Prospettive assistenziali, n. 135, luglio-settembre 2001

 

La sinistra riforma delle ipab: tolti ai poveri almeno 50 mila miliardi

 

Il decreto legislativo 4 maggio 2001 n. 207 “Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’art. 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328” (1) che riportiamo integralmente in questo numero, è un altro gravissimo provvedimento assunto dal Governo Amato e dall’ex Ministro Livia Turco contro le esigenze dei cittadini e dei nuclei familiari più bisognosi di essere aiutati sul piano socio-economico.

Prima dell’entrata in vigore della legge 328/2000 e del sopra citato decreto legislativo, la situazione delle Ipab, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, era in sintesi, la seguente (2):

– presenza di 4.200 enti, il cui patrimonio era valutato dal Ministero per la solidarietà sociale in 37 mila miliardi. Secondo la rivista Ipaboggi n. 6, 1996,  l’ammontare dei beni era calcolato in oltre 50 mila miliardi;

– destinazione dei suddetti beni e dei relativi redditi solamente a favore delle persone e dei nuclei familiari necessitanti prestazioni assistenziali;

– divieto di utilizzare le proprietà immobiliari e mobiliari per la copertura delle spese di gestione.

Va, inoltre, osservato che, a seguito dello scioglimento di Ipab e di migliaia di enti assistenziali (Eca, Onmi, Onpi, Enaoli, ecc.), sono stati trasferiti, soprattutto ai Comuni e in parte alle Province, patrimoni per un valore di 40-50 mila miliardi.

Infine, in base alla sconcertante sentenza della Corte costituzionale n. 396/1998 (3), sono state assegnate ad organizzazioni private, a titolo assolutamente gratuito, proprietà il cui importo è stato valutato in 30-40 mila miliardi. Ad esempio, all’ente privato Opera Pia Barolo di Torino sono stati messi a gratuita disposizione vari immobili, nonché terreni per un totale di 3 milioni di metri quadrati.

 

Principali obiettivi del decreto legislativo 207/2001

Lo scopo di fondo del decreto legislativo 207/2001 è l’inserimento dei patrimoni delle Ipab e dei relativi redditi «nel sistema integrato di interventi e servizi sociali» di cui alla legge 328/2000. A questo riguardo, non è superfluo ricordare nuovamente che gli interventi e servizi contemplati dalla legge 328/2000 comprendono tutte le attività, escluse solamente quelle riguardanti la sanità, la previdenza e l’amministrazione della giustizia. Pertanto esse concernono anche quelle relative ai balli, ai giochi, ai soggiorni di vacanza, al turismo e alle altre analoghe iniziative. Affinché i beni delle Ipab possano essere utilizzati da tutti i cittadini e, quindi, soprattutto dai benestanti, il decreto legislativo 207/2001 e la legge 328/2000 ne prevedono una massiccia privatizzazione, che consiste – incredibile ma vero – nel porre a gratuita disposizione dei destinatari le proprietà delle stesse Ipab.

In primo luogo, indipendentemente dai beni mobiliari e immobiliari posseduti e della loro attuale fruizione (ad esempio alloggi, negozi, terreni affittati a terzi) «i conservatori che non abbiano scopi educativi della gioventù, gli ospizi dei pellegrini, i ritiri, eremi ed istituti consimili non aventi scopo civile o sociale, le confraternite, confraterie, congreghe, congregazioni ed altri consimili istituti deliberano la propria trasformazione in enti con personalità giuridica di diritto privato senza sottostare ad alcuna verifica dei requisiti» (art. 3, comma 2) (4).

In parole semplici, le suddette Ipab assumono autonomamente «senza sottostare ad alcuna verifica dei requisiti» le decisioni concernenti la gratuita assegnazione dei loro patrimoni ad enti privati.

Analoga generalizzata privatizzazione è stabilita per le Ipab che «operano prevalentemente nel settore scolastico» (art. 3, comma 1).

Per quanto riguarda il gruppo più consistente delle Ipab e cioè quelle che «svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali» è previsto dall’art. 5, comma 1, che sono escluse dall’obbligo di «trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona» le Ipab «nei confronti delle quali siano accertate le caratteristiche di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 1990». Detto decreto prevede la privatizzazione, intesa anche in questo caso come assegnazione gratuita dei patrimoni, delle Ipab nei cui confronti «sia alternativamente accertato: a) il carattere associativo; b) il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati; c) l’ispirazione religiosa».

