Prospettive assistenziali, n. 135, luglio-settembre 2001

 

La nuova legge sul socio lavoratore delle cooperative

Mauro perino (*)

 

La legge 3 aprile 2001, n. 142 “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore” (Gazzetta ufficiale del 23 aprile 2001, n. 94) si applica alle cooperative di lavoro, finalizzate a creare occupazione per i soci, ma anche alle cooperative sociali che operano nel sistema dei servizi sociali e sanitari alla persona. È pertanto importante conoscere, a grandi linee, le implicazioni che derivano dall’applicazione della legge in un settore in cui la “qualità dell’operatore” – che ha necessariamente a che fare con un soddisfacente inquadramento in quanto lavoratore – determina gran parte della “qualità del servizio” erogato.

La legge è finalizzata a definire i rapporti tra la cooperativa ed il socio lavoratore allo scopo di tutelarne l’inquadramento previdenziale e contrattuale. Come ricorda Luca Nogler (“Nuova posizione del socio lavoratore: è duplice il rapporto con la cooperativa” in “Il Sole - 24 Ore, Terzo Settore”, n. 5, maggio 2001) la vecchia posizione giuridica del socio lavoratore era caratterizzata «dalla negazione della qualificazione dell’attività lavorativa come autonomo rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) e dalla sua riconduzione al contratto di società». I poteri di partecipazione del socio lavoratore alla gestione della cooperativa non risultavano infatti inseribili all’interno della fattispecie del lavoro subordinato.

La riconduzione dell’attività lavorativa del socio al solo “contratto sociale” era in crisi da tempo essendo infatti evidente, soprattutto nelle grandi e medie cooperative, la forzatura di voler individuare, nel socio lavoratore, il comproprietario del risultato del lavoro ed il co-organizzatore della produzione delle attività. La conferma della forzatura rappresentata dalla tesi dell’unicità del rapporto viene, come rileva L. Nogler, dal dato che un buon numero di cooperative, di dimensioni più o meno grandi, del Nord Italia già instaurava con i propri soci lavoratori un autonomo ed ulteriore rapporto di lavoro subordinato, parificandoli quasi completamente agli altri lavoratori dipendenti.

La nuova legge, prendendo atto della tendenza, ribalta la soluzione e prevede che «il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte» (art. 1, comma 3, Legge 142/2001).

Con riferimento al rapporto di lavoro, sia subordinato che autonomo, vengono introdotte alcune garanzie. Il socio inquadrato come subordinato beneficia di regolare trattamento contrattuale, previdenziale e fiscale proprio del dipendente, con l’esclusione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, che prevede l’obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, nel caso in cui con il rapporto di lavoro venga a cessare anche quello associativo. Per il rapporto di lavoro autonomo viene garantita la libertà di opinione, il diritto sindacale ed un trattamento economico non inferiore ai compensi in uso per prestazioni analoghe rese a titolo di lavoro autonomo.

Le diverse tipologie di rapporto di lavoro attraverso le quali i soci lavoratori contribuiscono al raggiungimento degli scopi sociali è indicata dal “regolamento interno” che, in base all’art. 7 della legge, l’assemblea della cooperativa è tenuta ad approvare entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Il regolamento – che va depositato presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio entro trenta giorni dall’approvazione – deve in ogni caso indicare (art. 6):

«a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili, per ciò che attiene ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato;

«b) le modalità di svolgimento delle  prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all’organizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato;

«c) il richiamo espresso alle normative di legge vigenti per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato;

«d) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell’articolo 3; il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili;

«e) l'attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie;

«f) al fine di promuovere nuova imprenditorialità, nelle cooperative di nuova costituzione, la facoltà per l’assemblea della cooperativa di deliberare un piano d’avviamento alle condizioni e secondo le modalità stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative».

In buona sostanza i rapporti di lavoro dei soci lavoratori dipendono dunque dal regolamento approvato dall’assemblea della cooperativa. A differenza dei contratti di lavoro – che sono atti bilaterali in quanto stipulati in base ad accordi intervenuti fra i datori di lavoro ed i lavoratori – il regolamento è un atto unilaterale: è pertanto ipotizzabile che sulle esigenze dei soci lavoratori prevalgano le istanze dei consigli di amministrazione. Trattandosi di atti unilaterali, le scelte operate dalla cooperativa in merito alle tipologie dei rapporti di lavoro previste nei confronti dei soci lavoratori non sono vincolanti per il giudice in quanto questi, come osserva L. Nogler, «opera la qualificazione dei rapporti di lavoro sulla base del modo concreto con cui essi si svolgono (il cosiddetto principio dell’effettività). In secondo luogo – precisa lo stesso Nogler – nella valutazione del modo in cui concretamente si svolgono i rapporti di lavoro dei soci, risulta estremamente probabile rinvenire i tratti del rapporto del lavoro subordinato ex art. 2094 del codice civile (“è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”) poiché, in ragione della gerarchia tecnica adottata dalle cooperative, essi ricevono normalmente istruzioni e ordini circa il lavoro da svolgere (...). In terzo luogo – aggiunge lo stesso Autore – va segnalato che se i soci delle cooperative instaureranno un rapporto di lavoro autonomo, l’insoddisfazione della categoria è destinata, dopo la legge di riforma, ad accrescere, giacché la loro situazione giuridica – specie dal punto di vista dei trattamenti previdenziali (se non delle retribuzioni: cfr. articolo 4 della legge di riforma) – peggiora».

In altre parole – come osserva ancora L. Nogler nell’articolo citato – «la legge rischia di essere la causa dello sviluppo, se non dell’esplosione, di un contenzioso alimentato presumibilmente anche dall’Inps, teso a ottenere la qualificazione del lavoro come subordinato»; ciò anche in considerazione del fatto che, per la giurisprudenza più recente, per individuare la subordinazione, è sufficiente la presenza di indici attinenti all’orario di lavoro, alla retribuzione a tempo, all’assenza della proprietà degli strumenti di lavoro.

Esiste però, un’altra tipologia di socio, individuata dall’art. 4 della legge 281/1991: il socio lavoratore svantaggiato che viene avviato al lavoro nelle cooperative sociali di tipo “B”, finalizzate all’inserimento lavorativo.

Come osserva Cristina Odorizzi nell’articolo “Operativa la legge sul socio lavoratore nelle società cooperative: le novità per le cooperative sociali” (in “Il Sole - 24 Ore, Terzo Settore”, n. 5, maggio 2001), «le novità della legge di revisione, declinate alla fattispecie delle cooperative sociali di tipo “B”, suscitano qualche perplessità in ragione della peculiare condizione dei soci».

La legge riconosce, infatti, ai soci lavoratori poteri gestionali e direzionali che concorrono a definire una figura di “socio lavoratore-imprenditore” che, come giustamente sottolinea l’Odorizzi, «non è sempre agevolmente adattabile al socio svantaggiato di cooperativa sociale per il quale si dovrebbe piuttosto parlare di una partecipazione alla gestione sotto guida e direzione di altri».

Le considerazioni sin qui proposte non sono certamente esaustive dell’argomento. È però auspicabile che siano sufficienti a stimolare tutti i soggetti coinvolti ad approfondire il tema e a vigilare che la legge venga attuata tenendo conto non solo delle esigenze dei soci-lavoratori, ma anche degli utenti.

 

 

(*) Direttore del Cisap, Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).

 

www.fondazionepromozionesociale.it