Prospettive assistenziali, n. 131, luglio-settembre 2000

 

PRIME VALUTAZIONI SULL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE 68/1999 concernente IL COLLOCAMENTO AL LAVORO DELLE PERSONE con handicap

Maria grazia breda

 

 

Nell’articolo “Aspetti positivi, negativi e problematici della nuova legge sul collocamento al lavoro delle persone con handicap”, pubblicato sul n. 126, aprile-giugno 1999 di Prospettive assistenziali, abbiamo segnalato la necessità di porre una particolare attenzione ai numerosi provvedimenti attuativi, rinviati dalla legge 12 marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” a successivi atti del Governo e delle Regioni. Inoltre abbiamo indicato una serie di appuntamenti da non perdere e le iniziative da assumere, perché la riforma del collocamento al lavoro recepisca realmente le novità contenute nella legge 68/1999. Anche se non si è ancora in presenza di un quadro normativo definitivo (ad esempio siamo in attesa – tra gli altri - del decreto relativo agli esoneri concessi ad aziende ed enti), è già possibile oggi una prima valutazione dell’attuazione della legge.

Come vedremo in seguito, i provvedimenti nazionali sono ancora generici; inoltre essi non hanno voluto riconoscere l’esistenza di persone handicappate che, a causa della minorazione, hanno subito limitazioni tali da ridurre la loro produttività, pur mantenendo comunque una resa produttiva certa e proficua per l’impresa. Tale fatto, purtroppo, favorisce le imprese che approfittano della genericità lasciata dalle norme per inserire al lavoro solo persone handicappate pienamente abili, perché in possesso di minorazioni che non intaccano la loro autonomia lavorativa. Pertanto, a nostro avviso, il diritto al posto di lavoro per le persone handicappate con una riduzione della capacità lavorativa continua ad essere a rischio; si dovrà quindi intervenire nei confronti di Regioni e Province per ottenere i necessari correttivi.

La preoccupazione principale che ci accompagna da sempre è, infatti, quella di riuscire a difendere adeguatamente il diritto al lavoro, nelle normali aziende pubbliche e private, di quanti – pur con una limitata autonomia – sono comunque in grado di assicurare una resa produttiva certa, continua e, dunque, proficua per l’azienda, anche se ridotta rispetto agli altri colleghi.

Non dimentichiamo la spada di Damocle, che continua a pendere su questi soggetti, rappresentata dall’art. 12 della legge 68/1999. Ricordiamo che la persona handicappata ritenuta dall’azienda non ancora idonea alle mansioni svolte dall’impresa, anche se assunta dalla stessa, viene inviata per un periodo di tirocinio in una cooperativa sociale. Non viene previsto nell’articolo citato la modalità per il suo rientro in azienda al termine del periodo di tirocinio, indicato in dodici mesi, rinnovabili per una sola volta, ma procastinabile anche all’infinito a discrezione del Comitato tecnico dei Centri per l’impiego.

Abbiamo denunciato fin dal primo apparire di questa ipotesi (1), la suddetta ampia e ingiustificata discrezionalità concessa al Comitato tecnico dei Centri per l’impiego provinciali. Speravamo in soluzioni alternative. Invece la circolare n. 4/2000 del Ministero del lavoro, come vedremo più avanti, conferma – purtroppo – i nostri timori.

Inoltre, la concomitanza della riforma del collocamento ordinario con le importanti competenze assegnate alle Province, ha avuto come conseguenza un ritardo di quest’ultime nell’organizzazione dei servizi per l’impiego per la parte attinente il collocamento mirato delle persone handicappate e, in particolare, di quei soggetti che necessitano anche di supporti specifici (adeguamento del posto di lavoro, ricerca della mansione idonea, ecc.). L’impreparazione degli uffici provinciali, che non sono stati in grado di poter assicurare immediatamente l’avvio delle persone handicappate alle aziende scoperte, ha scatenato una ricerca sfrenata da parte di quest’ultime di handicappati “pienamente abili”. Grazie alla facoltà della chiamata nominativa (ampiamente prevista dalla legge 68/1999), le imprese – soprattutto quelle con oltre 150 dipendenti – hanno cercato di assicurarsi la copertura delle quote stabilite dalla legge, in anticipo sugli invii da parte degli uffici preposti, per evitare di doversi addossare l’assunzione di persone handicappate con una ridotta capacità lavorativa.

Inoltre, appare in tutta la sua evidenza che non sono affatto trascurabili le problematiche relative al personale, sia in termini di quantità, che di qualità. Ricordiamo che una consistente fetta dei funzionari che organizzano i nuovi Centri per l’impiego, proviene dai superati uffici del vecchio collocamento provinciale. Si tratta di figure che, proprio per le caratteristiche della precedente legge 482/1968, non hanno maturato una cultura del collocamento mirato, in quanto la normativa precedente verteva sull’imposizione della persona handicappata all’azienda, anche se incompatibile con le mansioni richieste. Al contrario, il collocamento mirato si fonda su ragioni opposte e cioè sull’incontro tra le esigenze della persona handicappata da collocare e quelle delle mansioni che dovrà svolgere all’interno dell’azienda.

Di fatto siamo in presenza di personale abituato a svolgere un lavoro principalmente burocratico, con poca o nulla dimestichezza alle relazioni interaziendali, che dovrà quindi riqualificarsi e riconvertirsi alla filosofia del collocamento mirato, in sintesi conosciuta con il motto “la persona giusta al posto giusto”. Sarà forzatamente una riqualificazione sul campo, perché dovrà al più presto entrare in
relazione, oltre che con le imprese, anche con la rete dei servizi del territorio – almeno laddove esistono – perché senza il loro supporto dove sono collocate le aziende e le persone handicappate da avviare al lavoro, non è possibile realizzare il collocamento mirato. Si deve fare i conti, però, anche con la mancanza numerica di personale, in misura adeguata al fabbisogno, per l’individuazione delle scoperture delle aziende e l’accertamento delle capacità delle persone handicappate da collocare in modo mirato e che, di conseguenza, devono essere tutte rivalutate alla luce delle nuove disposizioni di legge.

Inoltre, vi sono ritardi da parte delle Regioni, ad esempio per l’istituzione del fondo regionale disabili e per la nomina delle figure che fanno parte dei Comitati tecnici; vi sono, altresì, zone totalmente prive di personale con esperienza di inserimento lavorativo mirato. Ne consegue che, le Province dovranno al più presto stipulare accordi di programma con i Comuni (anche se ad essi la legge 68/1999 non ha attribuito compiti specifici), perché senza il loro apporto è impensabile mettere in moto la macchina del collocamento mirato.

D’altronde, in base all’art. 4, comma 2 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 “Conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59” le Province sono chiamate a stabilire adeguati raccordi con gli altri enti locali, prevedendo la partecipazione degli stessi alla individuazione degli obiettivi e all’organizzazione dei servizi connessi ai compiti relativi all’inserimento lavorativo, compreso il collocamento obbligatorio dei disabili.

 

Nostra proposta di accordo di programma tra la provincia di … e i Comuni di appartenenza territoriale del Centro per l’impiego di …

Al fine di promuovere il diritto al lavoro delle persone handicappate, così come stabilito dalla legge 68/1999, proponiamo la seguenti ipotesi di accordo.

 

Premessa

Il diritto-dovere al lavoro è inserito nella Costituzione italiana tra i principi fondamentali. Infatti l’articolo 4, dopo aver affermato che tutti i cittadini hanno diritto a un lavoro, impegna gli organi della Repubblica a rendere effettivo questo diritto.

