Prospettive assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000

 

Ricerca sulle IPAB della Presidenza del consiglio dei ministri

 

 

In data 30 giugno 1999 il Ministro per la solidarietà sociale ha trasmesso al Parlamento il rapporto sulle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, commissionato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali.

Per quanto riguarda i contenuti rileviamo, e le “dimenticanze” sono molto significative, che nel rapporto non viene segnalato che ai sensi della ancora vigente legge 6972 del 1890:

a) i patrimoni (accertati dalla ricerca per l’importo di ben 37 mila miliardi!) ed i redditi delle IPAB devono essere destinati esclusivamente ai poveri;

b) i beni mobili ed immobili non possono in nessun caso essere utilizzati per coprire gli oneri gestionali.

Osserviamo, inoltre, che nel rapporto non viene fatto alcun cenno alle misure da assumere da parte del Parlamento e del Governo per la salvaguardia della destinazione ai poveri dei patrimoni pervenuti ai Comuni e alle Province a seguito della estinzione di numerose IPAB e del trasferimento dei beni degli enti assistenziali disciolti (ECA, ONMI, ENAOLI, ecc.), il cui ammontare è stato valutato in 50 mila miliardi dalla rivista “Ipaboggi” n. 6/1996.

Analoga tutela dovrebbe essere assicurata dal Parlamento e dal Governo ai beni, il cui importo può essere calcolato in 30-40 mila miliardi, assegnati a titolo gratuito ad organizzazioni private a seguito della sconcertante sentenza della Corte Costitu­zionale n. 396 del 1988 (1).

Ricordiamo, inoltre, che, contrariamente a quanto affermato nel rapporto in esame, la natura pubblica delle IPAB (ex Opere pie) non è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 6972 del 1890, ma dalla legge 753 del 1862 (2).

Nel riportare integralmente le conclusioni del rapporto, ribadiamo la necessità che il testo di legge “Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” venga modificato in modo da confermare l’attuale esclusiva destinazione ai poveri dei beni e dei redditi delle IPAB (3).

 

Conclusioni del rapporto sulle ipab

 

Questo studio conferma che le IPAB costituiscono un patrimonio di strutture e di attività di valore molto rilevante per il nostro paese. Sul territorio nazionale sono esistenti circa 4.200 IPAB: un numero elevato che segnala l’ancora capillare diffusione di questo tipo di enti.

Il peso delle IPAB è particolarmente rilevante in due settori di attività: nell’offerta di strutture residenziali e nell’offerta di servizi prescolari. Il loro intervento è rivolto così a due tra le categorie sociali più indifese: quella degli anziani in condizione di parziale o totale non autosufficienza e quella dei minori in età prescolare la cui famiglia necessita di un servizio di accudimento.

Si tratta di una presenza tradizionale, che tuttavia mantiene oggi una funzione rilevante, se si considera che le IPAB offrono oltre un terzo dei posti letto oggi disponibili in strutture residenziali, coprendo il fabbisogno di circa 67.000 utenti, e consentono il funzionamento di oltre 1.000 strutture prescolari diffuse su tutto il territorio nazionale. Non costituisce così una sorpresa che si stimi che la spesa complessiva delle IPAB rappresenti il 45% della spesa pubblica complessiva destinata ad offrire servizi assistenziali alla popolazione (al netto, dunque, dei trasferimenti monetari alle famiglie).

Questa mole notevole di strutture e di servizi riflette, e non potrebbe essere altrimenti, alcune caratteristiche generali del nostro sistema assistenziale. Si tratta di un'offerta fortemente diseguale sul territorio: gran parte delle IPAB si collocano infatti nelle regioni del nord-ovest, in alcune regioni del nord est e del centro e, tra tutte le regioni del Mezzogiorno, soprattutto in Puglia. La loro distribuzione sul territorio riflette fedelmente i forti squilibri territoriali del nostro paese.

Molti ritengono che le IPAB costituiscano uno degli elementi di maggiore tradizionalismo nell'attuale sistema dei servizi. Inoltre si osserva la scarsa integrazione di questi enti nella rete locale dei servizi, e più in generale l'opacità e l'immobilismo di strutture che, in molte aree del nostro paese, assumono una funzione cruciale nel rispondere a bisogni fondamentali della cittadinanza.

Questo studio, essendosi limitato all'analisi delle principali caratteristiche strutturali delle IPAB, non consente di verificare se questi giudizi siano corretti o meno. Esso mostra però che, in alcune regioni, ci sono IPAB che hanno avviato un'operazione di graduale articolazione dei servizi e delle attività svolte, ben oltre la semplice riproposizione dell'offerta residenziale. Si tratta di un processo che non potrà che assumere in futuro dimensioni sempre più rilevanti, ma che richiede di essere sostenuto e guidato da politiche pubbliche specifiche.

