Prospettive assistenziali, n. 138, aprile-giugno 2002

 

 

obblighi assistenziali dei comuni: un decreto del tribunale per i minorenni di messina

 

 

Su Prospettive assistenziali abbiamo segnalato che, nonostante la legge n. 328/2000, i Comuni sono ancora obbligati ad assistere i minori, i soggetti con handicap e gli anziani in difficoltà (1).

Riportiamo ora il decreto assunto il 14 febbraio 2001 dal Tribunale per i minorenni di Messina, che conferma detto obbligo.

È di grande interesse rilevare che il suddetto provvedimento impone al Comune di A. di fornire assistenza alla giovane G.M.N. anche dopo il raggiungimento della maggiore età, fino al compimento del ventunesimo anno di età.

 

 

testo del decreto

 

Premesso che la giovane G.M.N., nata il 29 marzo 1982, trovasi tuttavia collocata presso l’istituto G.M. di A., ove era stata inserita giusta decreto di questo Tribunale in data 10 novembre 1993; che, con nota del 17 marzo 2000, la direzione di tale istituto rappresentava  che la suddetta minore, la quale avrebbe raggiunto di lì a pochi giorni la maggiore età, stava frequentando, presso l’istituto F.Z. di S. di M., un corso per il conseguimento dell’attestato di segretaria di azienda, per il cui compimento avrebbe dovuto frequentare la citata scuola anche durante l’anno successivo (2001), precisando che, in vista di tale frequenza, era necessaria la prosecuzione della istituzionalizzazione fino alla prevista ultimazione del percorso formativo; che, con decreto in data 19 aprile 2000, questo Tribunale, rilevato che era precipuo interesse della giovane completare il ciclo di studi in corso, la cui interruzione si sarebbe convertita in sicuro danno per la medesima ragazza, sia sul piano materiale, che su quello psicologico, prorogava la istituzionalizzazione presso il citato istituto fino al compimento del ciclo di studi in corso, ma non oltre il 21° anno di età, con retta a carico del Comune di competenza; che, con nota del 19 dicembre 2000, la medesima direzione dell’istituto ospitante faceva presente che il Comune di A. (cui il predetto decreto era stato comunicato da questo ufficio il 28 aprile 2000, data della nota di accompagnamento) aveva omesso di continuare a pagare la retta dopo la data del conseguimento della maggiore età, anzi se ne era specificamente rifiutato, per cui chiedeva un nuovo specifico intervento di questo Tribunale; che, con parere del 12 gennaio 2001, il P.M. chiedeva che questo Tribunale confermasse il decreto del 19 aprile 2000; tutto ciò premesso, si rileva quanto segue.

Questo Tribunale si è già pronunziato sul punto afferente la contestazione del Comune di A., il quale è già tenuto, in forza del citato decreto del 19 aprile 2000, al pagamento della retta fino al compimento del ciclo di studi in corso, anche oltre il raggiungimento della maggiore età della ragazza, purché non oltre il 21° anno di età. Il rifiuto del Comune è assolutamente illegittimo ed implica responsabilità sia per lo stesso ente, che per coloro che hanno espresso ed eventualmente dovessero continuare ad esprimere il rifiuto. Invero, il Comune, nei cui confronti è stato emesso un punto del citato decreto, aveva due alternative: o accettare la disposizione di questo Tribunale, e, quindi, continuare a pagare la retta, o non accettarla, qualora non ne avesse condiviso le ragioni e la motivazione, ma allora avrebbe dovuto impugnare il decreto presso la sezione minorile della Corte d’appello entro i termini di legge (dieci giorni dalla data di notifica). Ora, poiché il medesimo Comune non ha proceduto alla impugnazione, il ricordato decreto del 19 aprile 2000 è divenuto definitivo (non più attaccabile), anche per quel che riguarda l’onere del Comune di continuare a versare la retta, senza che successivamente lo stesso Comune possa censurare o ritenere infondato il punto del decreto riguardante tale suo obbligo. Una delle conseguenze di tale situazione è che l’eventuale conferma che, con il presente provvedimento, dovesse farsi del precedente decreto, rivestendo questo, appunto, valenza di atto confermativo della precedente pronunzia, non aprirebbe i termini dell’impugnazione, che, per il Comune, sono ormai definitivamente perenti (una eventuale impugnazione incorrerebbe oggi nella sanzione processuale della inammissibilità). Siccome, però, questo Ufficio vuol dare sempre la più ampia ragione delle proprie pronunzie, per il caso che la precedente motivazione non fosse stata convincente, si osserva quanto segue.