Se è indiscussa la centralità del lavoro per il benessere della persona, a maggior ragione il lavoro diventa lo strumento essenziale per la promozione e l’integrazione nella società delle persone handicappate in grado di svolgere attività lavorative.

È fondamentale quindi offrire uno sbocco lavorativo ai suddetti soggetti giunti al termine del percorso di studio, di formazione professionale o prelavorativa. La disoccupazione in questi casi è doppiamente dolorosa, in quanto è molto alto il rischio che essi rientrino in circuiti assistenziali, che isolano dalla vita sociale.

Sono centinaia le assunzioni di handicappati realizzate grazie alla sensibilità di amministratori, sindacalisti e operatori, che hanno saputo e voluto superare i limiti della precedente legislazione e attuare la metodologia del collocamento “mirato”, recepita dalla nuova legge 68/1999 sul collocamento al lavoro dei disabili, che permette per la stragrande maggioranza degli handicappati in attesa di lavoro di dimostrare la loro piena capacità lavorativa, se collocati in posti di lavoro idonei.

Non sono mancati in questi vent’anni molteplici assunzioni anche di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, con una capacità lavorativa ridotta, ma in grado di assicurare comunque una resa produttiva certa e proficua all’impresa.

Sicuramente esistono persone handicappate con una capacità lavorativa nulla che non possono essere avviate al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche che limitano materialmente la loro autonomia. Sono individui che non sono in grado, quindi, di svolgere alcun lavoro proficuo; ad essi vanno quindi garantiti servizi assistenziali, in primo luogo quelli diurni. Ciò premesso:

– preso atto delle competenze attribuite alla Provincia dalla legge 68/1999 in materia di collocamento al lavoro dei disabili;

– tenuto conto dell’obbligo per la Provincia di realiz­-zare i servizi indispensabili per attuare il collocamento mirato;

– considerato l’interesse particolare dei Comuni a collocare al lavoro persone disabili con capacità lavorativa piena o ridotta, che altrimenti ricadrebbero sul bilancio passivo del comparto assistenziale, anche per tutta la vita;

– considerata la necessità di predisporre specifici programmi di inserimento per l’avviamento di soggetti disabili con limitata autonomia fisica e di handicappati intellettivi;

si ravvisa l’interesse a sottoscrivere il presente accordo di programma tra la Provincia di … e i Comuni Capofila degli Enti locali afferenti ai Centri per l’impiego …, nelle persone dei responsabili delle politiche per il lavoro e dei servizi sociali. Per quanto sopra

 

I COMUNI CAPOFILA DEI COMUNI AFFERENTI

AL CENTRO PER L’IMPIEGO

SI IMPEGNANO

 

1. alla costituzione del SIL, Servizio di inserimento lavorativo di cui all’art. 6 della legge 68/1999, formato da operatori che abbiano maturato preferibilmente una esperienza nel settore, anche  avvalendosi di conven­zioni con i consorzi socio-assistenziali o con centri di formazione professionale. Il SIL è parte integrante del Centro per l’impiego da cui dipende e svolge le seguenti funzioni:

messa a punto di progetti di formazione professionale e prelavorativa per favorire la preparazione al lavoro di soggetti handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia;

analisi delle aziende del territorio soggette alla legge 68/1999 con verifica delle disponibilità dei posti e predisposizione di programmi di assunzioni con le aziende che usufruiscono di particolari finanziamenti (ad esempio “Patti territoriali”) o si avvantaggiano di iniziative promozionali attivate dai Comuni stessi (infrastrutture, fiere, iniziative turistiche-alberghiere, ecc.) o da leggi regionali (incentivi per nuove imprese commerciali, agevolazioni per i piccoli artigiani, ecc.);

individuazione delle scoperture presso gli Enti pubblici (Comuni, ASL, aziende municipalizzate, enti pubblici, ecc.) per l’avvio di programmi di inserimento finalizzati all’assunzione;

promozione dell’assunzione di una quota di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia da parte delle cooperative sociali e delle altre imprese profit alle quali i Comuni appaltano servizi;

stanziamento di un numero congruo di borse lavoro a integrazione del fondo regionale disabili, da calcolarsi annualmente tenuto conto degli iscritti in attesa di lavoro con particolare riguardo alle iniziative indispensabili per favorire il collocamento di handicappati con ridotta capacità lavorativa;

­ garanzia di quote di assunzioni di handicappati nell’ambito di iniziative promosse per i disoccupati (cantieri di lavoro, progetto formazione, part-time, apprendistato);

collaborazione alla presentazione di progetti all’Unione europea finalizzati all’assunzione di handicappati, soprattutto dei soggetti con limitata auto­nomia;

segnalazione ai servizi assistenziali dei soggetti che, a seguito di attenta valutazione, risultano non avviabili al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni fisiche e/o intellettive.

 

A SUA VOLTA LA PROVINCIA DI ... SI IMPEGNA A:

 

1. garantire il collocamento al lavoro tramite i propri uffici, di una quota di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia, nella misura non inferiore al 25 per cento degli iscritti al Centro per l’impiego;

2. attivare le necessarie convenzioni con i Comuni (o i loro Consorzi) e/o con i Centri di formazione professionale o con altri enti in grado di fornire il personale necessario al funzionamento del Centro per l’impiego e ad integrazione del personale dei SIL dei Comuni in modo da assicurare gli operatori occorrenti per l’attuazione del collocamento mirato;

3. usufruire in primo luogo, per le chiamate nominative da effettuarsi tramite la convenzione di cui all’articolo 11 della legge 68/1999, degli aventi diritto segnalati dai SIL dei Comuni al Comitato tecnico del centro per l’impiego, che hanno la titolarità nell’applicazione degli strumenti di mediazione messi a disposizione dai Comuni tramite il presente accordo;

4. sollecitare la Regione alla realizzazione dei percorsi formativi indicati dai SIL e dai Comuni come indispensabili per la promozione dell’occupazione delle persone handicappate, con particolare riguardo ai corsi prelavorativi e di avvio al lavoro per gli handicappati intellettivi;

5. inserire nei Patti territoriali (e in ogni altra iniziativa promossa per creare nuova occupazione) condizioni favorevoli al collocamento delle persone handicappate, con particolare riferimento agli handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia;

6. predisporre un gruppo di lavoro a sostegno dei Comuni per la presentazione delle richieste di fondi all’Unione europea;

7. istituire una commissione di valutazione e verifica delle convenzioni attivate dai Comitati tecnici dei Centri per l’impiego;

8. prevedere momenti (almeno tre) annuali di consultazione con le forze sociali del territorio in cui è situato il Centro per l’impiego (organizzazioni sindacali, associazioni di tutela, ecc.), non rappresentati dagli organi previsti dalla legge 68/1999 per fornire una informazione costante della situazione relativa al collocamento al lavoro degli handicappati, con particolare riguardo a quelli intellettivi e fisici con limitata autonomia.

 

Il decreto 22 novembre 1999

Il decreto 22 novembre 1999 “Disciplina della trasmissione dei prospetti informativi dei datori di lavoro soggetti alla disciplina in materia di assunzioni obbligatorie di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68”, emanato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, si richiama a quanto previsto dall’articolo 9, comma 6, della legge 12 marzo 1999, n. 68. Il succitato articolo “impone ai datori di lavoro pubblici e privati di inviare agli uffici competenti un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva in favore dei lavoratori beneficiari della disciplina in materia di assunzioni obbligatorie, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili”.

