Prospettive assistenziali, n. 136, ottobre-dicembre 2001

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

 

Minori dichiarati adottabili

e non adottati

 

Riportiamo la lettera inviata dal Presidente nazionale dell’Anfaa al Ministro di grazia e giustizia, Roberto Castelli, in data 31 ottobre 2001.

 

Intendiamo richiamare la sua attenzione su un fenomeno preoccupante che emerge dalla lettura dei dati forniti dal Ministero di Giustizia, Divisione per i minorenni, relativi all’attuazione della legge n. 184/1983 in materia di adozione.

Risulta infatti che il numero dei minori italiani dichiarati adottabili è, ogni anno, nettamente superiore al numero di quelli che vengono adottati. Questi sono i dati relativi agli ultimi anni:

Anni             N° dichiarazioni            N° decreti di

                     di adottabilità        adozione nazionale

1993                    1.231                          776

1994                    1.051                          751

1995                    1.148                          784

1996                    1.359                          811

1997                    1.440                          926

1998                    1.278                       1.006

1999                    1.246                       1.020

 

Una parte dei minori dichiarati adottabili sono stati adottati in base all’art. 44 lettera c) della legge n. 184/1983 (123 nel 1993, 150 nel 1994, 166 nel 1995, 192 nel 1996, 181 nel 1997, 128 nel 1998 e 168 nel 1999).

Nulla si conosce circa la collocazione di quei bambini dichiarati adottabili e non adottati. Non abbiamo ricevuto fino ad ora risposte precise ed esaurienti da parte sia del Suo Ministero che dei vari Tribunali per i minorenni da noi interpellati in merito.

In via informale spesso ci è stato detto da alcuni giudici e operatori che si tratta di minori gravemente handicappati o malati o già grandicelli: alcuni di loro sono restati nella famiglia affidataria o nella casa famiglia in cui vivevano al momento della dichiarazione dello stato di adottabilità. Ma molti sono ancora ricoverati negli istituti e nelle comunità in quanto non ci sono famiglie disposte ad accoglierli.

È indubbiamente vero, che una coppia quando si accosta all’adozione difficilmente pensa spontaneamente a un bambino handicappato o sieropositivo; di fronte a loro si ritrae perché si sente investita da una responsabilità e da un impegno troppo grandi. Riteniamo pertanto indispensabile un lavoro serio e coordinato da parte dei Tribunali per i minorenni e degli Enti locali onde sensibilizzare, reperire e sostenere famiglie motivate e idonee ad accogliere minori che presentano questi gravi problemi.

Spesso abbiamo incontrato giudici e operatori che, convinti a priori della difficoltà di trovare famiglie disponibili anche per questi bambini, non le cercano e si arrendono con molta facilità, e fanno poco o nulla per sensibilizzare l’opinione pubblica a questo problema.

Ma la nostra esperienza ci insegna che la storia di questi bambini non si conclude sempre allo stesso modo, dietro le mura di un istituto o di un ospedale: molti di loro hanno incontrato famiglie che si sono lasciate interrogare e che li hanno accolti.

Sempre in base alle positive esperienze finora realizzate (esemplare, a questo riguardo, quella di Nicola descritta dalla sua mamma adottiva in “Nicola, un’adozione coraggiosa” di cui Le uniamo una copia), riteniamo che l’adozione di un bambino “diverso” non possa riuscire fidando solo sulla disponibilità della famiglia, ma che sia indispensabile una rete di rapporti umani e sociali intorno ad essa che arricchisca la vita del nucleo familiare e ne impedisca l‘isolamento.

Questo non basta ancora; molto dipende anche dai servizi che le Istituzioni sanno mettere a disposizione di queste famiglie.

Per una buona riuscita di queste adozioni è indispensabile, oltre al lavoro di sensibilizzazione della comunità e di reperimento delle famiglie, un sostegno continuato nel tempo da parte degli amministratori e degli operatori che garantisca un aiuto psicologico, i necessari interventi riabilitativi, un corretto inserimento scolastico, il collocamento lavorativo nei casi in cui il soggetto, superata l’età dell’obbligo scolastico, ne abbia le capacità e un adeguato contributo economico.

