Prospettive assistenziali, n. 131, luglio-settembre 2000

 

Una rivoluzionaria sentenza della Cassazione per la tutela degli interessi di anziani malati e di handicappati

Catello terminiello *

 

 

Affermare che la sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione in data 26 marzo 1999 n. 500, depositata il 22 luglio 1999, è una sentenza importante non è ormai più un giudizio personale, quale avevo avuto modo di annotare in un intervento pubblicato sul primo Quaderno di Prospettive assistenziali “Esperienze concrete del volontariato dei diritti” pochi mesi dopo la pubblicazione della sentenza. Infatti la qualificazione di sentenza “rivoluzionaria” ricorre ormai con frequenza tra i commenti che si succedono nei testi dottrinari.

A solo titolo di esempio basti citare il Duni che su un recente numero della Rivista Amministrativa della Repubblica italiana, titola il suo intervento: “Interessi legittimi, risarcimento del danno e doppia tutela. La Cassazione ha compiuto la rivoluzione”. Sullo stesso numero della citata Rivista, a pag. 749, il Prof. Antonucci definisce “rivoluzionaria” la sentenza perché offre una nuova e più ampia definizione del danno ingiusto, cioè del danno che deriva al cittadino dal comportamento non corretto della pubblica amministrazione anche se non viola diritti perfetti, ed esigibili presso i giudici ordinari, ossia oggi giudici di pace e tribunali, oltre alle corti d’appello, per l’impugnativa delle sentenze di primo grado dei tribunali.

Si riconosce pacificamente che la suddetta sentenza rappresenti una novità di grande rilevanza, in quanto determina un radicale mutamento dell’orientamento della giurisprudenza ed in particolare della stessa Cassazione ormai consolidato da anni sulla irrisarcibilità dell’interesse legittimo, che rappresenta e viene in gioco in quelle situazioni in cui non si ritrova la tutela pacificamente riconosciuta da parte di detti giudici, ma esiste una sfera di discrezionalità da parte dell’Amministrazione rispetto alle richieste del cittadino il quale, fino ad ora, era costretto, nel caso non si sentisse tutelato, a percorrere la strada dispendiosa e di durata notevole dei tribunali amministrativi (TAR e Consiglio di Stato) dove non è neppure possibile usufruire della tutela dei patronati; e spesso senza ottenere effetti soddisfacenti o dovendo poi porre in essere successivi ulteriori procedimenti di ottemperanza, cioè costringere poi l’amministrazione, anche se in torto, a rimediare alle violazioni accertate. In concreto, per esemplificare, se il Comune o altro Ente non forniva ad un disabile una prestazione prevista dai propri regolamenti, il disabile o i suoi tutori non potevano rivolgersi ai giudici ordinari per ottenere giustizia e almeno essere risarciti dei danni subiti.

Afferma la Cassazione stessa nella sentenza 500/1999 che essa ritiene di dover affrontare alla radice il problema riconsiderando la tradizionale interpretazione delle norme vigenti che identificano il danno ingiusto solo con la lesione di un diritto soggettivo perfetto, superando in tal modo la tesi che l’interesse legittimo, quello cioè del disabile, per attenerci all’esempio anzidetto, fosse soltanto un interesse indirettamente o occasionalmente protetto senza la possibilità di una tutela direttamente esigibile nel caso di esercizio legittimo della funzione pubblica che determini diminuzioni o pregiudizi alla sfera patrimoniale del privato: si pensi, nell’esempio suddetto, di una mancata prestazione di cui avrebbe potuto usufruire, in base alle vigenti norme, un soggetto disabile, che ha dovuto sopportare poi la spesa di prestazioni presso privati o anche enti pubblici, al fatto che lo stesso non poteva neppure chiedere il risarcimento di questi danni subiti presso il giudice di pace o il tribunale.

Il nuovo orientamento rappresenta il frutto di una evoluzione significativa sia della dottrina, sia della giurisprudenza ed in particolar modo della normativa anche comunitaria europea, evoluzione che tiene debito conto dell’esigenza di una più completa ed idonea garanzia di giustizia e di tutela dei cittadini, soprattutto se si tiene conto della materia di cui si occupa questa rivista e cioè l’assistenza, sia con riguardo al comparto sociale che a quello sanitario, dove, essendo sempre più sentita l’esigenza di diritti esigibili ma spesso non tutelati in sede legislativa, non può che essere di conforto il fatto che si riconosca almeno, nel nostro ordinamento, pari dignità di tutela – rispetto alle situazioni giuridiche di diritto soggettivo perfetto – alle posizioni di interesse legittimo come quella descritta nell’esempio, con la previsione dell’applicabilità, quantomeno, delle norme sul risarcimento dei danni (vedi l’art. 2043 del codice civile) ogni qualvolta vi sia la lesione del bene della vita, a cui si collega ed è sottesa, una determinata posizione di interesse legittimo, situazione particolarmente ricorrente nel campo assistenziale ed ora purtroppo sempre di più anche nel campo sanitario.

L’affermazione in base alla quale «la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo (...) rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana» (ossia della responsabilità extracontrattuale) così chiamata dalla «lex aquilia de damno» che regolava la materia nel diritto romano, viene a cancellare oltre cento anni di orientamento giurisprudenziale contrario.

L’estensore della sentenza ha evidenziato il ruolo importante che ha giocato in proposito l’ordinamento comunitario europeo, soffermandosi in particolare su una c.d. “direttiva ricorsi” di quell’ordinamento. Si rileva infatti incidentalmente: «il diritto comunitario non conosce la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi», con assenza di distinzione tra norme di azione (cioè quelle che in sostanza riguardano gli interessi legittimi ossia in pratica, ad esempio, gran parte delle prestazioni assistenziali) e norme di relazione (quelle che riguardavano i diritti soggettivi) che li contraddistinguevano.

