Prospettive assistenziali, n. 130, aprile-giugno 2000

 

Le due libertà di luciano violante: ignorati i più deboli

Francesco santanera

 

Nel recente libro di Luciano Violante, Le due libertà - Contributi per l’identità della sinistra, il Presidente della Camera dei Deputati sostiene che «una gran parte dei conflitti sociali e politici ha due protagonisti: la libertà di agire e la libertà del bisogno» e precisa che «la libertà di agire è la libertà di muoversi, pensare, scrivere, riunirsi, costruire, comprare, vendere, scegliere».

A sua volta, la libertà dal bisogno «è la libertà da vincoli economici, fisici, culturali che impediscono ai singoli la piena realizzazione di se stessi e dei loro progetti di vita, che li rendono subordinati e dipendenti da scelte altrui».

Passando all’analisi storica, Violante afferma che «il capitalismo ottocentesco aveva fatto dell’illimitata libertà di agire la sua religione, aprendo la strada alla modernizzazione del mondo, ma lasciando dietro di sé una scia di vittime innocenti, di diseredati, di sfruttati ignorando così la libertà dal bisogno. La libertà dal bisogno – aggiunge l’Autore – valeva solo per i ceti privilegiati».

Contro questa concezione, si schiera il socialismo che si batte – così si esprime il Presidente della Camera dei Deputati – perché si realizzino insieme le due libertà «rivendicando la libertà di agire anche per chi apparteneva a classi sociali subalterne, denunciando il carattere discriminatorio della sola libertà di agire e chiedendo conseguentemente anche la libertà dal bisogno, per il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute».

L’On. Violante puntualizza: «Nella lotta dei socialisti ci sono due novità. La prima è che i diritti di libertà, ovvero la libertà di agire, debbono valere per tutti, indipendentemente dal censo, dalla professione, dall’istruzione, cosa che le classi dirigenti del tempo rifiutavano decisamente di riconoscere. L’altra novità è l’individuazione dei diritti sociali come strumento per liberare dal bisogno le classi più povere».

Purtroppo l’On. Violante – come pensano e agiscono, salvo rarissime eccezioni, gli esponenti di sinistra – ignora del tutto, come se non esistessero, i cittadini totalmente e definitivamente dipendenti dagli altri.

È un fatto estremamente grave, in quanto la questione riguarda circa un milione di soggetti (1). Si tratta delle persone che, a causa delle loro condizioni fisiche e/o psichiche e/o intellettive, non sono né saranno mai capaci, salvo interventi attualmente inesistenti, di soddisfare le loro esigenze fondamentali di vita. Spesso non sono nemmeno in grado di esprimere le loro necessità più elementari (fame, sete, caldo, freddo, ecc.). Hanno, pertanto, bisogno dell’aiuto totale e permanente di altri che si sostituiscano alle loro incapacità.

Nei loro confronti, pertanto, non può trovare alcun riscontro quella che Violante definisce «la moderna utopia strategica» che si propone di «trovare un equilibrio tra libertà di agire e libertà dal bisogno che non sia sempre uguale a se stesso, ma liberi fasce sempre più vaste di persone, dando dignità, autonomia, possibilità di costruire un futuro, dentro e fuori dei confini nazionali».

Circa la libertà di agire, per le persone sopra individuate, occorre operare in modo opposto rispetto a quanto è doveroso fare nei riguardi dei soggetti autonomi o potenzialmente in grado di esserlo: è evidente, ad esempio, che per le persone totalmente e definitivamente incapaci non si può intervenire affinché siano libere di muoversi, di scegliere, di comprare e di vendere.

Se si rispettano le esigenze di coloro che non sono e non saranno mai in grado di autodeterminarsi (insufficienti mentali gravi e gravissimi; anziani affetti da malattie invalidanti in modo così grave da determinare anche condizioni di insufficienza psichica o intellettiva), occorre proteggerli e quindi assumere le decisioni che per le persone “normali” rientrano nella loro libertà di agire.