*  *  *

Onde concretizzare il diritto a crescere in una famiglia per tutti i bambini dichiarati adottabili, chiediamo pertanto un preciso impegno anche da parte del Ministero da Lei diretto. Tre sono in particolare le richieste che avanziamo:

1. - che venga predisposta una ricerca specifica per conoscere, per ogni Tribunale per i minorenni, le situazioni dei minori dichiarati adottabili e non adottati e la loro attuale sistemazione; per questa rilevazione offriamo fin d’ora anche la nostra collaborazione, garantendo il pieno rispetto delle norme di tutela della privacy dei minori;

2. - che venga predisposta per ogni minore dichiarato adottabile, per cui il Tribunale per i minorenni competente non dispone l’affdamento preadottivo entro 1-2 mesi dalla dichiarazione definitiva dello stato di adottabilità e che non siano  già inseriti in una famiglia affidataria, una scheda conoscitiva che possa essere trasmessa agli altri Tribunali per i minorenni e a tutte le altre istituzioni competenti. Riteniamo necessario inoltre che, nel pieno rispetto dell’anonimato, queste situazioni vengano segnalate ai gruppi e associazioni, che danno la loro disponibilità in tal senso e che intendono svolgere una azione di sensibilizzazione per trovare una famiglia adeguata alle necessità di questi minori;

3. - che, in attuazione a quanto previsto dall’art. 6 ottavo comma della legge n. 149/2001, venga stanziato dal Governo un fondo speciale per assicurare un adeguato sostegno economico ai genitori adottivi di minori di età superiore ai dodici anni o con handicap grave accertato. La proposta dell’Anfaa è che questo contributo sia erogato fino al raggiungimento della maggiore età dell’adottato e sia di entità congrua alle necessità.

Chiediamo infine che tutto questo venga preso in considerazione nella predisposizione del regolamento di cui all’art. 40 terzo comma della legge n. 149/2001.

Restando in attesa di un Suo riscontro, saremmo ben lieti di approfondire quanto esposto in un incontro con Lei.

 

 

Richieste alla regione piemonte in materia di minori per l’attuazione delle leggi n. 328/2000 e 149/2001 (*)

 

1. - Rispettare le priorità di intervento per assicurare a ogni bambino il diritto a crescere in famiglia

Nella legge di recepimento della legge n. 328/2000 – per quanto riguarda i minori con gravi difficoltà familiare o privi di cure morali e materiali da parte dei genitori o dei parenti – la Regione Piemonte, coerentemente a quanto proposto nella petizione promossa dal Csa – cui l’Anfaa aderisce – dovrebbe rendere obbligatoria da parte degli Enti gestori l’attivazione degli interventi alternativi alla istituzionalizzazione diretti ad assicurare il diritto di ogni minore – compresi quelli handicappati e malati – a crescere in una famiglia, secondo le priorità ribadite dalla recente legge n. 149/2001 (sostegno delle famiglie d’origine, affidamenti dei minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, adozione dei minori in stato di adottabilità). Purtroppo il diritto del minore a crescere in famiglia, enunciato dalla legge n. 149/2001, non è un diritto esigibile in quanto la realizzazione degli interventi suddetti è condizionata dalla disponibilità delle risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali: proprio per questi motivi è indispensabile che la Regione Piemonte ne renda obbligatoria l’attivazione da parte degli Enti gestori.

Si richiama al riguardo anche la nota del CSA sul tema: «L’assistenza alle persone in difficoltà e il “Dopo di noi” devono essere garantiti dai Comuni in base alle leggi vigenti» (1).

Si richiede, inoltre, che la Regione Piemonte:

a) elabori entro il 30 giugno 2002 un progetto specifico per il superamento dell’istituzionalizzazione dei minori (sono ancora 1107 i minori in strutture assistenziali) in quanto, in base all’art. 2, comma 4, della legge n. 149/2001, entro il 31 dicembre 2006 il ricovero in istituto deve essere superato; prevedendo un aggiornamento costante dell’anagrafe dei minori ricoverati (2) e precisando con chiarezza che i ricoveri dei minori di età inferiore ai sei anni dovranno avvenire solo in una comunità alloggio di tipo familiare, come previsto dall’art. 2, comma 2, della legge 149/2001;

b) predisponga entro il 31 dicembre 2001 l’atto con cui individuare le tipologie, i requisiti strutturali e gestionali delle strutture per minori, precisando che:

– le comunità alloggio di tipo familiare sono inserite nelle normali case di abitazione e non possono essere accorpate (non più di una per stabile), né devono accogliere più di 6-8 minori, assicurando la continuità educativa del personale;

– le case famiglia sono costituite da un nucleo familiare stabile, in cui sono inseriti da 2 a 4 persone con difficoltà. Anche le case famiglia non devono essere più di una per stabile.

