Prospettive assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000

 

Libri

 

AA.VV., Social Watch - Osservatorio internazionale sullo sviluppo sociale, Rosenberg & Sellier, Torino, 1998, pag. 259, L. 32.000

Il Social Watch è un rapporto annuale predisposto da un gruppo internazionale di organizzazioni (per l’Italia: Mani tese, Movimondo, ACLI e ARCI) costituitosi per verificare il rispetto degli impegni assunti dai Governi a conclusione del Vertice mondiale sullo sviluppo sociale tenutosi a Copenhagen nel marzo 1995 e della quarta Conferenza mondiale sulle donne, riunitasi nello stesso anno a Pechino: l’impegno più ambizioso scaturito dalle suddette due iniziative riguardava lo sradicamento della povertà a livello mondiale.

A questo proposito Roberto Bissio nell’introduzione afferma che «il nostro pianeta possiede risorse sufficienti per fornire a tutti i suoi abitanti il necessario per una vita decorosa».

Purtroppo la comunità internazionale non ha fissato un termine ultimo, né dato un preciso lasso di tempo entro il quale portare a termine questo compito: è stato lasciato ai governi il compito di fissare i propri obiettivi.

Precisa lo stesso Bissio: «I Capi di Stato e di Governo intervenuti al Vertice mondiale di Copenhagen hanno riconosciuto di non poter raggiungere da soli gli obiettivi fissati per lo sviluppo sociale».

Viene, dunque, sollecitata la partecipazione dei cittadini.

Ma di quale partecipazione si tratta? Verranno assicurate le condizioni affinché i cittadini, e non solo alcune organizzazioni, possano far sentire le loro voci sulle politiche sociali svolte dai Governi e valutarne l’efficacia?

Risulta che Social Watch sta predisponendo un “Indice degli impegni realizzati dai Governi”: per la loro individuazione si porrà dalla parte della gente? Verranno rilevate anche le condizioni dei più deboli e cioè di coloro (bambini istituzionalizzati, handicappati intellettivi e malati psichiatrici con limitata o nulla autonomia, anziani cronici non autosufficienti, persone colpite dalla malattia di Alzheimer e da altre forme di demenza presenile e senile) che non sono in grado di autodifendersi?

Dopo aver letto il rapporto 1998, dobbiamo dichiarare di non condividere le considerazioni riguardanti il nostro paese, secondo cui «le politiche contro la povertà si presentano in Italia come politiche contro le patologie del lavoro (disoccupazione, infortuni, malattie, ecc.) che rimane il perno dei diritti di cittadinanza».

Mentre la mancanza di occupazione è certamente il fattore determinante della povertà dei cittadini in grado di svolgere una attività lavorativa, non si dovrebbe dimenticare che la ancor più devastante miseria economica e sociale coinvolge soprattutto i soggetti deboli sopra indicati (oltre un milione in Italia).

Per quanto riguarda le affermazioni contenute a proposito della sanità, nel rapporto viene riproposto il solito falso ritornello secondo cui la distinzione delle competenze fra la sanità e l’assistenza finirebbe per «scaricare da un settore all’altro problemi e soggetti i cui bisogni complessi sono difficilmente separabili (per esempio, lungodegenti, malati cronici, malati mentali, ecc.)», quando, al contrario, è proprio la tanto reclamizzata integrazione dei due settori lo strumento utilizzato per calpestare le esigenze dei giovani, degli adulti e dei vecchi malati non autosufficienti e per impoverire questi cittadini ed i loro congiunti con la richiesta di contributi economici spesso di rilevante entità.

 

 

DAVID LAMB, L’etica delle frontiere della vita - Eutanasia e accanimento terapeutico, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 210, L. 20.000

Con lo sviluppo delle tecnologie mediche e farmacologiche, le decisioni di carattere morale nel campo della sanità sono divenute sempre più complesse e delicate. Esse coinvolgono i pazienti, le loro famiglie, i medici (cui sempre più spesso non bastano le competenze tecniche), ma anche numerose istituzioni, chiamate a elaborare principi, norme e codici di comportamento. Il volume affronta le numerose questioni etiche legate al trattamento dei malati in situazioni critiche.

Come si determina un livello “accettabile” di qualità della vita per il paziente? È “giusto” mantenere in vita un organismo ad ogni costo? In che misura il malato (o l’individuo ancora sano) ha il diritto di dare indicazioni sui trattamenti cui desidera essere eventualmente sottoposto nello stadio finale della propria vita? A chi spettano le decisioni nel caso di un paziente ridotto a uno stato puramente vegetativo? Può il malato rifiutare una terapia che il medico si sente moralmente obbligato a somministrare? O, al contrario, può esigere un trattamento cui il medico si oppone? Rifacendosi all’esperienza di paesi in cui tali problematiche cominciano ad essere codificate, l’autore pone le domande, illustra i casi e cerca le possibili risposte a una sfida morale che è ormai contrassegno del nostro tempo.

 

 

Centro nazionale di documentazione e analisi sull’infanzia e l’adolescenza, Pianeta infanzia: questioni e documenti, Volumi 1 e 2, Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998, pag. 639 e 212, senza indicazioni di prezzo

Si tratta di due volumi estremamente utili a scopo di documentazione. Contengono, infatti, oltre ad alcuni cenni sulle principali leggi dello Stato (DPR 24 luglio 1977 n. 616 relativo al trasferimento di funzioni alle Regioni ed ai Comuni, leggi 6 dicembre 1971 n. 1044 e 29 novembre 1977 sugli asili nido, legge-quadro sulla sanità n. 833 del 23 dicembre 1978, legge 23 dicembre 1975 sullo scioglimento dell’ONMI - Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia, ecc.) i testi delle leggi approvate dalle Regioni, aggiornate al 31 dicembre 1997, in materia sociale (asili nido, diritto allo studio, istruzione prescolastica e scolastica, minori handicappati, consultori familiari, informazione, maternità e infanzia, politiche giovanili, assistenza sanitaria neonatale, medicina scolastica e sportiva, ecc.).