Limitatamente all’anno 2000, il termine per l’invio dei prospetti informativi è stato differito al 31 marzo, per permettere alle Province di attrezzare i propri uffici. Pertanto, a partire dal 1° aprile 2000 gli uffici competenti avrebbero dovuto inviare alle aziende – tenendo conto delle professionalità richieste – le persone handicappate in misura delle scoperture denunciate. In pratica, però, ci si è scontrati con la realtà dei Centri per l’impiego, ancora in via di definizione sia per la sistemazione delle sedi che per l’assegnazione del personale agli uffici preposti per il collocamento al lavoro degli handicappati. È ovvio che, per poter realizzare la saldatura tra domanda e offerta di lavoro e procedere quindi al collocamento mirato, è indispensabile non solo avere l’elenco dei soggetti iscritti al collocamento, ma conoscere il loro profilo professionale e lavorativo, senza il quale non è pensabile procedere ad alcun abbinamento valido.

Vi è quindi l’esigenza di avere il tempo necessario per approfondire le caratteristiche quantitative e qualitative delle persone handicappate iscritte alle liste del collocamento obbligatorio e le situazioni presenti nelle aziende non solo per quanto riguarda le scoperture, ma anche per quanto riguarda i ruoli e le mansioni da coprire.

Si giunge al paradosso per cui non si impongono sanzioni nei confronti delle aziende inadempienti, perché il mancato avvio al lavoro delle persone handicappate è causato dal ritardo operativo degli uffici preposti al collocamento.

 

La circolare 17 gennaio 2000, n. 4

La circolare 17 gennaio 2000, n. 4 “Disciplina generale del collocamento obbligatorio”, emanata dal Ministro del lavoro Cesare Salvi, ha per oggetto le iniziali indicazioni per l’attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 per gli assessori regionali e
provinciali al lavoro. La circolare  pone, come vedremo, non pochi ulteriori freni all’attuazione della legge. L’aspetto tuttavia che maggiormente colpisce è la preoccupazione del Ministro del lavoro nei confronti delle imprese, a discapito dei lavoratori handicappati. Lapidario e veritiero è al riguardo il titolo “Fatta la legge, trovata la circolare” dell’articolo pubblicato sul n. 7, 15 aprile 2000, di H.Press.

Preso atto che si è “in attesa della definizione dei provvedimenti normativi di attuazione” (…), “attesa la non contemporaneità nella predisposizione degli assetti operativi da parte di tutte le strutture, regionali e provinciali, preposte al collocamento a seguito del decentramento amministrativo dei servizi per l’impiego”(…), la circolare si pone l’obiettivo di offrire criteri omogenei sia sotto il profilo pratico che sul piano interpretativo sui seguenti punti: platea dei destinatari, base di computo, quota di riserva, datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, invalidi del lavoro e invalidi per servizio, sospensione temporanea degli obblighi, compensazioni territoriali, esoneri parziali, gradualità delle assunzioni, graduatorie e avviamento, chiamata numerica e nominativa, obbligo di certificazione, assunzioni da parte di datori di lavoro pubblici, convenzioni e accesso agli incentivi, convenzioni con cooperative sociali e disabili liberi professionisti, disposizioni transitorie relative alla validità di convenzioni e autorizzazioni, disposizioni per il computo dei soggetti già assunti in base alla normativa precedentemente in vigore, norme transitorie generali.

Gli aspetti principali sono i seguenti:

1. Per quanto riguarda le modalità di calcolo della base di computo, la circolare precisa che “per i datori di lavoro che svolgono attività stagionale, sono esclusi (…) i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa, nell’arco dell’anno solare, anche se non continuativamente, per un periodo complessivo di nove mesi”. Da rilevare che la precisazione “anche se non continuativamente” non è presente nell’art. 4, comma 1 della legge 68/1999. Si tratta pertanto di una forzatura del Ministro del lavoro. Gli effetti occupazionali sono pesanti, perché nel settore turistico-alberghiero (uno degli ambiti principalmente interessati da questa disposizione) la stragrande maggioranza delle assunzioni è caratterizzata per l’appunto da attività stagionale che si conclude nei nove mesi.

2. Riguardo all’assunzione obbligatoria di un lavoratore per i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti il Ministro del lavoro “suggerisce un ingresso non traumatico dei nuovi obbligati” (…); “pertanto, si ritiene che, anche in presenza di una nuova assunzione, l’inserimento del lavoratore disabile possa essere differito in un arco temporale che, in questa sede, sembrerebbe congruo individuare in un periodo di dodici mesi, decorrenti dalla data della predetta nuova assunzione”. Il Ministro aggiunge che non sono da considerarsi nuove assunzioni quelle effettuate per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, per la durata dell’assenza e quelle dei lavoratori che sono cessati dal servizio qualora siano sostituiti entro sessanta giorni dalla predetta cessazione, nonché le assunzioni effettuate ai sensi della legge n. 68”.

Diventa, così, difficile per le piccole aziende realizzare le assunzioni delle persone handicappate: il Ministro dimentica (o vuole dimenticare) che l’azienda ha la facoltà della chiamata nominativa e potrebbe anche “scegliere” persone handicappate, ma in grado di raggiungere una piena capacità lavorativa, grazie al collocamento mirato, introdotto dalla legge 68/1999. La visione che permane è dunque quella dell’handicappato come peso, sempre e comunque, senza tenere in alcuna considerazione la realtà oggettiva, che vede migliaia di handicappati occupare posizioni lavorative e sociali anche di prestigio.

3. In merito alle graduatorie e ai relativi avviamenti condividiamo la scelta di dichiarare valide le esistenti graduatorie “fino alla piena operatività del nuovo assetto che sarà predisposto dalle Regioni, per evitare ogni interruzione di servizio (…) senza la precedente distinzione per categorie, in aderenza a quanto previsto dalla legge”. Osserviamo però che nulla viene detto dalla circolare in merito ai tempi previsti (che potrebbero essere anche infiniti) per la messa a punto del nuovo assetto. Il tutto viene rinviato agli atti successivi delle Regioni, ampiamente in ritardo anche per quanto riguarda l’attuazione del collocamento ordinario e quindi ancora più per quanto concerne il rispetto delle norme della legge 68/1999. Inoltre, riteniamo molto grave che nulla sia stato precisato nella circolare circa la necessità che gli organi competenti si colleghino obbligatoriamente con i servizi del territorio, che hanno già esperienza di inserimento lavorativo per procedere all’avviamento delle persone handicappate secondo la metodologia del collocamento mirato.

