Prospettive assistenziali, n. 132, ottobre-dicembre 2000

 

 

un utile intervento del csa - comitato per la difesa

dei diritti degli assistiti

 

 

Mentre prosegue l’azione del CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti volta a impedire le dimissioni di anziani malati cronici da ospedali e case di cura private convenzionate, continuano gli interventi diretti ad ottenere dalle Asl il pagamento delle rette di loro competenza.

A questo proposito, riferiamo in sintesi la vicenda della signora G.P., il cui fratello A.P., colpito da schizofrenia paranoide e totalmente non autosufficiente, da molti anni era degente presso una casa di cura convenzionata sita in un Comune della Provincia di Torino.

Nel dicembre 1996 la signora G.P. si rivolge al Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, segnalando che la casa di cura ha preteso il versamento di L. 11.977.350 per la retta di degenza dal 25 marzo al 23 luglio 1996.

Pertanto, viene richiesto in data 20 dicembre 1996 all’Asl la restituzione della somma suddetta e il pagamento degli importi derivanti dalla prosecuzione della degenza.

In data 31 dicembre 1996 la casa di cura emette a carico della signora G.P. una seconda fattura di L. 14.685.000 + Iva 19% per la degenza di 89 giorni del fratello; la retta è di 165.000 lire al dì.

In data 25 febbraio 1997 il Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti scrive all’Assessore alla sanità della Regione Piemonte e, per conoscenza, al Difensore civico, per rivendicare il diritto del signor A.P. alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata.

In risposta alla lettera di cui sopra, l’Assessore alla sanità della Regione Piemonte scrive che «la normativa vigente non consente per esigenze di lungo-degenza superiore a 60 giorni la permanenza in Case di cura e tale possibilità è prevista nelle residenze sanitarie assistenziali».

Nella replica del 4 aprile 1997, il Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, dopo aver rilevato l’estrema gravità dell’affermazione sopra riportata dell’Assessore, precisa che «non vi sono leggi che abbiano modificato le norme vigenti in base alle quali il Servizio sanitario nazionale doveva e deve garantire la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata (art. 2 della legge 833/1978)».

Il Csa si rivolge anche al Difensore civico della Regione Piemonte con lettera del 16 maggio 1997, informandolo che «dalla casa di cura (...) dove è ricoverato il signor A.P., fratello della signora G.P., continuano a telefonare pretendendo il pagamento della retta di ricovero».

Al Difensore civico viene, inoltre, richiesto di intervenire per ottenere il pagamento della retta da parte dell’Asl.

Altre lettere al Difensore civico sono state inviate in data 22 febbraio, 4 e 10 aprile, 2 luglio, 10 settembre e 27 novembre 1997.

Un primo risultato positivo delle istanze rivolte all’Asl è raggiunto all’inizio del 1998 (lettera del 3 gennaio) quando il direttore dell’Asl stessa informa il Difensore civico assicurando che:

a) la casa di cura non cercherà più di dimettere il paziente;

b) non chiederà in futuro rimborsi a lui o alla famiglia, se non per l’optional “camera singola”, la differenza di costo della quale compete eventualmente ai degenti (1);

c) le cure del signor A.P. proseguiranno ai livelli qualitativi di sempre;

d) i competenti servizi dell’Asl vigilano e vigileranno in merito alla qualità delle prestazioni fornite dalla casa di cura al signor A.P.

Dopo un periodo in cui non si presentano problemi di sorta, con lettera del 21 aprile 1999, la casa di cura richiede alla signora G.P. il pagamento di ben 124 milioni e 568 mila lire con le seguenti pretestuose affermazioni: «L’intervento sporadico e limitato nel tempo della Asl (...) che ha voluto venirLe incontro, non la autorizza a pensare che la degenza di Suo fratello sia di competenza della suddetta Asl, perché, come già ribadito in precedenza il Servizio sanitario nazionale, non può farsi carico di un ricovero cronico presso la nostra struttura. Vi sono strutture adibite appositamente per i casi come quello di Suo fratello (RSA, Comunità, ecc.). Inoltre è stato valutato più volte da parte medica che il trasferimento di Suo fratello in altra struttura è ininfluente sulla patologia presentata dallo stesso, in quanto non comporterebbe un trauma da sradicamento. Le ricordiamo che la legge ormai in vigore da alcuni anni autorizza le Asl al pagamento della retta solo per quei pazienti che sono suscettibili di cura e diano una garanzia di congrui periodi di remissione della malattia. Gli eventuali pazienti cronici che volessero usufruire della nostra struttura, sono a totale carico della famiglia».