Gli obiettivi della libertà di agire e della libertà del bisogno possono e devono essere raggiunti solamente nei confronti dei cittadini che sono capaci di autogestirsi oppure che hanno le potenzialità necessarie per la loro completa o parziale autonomia.

Ad esempio, se per i bambini “normali” il cui sviluppo, come dimostrano tutte le ricerche scientifiche, è compromesso dalla totale mancanza di cure da parte dei genitori, si provvede al loro inserimento in idonei nuclei adottivi, si creano le condizioni per il raggiungimento della loro massima autonomia possibile sia per quanto concerne la libertà di agire, sia in merito alla libertà del bisogno.

Ma, se si tratta di una persona con una grave forma di demenza senile, gli obiettivi devono essere molto diversi: protezione invece di libertà di agire, accettazione della non eliminalibità del bisogno invece delle azioni dirette alla sua rimozione o riduzione.

Nei confronti della fascia più debole della popolazione, la sinistra, complessivamente e nei vari livelli in cui opera (partiti, sindacati, centri culturali, ecc.), si è sempre comportata con un cinismo spietato.

Non è assolutamente vero che verso queste persone – lo ripetiamo: circa un milione di soggetti – si possa affermare, come sostiene l’On. Violante che «la sinistra è trasformazione del presente; è studio e conoscenza della realtà per cambiare in meglio; è lotta per l’equità; abbattimento delle discriminazioni; uso del potere pubblico per riequilibrare ciò che la povertà o l’ignoranza o la malattia hanno squilibrato».

Non è necessario essere sociologi o economisti per capire che non si può vivere con 401.380 lire al mese. Ma è questo l’importo che attualmente viene versato alle persone con handicap, prive di altre risorse economiche e impossibilitate a svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa delle loro condizioni psico-fisiche (2). Finora, nonostante l’evidenza dei fatti, le sinistre si sono disinteressate completamente di questa situazione, evidentemente contrastante con la dignità delle persone coinvolte.

Inoltre, è sufficiente essere una persona di buon senso per capire che un anziano colpito da cancro o da demenza o da pluripatologie è un malato che deve essere curato anche se inguaribile.

Purtroppo, prevale ancora nella sinistra quel che in data 30 luglio 1997 Sergio Cofferati, travisando totalmente la realtà, ha affermato: «Essere anziani cronici non è una malattia» (3).

Purtroppo non si tratta di una presa di posizione estemporanea del Segretario generale della CGIL, ma di una linea sostenuta non solo dalla sua organizzazione ma anche dalla CISL, dalla UIL e dalle istituzioni (Regioni, Comuni, ASL, ecc.), comprese quelle di sinistra.

In particolare, non si può ignorare che la Regione Emilia-Romagna è stata la principale artefice dell’aberrante decisione del Consiglio sanitario nazionale dell’8 giugno 1984 (4).

La mancanza di interesse e di cultura da parte della sinistra nei confronti delle persone definitivamente e totalmente incapaci di autodifendersi provoca anche prese di posizione assolutamente strampalate. Ad esempio, Lalla Golfarelli, nella relazione tenuta nell’ambito della tavola rotonda “Vivere a lungo - Vivere meglio” organizzata in occasione della Festa nazionale dell’Unità, svoltasi ad Abano Terme il 15 giugno 1988, ha sostenuto che gli anziani non autosufficienti non devono essere ricoverati in strutture sanitarie «perché sarebbe certamente la loro fine, si lascerebbero sconfiggere dalla depressione, dalla non volontà di vivere». Il luogo adatto sarebbero gli istituti di assistenza (case protette, ecc.) perché in esse «avrebbero anche la possibilità di mantenere vive alcune attività di socializzazione come andare a teatro, frequentare circoli, lezioni di inglese» (5). Una sciocchezza incredibile non solo e non tanto per la dichiarazione in se stessa, ma – considerato che l’affermazione è stata fatta dall’allora responsabile delle politiche sociali del PCI di Bologna – per le nefaste conseguenze operative che ne sono derivate (6).