4. Circa la chiamata numerica e nominativa il parere del Ministro è decisamente orientato a favore dei datori di lavoro. In primo luogo precisa che con riferimento alla ripartizione delle assunzioni con chiamata numerica e nominativa, secondo quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, della legge n. 68, “tale ripartizione si calcola avendo riguardo alle assunzioni ancora da effettuare ai fini dell’adempimento dell’obbligo. Tuttavia, per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori disabili almeno pari alla percentuale di assunzioni da effettuarsi con chiamata numerica, sembra corretto stabilire che le residue assunzioni obbligatorie siano effettuate con chiamata nominativa”. Constatiamo amaramente che con un colpo di spugna si cancellano tutte le scoperture maturate in precedenza, mentre si pone a pari livello sia l’azienda che ha assolto agli obblighi della precedente legge 482/1968 (15 per cento di aliquota obbligatoria) e quella che, al contrario, approfittando dell’esiguità delle sanzioni precedenti presentava al momento dell’entrata in vigore della legge 68/1999 alte percentuali di scopertura. La circolare riduce contemporaneamente il numero degli aventi diritto, impedisce agli organi competenti l’inserimento al lavoro delle persone disabili con difficoltà maggiori, esclude la procedura dell’avvio numerico. Come se ciò non bastasse, la circolare afferma che “con riferimento alla disposizione che prevede la possibilità di effettuare tutti gli avviamenti con chiamata nominativa, oltre che per i partiti politici e le organizzazioni sindacali e sociali, per gli enti locali da questi promossi, tale terminologia intende senz’altro ricomprendere gli enti che recano nella denominazione la sigla del partito politico, dell’organizzazione sindacale o sociale che li promuove; in assenza di tale requisito, devono ritenersi parimenti inclusi in tale categoria gli enti nel cui statuto i predetti organismi risultano tra i soci fondatori o tra i soggetti promotori”. Anche in questo caso riteniamo che l’interpretazione data dal Ministro del lavoro costituisca un grave abuso, in quanto nella legge la norma è chiarissima e non richiede pertanto interpretazioni, tanto meno quelle che danneggiano ulteriormente la persona handicappata (2). Ancora una volta, si evince che il Ministro del lavoro non ha affatto una cultura valida dell’handicap, non conosce i passi enormi fatti in questi ultimi anni per dare dignità attraverso al lavoro a migliaia di persone handicappate, comprese quelle che hanno una riduzione della capacità lavorativa. La sua è una concezione di difesa degli interessi illegittimi dei datori di lavoro pubblici e privati. Ricordiamo  al Ministro che, in base all’art. 4 della Costituzione, lo Stato ha il dovere di assicurare il diritto al lavoro e di rimuovere gli ostacoli che eventualmente impediscono al cittadino di esercitare tale diritto.

5. L’obbligo della certificazione comprovante l’assunzione di soggetti con handicap per i datori di lavoro che intendono partecipare a bandi per appalti pubblici o stipulare contratti con le pubbliche amministrazioni, imposto dalla legge 68/1999, viene annacquato dalla circolare. Infatti, il Ministro afferma che “il datore di lavoro che manifesti concretamente, ponendo in essere gli adempimenti predetti, la volontà di assumere lavoratori disabili, ben possa considerarsi in regola rispetto alla disciplina in materia di assunzioni obbligatorie”. Peccato che non venga fatto cenno in merito all’obbligo dell’ente pubblico appaltante di certificare che l’avviamento sia stato di fatto realizzato, almeno da chi vince l’appalto o stipula il contratto.

6. Per le assunzioni da parte dei datori pubblici di lavoro, la circolare ribadisce che “in conformità con quanto previsto dall’articolo 36 del decreto legislativo n. 29 del 1993, modificato dall’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998, che i datori di lavoro pubblici assolvono l’obbligo di assunzione dei soggetti disabili nonché di quelli di cui all’articolo 18, comma 2, della legge n. 68 mediante procedure selettive concorsuali e, per le qualifiche e i profili per cui è richiesto il requisito della scuola dell’obbligo, mediante l’avviamento a selezione ai sensi della normativa vigente. Conseguentemente, la possibilità di effettuare assunzioni con chiamata nominativa è limitata al caso in cui si stipuli una convenzione”. Anche gli enti pubblici possono scegliere nominativamente: viene da chiedersi se sia sperabile che, per dare il buon esempio alle aziende private, chiameranno le persone più difficilmente collocabili come gli handicappati fisici con limitata autonomia e gli handicappati intellettivi, nonché le persone con problemi psichici.

7. Sul tema delle convenzioni e dell’accesso agli incentivi la circolare anticipa che è intenzione dell’Amministrazione centrale “provvedere, in tempi assai brevi, alla predisposizione di apposite convenzioni-quadro di livello nazionale, sulle quali si attiveranno momenti di confronto con le parti interessate”. Ricordiamo che è solo attraverso la stipula di convenzioni (art. 11 della legge 68/1999), che si ha accesso anche alle agevolazioni di cui all’art. 13 della stessa legge, con i criteri definiti dal regolamento che disciplina il Fondo nazionale disabili, di cui parleremo più avanti. Orbene, nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge 68/1999, l’argomento convenzioni aveva sollevato molti problemi. In primo luogo si è osservato che, in considerazione dei numerosi vantaggi offerti all’impresa (3) (non solo gli incentivi di cui all’art. 13), era ovviamente opportuno che:

a) le disposizioni della convenzione fossero assunte di volta in volta in riferimento alle situazioni specifiche di ogni singolo soggetto;

b) la convezione venisse autorizzata solo in caso di comprovata riduzione della capacità lavorativa dei soggetti e per favorire il collocamento mirato (ad esempio con l’eliminazione di barriere architettoniche o con la fornitura di particolari ausili a persone con handicap fisici e sensoriali che potevano così raggiungere anche la piena capacità lavorativa).

La proposta del Ministro del lavoro di estenderle a casi del tutto generici (convenzioni generali) preoccupa non poco; abbiamo ben presente il verbale d’intesa firmato il 26 giugno 1996 dal Ministero del lavoro, dalle Organizzazioni sindacali dei metalmeccanici e dalla FIAT Auto alla quale è stata concessa una dilazione molto ampia dei termini per completare le assunzioni riferite alla quota dovuta per legge; inoltre è stato consentito all’azienda di assumere nominativamente persone handicappate con basse percentuali di invalidità, senza alcun riferimento alla capacità lavorativa, che poteva essere anche totale.

D’altra parte, siamo altresì consapevoli dell’enorme discrezionalità che la legge 68/1999 ha lasciato al Comitato tecnico dei Centri per l’impiego. Pertanto, è nostra convinzione che sia opportuno individuare criteri validi ai quali dovrebbero attenersi i Comitati tecnici per la stipula di convenzioni; riteniamo che essi debbano essere definiti dalle singole Province, tenuto conto della realtà produttiva locale, previo confronto con le associazioni di tutela delle categorie interessate e non solo con le organizzazioni sindacali, che finora non hanno difeso, come avrebbero dovuto, il diritto al lavoro delle persone handicappate con maggiori difficoltà. Al riguardo si fa presente che il CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base e il Gruppo dei Genitori per il diritto al lavoro dei figli handicappati intellettivi hanno fatto presente alla Provincia di Torino che le convenzioni quadro o per categoria dovevano attenersi ai seguenti principi:

– incentivazione del collocamento al lavoro delle persone con oggettiva e comprovata riduzione della capacità lavorativa;

– definizione da parte della Provincia di Torino di una quota di avviamenti minimi annuali di questi soggetti, calcolata sulla base degli iscritti al collocamento e/o segnalati dai SIL, Servizi per l’inserimento lavorativo del territorio;

– utilizzazione delle risorse del Fondo regionale disabili, come indicato dal decreto n. 91 del 13 gennaio 2000 “Regolamento recante norme per il funzionamento del Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili” e, quindi, prioritariamente per la sopracitata categoria di soggetti;

– dilazione massima di 24 mesi, in via eccezionale, nei confronti delle medie e grandi imprese, al fine di superare i problemi contingenti determinati dall’invio contemporaneo di un numero elevato di handicappati (comunque non inferiore a 5 soggetti inseriti). La dilazione dovrebbe essere proporzionata al periodo di scopertura dell’impresa e tenere conto delle seguenti condizioni: assunzione a tempo indeterminato di tutti gli aventi diritto; inserimento immediato in azienda di almeno il 50 per cento dei soggetti con totale o media capacità lavorativa, per i quali non sono necessari interventi di sostegno particolare se non in misura minima; predisposizione graduale dell’inserimento dei soggetti con capacità lavorativa limitata (nella misura di almeno il 25 per cento della percentuale d’obbligo) tramite percorsi di tirocinio formativo, con presa in carico da parte del SIL.