Uno dei problemi che maggiormente ostacola l'innovazione è costituito dalla natura ibrida di molte IPAB, che sembrano contenere al loro interno una complessità di funzioni difficili da governare insieme. Le IPAB sono originate in buona parte da un patrimonio immobiliare e finanziario, che richiede di essere mantenuto e che viene finalizzato all'attività svolta. Le dimensioni generali di questo patrimonio appaiono notevoli – intorno ai 37 mila miliardi, stando all'ipotesi presentata in questo studio – ma esso appare in gran parte utilizzato per ospitare i servizi gestiti. In ogni caso si pone senz'altro il problema di riqualificare parte di questo patrimonio e, in taluni casi, di renderlo maggiormente redditizio.

D'altra parte l'analisi dei bilanci delle IPAB mostra che i proventi derivanti dal patrimonio, così come quelli provenienti da lasciti e donazioni, coprono una parte minima delle entrate. La grande maggioranza delle entrate finanziarie proviene invece dal finanziamento pubblico (per il 44%) da un lato, e dalla compartecipazione ai costi degli utenti o dalla vendita di servizi al pubblico. Gran parte delle entrate derivano quindi dalla vendita (a privati o all'ente pubblico) di servizi: ciò qualifica l'IPAB soprattutto come un ente gestore di servizi di pubblica utilità. A questa funzione è necessario che gli enti possano dedicare sempre maggiore attenzione, migliorando la qualità dei servizi forniti e sviluppando la loro attività in sintonia con i bisogni emergenti della popolazione.

Proprio la complessità delle funzioni gestionali che ricadono sulle IPAB richiede l'invenzione di nuove forme organizzative, che consentano di articolare le forme di gestione distinguendo l'amministrazione del patrimonio dalla gestione diretta dei servizi. Si tratta di una condizione che appare irrinunciabile per consentire alle IPAB di raccogliere le sfide impegnative che attendono l'intero sistema dei servizi.

Un secondo problema per le IPAB è rappresentato dalle rigidità gestionali derivanti dal fatto di dover ricorrere ai concorsi pubblici per l'assunzione di nuovo personale e ai contratti d'impiego pubblico per regolare i rapporti con il personale assunto. Le dimensioni occupazionali del fenomeno IPAB non sono irrilevanti: in base alle ipotesi prima presentate, sarebbero operanti circa 60.000 addetti. Molti di questi operano in convenzione con l'ente presso cui lavorano. Si tratta di una soluzione sempre più praticata dalle IPAB per aggirare la normativa sulle assunzioni. L'esternalizzazione dei servizi è tuttavia ambigua: in alcuni casi può indicare un semplice espediente per ottenere la flessibilità e la riduzione dei costi che la normativa sull'impiego pubblico non consente, a prezzo tuttavia di una scarsa qualificazione degli operatori e della discontinuità dei rapporti di lavoro; in altri casi può indicare invece una strategia di diversificazione delle attività che si fonda sul coinvolgimento di soggetti organizzati (come cooperative sociali) esterni all'ente. Non è un caso che molte privatizzazioni siano avvenute soprattutto per togliere rigidità alla gestione delle assunzioni e del personale.

Si pone dunque il problema di sviluppare procedure di assunzione e di gestione del personale che consentano margini di flessibilità senza che ciò vada a detrimento della qualità finale dei servizi erogati.

Un terzo problema che ostacola sicuramente il cambiamento è la scarsa integrazione delle IPAB nella rete dei servizi. Questo studio ha potuto misurare direttamente, attraverso i contatti con le regioni, quale sia lo scarso grado di conoscenza sull'operato di questi enti da parte dell'amministrazione pubblica. Il fatto che risultasse difficile anche solo precisare quale fosse il numero di IPAB esistenti e che sia risultato impossibile risalire, dai dati delle regioni, al numero di IPAB effettivamente operanti, non può essere considerato semplicemente un caso. L'opacità di queste strutture riflette un modello consolidato di rapporti tra enti locali e amministrazioni delle IPAB fondato sul mutuo accomodamento, ovvero sulla corresponsione di ampi finanziamenti pubblici in cambio dell'erogazione di servizi tradizionali in assenza di qualsiasi forma di progettazione condivisa. Se questo modello ha consentito per diverso tempo che le IPAB svolgessero una funzione di supplenza che ha garantito il mantenimento (soprattutto in alcune aree del paese) di una dotazione minima di servizi assistenziali, esso si rivela marcatamente inadeguato in una fase caratterizzata dalla necessità di orientare le diverse componenti del sistema di welfare verso obiettivi mirati e condivisi.

