Prospettive assistenziali, n. 127, luglio-settembre 1999

 

Maternità, paternità e genitorialità biologica

MAssimo dogliotti (*)

 

 

 

Nel progetto di riforma dell’adozione, attualmente in discussione in Parlamento, viene riproposta, con la modifica dell’art. 28 della legge n. 184, la possibilità dell’adottato di conoscere l’identità dei propri genitori biologici.

La scelta è ancora più “liberalizzante” rispetto alla disposizione approvata dalla Camera dei Deputati (nell’ambito della discussione sulla legge di ratifica della Convenzione de L’Aja) e poi abbandonata dal Senato.

Si afferma senza eccezioni la possibilità per l’adottato maggiorenne di accedere alle informazioni sulla sua origine e sull’identità dei genitori biologici: il Tribunale per i minorenni procede all’audizione delle parti: genitori biologici e adottivi, parenti d’origine, ecc., valuta “le conseguenze pratiche” dell’accesso e autorizza con decreto (tale autorizzazione pertanto ha tutta l’aria di un provvedimento... quasi dovuto).

La previsione si riferisce ai genitori biologici tout court e non distingue il caso di genitori ignoti ovvero conosciuti ed esistenti.

Si potrebbe quindi ipotizzare un’autorizzazione del Tribunale per i minorenni a conoscere le cartelle cliniche e la documentazione relativa al parto eventualmente conservata nelle strutture sanitarie, da cui emerga l’identità di una donna che non aveva consentito di essere nominata.

È vero che il Tribunale per i minorenni deve sentire tutti i soggetti interessati; nel caso, se la donna e magari il padre biologico rifiutassero ogni contatto con il loro nato, come prevedibile, il giudice negherebbe l’autorizzazione. Ma anche in tal caso potrebbero esservi tardivi ripensamenti.

Confesso che quando iniziò a profilarsi la querelle (e ciò si verificò durante i lavori preparatori di ratifica della Convenzione de L’Aja che, come è noto, prevede, seppur in modo assai generico, la possibilità per l’adottato di conoscere l’identità dei propri genitori naturali) ero più propenso ad ammettere il superamento del segreto, ravvisandovi, se non un diritto, una sicura facoltà dell’adottato.

Impedire ad un soggetto maggiorenne tale possibilità, magari preoccupandosi delle conseguenze psicologicamente negative, sulla sua personalità, mi sembrava inaccettabile: voler insegnare ad un soggetto maggiorenne e capace ciò che è meglio per lui, mi appariva espressione di un insopportabile paternalismo.

Devo però subito aggiungere che le modalità con cui è stata prospettata questa possibilità, gli attacchi sferrati da più parti all’istituto dell’adozione di minori, la rivalutazione acritica della volontarietà nell’abbandono, la considerazione dell’interesse dei genitori d’origine, che non è certo di per sé atteggiamento da respingersi, ma che non può essere sovraordinata alla protezione dell’interesse del minore, sono tutti elementi di profonda preoccupazione.

Allora la richiesta sull’identità dei genitori che hanno abbandonato il minore (meglio sarebbe dire dei procreatori, avendo essi abdicato al ruolo genitoriale) sarebbe il presupposto per aprire una breccia nel sistema adozionale, la conseguenza potrebbe essere quella della ricostituzione di un rapporto prima magari soltanto affettivo, ma foriero successivamente di effetti giuridici.

Di qui ad ipotizzare una possibilità di revoca, anche per l’adozione legittimante di minori, il passo sarebbe estremamente breve... Si modificherebbero così caratteri, struttura, finalità di un istituto che non merita sicuramente mutamenti tanto radicali.

La questione è assai delicata e richiede qualche riflessione più generale, seppur in questa sede necessariamente sommaria. Il favor verso il genitore biologico (anche a prescindere dall’adozione legittimante di minori) non costituisce sempre e comunque la scelta privilegiata dal legislatore.

Anzi, prima della riforma del 1975 tale esigenza era palesemente sopravanzata dalla preoccupazione di tutelare la famiglia legittima e di garantire “un’ordinata convivenza” nella famiglia e nella società.

La presunzione di concepimento nella famiglia fondata sul matrimonio poneva, e pone anche dopo la legge n. 151 del 1975, incisivi limiti al disconoscimento nei presupposti e nei tempi dell’azione; il divieto di riconoscimento dei figli “adulterini” e gli ostacoli frapposti alla ricerca di paternità costituivano, prima della riforma, altrettante eccezioni all’affermazione della genitorialità biologica.

Ovviamente la legge del 1967 sull’adozione speciale escludeva tale genitorialità, sulla base di ben diverse motivazioni: il preminente interesse del bambino abbandonato.

Nel caso che il minore fosse figlio di ignoti, automaticamente si apriva la procedura di adottabilità: non consentendo di essere nominati nell’atto di nascita, i genitori ponevano in essere un abbandono del loro nato.