Ai fini del riconoscimento delle condizioni sopra precisate, in base al decreto del 16 febbraio 1990 «sono considerate istituzioni a carattere associativo quelle per le quali ricorrano congiuntamente i seguenti elementi:

a) costituzione dell’ente per iniziativa volontaria dei soci o di promotori privati;

b) esistenza di disposizioni statutarie che attribuiscano ai soci un ruolo qualificante nel governo e nell’amministrazione dell’ente, nel senso che i soci provvedano alla elezione di una quota significativa dei componenti dell’organo collegiale deliberante;

c) esplicazione dell’attività dell’ente anche sulla base delle prestazioni volontarie dei soci».

Inoltre, «sono considerate istituzioni promosse ed amministrate da privati quelle per le quali ricorrano congiuntamente i seguenti elementi:

a) atto costitutivo o tavola di fondazione posti in essere da privati;

b) esistenza di disposizioni statutarie che prescrivano la designazione da parte di associazioni o di soggetti privati di una quota significativa dei componenti dell’organo deliberante;

c) che il patrimonio risulti prevalentemente costituito da beni risultanti dalla dotazione originaria o dagli incrementi e trasformazioni della stessa ovvero da beni conseguiti in forza dello svolgimento dell’attività istituzionale».

Invece, «sono considerate istituzioni di ispirazione religiosa quelle per le quali ricorrano congiuntamente i seguenti elementi:

a) attività istituzionale che persegua indirizzi religiosi o comunque inquadri l’opera di beneficenza ed assistenza nell’ambito di una più generale finalità religiosa;

b) collegamento dell’istituzione ad una confessione religiosa, realizzato per il tramite della designazione prevista da disposizioni statutarie, di ministri del culto, di appartenenti ad istituti religiosi, di rappresentanti di attività o di associazioni religiose ovvero attraverso la collaborazione di personale religioso come modo qualificante di gestione del ser­vizio».

In ogni caso, il citato decreto del 16 febbraio 1990 stabilisce che «sono comunque considerate di ispirazione religiosa le Ipab per le quali sia stato riconosciuto, ai sensi dell’art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, lo svolgimento in modo precipuo di attività inerenti alla sfera educativo-religiosa».

Perseguendo l’obiettivo della massima privatizzazione, ai sensi del 2° comma dell’art. 5 del decreto legislativo 207/2001, la trasformazione in azienda pub­blica delle Ipab, che svolgono direttamente
attività di erogazione di servizi assistenziali, «è esclusa:

«a) nel caso in cui le dimensioni dell’istituzione non giustifichino il mantenimento della personalità giuridica di diritto pubblico;

«b) nel caso in cui l’entità del patrimonio e il volume del bilancio siano insufficienti per la realizzazione delle finalità e dei servizi previsti dallo statuto;

«c) nel caso risultino esaurite o non siano più conseguibili le finalità previste nelle tavole di fondazione o negli statuti» (5).

Da notare che il divieto di cui alla precedente lettera b) può essere interpretato in modo da comprendere quasi tutte le attuali Ipab. Infatti, praticamente nessuna di esse è in grado di fornire le prestazioni utilizzando esclusivamente o prevalentemente i redditi dei propri beni. In tutti i casi a noi noti, le Ipab operano usufruendo dei proventi delle convenzioni stipulate con enti pubblici e acquisendo le rette e/o le altre quote versate dagli assistiti.

 

Le Ipab trasformate in aziende pubbliche

Come abbiamo osservato in precedenza, nonostante il regalo ai privati di 30-40 mila miliardi di proprietà e al trasferimento ai Comuni di beni del valore di 40-50 mila miliardi, prima dell’entrata in vigore della legge 328/2000 i patrimoni mobiliari ed immobiliari delle Ipab ammontavano, a seconda delle valutazioni, a ben 37-50 mila miliardi. La conservazione delle suddette rilevanti proprietà è dovuta alla norma della legge 6972/1890, in base alla quale per nessun motivo i patrimoni potevano essere utilizzati per coprire le spese di gestione.

Il decreto legislativo 207/2001 dispone, invece, che «i beni mobili e immobili che le aziende di servizi destinano ad un pubblico servizio costituiscono patrimonio indisponibile degli stessi, soggetto alle discipline dell’articolo 828, secondo comma del codice civile».