Ricordiamo, altresì, che la Regione Emilia-Romagna aveva predisposto un modulo in cui, per occultare la situazione di malattia dei vecchi malati cronici, erano inserite sotto la voce “disagio prevalente” le seguenti condizioni evidentemente patologiche: neoplasie, ictus, demenze, traumi e fratture, malattie cardiovascolari, ecc. (7).

Dunque, l’adulto colpito da cancro è un malato, mentre l’anziano avente la stessa infermità è considerato un disagiato!

Proseguendo sulla stessa strada della falsificazione della realtà, la Giunta della Regione Emilia-Romagna con la delibera del 26 luglio 1999 n. 1370, sulla base delle assurde norme della legge regionale n. 5/1994, ha attribuito il compito di verificare la corretta attuazione dei programmi individuali di intervento riguardanti gli anziani cronici non autosufficienti ad un assistente sociale.

Pertanto, per i vecchi infermi, compete all’assistente sociale, che non ha né deve avere alcuna preparazione professionale in materia, verificare se l’oncologo fornisce cure adeguate al malato di cancro, se il cardiologo interviene correttamente nei riguardi dell’infartuato, se il neurologo diagnostica in modo irreprensibile il malato di Alzheimer e se il geriatra ha predisposto cure valide per coloro che sono colpiti da un insieme di patologie.

Per gli stessi motivi (nessuna conoscenza del problema, assenza di confronto sulle cause e sugli interventi più opportuni) succede anche, abbastanza spesso, che organismi di sinistra finanzino strutture di emarginazione. È il caso, ad esempio, della FLM, Federazione lavoratori metalmeccanici, di Taranto che non si è mobilitata per difendere i diritti dei più deboli, ma allo scopo di finanziare un imponente centro di esclusione sociale «per l’assistenza diurna agli anziani soli e indigenti, per handicappati gravi e soli, per sacerdoti anziani, per ragazze madri, per gli ammalati cronici non autosufficienti, per brevi soggiorni di “barboni” con la possibilità di 120 pasti al giorno, per una comunità che tenda al recupero di tossicodipendenti (c’è già un’azienda agricola che funziona e si sta avviando un laboratorio artigianale per la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti), per scuole professionali orientate alla preparazione di volontari, per un centro studi che lavori a livello di ricerca teorico-pratico sul tema dell’assistenza» (8).

 

I mezzi economici non mancano

Si potrebbe obiettare che, per assicurare condizioni di vita accettabili al milione di persone incapaci di autodifendersi, mancano le risorse economiche.

Non è assolutamente vero: sarebbe sufficiente eliminare gli sprechi e colpire sul serio l’evasione fiscale per recuperare i fondi necessari.

Occorrerebbero, altresì, che – finalmente – venissero rimossi gli assurdi privilegi esistenti. Solo per quanto riguarda l’integrazione al minimo delle pensioni, l’INPS versa 30 mila miliardi all’anno, in gran parte a persone che non ne avrebbero alcun diritto se si tenesse conto – anche in questo caso il buon senso dovrebbe insegnare – che nessuna assistenza dovrebbe essere elargita a coloro che posseggono patrimoni immobiliari e mobiliari sufficienti per provvedere autonomamente alle proprie esigenze (9).

Circa le risorse disponibili, ricordiamo, ancora una volta, che il testo di riforma dell’assistenza, attualmente all’esame della Camera dei deputati, prevede la soppressione della destinazione esclusiva ai poveri dei patrimoni delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, ammontanti a 37 mila miliardi, e di relativi redditi. Ne consegue che, se il testo non verrà modificato, si toglieranno risorse ai poveri per assegnarle ai bene­stanti.

 

Le principali conseguenze della “dimenticanza delle condizioni di vita dei più deboli”

Sulle persone che non sono in grado di autodifendersi e non hanno alcun sostegno familiare, la destra ha sempre avuto una posizione molto semplice e drastica: il loro ricovero in istituti a carattere di internato.

La sinistra, invece, finora ha ignorato del tutto la questione, come appare anche evidente dal libro di Luciano Violante.

Se si vuole veramente operare per il rispetto delle dignità anche di queste persone, le soluzioni si presentano abbastanza complesse.

