Prospettive assistenziali, n. 137, gennaio marzo 2002

 

anziani cronici non autosufficienti e malati di alzheimer

ricoverati presso Rsa/raf: aspetti etici, giuridici, sanitari,

sociali, amministrativi ed economici

 

Organizzato dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti (1), ha avuto luogo a Torino il 16 giugno 2001 il convegno regionale piemontese “Anziani cronici non autosufficienti e malati di Alzheimer ricoverati presso Rsa/Raf: aspetti etici, giuridici, sanitari, sociali, amministrativi ed economici” (2), di cui pubblichiamo la relazione introduttiva tenuta da Maria Grazia Breda de “La Scuola dei Diritti dell’Ulces” - Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, la sintesi dell’intervento di Francesco Santanera ed uno schema indicante la situazione esistente in Piemonte circa i percorsi sanitari e/o assistenziali riguardanti i soggetti colpiti da malattie invalidanti.

 

 

Relazione di M.G. Breda

 

L’Ulces è un’associazione di volontariato, che opera dal 1965. Di recente ha modificato il proprio statuto in modo da potersi costituire parte civile in processi per abusi e maltrattamenti praticati nei confronti di anziani cronici non autosufficienti ricoverati.

Solo la scorsa settimana abbiamo inviato agli Assessori alla sanità e all’assistenza e ai Consiglieri della IV Commissione del Consiglio regionale la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Mondovì (Cuneo) contro i gestori e il personale di una casa di riposo di Ceva, che si facevano passare per medici e infermieri, senza esserlo (3).

Al processo eravamo presenti come parte interessata, in appoggio alle numerose denunce presentate da una nostra socia, sulle gravi condizioni sanitarie in cui si trovano – e morivano – gli anziani ricoverati.

Ma quanti sono i fatti che la cronaca, anche solo di questi mesi, ci segnala?

• Giaveno: in seguito all’ispezione dell’Asl un ospizio finisce sotto accusa: le anziane erano legate chiuse a chiave e impossibilitate a muoversi dal letto;

• Balangero: un ospizio è finito nel mirino dei Nas per maltrattamenti, carenze igieniche, piaghe da decubito non curate;

• Chieri: il medico di base del soggiorno per anziani patteggia per la morte in circostanze penose di due anziane ricoverate il cui corpo è stato devastato dalle piaghe da decubito non curate;

• Albugnano: dichiarati colpevoli il presidente di una cooperativa che gestisce la casa di riposo dove è morto un anziano per mancanza di cure sanitarie idonee e tempestive. Il p.m. ha sostenuto che la casa di riposo non era attrezzata per accogliere malati affetti da gravi patologie. Da qui la rapida evoluzione della malattia che ha portato alla morte;

• Torino: in un’Ipab per non autosufficienti il direttore sanitario ha patteggiato per la morte per disidratazione di un’anziana ricoverata a:

Nelle nostre pubblicazioni precedenti trovate altre rassegne stampa con analoghi fatti di cronaca.

Ma perché continua ad accadere tutto questo?

È chiaro che siamo in presenza di persone gravemente malate, così come ci è stato confermato anche dai dati che sono riportati in cartellina (4). In quanto malati dovrebbero avere diritto a cure sanitarie adeguate, anche solo per evitare di morire in condizioni così disumane.

Che il diritto alle cure sanitarie sia garantito dalle leggi vigenti è dimostrato dalla nostra piccola attività di difesa: con una semplice lettera raccomandata (5) si resta in ospedale.

Allora, perché continuano ad esistere queste situazioni allucinanti di sofferenza inaudita a cui vengono condannati decine e decine di anziani malati non autosufficienti?

Nella lettera aperta “Difendetemi se divento cronico non autosufficiente” indirizzata alla moglie, alle figlie e agli amici, Francesco Santanera – già nel 1995 – scrive che «al disprezzo, alle ingiurie, all’abbandono terapeutico, preferisce la morte, anche procurata». Non voglio aprire un dibattito sul tema dell’eutanasia. Osservo però che il dibattito è concentrato soprattutto se non esclusivamente sulla libertà o meno del singolo di decidere di morire senza dover sopportare dolori tremendi. Santanera ci invita a riflettere su un altro aspetto: non è detto che nel momento della maggior violenza del dolore noi saremo consapevoli e soprattutto in grado di decidere. E per quanto lo riguarda sceglie l’eutanasia, come male minore.