Limitate possibilità sono date, secondo la recente legge 184 del 1983, per eventuali ripensamenti. Ma i tempi devono essere necessariamente brevi, a tutela del preminente interesse del minore.

L’abbandono, com’è noto, si pronuncia pure se genitori e parenti esistano, ma siano venuti meno ai propri compiti educativi.

La riforma del 1975, eliminando vincoli e limiti formali, ha per certi versi rivalutato la genitorialità biologica: disconoscimento di paternità, anche da parte della moglie o del figlio, eliminazione dei limiti precedentemente apposti al riconoscimento (ma è stato mantenuto il divieto per i figli incestuosi) e alla ricerca della paternità e maternità: in tal caso la valorizzazione della realtà biologica si coniuga con l’esigenza di tutela e protezione del nato.

Ma, ancora una volta, in un caso, prevalgono diverse esigenze: vi è la possibilità di opporsi, per il genitore che per primo ha riconosciuto il figlio e per il figlio stesso ultrasedicenne, ad un secondo riconoscimento nell’interesse del minore stesso, e al suo interesse, dopo una nota e discussa sentenza della Corte costituzionale (n. 341 del 1998), deve riferirsi il giudice che valuta l’ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.

Certo, il genitore biologico che tenta in tutti i modi di sottrarsi alla sua responsabilità o che magari per tutta la vita manifesta totale disinteresse per il nato – e l’azione verrà proposta nei confronti dei suoi eredi – può ritenersi davvero “genitore”?

Sarebbe auspicabile, in una prospettiva di riforma, che, mantenendo gli obblighi economici verso il nato e i diritti ereditari di questo (e magari, se richiesto, l’acquisto del cognome), si escludesse qualsiasi relazione giuridica con il “figlio”, e soprattutto l’acquisto di diritti da parte di un soggetto che non meriterebbe di essere chiamato “genitore”.

Come si vede, le esigenze più diverse, ieri come oggi, hanno sempre impedito una totale e diretta rilevanza della genitorialità biologica.

Ma, alla luce di tale constatazione, andrebbe allora riconsiderata la soluzione della querelle sulle origini dell’adottato, che ha sicuramente diritto di sapere di essere stato adottato e di conoscere la propria storia (ciò che gli permetterebbe sicuramente una maggiore consapevolezza di se stesso e del rapporto con la realtà esterna, forse anche durante la sua minore età).

Il problema sull’identificazione dei genitori biologici è probabilmente mal posto. Nulla vieta che l’adottato maggiorenne, per mera curiosità, per carenza d’affetto, per contrasto momentaneo o definitivo con i genitori adottivi, ecc. svolga ricerche personali sull’identità dei genitori di origine (senza contare che il soggetto adottato, da adolescente, ricorderà perfettamente l’identità dei genitori, e non avrà alcun bisogno di rivolgersi al Tribunale per i minorenni o all’Ufficiale dello stato civile). Si tratterebbe di comportamento, irrilevante per il diritto, che non potrebbe certo essere sanzionato.

Ciò che invece dovrebbe escludersi (e sarebbe estremamente pericoloso ammettere) è un intervento dello Stato che, attraverso l’organo giudiziario, conferisca a tale interesse una precisa valenza giuridica, attribuendo all’adottato un “diritto” o quantomeno una facoltà di conoscere l’identità dei propri genitori biologici e di accedere alle relative fonti, che invece dovrebbero rimanere segrete.

Non si tratta di scelta pilatesca o magari ipocrita, che ammette ufficiosamente ciò che ufficialmente esclude; al contrario, è la differenza che intercorre tra interesse irrilevante per il diritto e interesse giuridicamente protetto.

È prassi presso alcuni Paesi dell’Est europeo, di ricostruire, contestualmente all’adozione del minore, il suo atto di nascita, che deve recare la paternità e maternità dei genitori adottivi e il luogo di nascita nella loro residenza.

Si tratta di un’evidente fictio (forse eccessiva) che però ben evidenzia la natura e i caratteri dell’adozione legittimante: una vera e propria “rinascita” dell’adottato, con l’inserimento in una nuova famiglia e lo scioglimento di ogni legame (l’art. 27 della legge n. 184 parla di cessazione di ogni rapporto, e non soltanto di quelli regolati dal diritto) con quella di origine.

I genitori reali diventano quelli adottivi e non sono più tali coloro che al loro nato hanno dato la vita, ma sono gravemente venuti meno ai loro compiti.

Genitore vero è quello che educa e dona l’affetto al figlio, non quello che lo procrea, il genitore “storico”, non quello biologico, come chiarisce, capovolgendo il famoso giudizio di Salomone, una pièce di grande bellezza, come “Il cerchio di gesso del Caucaso” di Berthold Brecht, che non dovrebbe mai essere dimenticata.

 

 

(*) Il presente scritto costituisce parte di un articolo di Massimo Dogliotti, “Segreto sulle origini dell’adottato, genitorialità biologica, genitorialità sociale”, che apparirà sul prossimo numero di “Famiglia e Diritto”.

 

 

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