Peccato che, forse a causa dell’imperante omologazione delle linee politico-sociali comunque perseguite dalle istituzioni e dal «conseguente affievolimento di vigore nel sostenere i diritti sociali di coloro che non ne godono», come ha giustamente affermato il Cardinale Martini (cfr. l’editoriale del n. 121 di Prospettive assistenziali), non si faccia anche in questi volumi alcun riferimento al 1° comma dell’art. 38 della Costituzione che riconosce in modo inequivocabile diritti specifici (mantenimento e assistenza sociale) agli inabili al lavoro sprovvisti dei mezzi necessari per vivere.

Nella premessa del primo volume si arriva, addirittura, ad affermare che la legge 285/1997 avrebbe la caratteristica di «dare alla politica per l’infanzia e l’adolescenza uno specifico carattere distintivo che la sottragga dal ruolo di sottosettore delle politiche assistenziali e sanitarie e che la costituisca a vera e propria politica sociale», quando gli estensori della legge suddetta ed i Parlamentari che l’hanno approvata non sono nemmeno stati in grado di comprendere che condizione ineludibile per la creazione e il funzionamento dei servizi – com’è ovvio per tutte le persone di buon senso – è indispensabile che la legge stabilisca qual è l’ente che è obbligato a provvedere!

Inoltre, nella legge 285/1997 non sono state nemmeno introdotte, come richiesto fra l’altro dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, quattro righe per porre fine all’attuale assurda separazione fra l’assistenza ai nati nel matrimonio (quasi sempre di competenza dei Comuni) e ai nati fuori dal matrimonio (in genere affidata alle Province).

 

 

Vittore MarIani, Il piano educativo-riabilitativo individualizzato per il disabile mentale adulto, Edizioni Del Cerro, Tirrenia (Pisa), 1998, pag. 110, L. 28.000

Il piano educativo-riabilitativo individualizzato per i soggetti in situazione di handicap è lo strumento educativo e terapeutico, di primaria importanza, finora regolamentato da norme precise, e attuato nell’ambito dell’integrazione scolastica nei vari ordini di scuola. L’avvertenza fondamentale per la sua efficacia è quella di richiedere l’intervento paritario dei servizi sanitari e scolastici, nonché dei genitori degli alunni interessati, e ancora – non meno essenziale – è quella di estendersi anche e soprattutto agli aspetti socializzanti da inserire nel piano, perché l’individualizzato non diventi un isolato, ma al contrario diventi anche socializzato.

Ora l’estensione di tale piano anche agli handicappati intellettivi adulti, come si propone il libro di Vittore Mariani, merita una particolare attenzione.

Lo strumento, nelle intenzioni dell’autore, è utilizzabile «da educatori, animatori, pedagogisti e altri operatori»; «si può estendere all’autismo e ai cosiddetti malati mentali», come «per i soggetti “gravissimi” o “profondi”». «Può essere utile anche ai familiari della persona disabile, alle associazioni dei familiari e ai gruppi di volontariato organizzati». Il linguaggio del testo – destinato a una vasta gamma di persone – è «volutamente sobrio, essenziale, con una terminologia chiara e accessibile».

Il testo si compone di due parti. La prima svolge i principali fondamenti teorici e operativi di un piano educativo riabilitativo; la seconda, di uguale ampiezza, si compone di diversi esempi di schede operative commentate da piani educativi.

 

 

Donna WILLIAMS, Il mio e loro autismo - Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera, Armando Editore, Roma, 1998, pag. 304, L. 45.000

Finalmente, non uno studioso, ma una persona autistica, lancia una seria sfida alle etichette, agli stereotipi, agli approcci sistematico-superficiali, alle teorie che spingono a forzare la realtà per autovalidarsi, ai metodi che cercano le cause, ma non ne traggono i punti chiave per arrivare a trattamenti corretti.

Questo libro è un itinerario attraverso le sue esperienze, la sua lunga lotta per individuare, unire o scartare i pezzi dei suoi puzzle; è un percorso in salita alla conquista del proprio io. Non è un libro facile, come non lo è stata la strada che Donna Williams ripercorre per noi e per “loro”; per chi forse per la prima volta giunge alla “frontiera” e per gli altri autistici che stanno ancora lottando per arrivare alla “consapevolezza di sé”. È un libro affascinante, ma difficile per chi non ha vissuto “quel mondo” se non avrà l’umiltà di leggerlo e rileggerlo, fino a far suo quell’itinerario e a camminare con lei, spogliandosi di pregiudizi e preconcetti, pensando che, se esiste un’eccezione, forse ci sono centinaia, migliaia di eccezioni e che, forse, “eccezione” sono anche quei pochi non-autistici che riescono a vedere l’io vero degli autistici oltre le stereotipie, oltre i silenzi, oltre le aggressività.

Questo libro è una miniera di suggerimenti, di soluzioni, di strumenti preziosi per genitori e professionisti.

(Dalla presentazione di Sergio Vitali)

 

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