La nostra associazione chiede, da molti anni ormai, che sia rispettato dalle istituzioni il diritto alle cure senza limiti di durata e indipendentemente dalla malattia anche per chi è inguaribile, ma sempre curabile, proprio per garantire una morte dignitosa e inutili sofferenze. Una piaga da decubito si deve prevenire e comunque curare: sempre. Ma se questo diritto viene negato è meno ipocrita chiedere l’eutanasia attiva, piuttosto che condannare a morte sicura e con sofferenze inutili e ingiustificate.

Nel 1998 il Cardinale Carlo Maria Martini intervenendo al convegno da noi promosso a Milano su questi temi, ha evidenziato che il rischio già in atto è quello dell’eutanasia da abbandono. Abbandono delle cure necessarie agli anziani cronici non autosufficienti che, senza scegliere di morire, di fatto muoiono per omissione voluta di cure e interventi sanitari che vengono negati da chi è tenuto per legge a mantenerli in condizioni di vita dignitose. Certamente non con accanimento terapeutico, ma garantendo una buona morte.

Prendere coscienza dell’ipocrisia con cui finora si sono negati sia la condizione di malattia che il diritto alle cure sanitarie, in primo luogo con la dimissione degli ospedali e dalle case di cura private convenzionate è il primo passo per cercare di porre rimedio al triste fenomeno delle pensioni e delle case di riposo lager, ma anche a quello della insufficienza delle prestazioni mediche infermieristiche e di assistenza delle Rsa, soprattutto delle Raf (strutture esclusivamente piemontesi), che speriamo siano finalmente trasformate in Rsa.

È noto a tutti che gli anziani cronici non autosufficienti delle lungodegenze presentano gli stessi problemi sanitari di quelli ricoverati in Rsa-Raf.

Si sa anche che è un problema di costi a carico del Servizio sanitario regionale: la Rsa costa la metà circa della lungodegenza e la Raf un terzo in meno della Rsa.

Ma allora torniamo alla provocazione di Santanera che, piuttosto che finire in Rsa-Raf e non essere curato “perché costa”, chiede l’eutanasia. In questo modo – sarà brutale – ma i risparmi sono assicurati, senza che il paziente soffra inutilmente.

Per uscire da questa “impasse” mi sembra che sia necessario affrontare il problema con onestà e chiederci se i comportamenti in atto sono così corretti sul piano etico. L’etica – dice il vocabolario – è il modo in cui gli uomini dovrebbero comportarsi, indipendentemente da come si comportano di fatto. Da questo punto di osservazione, tenuto conto che ci stiamo occupando di come curare al meglio persone anziane con malattie inguaribili, ne consegue che i comportamenti conseguenti dovrebbero essere:

1. - Aiuto e sostegno alle famiglie, a domicilio, senza costringerle a ricorrere al ricovero quando sono allo stremo delle loro forze economiche e fisiche. «Nel corso del 1999 due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spesa sostenuto per la cura di un componente affetto da malattia cronica» (Docu­mento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, ottobre 2000).

2. - Garanzia delle cure ospedaliere e di riabilitazione e lungodegenza da parte del Servizio sanitario regionale, come sancito dalle leggi vigenti, senza limiti di tempo.

Non è la famiglia che ha il compito di curare e sono inaccettabili le pressioni esercitate da molti direttori sanitari, medici e assistenti sociali, perché i parenti si sentano colpevoli e subiscano la dimissione dei loro congiunti, in assenza della certezza che l’anziano – una volta dimesso – riceverà le cure di cui ha bisogno. Si sa, ma si fa finta di non sapere, come va a finire se la famiglia accetta le dimissioni:

– la famiglia cerca di farcela con i risultati citati dalla relazione del Ministero della solidarietà so­ciale;

– la famiglia non è in grado di farcela e si rivolge all’Unità valutativa geriatrica chiedendo un ricovero, che arriverà – se va bene – dopo mesi di attesa;

– la famiglia non può attendere mesi e si rivolge, a pagamento, ad una struttura privata dove il posto letto è a questo punto immediatamente disponibile ma al costo di 4-5 milioni al mese (più gli extra);

– la famiglia non è in grado di pagare quella cifra e ricovera l’anziano in strutture economiche, del tipo di quelle che finiscono – quando qualcuno ha il coraggio di denunciare –  sotto processo.