8. In merito alle convenzioni con le cooperative sociali e i disabili liberi professionisti, la circolare si pone per la prima volta il problema della tutela del disabile e ritiene utile richiamare l’attenzione sulla necessità di individuare “i requisiti che offrono garanzia di serietà della cooperativa o del professionista disabile presso cui si effettua il distacco”. Inoltre concede la possibilità di prolungare la permanenza del disabile impiegato in cooperativa oltre i 24 mesi, tempo di durata massima fissata dalla legge 68/1999. A questo punto il Ministro del lavoro ha scoperto le carte e conferma – purtroppo – il timore da noi paventato sin dalla prima formulazione di questa ipotesi di utilizzo della cooperazione sociale (4). Stante questa situazione, occorrerà insistere – e vigilare – perché almeno sia realmente seguito il percorso formativo indicato nell’ultimo paragrafo dell’art. 12 della legge 68/1999 (che la circolare ha almeno il pudore di ricordare) e cioè che “a garanzia del proseguimento dell’obiettivo dell’inserimento mirato si ravvisa inoltre l’opportunità che il percorso formativo del disabile sia disegnato e svolto tenuto conto delle professionalità da questi già possedute e soprattutto in funzione delle mansioni che al medesimo saranno assegnate al momento del rientro presso il datore di lavoro che lo ha assunto”.

9. Circa le disposizioni transitorie relative alla validità di convenzioni e autorizzazioni stipulate in precedenza, sulla base delle difficoltà dei nuovi servizi per l’impiego, il Ministro ritiene “opportuno prevedere che le convenzioni e le autorizzazioni a forme di esenzione, totale o parziale, dagli obblighi occupazionali (esonero parziale, compensazione territoriale, sospensione temporanea) conservino, al momento, la loro validità, fermo restando, naturalmente, l’eventuale scadenza già fissata nei relativi provvedimenti”. Precisa, tuttavia, che non si tratta di una proroga, ma della necessità di “dare spazio ad una fase di negoziazione, che abbia per oggetto la revisione dei contenuti delle convenzioni e delle autorizzazioni già concesse, per renderli più aderenti agli innovativi contenuti della riforma e per consentire un adeguamento al nuovo regime attraverso procedure snelle e semplificate”. Spazio che sarà opportuno occupare con iniziative, come abbiamo anticipato in precedenza, soprattutto nei riguardi delle Province e, come vedremo in seguito, anche nei confronti delle Regioni e degli Enti locali.

La Provincia di Torino, ad esempio, ha deciso, con la delibera 5 aprile 2000, n. 282-7963/2000, di autorizzare gli uffici competenti del Servizio lavoro alla stipula di convenzioni con i datori di lavoro (ai sensi dell’art. 11 della legge 68/1999), per un periodo transitorio di 9 mesi, in attesa che siano concertati i criteri da adottare dalla costituenda Commissione provinciale per le politiche del lavoro.

Nella convenzione sono indicati programmi graduali di assunzione e messa a norma:

• restano invariate le disposizioni per i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, per i quali si applica la legge 68/1999 e la circolare 4/2000;

• viene richiesta almeno 1 assunzione entro i 9 mesi per i datori di lavoro che occupano da 36 a 150 dipendenti;

• le imprese che occupano oltre 150 dipendenti sono tenute ad effettuare assunzioni in misura pari all’11% dei posti disponibili, risultanti dai prospetti informativi presentati per l’anno 2000.

Al 31 maggio 2000 (a distanza di un mese e mezzo circa) sono stati collocate al lavoro 350 persone handicappate, con contratti di assunzione a tempo indeterminato e/o di formazione lavoro. Va detto che si tratta di persone con capacità lavorativa piena che non necessitano di collocamento mirato, in quanto la loro minorazione non ha compromesso l’autonomia (che è totale) e il raggiungimento anche di professionalità di livello elevato.

La delibera è stata concordata, oltre che con le associazioni storiche degli invalidi, anche con quelle che si sono adoperate significativamente sul territorio per il diritto al lavoro dei propri tutelati.

Da parte della Provincia di Torino è stato istituito un tavolo di coordinamento permanente, e sarà questa la sede nella quale, d’ora in poi, si dovrà cercare di ottenere garanzie a difesa delle persone con maggiori difficoltà di collocamento.

In data 9 giugno 2000, il CSA-Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base ha scritto all’Assessore al lavoro della Provincia di Torino, Barbara Tibaldi, quanto segue:

“Come Lei ricorda, abbiamo accettato di sottoscrivere l’intesa di cui alla delibera del 5 aprile 2000 a condizione che:

1. la Provincia utilizzasse questo periodo transitorio per stabilire i necessari vincoli all’utilizzo delle convenzioni da parte del Comitato tecnico, affinché sia assicurato il diritto al lavoro delle persone con maggiori difficoltà di collocamento;

2. come già sottolineato nella nostra del 23 febbraio 2000 e viste le indicazioni del decreto n. 91 del 13 gennaio 2000 relativo al fondo per i disabili (che prioritariamente finanzia le persone con una riduzione della capacità lavorativa) il Comitato tecnico dovrebbe stipulare convenzioni di cui all’art. 11 e per l’accesso alle agevolazioni dell’art. 13 della legge 68/1999, solo nel caso in cui vi siano motivati elementi per giustificarne l’utilizzo, altrimenti non verranno mai assunte persone con handicap intellettivo e fisici con limitata autonomia;

3. abbiamo firmato l’intesa anche per impedire che, forti della chiamata nominativa, le aziende assumessero subito a copertura totale dei posti scoperti, solo persone pienamente abili e con lievi minorazioni, che non intaccano la loro capacità lavorativa. Ma adesso è il momento per impostare, come previsto dalla delibera, i criteri delle convenzioni.

Per quanto riguarda le medie e grandi imprese – limitatamente a questa prima fase di attuazione della legge 68/1999 – e al fine di superare i problemi che potrebbero determinarsi anche per le stesse persone handicappate con l’invio contestuale di un numero elevato di handicappati (comunque non inferiore a 5), proponiamo una dilazione, in ogni caso non superiore a 24 mesi e proporzionata al periodo di scopertura dell’impresa, alle seguenti condizioni:

a) assunzione a tempo indeterminato di tutti gli aventi diritto;

b) inserimento immediato in azienda di almeno il 50 per cento dei soggetti con piena capacità lavorativa, per i quali non sono necessari interventi se non in misura minima;

c) predisposizione graduale dell’inserimento dei soggetti con riduzione della capacità lavorativa (almeno il 25 per cento della percentuale d’obbligo) tramite percorsi di tirocinio formativo, con presa in carico da parte del SIL del Centro per l’impiego di riferimento.

Ovviamente sono da prevedere sanzioni per chi non rispetta la convenzione, sanzioni che dovrebbero decorrere dal momento in cui è stata individuata la scopertura”.