1. - Il raggiungimento della maggiore età è una fictio convenzionale al fine di conseguire, in vista della certezza dei rapporti giuridici privatistici e pubblicistici (tra questi compresi quelli di rilevanza penale), la generalizzata uniformità riguardo all’acquisizione di determinate facoltà, capacità o diritti, quali, ad esempio, la capacità di agire per il diritto civile, o la capacità di intendere e volere per quello penale. Ovviamente, si tratta pur sempre di capacità presunte, in ordine alle quali è ammessa la prova del contrario, che sono, a loro volta, connesse alla presunzione di maturità del soggetto, riguardo alla quale il legislatore ha ritenuto di fissare, in base a considerazioni socio-culturali e medie statistiche, l’età di diciotto anni: presunzione che, però, come detto, potrebbe non corrispondere alla reale condizione psico-evolitiva del singolo.

2. - Ciò chiarito, è da considerare che il minore non è un oggetto, ma una persona, per giunta in una delicattisima fase evolutiva del proprio essere persona, per cui, se sta seguendo un percorso educativo o formativo, che sia stato ritenuto necessario, o particolarmente utile, per la sua equilibrata formazione, da parte degli enti istituzionali (giurisdizionali e non) preposti alla sua tutela, non può improvvisamente interrompere (il 19 aprile di un certo anno) la frequenza al corso di studi iniziata già anni prima e prossima al compimento, per il solo fatto che quel 19 aprile abbia compiuto 18 anni, mandando così a monte le prospettive per le quali è stato motivato ad impegnarsi, nonché le fatiche ed il denaro pubblico erogato per il percorso già compiuto; ciò con ovvio gravissimo danno, non tanto materiale, per la perdita di un investimento avviato al compimento, quanto psicologico per la frustrante considerazione della inutilità dei suoi sforzi e la delusione di un incomprensibile abbandono. In altre più semplici parole, un percorso educativo o formativo, disposto, organizzato, o, comunque, approvato dai soggetti istituzionalmente preposti a sostenere il minore in difficoltà, va considerato nella sua unitaria globalità e non può essere spezzettato, o addirittura azzerato, per un compleanno cui la legge intende connettere (nel campo civilistico e della volontaria giurisdizione) effetti favorevoli e non penalizzanti per lo stesso minore. Per cui, se il percorso formativo è stato iniziato prima che il minore raggiungesse la maggiore età, deve essere proseguito fino al suo compimento, nelle stesse condizioni che per il periodo precedente, almeno entro il termine specificamente stabilito dall’Autorità preposta.

3. - Ciascun minore ha, sul territorio della Repubblica italiana, il diritto costituzionalmente garantito (art. 30) ad essere istruito ed educato (oltre che mantenuto) in modo conveniente. Tale compito spetta in via primaria ai genitori, ma in caso di mancanza, incapacità, o inidoneità di questi, viene assolto dalle istituzioni. In modo simile si esprime la Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989, sottoscritta dallo Stato italiano e ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176 (artt. 28 e 29), ove enuncia il diritto del minore all’educazione, orientata, tra l’altro, a favorire lo sviluppo della sua personalità, nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche... Del diritto del minore ad essere educato parla anche la legge 184/1983 (art. 1); la quale legge stabilisce all’articolo seguente una graduazione sostitutiva negli interventi previsti per il soddisfacimento di tale diritto, passando dalla famiglia naturale all’affido familiare, alla comunità di tipo familiare, per finire, come ultima ratio, al collocamento in un istituto pubblico o privato (nel quale caso sorge l’onere economico a carico dei Comuni). È ormai di pubblico dominio la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale l’obbligo dei genitori non cessa con il compimento del diciottesimo anno, ma si estende ben oltre, a seconda delle necessità del giovane. Parimenti è da ritenere che allo stesso modo si estenda la tenutezza dei soggetti gradualmente indicati, dalla 184, nella sostituzione ai genitori. Ovviamente non sempre e comunque, ma certamente nei casi nei quali gli organi specificamente preposti (Tribunali minorili) ad individuare e prescrivere gli interventi ed i percorsi di educazione, istruzione e recupero psicologico, ritengano necessario che tali percorsi non vengano interrotti bruscamente ed irrazionalmente alla mezzanotte del giorno conclusivo del diciottesimo anno, ma proseguano per il tempo strettamente indispensabile perché possano avere significanza e valenza di completezza, specie nei casi in cui si impone il recupero psicologico e socio-relazionale di soggetti provenienti da penalizzanti esperienze di deprivazione, abbandono, maltrattamenti, o abusi. Per tale limitato periodo, che questo Ufficio ha delimitato in dimensione non superiore al compimento del 21° anno di età, il Comune di competenza è tenuto a sostenere l’onere economico che vi sia connesso.

 

 

 

(1)        Cfr. M. Dogliotti, «I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà... “pericolosi per l’ordine pubblico” hanno ancora diritto ad essere assistiti dai Comuni», Prospettive assistenziali, n. 135, 2001 e «L’assistenza alle persone con difficoltà e il “Dopo di noi” devono essere garantiti dai Comuni in base alle leggi vigenti», Ibidem, n. 136, 2001.

 

 

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