Prospettive assistenziali, n. 134, aprile-giugno 2001

 

 

maltrattamenti di anziani cronici non autosufficienti ricoverati in strutture di assistenza: rilievi penali

Elena Brugnone

 

 

 

La stampa quotidiana nazionale continua a pubblicare notizie su drammatici casi di abbandono e maltrattamenti di anziani non autosufficienti ricoverati in strutture di assistenza definite usualmente “ospizi-lager”.

Fra i fatti di cronaca più recenti ricordiamo il caso dei gravi maltrattamenti di anziani ultraottantenni non autosufficienti ricoverati in una casa di riposo situata in provincia di Rimini. I quotidiani del 4 gennaio 2001 evidenziano che almeno sei anziani sarebbero morti in conseguenza di maltrattamenti.

L’autorità giudiziaria che sta indagando sui fatti ha disposto l’arresto dei due fondatori e amministratori della casa di riposo e ha ordinato il sequestro della struttura, affidandone la gestione all’azienda sanitaria locale di Rimini che ha inviato medici ed infermieri per la cura dei 34 anziani ricoverati (1).

La descrizione giornalistica dei fatti è agghiacciante. Vogliamo riportarne qui una parte significativa, per poi fare alcune considerazioni: «La struttura, un ex bar-albergo di famiglia ristrutturato, dall’esterno sembra tutto tranne che un lager: è linda e curata, c’è il giardino, il viale e anche la piscina per la riabilitazione. Dentro, invece, l’inferno: anziani abbandonati a se stessi, maltrattati fino a causarne la morte, picchiati, violati nella loro dignità, vessati psicologicamente (...). Le regole, rigide, erano funzionali solo alla scarsità del personale con cui veniva gestita la casa di riposo, autorizzata dall’Asl di Rimini ad ospitare 25 anziani autosufficienti e 15 non autosufficienti. Un’infermiera, due inservienti al massimo per turno, uno solo alla notte» (2).

«Dalle testimonianze e dalle intercettazioni raccolte in mesi di indagini, secondo i carabinieri emergono docce forzate anche a persone febbricitanti, percosse, apparecchi acustici sottratti per punizione, l’uso di poltrone prive di imbottitura per impedire agli anziani di potersi alzare da soli, anziani alimentati con la forza fino a provocarne il soffocamento, anziani caduti e rimasti per tutta la notte a terra perché non c’era nessuno che potesse rialzarli, soccorsi chiamati con ore di ritardo anche di fronte a fratture gravi come quelle del femore (...)» (3).

«La sveglia suonava alle 4 del mattino per anziani ultraottantenni e novantenni, denudati e costretti a fare la doccia anche quando avevano la febbre, perché la “direttrice” controllava il loro odore e non aveva pietà. Nemmeno per chi, malato di asma, aveva cercato di opporsi (...)» (4). «Docce, ogni mattina all’alba, spesso fredde, inderogabili. Proprio per fargli la doccia, dovendolo tenere su di peso, un degente era stato trovato dai familiari con i polsi tanto rovinati da vedersi l’osso. Aveva invece le mani ustionate un altro ospite il cui letto, per la mancanza di una sponda, era stato bloccato tutta la notte contro il termosifone (...)» (5).

«Erano costretti a mangiare con la forza: il naso tappato da un inserviente, dalla direttrice o dal fratello, e il boccone infilato in gola. Fino a soffocare. Sono almeno tre, due donne e un uomo, le persone che sarebbero morte per asfissia durante o dopo il pasto. Il cibo poco e di scarsa qualità (i carabinieri del Nas hanno trovato cibi scaduti), era uguale per tutti, senza distinzione d’età e stato di salute (...)» (6).

Una cronaca che fa accapponare la pelle. I fatti descritti ci fanno pensare a gravi reati: non mancheremo di approfondire questo caso quando conosceremo gli esiti del procedimento penale in corso.

Per il momento vogliamo evidenziare alcuni aspetti significativi riferiti dalla stampa nella notizia di cronaca. I due amministratori della casa di riposo arrestati, in passato gestivano un bar-albergo. Nel 1995 hanno costituito la casa di riposo che è stata autorizzata dall’Azienda sanitaria locale di Rimini a ospitare anche anziani non autosufficienti. Gli anziani ricoverati sono ultraottantenni in gran parte non autosufficienti, molti affetti da demenza senile. Anche gli anziani che sarebbero morti a causa di maltrattamenti avevano più di ottanta anni (7) e pagavano ai due amministratori arrestati una retta di due milioni seicentomila lire al mese.