Si pone così il problema di sviluppare nuove forme di regolazione pubblica e di raccordo tra enti locali e IPAB che consentano da un lato di migliorare la trasparenza di questi enti, dall'altro di renderli partecipi e corresponsabili delle scelte locali di politica sociale. Sul primo versante appare necessario che le regioni sviluppino quanto prima un'azione di censimento e raccolta di informazioni sulle IPAB esistenti, e che vengano utilizzati gli strumenti amministrativi oggi previsti (dall'estinzione alla fusione di diversi enti) per ottenere un quadro chiaro non solo del numero preciso di IPAB esistenti, ma soprattutto del loro grado di effettiva operatività. Sul secondo versante è necessario che venga ampliata la sperimentazione locale di forme concertative di programmazione e che in esse vengano coinvolte, a fianco degli altri soggetti pubblici e privati, anche le IPAB.

Un ulteriore problema riguarda la situazione di costante ambiguità e incertezza normativa che caratterizza la situazione di questi enti. Il quadro offerto mostra come il vuoto di regolazione nazionale ha lasciato spazio a normative e pratiche amministrative regionali molto differenziate, che hanno condotto ad un uso molto differenziato da regione a regione degli strumenti normativi dell’estinzione e della depubblicizzazione. Una iniziativa nazionale diviene a questo punto necessaria proprio per riportare il quadro ad una omogeneità oggi inesistente.

Il nodo finale che resta da sciogliere riguarda l'effettiva autonomia gestionale e stategica delle IPAB. Com’è noto, la normativa vigente sottopone questi enti ad una serie molto complessa e defatigante di controlli e di autorizzazioni da parte delle autorità pubbliche. Tali controlli tuttavia faticano ad uscire da una logica negativa, volta più ad evitare possibili illeciti che a promuovere comportamenti innovativi. Inoltre essi finiscono per irrigidire e ritardare non poco le scelte e i comportamenti degli enti. È chiaro che una maggiore autonomia gestionale sembra utile, anche se ciò non deve comportare un abbandono dei controlli, soprattutto quando sono a tutela dell'utenza.

L'intreccio più vischioso e difficile da dipanare riguarda la forte influenza esercitata dagli enti locali sugli organi di gestione delle IPAB. Come abbiamo mostrato, circa due terzi degli enti hanno una parte dei loro organi decisionali nominati da autorità pubbliche. È chiaro che questo fatto ha consentito, in diverse situazioni, una notevole ingerenza di interessi di natura politica e clientelare nella gestione delle attività e del patrimonio delle IPAB. Anche quando ciò non è accaduto, la forte commistione degli interessi rappresentati negli organi di governo degli enti ha reso più difficili le scelte e l'adozione di strategie di lungo periodo. Soprattutto ha reso molti enti fortemente esposti ai mutevoli scenari politici.

Da molte parti si indica nella privatizzazione degli enti una possibile chiave di soluzione di questo problema, che passa attraverso una drastica distinzione tra profilo pubblicistico e profilo privatistico. Per molti enti tuttavia la forte presenza di membri nominati da autorità pubbliche rende difficile, e forse inopportuna, la depubblicizzazione. Ciò a sua volta richiede però che venga attuata una chiara distinzione tra gli organi di indirizzo politico degli enti, in cui sembra legittimo e adeguato prevedere la presenza di chi democraticamente rappresenta gli interessi della popolazione locale, e gli organi di gestione degli enti, che dovrebbero godere di un'autonomia amministrativa molto superiore a quanto oggi riscontrabile. È principalmente attraverso il conferimento di maggiore autonomia gestionale e progettuale a questi enti, l'immissione di competenze gestionali e specialistiche, e la loro integrazione nella rete locale dei servizi, che le IPAB possono essere messe in grado di qualificare in modo sempre più efficace la loro presenza sul territorio, e di partecipare da protagoniste attive all'innovazione delle politiche sociali del nostro paese.

 

 

 

(1) Nel rapporto è scritto che il numero delle IPAB privatizzate è superiore a mille e «rappresenta circa un quarto del complesso delle IPAB oggi esistenti: si tratta dunque di un fenomeno che ha coinvolto una parte rilevante dell’universo IPAB». Sull’argomento si veda anche “Breve storia delle IPAB - Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”, Prospettive assistenziali, n. 128.

(2) Si veda quanto scritto dal Ministro dell’interno, Nicotera, nella relazione, presentata il 1° dicembre 1877, al suo progetto di “Riforma della legge sulle istituzioni di beneficenza”. Cfr., al riguardo, Mario Tortello e Francesco Santanera, L’assistenza espropriata - I tentativi di salvataggio delle IPAB e la riforma dell’assistenza, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982.

(3) Segnaliamo che, come risulta dal rapporto in esame, dal 1995 al 1997, nella sola Regione Lombardia, 132 cittadini hanno disposto a favore di IPAB donazioni e lasciti per l’importo di 72 miliardi. Sempre in Lombardia, dal 1988 ad oggi, sono state istituite 5 IPAB ed una è in corso di formazione. Si tratta di elementi oggettivi che dimostrano che ancora attualmente le IPAB sono strutture vitali e positivamente considerati dalla popolazione.

 

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