 

DPCM 13 gennaio 2000

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2000, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 febbraio 2000, n. 43 con il titolo “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68”, era atteso per la sua notevole rilevanza ai fini di una corretta attuazione del collocamento mirato. Nello specifico, ci si attendeva che il decreto coprisse la lacuna volutamente lasciata dalla legge 68/99, riguardante la conservazione della percentuale di invalidità come unico criterio per valutare la riduzione della capacità lavorativa della persona handicappata, nonostante fosse ampiamente noto a chiunque operi in questo settore che la percentuale di invalidità è assolutamente inidonea per stabilire l’effettiva capacità lavorativa dei soggetti con handicap. Infatti ci sono soggetti con invalidità del 100 per 100 e con piena capacità lavorativa!

I contenuti del decreto non sono quelli attesi; tuttavia bisogna riconoscere che almeno si è tentato di coniugare la valutazione medico-sanitaria con quella lavorativa, anche se le contraddizioni non mancano e si potevano senz’altro evitare.

Inoltre, come rileva Flavio Cocanari (5), un altro grave limite di questo atto di indirizzo è la limitazione “alle sole invalidità civili” del nuovo sistema di accertamento. Anche se tale vincolo discende direttamente dal comma 4 dell’art. 1 della legge 68/1999, si dovrà lavorare perché sia applicato per tutte le disabilità indipendentemente dalle loro cause.

Vediamo intanto quali sono le questioni aperte del decreto:

1) le commissioni mediche sono in grado di valutare la capacità lavorativa? A nostro avviso, la valutazione della capacità lavorativa dovrebbe essere prevista in un secondo momento, dopo l’accertamento del grado di invalidità chiesto anche in relazione ai benefici economici (pensione di invalidità, indennità di accompagnamento). Questa seconda commissione dovrebbe essere composta da esperti del mondo del lavoro e con esperienze maturate nel settore dell’inserimento lavorativo delle persone handicappate, in grado di valutare le capacità lavorative per tutti i soggetti, compresi quelli aventi una invalidità del 100 per 100.

Invece, il decreto prevede che l’accertamento delle condizioni di disabilità, che dà diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo, sia svolto dalle stesse commissioni mediche di cui all’art. 4 della legge 104/1992 (6) e, quindi, da figure prevalentemente di tipo sanitario, integrate soltanto da un operatore sociale e da un esperto non meglio definito.

 Prevede anche che “l’accertamento delle condizioni di disabilità che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (…) è effettuato, eventualmente anche in più fasi temporali sequenziali, contestualmente all’accertamento delle minorazioni civili”.

Viene spontaneo chiedersi con quale professionalità e con quale esperienza questi medici – che hanno finora valutato solo l’aspetto sanitario – saranno in grado di definire, secondo i criteri e le modalità indicate all’art. 5 del presente decreto, “la capacità globale attuale e potenziale della persona disabile e l’indicazione delle conseguenze derivanti dalle minorazioni, in relazione all’apprendimento, alla vita di relazione e all’integrazione lavorativa”.

 

2) La valutazione della capacità lavorativa non deve trasformarsi in un elenco di informazioni.

 

Il sopra citato DPCM del 13 gennaio 2000, cerca di recuperare la dimensione lavorativa soprattutto con le indicazioni contenute nella “Scheda per la definizione delle capacità” dell’allegato n. 1 che, come per tutte le schede, è uno strumento approssimativo.

Non è scritto, ma la persona handicappata dovrebbe – ci auguriamo – essere fisicamente vista dalla commissione (e non solo esaminata con la lettura della documentazione). Nel caso di persone con handicap intellettivo, nulla viene detto sulla necessità di prevedere la possibilità di avvalersi della presenza di una persona di propria fiducia, in grado ad esempio di descrivere le esperienze lavorative maturate nella formazione professionale o in tirocini o in altre situazioni utili.

È quindi necessario che i componenti della commissione considerino con attenzione e competenza la “capacità lavorativa” ed abbiano idee chiare sui “Servizi di sostegno e di collocamento mirato”, che sono riportati  nel “Glossario” dell’allegato 2, esplicitamente richiamati al punto 3, dell’art. 5 del DPCM 13 gennaio 2000.

 

3) Come funzionerà il raccordo con il Comitato tecnico dei Centri per l’impiego?

 

Secondo quanto stabilito dall’art. 6 del DPCM 13 gennaio 2000 “la commissione di accertamento, sulla base delle risultanze derivanti dalla valutazione globale, formula entro quattro mesi dalla data della prima visita, la relazione conclusiva”, che verrà inviata al Comitato tecnico e conterrà “suggerimenti in ordine ad eventuali forme di sostegno e strumenti tecnici necessari per l’inserimento o il mantenimento al lavoro della persona disabile”.

Nulla viene detto circa la necessità di integrare la percentuale di invalidità con la valutazione globale della capacità lavorativa, almeno per quanto concerne l’accesso alle agevolazioni a favore delle aziende previste dall’art. 13 della legge 68/1999, e che sono concesse mediante convenzioni su parere favorevole del Comitato tecnico, che continua a questo punto ad avere la più ampia discrezionalità.

Dovremmo rassegnarci a vedere incentivate le assunzioni di giovani paraplegici, con sgravi fiscali per le aziende fino a otto anni, solo perché il 100 per 100 di invalidità, che ad essi in genere è riconosciuto, viene considerata una condizione di gravità e, dunque, di riduzione delle loro capacità lavorative? Tutti sanno che quasi sempre non è così, in quanto il loro rendimento al lavoro è pieno; eppure non si vuole e non si è voluto neppure questa volta introdurre i correttivi indispensabili.

Riteniamo che ci sia spazio per chiedere l’emanazione di circolari interpretative da parte degli Assessorati regionali alla sanità, affinchè siano date istruzioni omogenee alle Commissioni di accertamento delle ASL, di modo che la relazione conclusiva della commissione di accertamento di cui all’art. 6 del DPCM 13 gennaio 2000, contenga i seguenti elementi di conoscenza per ogni soggetto esaminato:

• posti di lavoro a cui può accedere senza alcun ausilio e raggiungendo una piena capacità lavo­rativa;

• posti di lavoro in cui essere inserito con l’aiuto di ausili o l’eliminazione di ostacoli e raggiungere una piena capacità lavorativa;

• mansioni che è in grado di svolgere, pur con una riduzione della capacità lavorativa;

• necessità di ulteriori percorsi formativi;

• incapacità definitiva di svolgere attività lavorative proficue, condizione che dovrebbe essere introdotta per l’accesso ai servizi di assistenza sociale.

A questo punto, il Comitato tecnico del Centro per l’impiego, d’intesa con il SIL del territorio in cui risiede la persona interessata, dovrebbe provvedere ad individuare l’azienda e il posto di lavoro compatibile con le capacità della persona e ad attivare, quando e se necessario, i necessari percorsi formativi e/o – nel caso di riduzione della capacità lavorativa – gli strumenti di mediazione ritenuti necessari per favorire il collocamento lavorativo.

Per le persone che, a causa della gravità delle condizioni non sono ritenute idonee allo svolgimento di attività lavorative, il Comitato tecnico dovrebbe effettuare, previo assenso dell’interessato, la segnalazione ai servizi assistenziali territoriali competenti.

A nostro avviso le Province, quali enti responsabili del collocamento al lavoro delle persone handicappate, dovrebbero essere sollecitate affinché richiedano alla Regione gli atti necessari di modo che gli esperti previsti nelle commissioni mediche delle ASL siano persone con esperienza acquisita nel campo del lavoro e della formazione professionale. Se necessario occorrerà provvedere ad attivare corsi professionali per la loro riqualificazione professionale.

