebbero essere validi per tutte le prestazioni sociali agevolate (rette degli asili nido e delle scuole materne, attività di tempo libero, assistenza, ecc.) al fine di evitare inter­pretazioni diverse a seconda dei vari settori di intervento.

 

 

(1) La bozza presuppone ovviamente la predisposizione di progetti relativi alla prevenzione del disagio riguardante i minori, gli adulti e gli anziani, nonché le iniziative alternative al ricovero.