In primo luogo va osservato che il loro numero, approssimativamente un milione di persone, può aumentare o diminuire anche in misura notevole a seconda delle linee sociali perseguite.

Inoltre, si tratta di operare nell’ambito della sanità (affinché curi anche i malati inguaribili), della casa (per fornire alloggi dell’edilizia economica non ai benestanti come spesso avviene attualmente, ma solo alle persone deboli, in particolare di coloro che hanno bisogno di sistemazioni parafamiliari: handicappati con limitata o nulla autonomia, convivenze guidate, ecc.), della scuola, in particolare quella del preobbligo e dell’obbligo (in modo da garantire basi conoscitive a tutti), ai trasporti (allo scopo di consentire anche ai soggetti non deambulanti di spostarsi), ecc.

Com’è ovvio, un ruolo importante è svolto dal lavoro al quale, a nostro avviso, hanno diritto non solo gli handicappati con piena capacità lavorativa, ma anche coloro che hanno un rendimento ridotto, ma pur sempre proficuo per l’azienda.

Infine, occorrerà riconoscere che, per molte persone attualmente socialmente escluse o a rischio di emarginazione, devono essere assicurati adeguati interventi assistenziali, da fornire oltre (e non in sostituzione) a quelli di competenza della sanità, della casa, della scuola e degli altri settori sociali (10).

Ma, le suddette richieste restano e resteranno parole vuote fino a che da un lato non cesseranno le iniziative di emarginazione dei più deboli e d’altro lato non verranno promossi interventi per l’eliminazione dei privilegi (doppio lavoro, lavoro nero, pensioni di importo stratosferico rispetto a quelle cosiddette “sociali”, assistenza economica ai possessori di patrimoni, ecc.).

Menzioniamo, inoltre, le nefaste conseguenze derivanti dall’attribuzione alle famiglie di compiti (11) e di oneri (12) che competono ai servizi. Particolarmente odiosi sono i ricatti compiuti da enti pubblici, com’è il caso delle intimidazioni dei Comuni di Reggio Emilia e di Udine.

Il primo, nel caso in cui i parenti dell’anziano malato cronico e non autosufficiente (che in base alle leggi vigenti ha diritto alle cure sanitarie gratuite, comprese le prestazioni cosiddette alberghiere, e senza limiti di durata) non presentino la documentazione illegalmente richiesta dal Comune, li minaccia con una lettera in cui sono contenute le seguenti parole: «D’ufficio si dovrà procedere, indipendentemente dal reddito, a richiedere le somme dovute dai familiari inadempienti, calcolando a loro carico l’intera spesa di mantenimento, al netto delle somme versate direttamente dal degente in conto retta; tale differenza verrà quindi fatturata sistematicamente all’interessato, provvedendo successivamente all’iscrizione al ruolo nel caso in cui non si provveda regolarmente al pagamento. Paralle­la­mente all’iscrizione al ruolo, si rende noto che si provvederà a revocare l’impegnativa di pagamento, comunicando, contestualmente, oltre che ai familiari interessati, la revoca dell’impegnativa alla casa di riposo ove il degente è ospite» (13).

Molto resta, dunque, da fare affinché, per le centinaia di migliaia di persone incapaci di autodifendersi, si realizzi ciò che scrive Luciano Violante e cioè che «la sinistra ha fiducia nell’uomo, nelle sue possibilità di miglioramento e nel progresso dell’intera società».

Le terribili condizioni di vita dei bambini senza famiglia, degli handicappati intellettivi in tutto o in parte privi di autonomia e degli anziani cronici non autosufficienti dei Paesi dell’Est già a regime comunista insegnano che, se manca la consapevolezza della dignità e delle esigenze dei cittadini più deboli, le politiche di liberazione del bisogno possono determinare condizioni brutali di vita.

Concordo, pertanto, con l’affermazione di Violante: «L’esperienza del Novecento ci impone di non mettere la ragione al di sopra di tutto, ma di porre al di sopra di tutto la persona umana, i suoi diritti, la sua realizzazione», a condizione che riguardi tutti, compresi coloro che non sono in grado di autodifendersi.