Al riguardo si richiede che la Regione disponga, allo scopo di prevenire maltrattamenti e/o abusi nei confronti degli utenti, che tutto il personale operante nelle strutture assistenziali pubbliche e/o convenzionate a diretto contatto con i minori sia in possesso di una certificazione attestante che non presenta controindicazioni allo svolgimento delle proprie mansioni. Gli enti gestori dovrebbero individuare un centro scientificamente valido (d’intesa con le organizzazioni sindacali e le associazioni di volontariato), cui conferire questo incarico.

2. - Individuare gli enti gestori che provvedano all’assistenza alle gestanti e madri in difficoltà e ai loro nati

L’art. 116 del testo coordinato delle leggi regionali 26 aprile 2000, n. 44 e 15 marzo 2001, n. 5, in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), precisa che (v. bollettino ufficiale della Regione Piemonte del 4/4/2001) «I comuni in forma singola o associata, mediante gestione diretta o delegata, secondo quanto stabilito dalla legge regionale sull’ordinamento dei servizi sociali (...) esercitano le funzioni in materia di servizi sociali già di competenza delle Province, ai sensi dell’art. 8, comma 5, della legge n. 328/2000 e secondo quanto sarà previsto da specifica legge in materia».

Come è noto queste funzioni riguardano:

– i bambini esposti (cioè quelli di cui non si conoscono i genitori);

– i neonati non riconosciuti alla nascita (i cosiddetti “figli di ignoti”);

– i minori riconosciuti dalla sola madre, a condizione che la prima richiesta di assistenza sia stata presentata prima del compimento del sesto anno di età del minore stesso;

– le gestanti, madri e i loro nati già di competenza dell’Onmi;

– i ciechi e sordi “poveri rieducabili”.

Si segnala, al riguardo, che la legge 328/2000 non ha abrogato la legge 6 dicembre 1928 n. 2838 concernente gli interventi socio-assistenziali – ancora oggi obbligatori – rivolti ai fanciulli figli di ignoti, ai minori nati fuori del matrimonio, alle gestanti e madri in difficoltà. Inoltre, le Province sono tenute a fornire assistenza ai soggetti ciechi e sordi “poveri rieducabili” come definiti dal regio decreto 383/1934.

Chiediamo alla Regione Piemonte:

a) che il trasferimento delle competenze dalle Province ai Comuni singoli o associati riguardino anche il personale, le strutture, le attrezzature ed i relativi finanziamenti;

b) che siano individuati per tutto il territorio del Piemonte tre enti gestori (il Comune di Torino e due enti gestori che gestiscono i servizi socio-assistenziali, dislocati opportunamente sul territorio per rispondere alle necessità degli utenti) per la gestione delle attività concernenti l’assistenza alle gestanti, alle madri nubili e coniugate in difficoltà, comprese le attività rivolte a garantire il segreto del parto delle donne che non intendono riconoscere i propri nati, assicurando altresì l’assistenza ai neonati per almeno 60 giorni prima del trasferimento della competenza ai Comuni. Le suddette attività dovrebbero essere svolte su semplice richiesta dell’interessata, indipendentemente dalla sua residenza e dal suo domicilio, garantendo l’assoluto anonimato a tutte le donne che accedono al servizio.

Quest’ultima richiesta è motivata dalla necessità (evidenziata anche da quanti sono impegnati in questo delicato settore) di assicurare interventi socio-assistenziali adeguati da parte di personale specializzato (assistenti sociali, educatori, ecc.) a quella utenza specifica e piuttosto limitata, cui va garantita la più assoluta riservatezza.

Per quanto riguarda il diritto alla segretezza del parto l’individuazione di tre Enti gestori consentirebbe anche di sveltire i tempi per gli adempimenti nei confronti degli Ospedali, degli ufficiali di stato civile, del Tribunale per i minorenni, ecc. e di arrivare quindi al tempestivo inserimento dei neonati non riconosciuti (una quarantina all’anno in Piemonte) nelle loro famiglie adottive.

