Prospettive assistenziali, n. 129, gennaio-marzo 2000

 

Indagini fuorvianti sugli anziani cronici non autosufficienti

 

Non è certamente un caso che le ricerche scientifiche degli ultimi anni siano o reticenti, in quanto ignorano la drammatica situazione degli anziani cronici non autosufficienti, o fuorvianti poiché non riconoscono che la non autosufficienza dei vecchi è sempre, salvo casi del tutto eccezionali, causata da malattie (cancro, demenza, ecc.) o, ancor più frequentemente, da pluripatologie (1).

Prendiamo in esame le ultime quattro che ci sono pervenute.

 

Ricerca commissionata dalla FENACOM

Nel giugno 1998 la FENACOM, Federazione nazionale dei commercianti, ha pubblicato la ricerca “Essere anziano oggi - Una strategia compiuta per le genera­zioni”.

Molto valida per altri aspetti (2), l’indagine curata dal sociologo Nadio Delai è assai deludente per quanto riguarda il tema “Anziani e salute”.

In una pagina e mezza, comprese 4 tabelle, vengono forniti i dati relativi ad una indagine condotta nel 1994 dalla FENACOM sull’autodiagnosi delle condizioni di salute riguardanti le fasce di popolazione dai 55 ai 74 anni, e cioè proprio coloro che sono impropriamente definiti vecchi, quando la stragrande maggioranza di essi sta bene (3).

Non una parola sul problema delle malattie invalidanti, nonostante che i dati ufficiali siano preoccupanti. Infatti, secondo quanto è precisato nel Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 «una quota significativa di anziani soffre di patologie croniche, spesso multiple, e di disabilità che ne limitano l’autosufficienza. Il 52% degli uomini e il 61% delle donne dichiarano almeno due malattie croniche in atto; il 44% e il 51%, rispettivamente, ne dichiarano almeno tre (Istat, 1994). Tra essi, i malati di Alzheimer costituiscono una popolazione di 500.000 soggetti particolarmente esposti a condizioni di deterioramento della qualità della vita per se stessi e per i familiari, sui quali ricade gran parte del peso assistenziale. Nel 1994 i disabili di 60 anni e più non istituzionalizzati ammontano a oltre due milioni, pari al 17% degli ultrasessantenni (Istat, 1997). La disabilità accompagna soprattutto le età avanzate e condiziona fortemente la vita degli ultraottantenni. Si passa infatti dal 6% di disabili a 60-64 anni, al 47% a 80 anni e più. Il 10% degli uomini e il 31% delle donne di 60 anni e più vivono soli. I disabili che vivono soli sono 618.000».

 

L’indagine di FORUM

sulla condizione anziana femminile

Nel n. 8/9, agosto-settembre 1998, di Forum il mensile dell’Associazione nazionale degli Assesso­rati comunali e provinciali alle politiche sociali, sono stati presentati i dati relativi alla condizione femminile anziana tratti dal rapporto di ricerca “Anziani 1997”, redatto dal sociologo Sandro Bernardini.

Sono stati presi in esame i seguenti aspetti relativi alle donne di età superiore ai 65 anni: la situazione in Europa, la solitudine, le fonti di reddito, il lavoro ed i mezzi di sostentamento, la casa e la vita quotidiana, i consumi culturali, la radio e la televisione, i servizi, il sesso.

Anche in questo caso non una sola parola sulla situazione delle donne anziane colpite da malattie invalidanti e da non autosufficienza.

 

La ricerca finanziata dalla Regione Piemonte

Su incarico dell’Assessorato all’assistenza della Regione Piemonte, la Società Synergia di Milano ha effettuato una indagine campionaria, intervistando 927 persone.

Per quanto riguarda lo stato di salute, non sono state prese in considerazione le condizioni patologiche e nemmeno gli elementi epidemiologici, ma è stata operata la scelta (a nostro avviso non solo nebulosa, ma anche priva di sbocchi operativi) di valutare lo stato di salute «nella misura del rapporto che si gioca negli individui tra benessere/malessere psico-fisico e collocazione di sé nello spazio sociale». Secondo Synergia, sarebbe quindi «l’equilibrio che si crea tra le due dinamiche opposte a definire l’entità degli effetti del decadimento fisiologico sulla qualità di vita dell’anziano».