Mettendo al di sopra di tutto la persona umana, dovrebbero essere affrontate con la massima urgenza due importantissime questioni:

1) la conferma della competenza del Servizio sanitario nazionale nei confronti dei cittadini colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza, dando – finalmente – attuazione alle leggi vigenti e cancellando la barbara concezione della incurabilità delle patologie inguaribili;

2) riconoscere il diritto esigibile all’assistenza delle persone che, se non ricevono le relative specifiche prestazioni, non possono continuare a vivere o sono costrette a cadere nel baratro dell’emarginazione.

In sintesi, oltre alla libertà di agire e alla libertà del bisogno per i cittadini autonomi o potenzialmente in grado di esserlo, occorre assicurare una adeguata e continua protezione a coloro che sono totalmente e definitivamente incapaci di provvedere alle proprie esigenze fondamentali. Quasi sempre si tratta di cittadini che, quando erano attivi, nulla hanno fatto per i più deboli.

 

 

(1) Non esistono dati statistici affidabili sulle persone non autosufficienti a causa di handicap o di malattie. Un’altra prova del disinteresse delle autorità nei confronti di questi cittadini.

(2) Ricordiamo che dal 1° gennaio 2000 l’importo mensile delle pensioni sociali è di L. 530.350 (L. 655.350 con la maggiorazione di L. 125.000 per gli aventi diritto), mentre quello dell’assegno sociale è di L. 643.600.

(3) Cfr. “CGIL, CISL e UIL negano lo stato di malattia degli anziani cronici non autosufficienti”, Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997. Nell’articolo sono elencate le iniziative assunte dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, per verificare la posizione dei Sindacati sulla questione dei vecchi colpiti da malattie invalidanti. Si vedano, inoltre, i seguenti articoli apparsi sulla stessa rivista: “Continua la polemica con la CGIL sugli anziani cronici non autosufficienti”, n. 120; “Anziani cronici non autosufficienti: un documento importante ed uno spiraglio con la CGIL”, n. 121; “Anziani cronici non autosufficienti: l’autolesionismo di CGIL, CISL e UIL, e le nefaste conseguenze per tutti i cittadini”, n. 122; A. Bartoli, “D’abbandono si muore: lettera aperta ai sindacalisti e alla coscienza delle donne e degli uomini”, n. 124; “Perché l’INCA-CGIL ignora il diritto dei vecchi malati cronici non autosufficienti alle cure sanitarie?”, n. 127; “I Sindacati dei pensionati si agitano, ma non vogliono ancora capire che gli anziani cronici non autosufficienti sono persone malate”, n. 129.

(4) Nella riunione dell’8 giugno 1984 il Consiglio sanitario nazionale, con il voto favorevole dei rappresentanti delle Regioni e dei Sindacati CGIL, CISL  e UIL, con devastante sfrontatezza, ha deciso quanto segue: «Considerato lo stretto intreccio della presenza sanitaria e socio-assistenziale anche nelle strutture protette appare necessario che, nel transitorio, sia per l’inadeguatezza dei servizi sanitari sul territorio, che non possono farsi carico in maniera completa del problema, sia perché storicamente il non autosufficiente è stato ricoverato e assistito in ambito ospedaliero e paraospedaliero, la spesa relativa al ricovero in casa protetta o struttura similare di persone non autosufficienti carichi parzialmente (fino al massimo del 50 per cento) sul fondo sanitario nazionale, ai fini di determinare la correlativa riduzione della spesa ospedaliera».

La risoluzione del Consiglio sanitario nazionale, chiaramente assunta in violazione delle leggi esistenti e contraria al più elementare buon senso, è stata la base del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Craxi, dell’8 agosto 1985, con il quale è stata sancita l’espulsione degli anziani cronici non autosufficienti dalla competenza del Servizio sanitario nazionale (caratterizzata da diritti esigibili, dalla gratuità delle prestazioni e dalla mancanza di limiti per quanto concerne la durata delle cure comprese quelle praticate in ospedale o in altri centri sanitari). I compiti sono stati trasferiti all’assistenza, fondata ancora sulla quasi assoluta discrezionalità degli interventi (le liste di attesa anche di 3-4 anni per il ricovero in istituto ne sono la prova lampante), sul pagamento di rette spesso salate (anche 120-150 mila lire al giorno!); sovente le strutture sono inidonee e il personale non è in possesso di una specifica preparazione.