3. Per questo ci sembra ragionevole quanto è previsto dalla circolare 23 ottobre 2000 dell’Asses­so­rato alla sanità, che prevede la responsabilità del­l’Asl per tutto il percorso terapeutico (dentro e fuori dell’ospedale), d’intesa con l’ammalato e con la famiglia, per garantire a casa – quando si può – o in Rsa la continuità delle cure.

4. Ci sembra logico pretendere che a questi anziani, con tre-quattro patologie in corso e con momenti frequenti di riacutizzazione, che dipendono in tutto e per tutto dagli altri, siano curati e assistiti.

Non è comprensibile – e tanto meno sostenibile alla luce dei dati oggettivi – l’organizzazione indicata dalla delibera della Giunta regionale n. 41/1995 per le Rsa e le Raf.

I medici devono essere presenti nelle strutture per poter intervenire tempestivamente e lavorare in gruppo, con gli infermieri e il personale di assistenza. Questo è il solo modello operativo accettabile, in grado di evitare i continui spostamenti dalla Rsa/Raf all’ospedale o, peggio, morti premature per assenza o ritardo nella prestazione delle cure.

Anche il documento del 9 dicembre 2000 prodotto dalla pontificia Accademia per la vita, per contrastare l’eutanasia, non a caso al punto 6 precisa che: «la linea di comportamento verso il malato grave e il morente dovrà dunque ispirarsi al rispetto della vita e della dignità della persona; dovrà perseguire lo scopo di rendere disponibili le terapie proporzionate, pur senza indulgere in alcuna forma di accanimento terapeutico (...), dovrà assicurare sempre le cure ordinarie (comprese nutrizione e idratazione, anche se artificiali)».

Spero che questo sia il primo passo per interventi della Chiesa – di tutte le Chiese – contro l’eutanasia da abbandono praticata nelle strutture di assistenza inidonee ad ospitare persone gravemente malate e contro le dimissioni praticate anche da case di cura e ospedali religiosi a partire dal 61° giorno di degenza per non subire la riduzione della retta imposta dalla delibera della Giunta regionale n. 70/1995, indifferenti alla sorte delle persone anziane che, se restano nel circuito sanitario, finiscono comunque per essere “condannate” a trasferimenti continui da un posto all’altro, trattate come pacchi.

5. I direttori sanitari, i medici geriatri delle Unità valutative geriatriche svolgano compiutamente il loro ruolo di medici: formulino diagnosi e indichino percorsi terapeutici di cura. Non è loro compito – anche se spesso lo fanno – imporre dimissioni o suggerire Raf, piuttosto che Rsa, perché costa meno all’azienda, come dei ragionieri che devono far quadrare i conti. Lasciate agli amministratori, alle istituzioni che ci governano, la responsabilità politica di scelte non etiche, che negano i diritti sanciti dalle leggi ai malati, anche ai malati anziani inguaribili, ma curabili.

Altrimenti si diventa complici di un sistema che invece dovremmo cambiare insieme se, ovviamente, riconosciamo che sono persone malate. E, al momento, è il servizio sanitario obbligato – per legge – a curare i malati.

6. Trovo incredibile l’atteggiamento del sindacato che ha dato battaglia – giustamente – nel 1955 per ottenere l’approvazione della legge 4 agosto 1955, n. 692, per l’estensione dell’assistenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia.

Oggi invece non fa nulla per il diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti. Sergio Cofferati, Segretario generale della Cgil, ha addirittura affermato in una lettera inviata al nostro Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti che «essere anziani cronici non è una malattia». Certo essere anziani non vuol dire essere malati. Essere cronici però vuol dire essere malati sempre, anche se più o meno gravemente, indipendentemente dall’essere anziani o meno.