Immaginando le esigenze di cura e di assistenza di detti ricoverati, ci sembra sorprendente che la struttura di assistenza sia stata amministrata da due ex gestori di un bar-albergo, autorizzati dall’azienda sanitaria locale di Rimini ad assistere anziani non autosufficienti. Sorgono quindi spontanei alcuni interrogativi. In base a quali criteri l’azienda sanitaria locale di Rimini e la Regione Emilia Romagna ritenevano che la casa di riposo fosse idonea a curare anziani non autosufficienti? Dove erano le autorità preposte al controllo? Quali provvedimenti gli amministratori locali e regionali assumeranno a tutela degli anziani non autosufficienti ricoverati in altre strutture di assistenza? Aspetteranno altre notizie di reati per prendere provvedimenti?

Interrogativi che lasciamo aperti in attesa di risposte concrete.

La notizia di cronaca esposta ci spinge, intanto, a fare alcune considerazioni di carattere generale tenendo conto che questo caso non è l’unico. La stampa nazionale, infatti, ha pubblicato altre notizie su fatti simili (8) e riviste giuridiche hanno pubblicato alcune sentenze della Corte di Cassazione relative alla condanna di imputati per abbandono e maltrattamenti di ricoverati in istituti di assistenza (9).

Al riguardo, ci sembra importante evidenziare che la discriminazione contro gli anziani malati cronici non autosufficienti, ripetutamente e instancabilmente denunciata da questa rivista, offre un terreno permeabile a gravi infiltrazioni criminali. La prassi delle dimissioni dalle strutture sanitarie di malati cronici non autosufficienti innesca una spirale perversa che costringe molti di questi malati a subire ricoveri discriminatori in strutture di assistenza. In questo contesto si aprono piaghe di emarginazione sociale e si verificano anche casi di maltrattamenti come quello che abbiamo riportato.

Vengono costituite, per giunta, strutture di ricovero abusive per anziani malati non autosufficienti e il pericolo criminale aumenta. Le strutture abusive, infatti, operano clandestinamente e liberamente al di fuori di ogni controllo e diventano quindi, spesso, luoghi in cui i ricoverati vengono maltrattati.

Ricordiamo, per fare un esempio significativo, il caso degli otto anziani, cinque uomini e tre donne, di età comprese fra i 75 e gli 85 anni, tutti affetti da sindrome cerebrale involutiva, trovati nell’estate del 1998 dai carabinieri in condizioni igienico-sanitarie disumane presso un casolare in provincia di Roma. Il casolare era gestito da un uomo e da una donna conviventi, di 61 e 48 anni, con precedenti penali (10). Fra le notizie di cronaca più recenti, ricordiamo quella risalente all’ottobre del 2000 sui venti anziani segregati in un ricovero della provincia di Ascoli Piceno, trovati dai carabinieri in condizioni igieniche precarie. Sei ricoverati erano legati ai rispettivi letti. È emerso che la struttura operava senza le necessarie autorizzazioni e che la retta che gli anziani pagavano ai quattro gestori del ricovero abusivo che sono stati arrestati si aggirava intorno ai due milioni e mezzo (11).

In considerazione del pericolo criminale che deriva dalla gestione di strutture abusive per persone non autosufficienti, osserviamo che manca una norma penale che incrimini l’apertura di queste strutture per prevenire reati più gravi. Nel 1994 il legislatore abrogò l’articolo 665 del codice penale che puniva con la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda fino a lire un milione chiunque «apre o conduce agenzie di affari ed esercizi pubblici non autorizzati o vietati, ovvero per mercede alloggia persone o le riceve in convitto o in cura senza la licenza dell’Autorità, o senza la preventiva dichiarazione alla medesima» (12).

Sono passati più di sei anni dall’abrogazione di questa norma e il legislatore non ha ancora provveduto a introdurre un nuovo articolo di legge per coprire il vuoto di tutela penale contro l’apertura di strutture abusive destinate al ricovero di persone non autosufficienti.

