Prospettive assistenziali, n. 138, aprile-giugno 2002

 

 

Interrogativi

 

 

la sussidiarietà è una trappola?

 

Con questo titolo “La Rivista del volontariato”, n. 3/2002 ha pubblicato un articolo di Giovanni Sarpellon, già presidente della Commissione nazionale per lo studio dei problemi relativi alla povertà.

L’Autore, dopo aver chiarito che, pur essendo presenti inefficienze e sprechi, lo Stato garantisce «servizi e prestazioni per tutti i cittadini. Esso è giustizia, sicurezza, sanità, previdenza, istruzione, cultura, tutela dell’ambiente, assistenza ai deboli, ecc.», precisa che «il ritiro dello Stato non è da temere se qualche altro soggetto si assume le stesse responsabilità che allo Stato erano state assegnate e se svolge le sue funzioni almeno con la stessa efficacia».

Il professore Sarpellon è giustamente preoccupato per il fatto che il nuovo articolo 120 della Costituzione (1) dice che il Governo può sostituirsi agli enti inferiori qualora essi non facciano il loro dovere. Può e non deve.

Ne deriva per Sarpellon che «c’è quindi una concreta possibilità che la sussidiarietà sia il grimaldello con il quale svaligiare la cassaforte dei diritti sociali e dar vita a una nuova forma di Stato liberalista, nel quale solo i più forti potranno approfittare della libertà, mentre ai deboli sarà lasciata la schiavitù del bisogno».

In conclusione, la sussidiarietà è un principio valido oppure è una trappola?

 

 

sono accettabili le proposte alternative ai soggiorni terapeutici in italia dei minori di chernobyl?

 

Padre Wielsaw Stepien, direttore della Caritas nazionale della Chiesa cattolica latina d’Ucraina, è recentemente (cfr. Avvenire del 27 aprile 2002) intervenuto in merito ai soggiorni terapeutici che ogni anno conducono in Italia dall’ex Repubblica Sovietica e dalla vicina Bielorussia, per periodi di cura e vacanza, circa 30 mila minori residenti nelle aree colpite dal disastro nucleare di Chernobyl.

Dopo aver ricordato che il movimento dell’accoglienza, che in Italia mobilita centinaia di sigle, cattoliche e laiche, e migliaia di volontari e famiglie, “fattura” ogni anno oltre 40 milioni di euro di spese, Padre Wielsaw segnala che «noi gestiamo quattro centri in aree non contaminate dell’Ucraina. In detti centri dal 1997 abbiamo cominciato ad accogliere bambini da 7 a 13 anni, selezionati in relazione ai problemi sanitari, al grado di esposizione alle radiazioni, alle condizioni economiche delle famiglie. Ospitiamo spesso intere classi provenienti da orfanotrofi statali. Per tutti prevediamo turni di 23 giorni, durante i quali garantiamo analisi e cure mediche, ma anche programmi educativi, di ricreazione, di formazione religiosa. L’anno scorso  siamo arrivati ad accogliere 2.700 bambini, ognuno dei quali ci costa 7 euro al giorno, circa 150-160 euro a soggiorno».

Poiché con la spesa che si sostiene per la permanenza in Italia di un bambino, in Ucraina ne possono essere ospitati dieci, non sarebbe preferibile – come propone Padre Wielsaw – che vengano finanziati gli interventi locali?

Osserva, altresì, il direttore della Caritas che i soggiorni terapeutici in patria non solo hanno effetti collaterali benefici sull’occupazione e sull’economia ucraina, ma soprattutto «evitano ai bambini un doppio choc: l’impatto con una realtà socio-economica completamente altra e poi il rientro in un contesto meno ricco e più problematico (soprattutto quando si tratta di un orfanotrofio). Questo doppio choc può essere causa di disagio, disorientamento e insoddisfazione, nella psicologia del minore e nelle relazioni familiari».

Saranno ascoltate le proposte, a nostro avviso valide, di Padre Wielsaw?

 

 

perché la caritas antoniana costruisce in kenia  un istituto per  bambini?

 

Sul numero 3/2002 del Messaggero di Sant’Antonio, Giulia Cananzi riferisce circa la creazione a Limuru, Kenia, di un istituto di ricovero per bambini: «Sono i bambini delle baraccopoli, frutto dell’emigrazione dalle campagne e dell’inurbamento selvaggio».

Per questi fanciulli, in maggioranza femmine, figlie di madri sole, la Caritas antoniana  ha contribuito alla costruzione di un istituto di quaranta posti.

Ma perché, ancora una volta, non si tiene conto che il ricovero provoca inevitabilmente danni alla salute psico-fisica  dei fanciulli? Perché la Caritas antoniana non fa riferimento alle positive esperienze di Don Oreste Benzi che, come avevamo riportato nell’articolo “L’intervento in Zambia della Comunità Papa Giovanni xxiii a sostegno del diritto dei minori alla famiglia”, apparso sul n. 125, 1999 di Prospettive assistenziali, ha aperto 7 case famiglia in Brasile, 5 in Zambia, 4 in Tanzania, 3 in Bolivia e in Cile, nonché 1 in Russia? Quando si capirà che gli istituti di ricovero sono la negazione del concetto e del valore della famiglia?

 

 

 

 

(1)     Cfr. “La legge che modifica la Costituzione”, Prospettive assistenziali, n. 137, 2002.

 

 

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