Eppure credo che qualcun altro – oltre a noi – dovrebbe spiegare a Cofferati e a tutti gli altri responsabili sindacali, che non è sufficiente difendere il potere contrattuale della pensione (anche se importante) se non si difende con ugual impegno il diritto alle cure sanitarie.

I metalmeccanici protestano per ottenere un aumento di 135.000 lire al mese. Lo sanno i metalmeccanici che, se un domani diventano anziani cronici non autosufficienti e sono ricoverati in Rsa/Raf devono sborsare al giorno dalle 60 alle 120 mila lire?

Verrebbe da chiedersi a che sono serviti i contributi versati durante l’attività lavorativa.

7. Trovo incomprensibile anche il comportamento dei Comuni, che continuano ad aprire “case di riposo” ribattezzate Raf, quando i cittadini che vi sono ricoverati sono malati gravi. Più nessun anziano – anche con limitata autonomia – chiede il ricovero fin che può restare a casa propria.

Il Comune non ha nessun titolo per dotare questi ricoveri di medici e infermieri e toglie risorse agli interventi che invece dovrebbe erogare all’anziano con limitata autonomia e privo di redditi sufficienti, per continuare a vivere a casa propria: con l’assistenza domiciliare, gli aiuti economici, ecc.

Cosa succede quando il Comune svolge ruoli che non gli sono propri?

Un esempio: Casa Serena, Comune di Torino. Visita del 10 febbraio 2000 di due nostri volontari. Presenti 85 ospiti; 75 infermi non autosufficienti in gran parte malati di Alzheimer o con altre forme di demenza.

1 medico è presente il lunedì alle ore 14; 1 infermiere professionale è presente al mattino.

I rapporti della struttura con l’ospedale Maria Vittoria sono negativi: gli anziani vengono dimessi anche quando avrebbero bisogno di più cure: un ospite affetto da tumore con metastasi diffuse è stato dimesso alle ore 18 con la flebo e riportato a Casa Serena; non essendoci una infermiera per la notte è stata fatta richiesta al Carlo Alberto di un letto di sollievo; l’ospite trasferito al Carlo Alberto moriva il giorno dopo. In seguito alle nostre segnalazioni il Comune di Torino si è attivato e l’Asl ha aumentato le sue prestazioni, anche se ancora non in modo sufficiente, in attesa della ristrutturazione in Rsa di una parte della casa di riposo. Il Comune di Torino, però, continua a voler mantenere la parte rimanente come Raf (vedi pubblicità in campagna elettorale).

8. C’è qualche forza politica disponibile ad occuparsi di questi cittadini anche se non potranno essere riconoscenti mediante il voto?

9. E il volontariato?

Il volontariato dovrebbe coprire il vuoto che si è venuto a creare proprio tra questi anziani ammalati (e neppure in grado di chiedere aiuto) e le istituzioni (i responsabili del nostro sistema sanitario, gli assessorati alla sanità, i direttori sanitari...).

Sarebbe urgente un’azione maggiore di pressione e di vigilanza, a partire dalla contestazione dell’atteggiamento culturale che domina e che ragiona in termini di “convenienza economica della cura”.

Nella recente polemica sui tagli alla sanità si è parlato molto di sprechi, ma senza che venissero indicati con precisione quali e dove. Nella sostanza però abbiamo toccato con mano che i direttori generali delle Asl, per non superare il budget imposto dalla Regione, hanno trovato semplice ridurre ulteriormente i posti convenzionati con le strutture private Rsa e Raf. In alcune situazioni hanno rinviato l’apertura delle Rsa, che erano già pronte e in altre hanno deciso di aprirle con posti Raf (perché costano meno) piuttosto che Rsa: anche se i malati ricoverati continuano ad avere gli stessi bisogni di cura.

È chiaro che il solo volontariato personale non basta più: per difendere gli anziani malati non autosufficienti ricoverati in ospedale è indispensabile essere vigili per capire come avvengono ad esempio le dimissioni e, se non ci sono soluzioni sanitarie praticabili, meglio aiutare i familiari a opporsi.