Premesso che in base alla citata norma del codice civile, il patrimonio indisponibile può essere venduto «nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano», resta il fatto che il vincolo riguarda esclusivamente «i beni mobili e immobili che le aziende destinano ad un pubblico servizio» e non tutte le altre proprietà, il cui valore può essere anche di decine di miliardi. Pertanto, i beni non vincolati possono essere venduti a terzi ed utilizzati per coprire le spese di gestione: una modalità destinata ad azzerare i suddetti patrimoni.

 

Conclusioni

La nostra valutazione etico-giuridica in merito alla questione delle Ipab coincide con quella espressa da Mons. Giovanni Nervo nel convegno organizzato dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, svoltosi a Torino il 12 dicembre 1989: «Il primo principio etico equivale per i credenti a un Comandamento di Dio: non rubare. I patrimoni delle Ipab sono stati donati da privati cittadini per i poveri. Prima che fossero donati erano di proprietà dei privati; dopo che sono stati donati, sono diventati di proprietà dei poveri. Questo principio rimane, qualunque siano state le vicissitudini storiche e giuridiche».

Rileviamo, inoltre, che né la legge 328/2000 né il decreto legislativo 207/2001 prevedono norme che diano garanzie circa la destinazione alle attività di assistenza sociale delle Ipab che saranno privatizzate e di quelle che lo sono state ai sensi del già citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 1990.

Al riguardo, il Csa aveva segnalato all’allora Ministro per la solidarietà sociale, On. Livia Turco che, come emergeva da interpellanze presentate al Consiglio regionale piemontese in data 9 settembre 1993, due ex Ipab privatizzate erano state successivamente dichiarate estinte con l’assegnazione dei patrimoni relativi ad una parrocchia. Detta informativa era stata trasmessa affinché venissero predisposte misure legislative per evitare che i patrimoni delle Ipab privatizzate venissero destinati a scopi diversi da quelli previsti dai rispettivi statuti. Purtroppo, non soltanto non sono state assunte iniziative al riguardo, ma anche i controlli previsti sulle Ipab privatizzate sono assolutamente privi di efficacia.

Per quanto riguarda i patrimoni delle Ipab estinte, trasferiti soprattutto ai Comuni, valutati in 40-50 mila miliardi, la legge 328/2000 e il decreto legislativo 207/2001 prevedono assolutamente nulla, anche in questo caso nonostante le pressanti richieste avanzate dal Csa. Resta, dunque, il pericolo che anche questi beni non vengano utilizzati per la fascia più bisognosa della popolazione. A questo proposito ri­portiamo integralmente la lettera inviata dal Csa al Sindaco di Torino, On. Sergio Chiamparino, in data 4 giugno 2001. «Nell’esprimerLe le più vive felicitazioni per la Sua nomina a Sindaco di Torino, anche a seguito della Sua lettera “Una sfida da vincere as­sieme” (La Stampa del 31.5.2001) e di quella di Pao­lo Peveraro “Soldi freschi dalla vendita di immobili” (La Stampa del 3.6.2001), Le segnaliamo l’assoluta ur­genza di una Sua decisione per l’utilizzo a fini assistenziali della quota disponibile dell’ingente patrimonio pervenuto al Comune di Torino a seguito dell’estinzione di Ipab e di enti assistenziali (Eca, Onmi, Enaoli, Patronato scolastico, ecc.) e dei relativi redditi.

«Complessivamente il valore del patrimonio che, in base alle leggi vigenti, è vincolato ai servizi di assistenza sociale, ammonta ad oltre mille miliardi.

«1. Al riguardo La informiamo che nella deliberazione proposta con iniziativa popolare da questo Coordinamento, approvata dal Consiglio comunale di Torino in data 26 settembre 1995, era previsto quanto segue: “Messa a disposizione della cittadinanza dell’elenco dei patrimoni degli enti assistenziali trasferiti al Comune di Torino (Ipab, Eca, ecc.) con l’indicazione per ognuno di essi dei dati generali e catastali, delle caratteristiche edilizie, dei dati relativi alla locazione (locatario, durata del contratto, importo, adeguamenti Istat, attribuzione e importo delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e degli oneri di riscaldamento, stato di pagamento dei canoni, soggetti occupati, ecc.”.

«2. Per quanto riguarda i patrimoni immobiliari, dati parziali sono stati forniti con notevole ritardo nel dicembre 1999, mentre per i beni mobiliari finora gli uffici hanno trasmesso assolutamente nulla. Da notare che, a seguito dell’estinzione dell’Ipab Carlo Alberto, al Comune di Torino sono stati trasferiti nel 1989, oltre a beni immobiliari di notevole entità, anche titoli per un valore di 1 miliardo e 825 milioni.