Alla richiesta dei 124 e più milioni, su indicazione del Csa, la signora G.P. risponde nei seguenti termini: «A seguito della lettera inviatami in data 21 aprile 1999 dall’Amministrazione della casa di cura (...), desidero precisare quanto segue:

– in base alle leggi vigenti i parenti di persone malate non hanno alcun obbligo giuridico di provvedere alle cure sanitarie dei loro congiunti, attività che sono di competenza del Servizio sanitario nazionale (cfr. le leggi 692/1955, 132/1968, 833/1978);

– in data 9/2/1998 l’Amministratore della suddetta casa di cura aveva scritto al Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti quanto segue: “L’Asl (...) si è impegnata ad estinguere il debito relativo all’anno 1996 ed a pagare in base ad una delibera una retta-ponte per il 1997; ci siamo lasciati con l’impegno da parte loro di definire entro il mese di marzo, quale sarà l’impegno per il 1998 tuttora scoperto”;

– dopo la lettera suddetta né la sottoscritta, né il Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, hanno ricevuto alcuna comunicazione da parte della casa di cura, fino alla già richiamata nota del 22 u.s., di cui deploro il carattere intimidatorio e le notizie gravemente inesatte.

Ciò premesso, chiedo che la Casa di cura si rivolga all’Asl (...) che è competente per le cure da fornire a mio fratello; nello stesso tempo rivolgo istanza all’Assessore alla sanità della Regione Piemonte, al Direttore generale dell’Asl (...) e al Difensore civico affinché intervengano a tutela dei diritti di mio fratello.

Per quanto riguarda il trasferimento di mio fratello presso altra struttura, confido che ciò non avvenga essendo pienamente soddisfatta del trattamento che riceve attualmente e per il quale corrispondo la somma di L. 30.000 al giorno.

Segnalo, altresì, all’attenzione delle persone a cui la presente è inviata (2) che temo fortemente che il trasferimento di mio fratello presso altre strutture determini un peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche, peggioramento che potrebbe anche avere carattere permanente.

Nel deprecato caso in cui detto trasferimento venisse imposto dall’Asl (...), chiedo di essere interpellata per poter esprimere il mio parere. In ogni caso la struttura individuata dall’Asl (...) dovrebbe essere situata in una località che mi consenta di mantenere i rapporti con mio fratello.

Ai sensi e per gli effetti della legge 241/1990 chiedo una risposta scritta da parte dell’Assessore regionale alla sanità e del Direttore generale dell’Asl (...)».

L’11 giugno 1999 risponde il Direttore generale dell’Asl assicurando che «questa Azienda continuerà ad operare a tutela di ogni diritto del Suo congiunto» e che nei prossimi giorni prenderanno contatto con la signora G.P. e con il fratello al fine di «concordare eventuali variazioni del programma terapeutico, se esse si rendessero necessarie».

Dopo un altro periodo di tregua, la casa di cura privata in data 24 gennaio 2000 richiede alla signora G.P. il versamento di altri 20 milioni per la degenza non essendo stata pagata dall’Asl; pertanto secondo la casa di cura «tale incombenza spetta alla famiglia P., in quanto l’Asl (...) sul cui territorio è insita la nostra casa di cura non è tenuta al pagamento della diaria quando la struttura utilizzata dal paziente non è conforme alla patologia del medesimo».

Alla richiesta suddetta, viene nuovamente risposto che gli oneri concernenti la cura delle persone malate, acute o croniche, guaribili o inguaribili, spetta all’Asl e non ai degenti o ai loro congiunti.

La vicenda finisce con il totale pagamento da parte dell’Asl delle rette richieste dalla casa di cura alla signora G.P. Inoltre, l’Asl in data 26 aprile 2000 comunica alla signora G.P. che è stata accolta la richiesta di rimborso di L. 11.977.350 presentata, come abbiamo scritto in precedenza, in data 20 dicembre 1996.

 

 

 

(1) La signora G.P. ha sempre versato alla casa di cura la somma di lire 30 mila giornaliere per la degenza del fratello in una camera singola.

(2) La lettera è stata inviata oltre che alla Casa di cura anche all’Assessore alla sanità della Regione Piemonte, al Direttore generale dell’Asl e al Difensore civico.

 

 

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