Per chi opera invece negli istituti non ci si può limitare a prestare la propria azione solo nei confronti delle persone. Si rischia di coprire con il proprio aiuto le carenze del personale o di intrattenere gli anziani più attivi mentre gli altri, quelli non autosufficienti, continuano a non aver medici e infermieri a sufficienza.

Il volontario non dovrebbe farsi “usare” dalle istituzioni, ma, pensando anche al fatto che non è escluso che un domani non si ritrovi lui stesso nella situazione di chi oggi assiste, agire per cambiare adesso le regole: la prima è ottenere, appunto, il riconoscimento dello status di malati per gli anziani cronici non autosufficienti ricoverati e, conseguentemente, la responsabilità del servizio sanitario regionale alla loro cura e, pertanto, la modifica della delibera della Giunta regionale n. 41/1995 con il superamento della distinzione tra Raf e Rsa.

Sono una volontaria anch’io e non è escluso che un domani potrei trovarmi cronica e non più autosufficiente, allettata e incapace di parlare a causa di un ictus o di un tumore; prima di tutto spero che mi cureranno al meglio. Se avrò anche la fortuna di poter contare sulla compagnia di qualcuno e sul suo affetto, ne sarò senz’altro contenta. Ma senza cure mediche potrei morire e, come ricorda Santanera nella sua lettera aperta, anche a seguito di maltrattamenti, soprusi o violenza. La solidarietà da sola non basta.

 

 

SINTESI DELL’INTERVENTO DI FRANCESCO SANTANERA

 

1. Il Servizio sanitario regionale è obbligato dalle leggi vigenti a curare tutti i malati, siano essi giovani o anziani, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti.

2. I parenti del malato non hanno alcun obbligo giuridico di svolgere le funzioni affidate dalle leggi vigenti al Servizio sanitario.

3. La priorità delle cure domiciliari non dovrebbe essere solamente affermata, ma dovrebbe essere perseguita mediante servizi e interventi concreti in modo da essere una reale alternativa al ricovero.

4. La degenza presso Rsa/Raf di anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer è un intervento che dovrebbe rientrare a pieno titolo fra le competenze del Servizio sanitario regionale.

5. Nei casi in cui i congiunti non assumano volontariamente il compito di curare a casa loro gli anziani cronici non autosufficienti ed i malati di Alzheimer, è necessario che le unità operative ospedaliere per acuti assicurino il trasferimento del soggetto alle strutture riabilitative o lungodegenziali o alle Rsa/Raf garantendo la continuità terapeutica senza alcuna interruzione, com’è previsto dalla circolare dell’Assessore alla sanità della Regione Piemonte del 23 ottobre 2000.

6. Fermo restando il diritto del malato a non usufruire degli interventi del Servizio sanitario, in tutti gli altri casi il ricovero presso Rsa/Raf dovrebbe essere disposto dalle Asl e non dai Comuni.

7. La gestione delle Rsa/Raf dovrebbe essere garantita dal Servizio sanitario regionale (e non dai Comuni) sia direttamente, sia tramite strutture private convenzionate.

8. Gli anziani cronici non autosufficienti ed i malati di Alzheimer ricoverati presso Rsa/Raf non dovrebbero essere considerati come ospiti, ma come soggetti malati da curare.

9. Dovrebbero pertanto essere superati gli attuali contratti di ospitalità da sostituire con norme analoghe a quelle degli ospedali e delle case di cura private convenzionate.

10. Gli impegni economici con le Rsa/Raf dovrebbero essere assunti dalle Asl e dai Comuni e non dai ricoverati o dai loro congiunti.

11. Nonostante le leggi vigenti stabiliscano che le cure sanitarie sono gratuite (oltre che senza limiti di durata) e la quota alberghiera non sia prevista da nessuna legge, si accetta che i ricoverati versino una quota alberghiera non superiore a lire 50.000 giornaliere da calcolare esclusivamente sui redditi pensionistici percepiti. Al riguardo occorrerà tener conto degli impegni del soggetto nei confronti dei suoi congiunti e di terzi.

12. In base alle leggi vigenti, i parenti dei ricoverati, compresi quelli tenuti agli alimenti, non hanno alcun obbligo giuridico di integrare sul piano economico la quota alberghiera non coperta dai loro congiunti.