In riferimento all’abbandono e ai maltrattamenti di anziani malati non autosufficienti, vogliamo evidenziare alcuni aspetti che rendono peculiare la gravità criminale dei fatti:

– la persona che prende in cura un anziano malato non autosufficiente e poi non fornisce cure e assistenza, abusa della propria posizione di potere e approfitta della non autosufficienza dell’assistito per prevaricare;

– la vittima non può difendersi e denunciare le omissioni di cura e assistenza, e quindi viene più facilmente sottoposta a maltrattamenti quotidiani per un lungo periodo di tempo;

– maltrattamenti contro una persona già debilitata dalla malattia causano danni gravi: le condizioni di salute peggiorano sensibilmente e insorgono nuove patologie;

– abbandono e maltrattamenti di anziani non autosufficienti in una struttura di ricovero, come nei casi drammatici riportati dalla stampa nazionale, sono fatti che assumono una grave rilevanza criminale in considerazione della pluralità di vittime deboli e indifese ricoverate in una struttura per ricevere cure e assistenza a pagamento e sottoposte, invece, a maltrattamenti.

I reati che si configurano più frequentemente sono i delitti di abbandono di persone incapaci, di maltrattamenti e di lesioni personali volontarie. In caso di morte della vittima a causa di maltrattamenti, osserviamo che l’autore dei fatti è responsabile di omicidio volontario se ha agito con la volontà di uccidere ovvero se ha maltrattato la vittima prevedendo di causarne la morte e accettando questo rischio.

Per quanto riguarda il delitto di abbandono di persone incapaci e il delitto di maltrattamenti riteniamo utile fare alcuni rilievi per chiarire in quali casi ricorrono detti reati.

Il delitto di abbandono di persone incapaci è previsto dall’articolo 591 del codice penale che è intitolato “Abbandono di persone minori o incapaci” (13). Per questo reato è penalmente responsabile chiunque prende in custodia o in cura un soggetto «minore degli anni quattordici ovvero una persona incapace, per malattie di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa» e poi lo lascia consapevolmente in una situazione di pericolo per la sua incolumità personale. Precisiamo che la responsabilità penale ricorre anche se la persona incapace lasciata in pericolo non subisce alcun danno.

Con riferimento specifico all’abbandono di anziani non autosufficienti, sono significative alcune sen­tenze della Corte di Cassazione che ha confer-
mato la condanna di imputati per il reato previsto dall’articolo 591 del codice penale relativamente a casi di abbandono di anziani ricoverati presso istituti di assistenza, specialmente a causa della mancanza di personale idoneo e della insufficienza di cure (14).

Il delitto di maltrattamenti è previsto dall’articolo 572 del codice penale, intitolato “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” (15). Precisiamo che, in base a detto articolo, vengono puniti non solo i maltrattamenti in famiglia ma anche i maltrattamenti di assistiti in strutture di ricovero (16). Per questo reato è penalmente responsabile «chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte» (17).

Rileviamo che il delitto di maltrattamenti è più grave del delitto di abbandono di persone incapaci ed è caratterizzato da comportamenti vessatori abituali che si ripetono più volte nel tempo contro la stessa vittima e che sono tenuti con la consapevolezza di farla soffrire. La legge non specifica quali fatti costituiscono il delitto di maltrattamenti e lascia all’autorità giudiziaria il compito di valutare il carattere vessatorio relativo all’insieme degli episodi che costituiscono ogni singolo caso.

Le forme di manifestazione del reato possono essere diverse, ad esempio: atti di violenza fisica, minacce, ingiurie, parole e gesti di scherno. Il delitto di maltrattamenti può sussistere anche in caso di ripetute omissioni di assistenza quando una persona ha il compito di assistere un malato non autosufficiente ma abitualmente non lo assiste e, di conseguenza, lo fa soffrire (18).

In riferimento ai maltrattamenti di ricoverati in strutture di assistenza, ricordiamo un caso risalente all’inizio degli anni Ottanta che questa rivista ebbe occasione di documentare: la sentenza del Tribunale di Venezia che condannò sette infermieri dipendenti di una casa di riposo di Mestre per maltrattamenti di anziani, in gran parte malati non autosufficienti, ricoverati nel reparto infermeria uomini della anzidetta struttura di assistenza. I sette imputati vennero ritenuti responsabili del reato di maltrattamenti previsto dall’articolo 572 del codice penale per ripetuti atti di violenza fisica, minacce, omissioni di assistenza e cura, gesti e parole ingiuriose, ed altri comportamenti vessatori reiterati per mesi contro anziani ricoverati (19).