3. - Modificare le disposizioni emanate in materia di adozione (attuazione leggi n. 476/1998 e n. 149/2001)

L’Anfaa insieme alle altre organizzazioni aderenti al Csa rinnova inoltre la richiesta che nella legge che la Regione Piemonte assumerà per l’attuazione della legge n. 328/2000 vengano attribuiti ai singoli Enti gestori tutte le competenze assistenziali in materia di minori. Per quanto riguarda l’adozione – dalla segnalazione delle possibili situazioni di adottabilità, alla valutazione degli aspiranti genitori adottivi fino al sostegno delle adozioni di minori italiani e stranieri – le attività dovrebbero essere svolte attraverso operatori sociali “referenti”, preparati su questa specifica problematica.

Queste nuove disposizioni dovrebbero modificare la delibera della Giunta regionale 26 marzo 2001 n. 27-2549 che attribuisce le competenze in materia di adozione a 22 équipes sovranazionali.

L’Anfaa esprime il proprio aperto dissenso in merito alla istituzione da parte della Regione Piemonte di una Agenzia regionale per le adozioni internazionali approvata con legge nei giorni scorsi. Non ritiene, infatti, che la suddetta Agenzia possa incidere in maniera significativa sulla operatività degli altri 19 Enti autorizzati a svolgere la loro attività nella nostra regione, Enti il cui operato, in Italia e all’estero, è posto sotto il controllo della Commissione nazionale per le adozioni internazionali.

Non dimentichiamo altresì che il numero delle adozioni internazionali realizzate ogni anno in Piemonte è estremamente esiguo: sono stati 74 i provvedimenti efficaci come affidamenti preadottivi in Piemonte e Valle d’Aosta nel periodo 1° gennaio - 31 ottobre 2000 e solo 12 le autorizzazioni per l’ingresso di minori a scopo di adozione concesse dalla Commissione nazionale nei primi quattro mesi di quest’anno per il Piemonte e la Valle d’Aosta. Anche alla luce di questi dati non riteniamo giustificato un considerevole investimento economico per l’Agenzia suddetta, che sottrarrà fondi indispensabili per il finanziamento di interventi assistenziali ben più urgenti e necessari, su cui finora la Regione Piemonte non ci risulta abbia assunto alcun provvedimento.

Ricordiamo, al riguardo:

• l’individuazione nell’ambito del progetto “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia” dei minori dichiarati in stato di adottabilità e non inseriti in famiglie adottive (e nemmeno in famiglie affidatarie) a causa dell’età elevata o della presenza di handicap o di malattie;

• il sostegno delle adozioni “difficili”. In attuazione a quanto previsto dall’art. 6, comma 8 della legge n. 149/2001 nel caso di minori di età superiore ai 12 anni o con handicap accertato dalla competente commissione medica dell’Azienda sanitaria locale ai sensi degli art. 3 e 4 della legge 104/1992 ai genitori adottivi dovrebbe essere erogato dagli Enti gestori degli interventi assistenziali, indipendentemente dal loro reddito, un contributo economico almeno pari al rimborso-spese corrisposto agli affidatari fino al raggiungimento della maggiore età dell’adottato. Questo rimborso spese dovrebbe essere considerato aggiuntivo rispetto all’indennità di accompagnamento e ad ogni altra prestazione previdenziale;

• il sostegno degli affidamenti a “rischio giuridico di adozione”, cioè dell’inserimento familiare dei minori per i quali il Tribunale per i minorenni ha dichiarato lo stato di adottabilità e, in presenza di ricorsi contro la suddetta dichiarazione, ha disposto, nell’interesse degli stessi l’affidamento ad una famiglia scelta fra quelle in lista d’attesa per l’adozione. Agli affidatari dovrebbero essere anche erogati dagli Enti gestori il rimborso-spese e tutte le altre provvidenze previste per gli altri affidamenti.

4. - Per quanto riguarda gli affidamenti si ribadisce la necessità che venga data piena attuazione all’art. 80 della legge n. 184/1983 (modificato dalla recente legge n. 149/2001) richiamato anche dalla legge regionale n. 62/1995.

5. - In materia di tutela si richiama la necessità di fare istituire dalle Province al più presto gli Uffici di tutela pubblica.

 

 

 

(*) Il documento è stato presentato all’Assessorato all’Assi­stenza della Regione Piemonte il 9 novembre 2001.

(1) La nota è integralmente riportata in questo numero.

   (2) Positivo al riguardo il progetto della Regione Piemonte “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia”. Cfr. l’articolo pubblicato sul numero scorso

 

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