13. L’eventuale integrazione economica spetta ai Comuni singoli o associati.

14. I contratti stipulati dalle Asl con le strutture private dovrebbero contenere norme atte a garantire tutte le necessarie prestazioni. Allo scopo le strutture private dovrebbero essere tenute, fra l’altro, a trasmettere mensilmente alle Asl fotocopia sia dei libri paga del personale addetto, sia delle fatture riguardanti le prestazioni professionali degli altri operatori.

 

 

PERCORSI DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI E DEI MALATI DI ALZHEIMER: LA SITUAZIONE ESISTENTE IN PIEMONTE NEL MESE DI NOVEMBRE 2001

 

In tutte le Asl, gli ospedali e le case di cura private convenzionate dimettono il più presto possibile i soggetti sopra indicati, anche quando – il che avviene abbastanza spesso – sono ancora colpiti da fatti acuti (ad esempio, piaghe da decubito). Nei casi in cui i parenti non assumano volontariamente l’impegno di curare il malato a casa loro, le conseguenze sono le seguenti:

– il malato e/o i suoi congiunti rivendicano il diritto, sancito da leggi vigenti dal 1955, alle cure gratuite e senza limiti di durata;

– l’ospedale o non dimette il malato o lo trasferisce in una casa di cura privata convenzionata.

Quasi sempre nelle case di cura private convenzionate:

– i letti gratuiti sono tutti occupati;

– ci sono solo letti a 60-80 mila lire al giorno a carico del malato o del congiunto che ha firmato l’impegnativa;

– se la degenza è presso un reparto di riabilitazione, la casa di cura dimette il malato dopo 60 giorni di ricovero, anche perché dopo il suddetto periodo di tempo la retta a carico della Regione viene ridotta del 40%;

– se la degenza è presso un reparto di lungodegenza, la dimissione viene in genere praticata dopo 120 giorni, anche perché dopo il suddetto periodo di tempo la retta a carico della Regione viene ridotta del 20%;

– se il malato e/o i suoi parenti insistono per ottenere il rispetto del diritto alle cure sanitarie, i malati vengono trasferiti dalla casa di cura in un ospedale.

Il trasferimento deve essere fatto a cura e spese della sanità.

Il malato e/o i suoi parenti accettano il trasferimento (non previsto da nessuna legge) in una Rsa (Residenza sanitaria assistenzial) o Raf (Residenza assistenziale flessibile). In questo caso il malato deve sempre essere visitato preventivamente dall’Unità valutativa geriatrica la quale accerta le condizioni di malattia e di non autosufficienza. Le situazioni che si possono prospettare sono le seguenti:

– il malato e/o i suoi congiunti accettano le dimissioni dall’ospedale. In questo caso:

a) il malato viene inserito in una lista di attesa di un posto libero presso le Rsa/Raf. L’attesa può anche durare più di un anno;

b) il malato viene ricoverato a cura e spese sue e dei parenti che hanno firmato l’impegnativa in un letto non convenzionato di una Rsa/Raf. La retta varia da 5-6 milioni al mese;

– il malato e/o i suoi congiunti accettano le dimissioni dall’ospedale solamente a condizione che l’ospedale stesso trasferisca, direttamente a sua cura e spese, il malato in una Rsa/Raf convenzionata;

– fino a quando non è disponibile il posto letto in una Rsa/Raf, il malato resta in ospedale o viene trasferito provvisoriamente in una casa di cura privata convenzionata.

Possono presentarsi due situazioni molto diverse:

– prima del trasferimento in Rsa/Raf, i parenti del malato devono prendere accordi con il Comune di residenza del malato stesso per concordare l’importo della parte della retta a carico del malato e quella a carico del Comune;

– in base alle leggi vigenti i malati non autosufficienti devono versare l’intero importo dei loro redditi, esclusa una quota mensile di L. 150-160 mila per le spese personali;

– nessun onere può essere imposto ai parenti dei malati.