Osserviamo che questo caso, ancorché risalente a venti anni fa, è un esempio significativo di un problema criminale che rimane attuale e che emerge dalle notizie di cronaca dei nostri tempi: la punta di un iceberg che è in gran parte sommerso se consideriamo l’incapacità delle vittime di difendersi e di denunciare chi le maltratta.

In conclusione, il nostro pensiero va agli anziani non autosufficienti che oggi continuano a subire vessazioni e aspettano disperatamente un aiuto e a quelli che domani (noi compresi) possono essere sottoposti ad analoghe violenze. Facciamo, quindi, appello ai familiari e ad altre persone intenzionate a denunciare fatti che mettono in pericolo o danneggiano anziani incapaci di provvedere autonomamente a loro stessi, affinché si decidano a presentare le relative denunce al più presto. Al riguardo precisiamo quali sono le modalità previste dalla legge per la denuncia penale.

La denuncia può essere fatta oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (20), all’ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale o ad un ufficiale di polizia giudiziaria (21). Per quanto riguarda il contenuto della denuncia (22), è richiesta una esposizione degli elementi essenziali del fatto, con indicazione del giorno in cui è avvenuto, delle fonti di prova e, se possibile, delle generalità, del domicilio e di quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (23).

 

 

 

(1) Cfr. Il Resto del Carlino con inserto della cronaca locale di Rimini e Il Corriere della Sera, 4 gennaio 2001.

(2) Cfr. Il Corriere della Sera, 4 gennaio 2001.

(3) Cfr. Il Resto del Carlino, 4 gennaio 2001.

(4) Cfr. Il Corriere della Sera, 4 gennaio 2001.

(5) Cfr. Il Resto del Carlino, 4 gennaio 2001.

(6) Cfr. Il Corriere della Sera, 4 gennaio 2001.

(7) Il Resto del Carlino del 4 gennaio 2001 precisa che i sei ricoverati morti erano due anziani di 92 e 85 anni di Pesaro, un novantunenne di Rimini, due donne di 85 e 96 anni del Pesarese e una donna di 89 anni di Rimini.

(8) Ricordiamo, ad esempio, la notizia sull’arresto della titolare di una struttura di assistenza, per maltrattamenti contro anziani ricoverati, alcuni dei quali non autosufficienti (8 maggio 1998 - La Nazione); la notizia sull’arresto di cinque addetti alla sorveglianza in un’altra casa di riposo, per maltrattamenti contro anziani ricoverati nella struttura di assistenza, in prevalenza non autosufficienti. Le indagini dei carabinieri documentano, anche con riprese filmate, episodi di violenza compiuti da alcuni addetti alla vigilanza nei riguardi degli anziani ospiti della casa di riposo (14 luglio 1999 - Il Messaggero).

(9) Cfr. Sentenza della Corte di Cassazione, sezione V, 9 maggio 1986, Giorgini, Cassazione penale,  1987, 1094; sentenza della Corte di Cassazione, sezione V, 22 novembre 1989 n. 1016 (depositata il 20 marzo 1990), Bruni, Cassazione penale, 1990, 1349, con nota di Domenico Carcano; sentenza della Corte di cassazione, sezione V, 28 marzo 1990, Mancini, Cassazione penale, 1992, 614; sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI, 30 maggio 1990 (depositata il 16 gennaio 1991), Cosco, Cassazione penale, 1992, 1505, n. 776; sentenza della Corte di Cassazione, sezione V, 21 ottobre 1992, n. 832 (depositata il 1° febbraio 1993), Dramis, Rivista penale, 1993, 1131; sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI, 17 ottobre 1994 (depositata il 19 novembre 1994), Fiorillo, Cassazione penale, 1996, 511, n. 243, con nota di Rocco Blaiotta Maltrattamenti nelle istituzioni assistenziali e dovere di solidarietà; sentenza della Corte di Cassazione, sezione V, 28 novembre 1997 (depositata il 24 aprile 1998), Cimino, Gazzetta giuridica Giuffrè Italia Oggi, (22), 1998, 30.

(10) Cfr. La Stampa e Avvenire, 14 agosto 1998.

(11) Cfr. Avvenire, 13 ottobre 2000.

(12) L’articolo 665 del codice penale (Agenzie di affari ed esercizi pubblici non autorizzati o vietati) disponeva: «Chiunque, senza la licenza dell’autorità, o senza la preventiva dichiarazione alla medesima, quando siano richieste, apre o conduce agenzie di affari, stabilimenti o esercizi pubblici, ovvero per mercede alloggia persone, o le riceve in convitto o in cura, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione

«Se la licenza è stata negata, revocata o sospesa, le pene dell’arresto o dell’ammenda si applicano congiuntamente.