«3. Le rinnoviamo pertanto la richiesta della trasmissione a questo Coordinamento (ed alle altre organizzazioni interessate) di tutti i dati come precisato nella citata deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 26 settembre 1995.

«4. Dalla vendita dei beni amministrati dal Co­mune di Torino e vincolati al settore assistenziale (ad esempio l’immobile di Piazza S. Carlo angolo Via Maria Vittoria) il Comune di Torino riceverà certamente i fondi occorrenti per sanare le gravi carenze esistenti nel settore assistenziale: uffici decentrati inadeguati, mancanza di centri diurni per handicappati intellettivi gravi e gravissimi, di comunità alloggio per adolescenti, per handicappati intellettivi, per soggetti con gravi handicap fisici, di strutture residenziali per anziani cronici non autosufficienti, ecc.

«5. Al fine di fornirLe una informazione completa, Le segnaliamo che, certamente non per responsabilità attribuibili a questo Coordinamento, totalmente disapplicata è rimasta la deliberazione n. 94.05572/19, approvata dalla Giunta municipale di Torino in data 19 luglio 1994, nella quale era previsto che, allo scopo di procedere alla definizione di ipotesi progettuali di riutilizzo del patrimonio comunale già appartenente all’Eca, ad Ipab estinte, ad altri enti di assistenza o provenienti da lasciti, la Commissione all’uopo costituita doveva “procedere prioritariamente ad una ricognizione di quanto presente in inventario con riferimento a (...): luogo, denominazione, estensione, qualità e descrizione risultante a catasto; provenienza; valore capitale e rendita attuale effettiva o presunta; servitù, pesi, oneri diversi dei quali sono gravati, con designazione del possessore o creditore”.

Nella stessa delibera era precisato che “particolare rilievo, inoltre, agli effetti sia di possibilità attuale di utilizzo diretto che delle ipotesi di conversione patrimoniale, assume, per ognuno degli immobili, la valutazione dello stato di conservazione, da effettuarsi a cura dei competenti Settori tecnici”.

Era stabilito altresì che per tutto il patrimonio “attualmente in locazione a terzi, è da rilevare lo stato di conservazione reale e, nel caso di locazione in corso, l’inizio, la durata, le condizioni del relativo rapporto e le possibilità anche giuridiche di forme diverse di utilizzo”.

Infine era previsto che “analoga ricognizione inventariale è da prevedere per il patrimonio mobiliare a destinazione assistenziale, già proprio degli Enti su richiamati, o derivante da lasciti”.

«6. Le rinnoviamo la richiesta, da noi avanzata senza alcun esito alcuno agli Assessori che si sono succeduti dal 1990 ad oggi, che i beni (alloggi, negozi, terreni, ecc.) pervenuti al Comune di Torino, vincolati ad attività di assistenza, vengano amministrati in modo corretto e trasparente. Ad esempio, come è stato segnalato all’Assessore Viano con lettera dell’Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale datata 19 agosto 1998, rimasta finora senza alcuna risposta “un alloggio di mq. 55 sito in Corso S. Maurizio 14-16 risulta affittato per l’importo di lire 144.000 annue”. Altri fatti allarmanti sono segnalati nell’articolo “I patrimoni delle Ipab di Torino: un mistero poco chiaro”, pubblicato sul n. 121, gennaio-marzo 1998, della rivista Prospettive assistenziali, che si allega.

«7. Mentre restiamo a Sua disposizione, confidiamo nel Suo intervento affinché finalmente il patrimonio disponibile venga utilizzato con la massima celerità possibile per sanare le gravi carenze esistenti».

 

 

 

 

(1) Il testo della legge 328/2000 è stato pubblicato su Prospettive assistenziali, n. 130, 2000.

(2) Cfr. “Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza” in M.G. Breda, D. Micucci, F. Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative”, Utet Libreria, Torino, 2001.

(3) Cfr. M. Dogliotti, “La riforma dell’assistenza... della Corte costituzionale”, Prospettive assistenziali, n. 84, 1988.

(4) Si osservi che detta trasformazione non era prevista dalla legge delega. Cfr. l’art. 10 della legge 328/2000.

    (5) Allo scopo di favorire la privatizzazione, il decreto legislativo 207/2001 non prevede che le Ipab di cui alla lettera a) possano unirsi o fondersi con altre Ipab per la loro riconversione in aziende pubbliche.

 

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