Norme importanti sono contenute nella circolare dell’Assessore alla sanità della Regione Piemonte del 15 ottobre 2000, prot. 13569/D028.1;

– se il malato è inserito in Rsa/Raf dai parenti, la stessa casa di cura chiede al malato ed ai suoi parenti di sottoscrivere l’impegno del pagamento dell’intera retta alberghiera;

– poiché il malato e il parente hanno sottoscritto un contratto privato, è molto più difficile ottenere dal Comune di residenza del malato il pagamento della quota della retta non coperta dai redditi del malato stesso.

Note:

– Sia nelle case di cura private convenzionate che nelle Rsa/Raf tutti i prodotti farmaceutici sono a carico della sanità.

– Le Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, sono strutture in cui sono ricoverati anziani malati cronici non autosufficienti e malati di Alzheimer. Le Rsa sono gestite o direttamente dai Comuni o dalle Asl o dalle Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) o da privati.

– Le Raf, Residenze assistenziali flessibili, sono strutture in cui sono ricoverati in appositi reparti sia anziani autosufficienti in tutto o in parte, sia anziani cronici non autosufficienti.

 

 

 

(1) Il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti è una struttura del Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base.

(2) Le Rsa, residenze sanitarie assistenziali, provvedono al ricovero di anziani cronici non autosufficienti e, quasi sempre in appositi nuclei, di malati di Alzheimer e persone colpite da altre forme di demenza senile; le Raf, residenze assistenziali flessibili, sono state create per accogliere persone in condizioni psico-fisiche di parziale autosufficienza, nonché quelle non autosufficienti per cause sopravvenute durante il ricovero. In effetti le Rsa e le Raf ricoverano persone aventi analoghe condizioni di malattia. Pertanto il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti ha richiesto alla Regione Piemonte di trasformare le Raf in Rsa.

(3) Cfr. “Gestore e operatori di una casa di riposo condannati dal Tribunale di Mondovì”, Prospettive assistenziali, n. 135, 2001.

(4) L’Asl 1 segnala quanto segue: «Il 45% degli ospiti delle Rsa di Torino, via Plava, risulta affetto da almeno 3 patologie importanti che unitamente all’età avanzata ed al deterioramento cognitivo, denominatore comune, hanno determinato la non autosufficienza e conseguentemente la collocazione nella Rsa. Le patologie più rappresentate sono quelle di seguito elencate:

• demenza, nelle sue varie forme                            27%

• fratture femore con esiti invalidanti                       19%

• osteoartrosi/osteoporosi                                        19%

• cardiomiopatie                                                       17%

• ictus cerebrale con esiti invalidanti permanenti   11%

• morbo di Parkinson                                               11%

• broncopneumopatie croniche                                10%

«Sempre più spesso (35%) gli anziani che si presentano alla nostra attenzione sono “etichettati” con la diagnosi molto generica di “sindrome involutiva senile” dove, in pratica, tutte le patologie sopra elencate sono presenti in varia misura».

A sua volta l’Asl 4 dichiara che la Rsa di Torino, via Botticelli, «è dotata di 95 posti letto dei quali 15 destinati a dimissioni protette e a ricoveri di sostegno. Gli 80 posti letto di Rsa hanno ospitato dal giorno dell’apertura (3 luglio 2000) ad oggi 99 persone anziane non autosufficienti. Il 99% dei pazienti risulta non autosufficiente per ragioni mediche, mentre un ospite risulta non autosufficiente per altri motivi: l’1% dei ricoverati è affetto da 5 importanti patologie, il 25% da 4, il 34% da 3, il 32% da 2 e l’8 da una.

«Il 75% dei soggetti presenta un deterioramento mentale tale da influire significativamente in modo negativo sulla propria autosufficienza.

«Relativamente alla terapia farmacologica, in questo momento solo 1 paziente necessita di terapia infusionale endovenosa, mentre 8 persone anziane necessitano di terapia iniettiva intramuscolare e 7 di terapia iniettiva insulinica.

«Le medicazioni quotidiane sono richieste attualmente da 12 pazienti, di cui 4 presentano lesioni da pressione del 2°-3° stadio.

«I 15 posti letto di dimissioni protette e ricoveri di sostegno hanno ospitato dal novembre 2000 ad oggi 99 persone anziane non autosufficienti.