Nel rapporto della ricerca svolta da Synergia, numerose sono le ovvietà (4):

«L’operazione conoscitiva realizzata in quest’indagine identifica quindi la propria naturale “vocazione” nel fornire elementi cardinali su cui impostare politiche di servizio di assistenza volte essenzialmente a condurre l’anziano a gestire la propria autonomia funzionale il più a lungo possibile all’interno dell’ambito familiare e abitativo originario e ad offrire supporti alternativi all’istituzionalizzazione, laddove l’anziano non sia più autonomo, che sappiano integrare in modo adeguato le reti di supporto parentali garantendo al soggetto un mantenimento attivo della propria dimensione socio-relazio­nale»;

– «Un elemento che discrimina con buona approssimazione la percezione e l’autovalutazione del proprio stato di salute, indipendentemente dalle fasce di età, è certamente la condizione socio-economica (...). La tabella 3.1 mostra una relazione abbastanza forte, e quasi sempre univoca, che pone in una posizione di svantaggio, anche sul piano delle condizioni di salute, quei segmenti di popolazione che già hanno un accesso limitato alle risorse economiche e culturali dell’ambiente esterno»;

– «È chiara quindi la grande influenza dell’andamento del livello di status sulle qualità della vita anche alle età molto avanzate. In pratica, la disponibilità economica e la capacità di manipolare elementi culturali più sofisticati gioca un ruolo primario nell’attenuare anche l’effetto di un fattore tipicamente strutturale come lo stato di salute».

In merito alla valutazione funzionale dell’autonomia, non si riesce proprio a comprendere per quali motivi i ricercatori di Synergia abbiano scelto «di indagare non tanto l’aspetto clinico e patologico delle malattie in sé (...), ma sulle conseguenze che la malattia, il “malessere”, comporta sul piano della perdita delle capacità funzionali del soggetto nell’ambito della usuale vita quotidiana».

Assolutamente non convincente è la motivazione addotta, secondo cui l’esplorazione degli aspetti clinici e patologici delle malattie sarebbe una «operazione complessa e facilmente fallimentare in un’indagine di popolazione».

Dalla suddetta impostazione ne è derivata l’individuazione da parte degli esperti di Synergia dei seguenti sette indicatori riguardanti le «funzioni fondamentali normalmente attivate nella vita quotidiana: utilizzare il telefono, uscire di casa, fare la spesa, preparare i pasti, fare lavori di casa, prendere le medicine da solo, maneggiare il denaro», indicatori che, a nostro avviso, non sono assolutamente adatti per fornire elementi validi in merito alle condizioni di salute degli anziani e sulle loro effettive esigenze.

Ad esempio, risulta singolare che la presenza «del 4,9% di popolazione anziana in condizioni di non autonomia nelle funzioni strumentali della vita quotidiana» indichi per i ricercatori di Synergia «una quota di popolazione che necessita di assistenza regolare, sebbene non sempre continuativa nelle ventiquattrore, per poter svolgere funzioni quotidiane di tipo complesso», senza una sola parola sulle necessità terapeutiche.

È noto, invece, che la realtà è ben diversa. Ad esempio, le patologie principali degli anziani ricoverati nel 1997 presso l’Istituto di riposo per la vecchiaia, gestito direttamente dal Comune di Torino, erano le seguenti: demenza (38,9%), vasculopatia cerebrale cronica (25,0%), cardiopatie (41,7%), osteopatie (47,2%), bronco-pneumopatie cronico-ostruttive (19,4%), neoplasie (2,8%), psicosi croniche (44,4%). Da notare che nell’80,6% dei ricove­rati erano presenti altre patologie e che la media delle patologie gravi per paziente all’ingresso era di 2,9% (5).

 

La ricerca promossa dal Comune di Torino

Sul n. 2/1999 del Notiziario di statistica sono stati pubblicati i risultati della ricerca “L’anziano protagonista nella città e nella società”, coordinata dalla Divisione dei Servizi educativi, dal Settore Tempo libero, dall’Ufficio iniziative per la terza età e dal Circolo culturale “Incontri d’estate”, e realizzata dalla Società “Creativity”.

Innanzi tutto è sorprendente che il campione scelto (600 intervistati) comprendesse solamente persone di età compresa fra i 60 ed i 79 anni.

Da un lato è assurdo considerare “anziani” i cittadini che hanno meno di 80 anni. Infatti, a parte gli aspetti previdenziali, essi non presentano esigenze sociali sostanzialmente diverse dai cittadini più giovani.