Prima di tale innovazione indotta dalla sentenza della Cassazione, un danno anche solo colposo prodotto dal comportamento della Pubblica Amministrazione era considerato «ingiusto solo se prodotto non iure o contra ius», ossia violando un diritto perfetto espressamente previsto in una norma di legge, limitando quindi l’area della tutela risarcitoria alle lesioni sofferte da tali diritti soggettivi perfetti e non estendendola, per restare al nostro esempio, anche alle mancate prestazioni in materia di assistenza, compreso il comparto sanitario (si pensi per esempio all’esigenza di ottenere il rimborso di spese farmacologiche sostenute per patologie gravi mediante medicinali non previsti dal prontuario terapeutico e cioè senza una espressa norma che contempli un diritto perfetto alla prestazione).

La Suprema Corte sembra abbia voluto sottolineare che non è più tempo di rimanere monoliticamente arroccati su posizioni conservatrici, identificabili nella convinzione, particolarmente esiziale nel campo dell’assistenza ai cittadini bisognosi, che la Pubblica Amministrazione sia in una posizione privilegiata di preminenza rispetto ai cittadini stessi, senza possibilità degli stessi di sindacare il suo operato scorretto ed ottenere il risarcimento di danni patiti.

Uno degli effetti più rilevanti che discende dalla innovativa pronuncia è quello della possibilità di rivolgersi al giudice ordinario per chiedere ed ottenere la condanna al risarcimento del danno derivante da comportamento lesivo della Pubblica Amministrazione senza la c.d. pregiudizialità del giudizio di annullamento degli atti da parte degli organi di giustizia amministrativa, ossia, come si diceva di sopra, senza dover prima andare al TAR con procedura dispendiosa e poi anche, se necessario, al Consiglio di Stato in seconda istanza o appello e poi dai giudici ordinari; ma più semplicemente sulla sola base della valutazione del danno ingiusto, da parte del giudice ordinario stesso (fino a cinque milioni dal giudice di pace e per cifre modeste entro il milione, senza neppure dover servirsi di avvocati), in caso di danno che sia stato causato dal comportamento non corretto del potere pubblico, ossia in violazione di norme e regolamenti e non solo di leggi in senso stretto che prevedano diritti soggettivi perfetti.

Occorre comunque precisare che la Cassazione individua i casi di risarcibilità in quelli in cui vi siano determinati presupposti e cioè, in sintesi, quando, a causa di un atto della Pubblica Amministrazione nello svolgimento della funzione pubblica nell’esercizio della attività discrezionale, comportamento sia attivo (con emanazione di provvedimenti lesivi), sia passivo (omettendo provvedimenti dovuti), ed anche soltanto colposo, cioè anche solo per negligenza o imperizia e senza espressa volontà di arrecare danno al cittadino (purché il comportamento sia stato tenuto con consapevolezza così da sapere che non si sarebbe realizzato il legittimo interesse del cittadino stesso), si sia verificata, ovviamente con un nesso di causalità tra evento e condotta della Pubblica Amministrazione, una lesione del bene della vita del cittadino stesso a cui è ricollegabile una determinata posizione di interesse legittimo; lesione che deve determinare un danno valutabile in termini patrimoniali e non di semplice indennizzo dal giudice ordinario con l’applicazione dei medesimi criteri che il Codice civile indica per valutare la lesione di situazioni giuridiche di diritto soggettivo perfetto.

Tenendo conto anche del fatto che la dottrina ha rilevato che l’art. 28 della Costituzione (che prevede che i dipendenti pubblici rispondono direttamente degli atti compiuti in violazione dei diritti con responsabilità estesa all’Amministrazione) ha sostanzialmente introdotto la possibilità di esperire un’azione anche personalmente contro il funzionario che ha posto in essere comportamenti dannosi e illeciti accanto all’ordinaria azione di responsabilità contro l’ente pubblico, si desume quale possa essere la portata innovativa della nuova giurisprudenza cassazionistica e si attende ora che il legislatore intervenga prontamente ed efficacemente, prevedendo anche precise norme che garantiscano il risarcimento dei danni da lesioni di interessi legittimi e disciplinando adeguati mezzi di tutela, al fine di rispondere in maniera effettiva alle esigenze di giustizia dei cittadini.

La recentissima modifica della stessa disciplina costituzionale sulla giurisdizione e la giustizia non fa che accentuare tale aspetto positivo.

Dette esigenze sotto questo profilo della tutela erano state in passato perorate in particolare da questa rivista “Prospettive assistenziali”, pubblicando e auspicando a suo tempo (vedi il numero 120 dell’ottobre-dicembre 1997) l’approvazione del progetto di legge n. 3666, che, come si legge nella relazione, si proponeva esplicitamente di elevare «l’assistenza sociale dal rango inferiore dell’interesse legittimo, totalmente rimesso alle valutazioni discrezionali ed agli interventi sporadici della pubblica amministrazione, al rango superiore del diritto soggettivo». Nell’art. 3 di quella proposta, non accolta dal legislatore, era prevista in modo specifico e in oggi si può proprio dire anticipatore, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie tra destinatari delle prestazioni ed enti pubblici inerenti all’assistenza sociale, allo scopo di evitare ai cittadini interessati procedure lunghe e costose delle cause davanti agli organi di giustizia amministrativa e di affermare pari dignità di tutela giurisdizionale agli interessi dei cittadini in materia di assistenza sociale.

La Cassazione ha ora preceduto il legislatore con questa innovativa rivoluzione che non può non essere salutata da questa rivista come una sua, sia pur parziale, vittoriosa battaglia.

 

 

 

(*) Giudice Onorario Aggregato presso il Tribunale civile di Genova.

 

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