Contestualmente, come abbiamo visto in precedenza nell’affrontare il nodo delle convenzioni, la Provincia ha il dovere di regolamentare le azioni del Comitato tecnico, esercitando interamente il suo ruolo politico nella Commissione provinciale.

Il decreto del 13 aprile 2000, n. 91

Il decreto 13 aprile 2000, n. 91 “Regolamento recante norme per il funzionamento del Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili, istituito dall’articolo 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 14 aprile 2000, emanato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della program­mazione economica, è al momento l’ultimo atto
del Governo, ma altri restano in attesa di definizione (7).

Le risorse del Fondo, come recita l’articolo 2, sono utilizzate per le misure di defiscalizzazione dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro, e gli oneri derivanti dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro per la responsabilità civile relativa ai disabili tirocinanti.

Inoltre, in concorso con il Fondo che deve essere istituito dalle Regioni, finanzia i programmi regionali di inserimento lavorativo ed i relativi servizi, così come precisato all’art. 14 della legge 68/1999.

Per quanto riguarda gli aspetti positivi del decreto, vanno senz’altro indicati i criteri per la ripartizione e i requisiti richiesti per l’ammissione agli incentivi,così come descritti all’art. 6, che privilegiano i “programmi diretti all’avviamento lavorativo dei disabili che presentano particolari difficoltà di inserimento e, in particolare, i lavoratori con handicap intellettivo e psichico”.

Restano tuttavia due elementi negativi sui quali è necessario intervenire in sede di contrattazione con gli Enti locali (Regione e Province). Il primo concerne l’ammontare delle risorse del Fondo nazionale, che non sono calcolate sulla base delle esigenze legate al numero effettivo delle persone handicappate con difficoltà di inserimento da sostenere attraverso gli incentivi. Il secondo riguarda la concessione delle agevolazioni sulla base delle convenzioni di cui all’art. 11 della legge 68/1999 riproponendo tutti i limiti in precedenza evidenziati per quanto riguarda la discrezionalità del Comitato tecnico, unico ente per ora tenuto ad accordarle.

Per quanto riguarda l’handicap intellettivo non va dimenticato che la stessa legge 68/1999 pone un vincolo aggiuntivo non certo trascurabile, poiché la fiscalizzazione viene concessa in relazione ai lavoratori con handicap intellettivo e con problemi psichici “indipendentemente dalle percentuali di invalidità, previa definizione da parte delle Regioni di criteri generali che consentano di contenere gli oneri a tale titolo nei limiti del 10 per cento della quota di loro competenza a valere sulle risorse annue”.

 

Quali iniziative intraprendere

A.  In primo luogo ciascuna Regione deve istituire il “Fondo regionale per disabili”, così come previsto dall’art. 14 della legge 68/1999, tenendo anche conto delle indicazioni di priorità di cui al decreto del Ministero del lavoro del 13 gennaio 2000, n. 91. Oltre che con gli stanziamenti previsti dall’art. 13 della legge 68/1999, le risorse del Fondo regionale vanno incrementate anche con le risorse messe a disposizione, sulla base della presentazione di progetti, dall’Unione europea. In ogni caso l’ammontare del Fondo dovrebbe essere tale da assicurare la copertura degli oneri occorrenti per l’avvio al lavoro delle persone handicappate iscritte nei Centri per l’impiego delle Province.

B.  Al fine di assicurare il collocamento mirato devono essere stipulati accordi di programma tra la Regione, le Province e i Comuni in cui operano i Centri per l’impiego per:

• l’istituzione dei servizi per l’inserimento lavorativo indispensabili per la realizzazione del collocamento mirato e/o il potenziamento di quelli esi­-
stenti;

• l’attivazione di corsi di formazione per la preparazione di personale idoneo (tutor) per l’accompagnamento della persona handicappata sul luogo di lavoro, per la valutazione delle sue capacità lavorative e per supportare il Comitato tecnico dei Centri per l’impiego;

• la creazione di corsi di avvio al lavoro per giovani con handicap intellettivo che, terminato l’obbligo formativo, necessitano di un’ulteriore formazione mirata;

• la predisposizione di corsi di aggiornamento professionale per handicappati fisici adulti, iscritti nelle liste di collocamento;

• attività di riqualificazione per le persone che, in seguito ad incidenti e/o malattie, devono ricostruire una nuova professionalità per poter trovare un posto di lavoro.

C.  Per quanto riguarda le Province, come abbiamo visto in precedenza, riteniamo che esse debbano promuovere accordi di programma con i Comuni afferenti al Centro per l’impiego, per assicurare la rete di sostegno indispensabile per la collocazione al lavoro delle persone handicappate con maggiori difficoltà di inserimento.

D.  Il Comune resta l’ente di riferimento per l’esercizio del diritto al lavoro: il disoccupato handicappato è sempre un cittadino; inoltre, il mancato collocamento al lavoro, come già affermato, si traduce per il Comune in un investimento passivo, sovente a vita, per le spese assistenziali che deve sostenere, nonostante che la persona abbia le potenzialità per diventare un contribuente attivo grazie al lavoro.

Per tali ragioni il CSA e il GGL, hanno promosso presso il Consiglio Comunale di Torino l’approvazione della mozione, che di seguito pubblichiamo, avvenuta il 29 maggio 2000.

 

Mozione n. 29 approvata dal Consiglio comunale di Torino in data 29 maggio 2000

 

Oggetto: Inserimento lavorativo dei disabili intellettivi, fisici con limitata autonomia e ipovedenti.

Presidente: pongo in discussione la seguente mozione presentata dal Consigliere comunale Vinciguerra in data 30 marzo 2000.

Premesso

– che la Città di Torino ha assolto quasi tutti gli impegni di cui all’ordine del giorno del 9 maggio 1994;

– che è interesse della città di Torino continuare a promuovere l’inserimento lavorativo del maggior numero possible di disabili intellettivi, fisici con limitata autonomia e ipovedenti rendendo effettivo quel diritto-dovere al lavoro inserito nella Costituzione italiana per tutti i cittadini ed evidenziato dall’entrata in vigore della nuova normativa sul collocamento obbligatorio della legge 68/1999, a maggior ragione per coloro per i quali il lavoro è strumento essenziale per la promozione e l’integrazione nella società;

– che negli ultimi anni si sono avute molteplici esperienze di assunzioni di handicappati intellettivi, fisici con limitata autonomia e ipovedenti all’interno delle aziende private e degli enti pubblici, esperienze che hanno dimostrato come queste persone siano in grado di assicurare una resa produttiva certa e proficua soprattutto se inserite con la metodologia del collocamento mirato, recepita anche dalla nuova legge 68/1999;

– che la disoccupazione per queste persone, per anni abituate a frequentare ambienti socializzanti come la scuola e i tirocini formativi all’interno di realtà lavorative, è doppiamente dolorosa e costosa in quanto è molto alto il rischio che esse entrino nel circuito assistenziale che isola dalla vita sociale e da cui è difficile uscire;

Appurato

che è compito istituzionale dell’Assessore al lavoro, di concerto con gli altri Assessorati di volta in volta coinvolti in questa problematica, attivare tutte le iniziative volte a dare una concreta risposta lavorativa a questi cittadini in situazione di disoccupazione e a mettere in atto strategie di sensibilizzazione sulle problematiche legate alle politiche attive nei confronti delle persone portatrici di handicap.