«Qualora, ottenuta la licenza, non si osservino le altre prescrizioni della legge o della Autorità, la pena è dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a lire seicentomila».

L’abrogazione di questo articolo è stata disposta in base all’articolo 13 del decreto legislativo 13 luglio 1994, n. 480.

(15) L’articolo 572 del codice penale (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) dispone: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

«Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a vent’anni».

(16) Cfr. “Il Paese dei Celestini - Istituti di assistenza sotto processo” a cura di Bianca Guidetti Serra e Francesco Santanera, Einaudi, 1973.

(17) Osserviamo che l’articolo in questione è collocato nel titolo XI, libro II del codice penale, intitolato Dei diritti contro la famiglia, e ciò conformemente alla scelta fatta dal legislatore del 1930, anno in cui venne approvato il nostro codice penale, per evidenziare maggiormente l’esigenza di tutela penale dell’unità familiare rispetto al problema dei maltrattamenti in famiglia. La classificazione del delitto di maltrattamenti come reato contro la famiglia risulta però da tempo superata alla luce dei principi della Costituzione della Repubblica italiana che, a norma degli articoli 2 e 32, riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e considera la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. L’esigenza di tutela penale da evidenziare oggi è la salute della vittima dei maltrattamenti. È auspicabile, pertanto, che dopo oltre cinquanta anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, il legislatore si decida finalmente a qualificare questo reato come delitto contro la persona e a classificare di conseguenza nel titolo XII, libro II del codice penale, intitolato Dei delitti contro la persona.

(18) Per quanto riguarda i maltrattamenti costituiti da comportamenti omissivi nei confronti di assistiti in strutture di ricovero, vedasi sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI, 30 maggio 1990 (depositata il 16 gennaio 1991), Cosco, Cassazione penale 1992, 1505, n. 776; sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI, 17 ottobre 1994 (depositata il 19 novembre 1994), Fiorillo, Cassazione penale 1996, 511, n. 243, con nota di Rocco Blaiotta Maltrattamenti nelle istituzioni assistenziali e dovere di solidarietà.

(19) Il testo integrale della sentenza del Tribunale di Venezia, 24 novembre 1982, è pubblicato su Prospettive assistenziali, ottobre-dicembre 1983, n. 64. In riferimento al capo di imputazione (capo I) relativo al delitto di maltrattamenti la Corte di appello di Venezia con sentenza 10 maggio 1984 n. 954 ha confermato la condanna di sette degli otto imputati e ha assolto l’imputato M.D. La condanna per il delitto di maltrattamenti è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione.

In ordine ad altri capi di imputazione, la sentenza del Tribunale è stata parzialmente riformata. La Corte di appello ha inoltre ritenuto di concedere le attenuanti generiche e ha conseguentemente ridotto le pene inflitte agli imputati dal Tribunale di Venezia.

(13) L’articolo 591 del codice penale (Abbandono di persone minori o incapaci), dispone: «Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

«Alla stessa pena soggiace chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.

«La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.

«Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato».

(14) Cfr. Elena Brugnone, “Abbandono di anziani malati cronici non autosufficienti e minacce contro i familiari: profili penali”, Prospettive assistenziali, ottobre-dicembre 1998, n. 124, p. 8.

(20) A norma dell’articolo 122 del codice di procedura penale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce.

(21) In base all’articolo 57 del codice di procedura penale sono ufficiali di polizia giudiziaria: a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità; b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della Guardia di finanza, degli agenti di custodia (ovvero corpo di polizia penitenziaria in base alla legge n. 395 del 1990) e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità; c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato ovvero un comando dell’arma dei carabinieri o della guardia di finanza.

(22) A norma dell’articolo 107, primo comma, delle norme di attuazione del codice di procedura penale «la persona che presenta una denuncia o che propone una querela ha diritto di ottenere attestazione della ricezione dall’autorità davanti alla quale la denuncia o la querela è stata presentata o proposta. L’attestazione può essere apposta in calce alla copia dell’atto».

(23) Cfr. gli articoli 332 (Contenuto della denuncia) e 333 (Denuncia da parte di privati) del codice di procedura penale.

 

 

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