(5) Cfr. “Tre incontri sul problema degli anziani cronici non autosufficienti”, Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988.

(6) Fra l’altro, la maggioranza della Regione Emilia-Romagna ha respinto la proposta di legge di iniziativa popolare “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani malati non autosufficienti e realizzazione delle residenze sanitarie assistenziali” non volendo riconoscere la condizione di malati degli anziani malati cronici non autosufficienti. Il testo della proposta è riportato sul n. 89, gennaio-marzo 1990 di Prospettive assistenziali.

(7) Si tratta del modulo dell’Assessorato regionale ai servizi sociali utilizzato dal personale socio-sanitario per la raccolta dei dati relativi al BINA, Breve indice di non autosufficienza.

(8) Cfr. “L’FLM finanzia l’emarginazione dei più deboli”, Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989.

(9) Cfr. “Per la creazione di un nuovo settore: la sicurezza sociale”, Prospettive assistenziali, n. 121, gennaio-marzo 1998. Anche il recente provvedimento (decreto legislativo 237/1999) relativo al reddito minimo di inserimento considera “povero” e quindi fornisce assistenza alle persone che, pur non avendo alcuna entrata, sono proprietari dell’alloggio in cui vivono. Il valore dell’appartamento può ammontare fino a 200 milioni (dato relativo al Comune di Nichelino, Torino). A sua volta il redditometro (decreto legislativo 109/1998) consente ai Comuni di considerare zero il valore dei beni posseduti, qualunque sia il loro ammontare. Cfr. L. Lia “Il riccometro: uno strumento per favorire i cittadini abbienti”, Ibidem, n. 129. Nel volume “Le due libertà”, Luciano Violante scrive che «nel 1998 in Italia vivevano in condizioni di povertà 2,5 milioni di famiglie e 7,4 milioni di persone. La povertà assoluta riguardava nello stesso anno 950.000 famiglie». Si tratta di dati estremamente discutibili in quanto – incredibile ma vero – per la valutazione della situazione economica la Commissione ministeriale sulla povertà tiene conto solo dei redditi e non dei patrimoni posseduti!

(10) Cfr. F. Santanera, “Esperienze di prevenzione del bisogno assistenziale e dell’emarginazione”, Prospettive assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000.

(11) Siamo estremamente favorevoli alla promozione del volontariato infra-familiare. Al riguardo si veda “Proposta di delibera sul volontariato infra-familiare”, Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998; e “Seconda proposta di delibera sul volontariato infra-familiare rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”, Ibidem, n. 124, ottobre-dicembre 1998.

(12) In violazione alle leggi vigenti i Comuni, le Province e le ASL sottraggono ogni mese miliardi e miliardi ai congiunti di anziani malati e di adulti handicappati. Questa prassi è una delle cause – non marginali – della caduta in condizioni di povertà di famiglie aventi congiunti malati cronici non autosufficienti. Cfr. “La drammatica esperienza del figlio di una anziana malata cronica non autosufficiente”, Prospettive assistenziali”, n. 119, luglio-settembre 1997. A causa del mancato rispetto delle leggi vigenti da parte dell’ASL e del Comune, il figlio ha dovuto sborsare più di 102 milioni!

(13) Dunque, le conseguenze non si ripercuotono solo sui parenti (inadempienti secondo il Comune di Reggio Emilia, ma non in base alle leggi vigenti), bensì soprattutto sull’anziano malato. Sulle minacce del Comune di Reggio Emilia si veda F. Santanera e M.G. Breda, “Come difendere i diritti degli anziani malati”, UTET Libreria, e “Facciamo il punto sui contributi economici indebitamente richiesti dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti maggiorenni, Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre 1996. Analogo a quello di Reggio Emilia è stato il comportamento del Comune di Udine.

 

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