In realtà, negli ultimi decenni la vita media è aumentata parallelamente all’incremento dei livelli di autonomia delle persone. Pertanto, sarebbe ora di finirla con il terrorismo statistico.

Il Comune di Torino, considerando anziani coloro che hanno superato il 60° anno di età, sostiene che i vecchi che abitano nel capoluogo piemontese sarebbero addirittura il 27% della popolazione. Non vorremmo, in particolare, che questa percentuale fosse usata strumentalmente per giustificare le vistose carenze di intervento presenti nel capoluogo piemontese.

Se, invece, come appare ovvio, si considerano anziani i cittadini che hanno superato 80 anni, la percentuale dei vecchi scende a 4,65 (42.464 individui sulla popolazione torinese complessiva di 914.818 unità). Il numero degli anziani necessitanti interventi socio-sanitari è, poi, com’è noto, notevolmente inferiore ai potenziali utenti.

Ritornando alla ricerca del Comune di Torino, osserviamo che è completamente ignorato il vero problema degli anziani, cioè quello della loro non autosufficienza causata da patologie invalidanti, situazione che coinvolge sia sul piano emotivo che economico i familiari (coniugi, figli, fratelli e sorelle, ecc.).

Per quanto riguarda gli anziani del tutto o in parte autosufficienti, la ricerca del Comune di Torino, ancora una volta ha scoperto l’acqua calda. Infatti, il sociologo Giulio Lazzarini dell’Università di Torino ha rilevato che «se si fa riferimento al presente dossier, che riporta i risultati dell’indagine sulla visione del mondo e sulla percezione di se stessi degli anziani torinesi, ci si rende conto che non c’è differenza sostanziale tra i comportamenti degli ultrasessantenni e le persone delle altre età».

C’è, dunque, la necessità di non prevedere più servizi riservati agli anziani (rifiutando il superato principio dell’emarginazione dei più deboli), ma di organizzarli in modo che possano essere usufruiti da tutti i cittadini.

In base alle suddette considerazioni, il Comune di Torino dovrebbe riesaminare la decisione di costituire il “Consiglio dei Seniores”.

 

 

 

(1) I Sindacati dei Pensionati CGIL, CISL  e UIL non solo continuano a ignorare che i vecchi colpiti da malattie invalidanti sono dei malati da curare e non degli indigenti da assistere, ma dimenticano anche che dall’entrata in vigore della legge 4 agosto 1955 n. 692 i lavoratori hanno versato e versano tuttora i contributi assicurativi aggiuntivi imposti dal Parlamento a fronte dell’impegno assunto dallo Stato di garantire senza limiti di durata le prestazioni sanitarie occorrenti per gli anziani malati cronici non autosufficienti.

I Sindacati dei pensionati CGIL, CISL e UIL sono arrivati al punto di organizzare un convegno nazionale, svoltosi a Bologna il 5 novembre 1998, per chiedere al Parlamento “la definizione giuridica di non autosufficienza”.

Da questa impostazione ne deriva, assurdamente,  che non avrebbero nessuna importanza le cause che determinano la dipendenza (essere neonati, malati insufficienti mentali gravissimi, ecc.) ma solo gli effetti! Un modo di porre i problemi assolutamente privo di ogni logica!

(2) Finalmente viene riconosciuto che «l’anziano non è solo, sul piano passivo, un soggetto da assistere bensì anche un soggetto che contribuisce alla vita familiare propria e dei propri figli (sul piano economico, sul piano della protezione quotidiana dei membri, sul piano della relazionalità piena e matura a tutti gli effetti nei confronti delle componenti adulte e giovani del nucleo familiare allargato)» e si afferma che «non è più vero che diventare anziani significa entrare in una categoria povera, debole, marginale per la quale va predisposto un adeguato sistema di protezione, possibilmente pubblico; ma al contrario sollecita meccanismi da inventare e da sperimentare, in grado di sostenere un sociale nuovo, solvibile, responsabile, addirittura pro-attivo».

(3) In particolare risulta che l’83% degli intervistati gode di buona salute, con una maggioranza di maschi (88%) sulle femmine (78%); l’88% del campione, inoltre, non ha subito alcun ricovero ospedaliero nel corso dell’ultimo anno.

(4) Ricordiamo che la ricerca è costata alla Regione Piemonte 160 milioni.

(5) Cfr. “Polemica CSA - medici di medicina generale sulle cure sanitarie per i degenti nelle RSA”, Prospettive assistenziali, n. 123, luglio-settembre 1998.

 

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