«Il 15% dei ricoveri era proveniente dal domicilio, un 10% proveniente dal pronto soccorso, mentre il restante 75% proveniente dalle unità operative di degenza dell’ospedale G. Bosco: il 4% dei ricoverati è affetto da 5 importanti patologie, il 9% da 4, il 30% da 3, il 37% da 2 e il 20% da una.

«L’11% dei soggetti presenta un deterioramento mentale tale da influire in modo negativo sulla propria autosufficienza.

«Relativamente alla terapia farmacologica, in questo momento solo 1 paziente necessita di terapia infusionale endovenosa, mentre 6 persone anziane necessitano di terapia iniettiva intramuscolare e 6 di terapia iniettiva insulinica.

«Le medicazioni quotidiane sono richieste attualmente da 8 pazienti, di cui 4 presentano lesioni da pressione del 2°-3° stadio.

«Al termine del ricovero: il 69% dei pazienti è rientrato al proprio domicilio; l’1% è rientrato nell’unità operativa di degenza ospedaliera; il 14% è stato inviato in Rsa o Raf; il 12% è stato inviato in altre strutture riabilitative; il 4% è deceduto».

Per quanto riguarda la situazione degli anziani ricoverati presso l’Irv, Istituto di riposo per la vecchiaia e il Carlo Alberto (strutture entrambe gestite direttamente dal Comune di Torino) riproduciamo nuovamente i dati che avevamo già riportato sullo scorso numero di Prospettive assistenziali, dati forniti dall’Unità operativa geriatrica dell’Azienda ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino: «Il 98% degli anziani ricoverati presso l’Irv e il Carlo Alberto non è autosufficiente per ragioni mediche. Circa il 70% dei pazienti è affetto da 3 patologie importanti sul piano clinico-terapeutico, gli altri hanno più di 4 patologie.

«Attualmente sono ricoverati all’Irv 210 pazienti e al Carlo Alberto 125 pazienti; circa il 30% è al momento in trattamento per patologia acuta (ictus cerebrale, broncopolmoniti, scompenso cardiaco, neoplasie in fase avanzata, anemia, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, insufficienza renale cronica in trattamento dialitico, insufficienza respiratoria in ossigenoterapia a lungo termine) che richiedono interventi terapeutici multipli e complessi (vengono praticati in sede emotrasfusioni, antibioticoterapia endovena, gestione di sondini nasogastrici e di cateteri venosi centrali). Viene inoltre praticata chemioterapia; i farmaci sono preparati alle Molinette.

«La tipologia degli ospiti, il loro precario equilibrio psico-fisico, il facile sovrapporsi di complicanze e/o il riacutizzarsi di pregressi eventi morbosi richiedono infatti interventi spesso immediati.

«L’attuale organizzazione medico-infermieristica consente tuttavia di limitare il ricovero in ospedale che viene attivato per problemi quasi esclusivamente chirurgici. Una recente indagine condotta presso l’Irv ed il Carlo Alberto ha evidenziato che nell’arco di un anno i pazienti trasferiti sono stati circa il 3,5% e i tempi di degenza sono risultati molto ridotti (mediamente 4 giorni) grazie alla possibilità di un rapido reinserimento dei pazienti negli istituti. Molto stretta infatti è la collaborazione sia con la divisione di ortopedia sia con la divisione chirurgica con la quale vengono attivati interventi di tipo day surgery. Gli interventi di piccola chirurgia vengono praticati in sede.

«Presso l’Irv inoltre sono stati attivati servizi (ecodoppler, ecografia internistica, ambulatorio di urogeriatria, rieducazione posturale globale, riabilitazione perineale) che consentono di gestire in sede patologie molto complesse che richiedono un costante impegno di diagnosi e terapia. Presso l’Istituto Carlo Alberto da anni vengono praticati ricoveri di sollievo temporaneo (30 giorni).

«Questo modello organizzativo permette non solo di ottimizzare le risorse sanitarie ma anche di migliorare la qualità della vita dei pazienti, spesso affetti da gravi deficit cognitivi complicati da disturbi del comportamento per i quali il trasferimento in ospedale determina spesso un grave scompenso psico-fisico».

(5) Cfr. l’editoriale del n. 135 di Prospettive assistenziali.

 

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