A seguito del dibattito e delle proposte emerse, il Consiglio comunale di Torino

Impegna

La Giunta comunale e l’Assessore al lavoro a:

1) individuare, precisando tempi e definendo modalità, le scoperture dell’ente Comune in base alla nuova legge 68/1999 onde attivare la convenzione di inserimento lavorativo, dopo un preventivo confronto con le OO.SS. e le Associazioni di tutela dell’handicap;

2) indire di conseguenza nuovi concorsi a copertura dei posti scoperti inserendo anche handicappati intellettivi con capacità lavorativa comprovata da esperienze di formazione professionale, corsi prelavorativi e/o tirocini in attività formative, in percentuale non inferiore al 10% del numero totale di assunzioni. Una percentuale analoga va riservata ai soggetti con handicap fisico e limitata autonomia e ipovedenti. La metodologia adottata sarà quella positiva già sperimentata per le precedenti assunzioni di disabili intellettivi presso il Comune di Torino attraverso la realizzazione di convenzioni con il Centro provinciale per l’impiego al fine di realizzare il collocamento mirato come previsto dalla legge 68/1999;

3) intervenire presso le aziende ex municipalizzate al fine di favorire un programma di inserimento mirato che comprenda, nell’ambito delle scoperture complessive, almeno il 10% di disabili intellettivi, fisici con limitata autonomia e ipovedenti, utilizzando una metodologia mirata al percorso formazione-occupazione;

4) garantire e potenziare l’offerta formativa rivolta a questa categoria di persone così come previsto dall’intesa siglata tra il Comune di Torino e le Associazioni di tutela dell’handicap (CSA e ANFFAS) in data 6-3-2000, con il contributo di altre associazioni specializzate nella tutela di specifiche disabilità, anche attraverso iniziative di sollecitazione e di richiesta di finanziamento e di programmazione di corsi idonei all’Assessorato formazione professionale della Regione;

5) attivarsi presso le Associazioni di categoria e presso le Aziende stesse perché vengano date risposte lavorative concrete ed immediate a quelle persone che escono dai corsi di avvio e di formazione lavoro e che si dimostrano preparate ad entrare nel mondo del lavoro, al fine di non far perdere loro le motivazioni e le competenze acquisite nei mesi di corso e di tirocinio;

6) stanziare un congruo numero di borse-lavoro a integrazione del fondo regionale disabili, da calcolarsi annualmente tenuto conto degli iscritti in attesa di lavoro con particolare riguardo alle iniziative indispensabili per favorire il collocamento di handicappati con limitata autonomia ed ipovedenti;

7) portare a termine, attraverso una eventuale rinegoziazione alla luce delle nuove normative, l’accordo del 1996 con l’Unione industriale e l’API che attualmente vede ancora un consistente numero di posti non coperti;

8) adoprarsi con iniziative concrete ed immediate congiuntamente all’Assessorato all’istruzione, nei confronti del Provveditorato e delle Scuole della città per raggiungere intese volte al mantenimento delle cooperative sociali di tipo B per le mansioni di pulizia e di sorveglianza all’interno delle scuole per non perdere una delle principali risorse di lavoro per gli handicappati intellettivi e fisici, procedura questa regolamentata dalla delibera del 26 luglio 1995;

9) controllare che siano realizzate e rispettate le percentuali di assunzioni di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia indicate nella delibera del 22 dicembre 1998 denominata “Procedure contrattuali per l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate”, procedure che devono essere realizzate dalle aziende profit che ottengono appalti dal Comune di Torino;

10) garantire quote significative di handicappati intellettivi e fisici con limitata autonomia in tutti i progetti messi in atto per dar lavoro ai disoccupati (cantieri, progetti di formazione, ecc.) e in tutte le attività che coinvolgeranno Torino per la realizzazione delle Olimpiadi del 2006;

11) attivarsi per presentare un congruo numero di progetti mirati a creare occupazione per le persone disabili e per ottenere i necessari finanziamenti dall’Unione europea e dalla Regione. Qualora tali progetti non venissero finanziati con fondi europei o regionali il Comune s’impegna ad inserire a bilancio la previsione di risorse da destinare alla realizzazione di questi progetti.

Considerata

– la legge che delega alle Province la competenza in materia di collocamento e che prevede il decentramento dei centri per l’impiego;

– la legge 68/1999 che prevede il collocamento mirato per le persone con maggiori difficoltà ad essere inserite nel mondo del lavoro a causa della gravità del loro handicap

Ritiene

inderogabile procedere ad attivare con la Provincia le necessarie convenzioni in modo da poter mettere a disposizione, eventualmente potenziandolo, la professionalità del proprio Servizio per l’inserimento lavorativo (SIL) così come prevede l’art. 6 della legge 68/1999 e dar corso quindi alle iniziative di cui ai punti precedenti.

Ritiene infine necessario

al fine della buona riuscita degli inserimenti all’interno della propria pianta organica:

– promuovere incontri con i vari direttori di divisione per sensibilizzare e facilitare l’ingresso degli handicappati nei diversi servizi e per promuovere corsi di formazione per i referenti aziendali;

– monitorare nel tempo gli inserimenti ed intervenire laddove emergano problemi di inserimento;

– prevedere periodici corsi di aggiornamento e di riqualificazione anche per le persone con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia;

– dare corso ad iniziative di grande visibilità per far conoscere alla realtà produttiva del territorio che cosa realmente sono in grado di fare queste persone;

– individuare una collocazione assistenziale certa e adeguata per quei soggetti che, dopo un’attenta valutazione delle loro capacità, risultano non avviabili al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni fisiche e/o intellettive.

Il Consiglio comunale

procede alla votazione nei modi di regolamento.

Risultano assenti dall’aula, al momento della votazione, i Consiglieri: Appiano, Borghezio, Bressan, Centi, Coppola, Dondona, Gabri, Lodi e Lospinuso.

Il Presidente dichiara approvato l’emendamento con il seguente risultato: Presenti votanti 38.

 

 

(1) Cfr. M.G.BREDA, “Aspetti positivi, negativi e problematici della nuova legge sul collocamento al lavoro delle persone con handicap”, Prospettive assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999.

(2) Il comma 3, dell’art. 3 della legge 68/1999 precisa quanto segue: “Per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione, la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative e l’obbligo di cui al comma 1 insorge solo in caso di nuova assunzione”.

(3) Il comma 2, dell’art.11 “Convenzioni e convenzioni di integrazione lavorativa” della legge 68/1999 precisa che “tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro”. Inoltre al comma 6 dello stesso articolo si legge che l’organismo competente (ovvero il Centro per l’impiego) “può proporre l’adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato”.

(4) Nel citato articolo “Aspetti positivi, negativi e problematici della nuova legge…” avevamo espresso il nostro dissenso a questo proposito, in quanto anche se si era ottenuta l’assunzione a tempo indeterminato (nella prima formulazione del testo di legge era prevista solo l’assunzione a tempo determinato), rimaneva la spada di Damocle del Comitato tecnico, che ha la facoltà di rinnovare la convenzione con la cooperativa a sua discrezione e, quindi, anche all’infinito, per cui la persona handicappata potrebbe anche non andare mai a lavorare in azienda, ma essere costretta a restare sempre nella cooperativa.

(5) Cfr. F. COCANARI, “CISL: rinnovare il sistema di valutazione della disabilità. Il punto di vista dei sindacati”, in Vita Indipendente News, n. 8, aprile 2000.

(6) L’art. 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, recita quanto segue: “1.Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all’art. 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’art. 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali”.

(7) Cfr. M.G.BREDA, op. cit., Tabella 1 – Gli adempimenti del Ministero del lavoro, pag. 10

 

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