Prospettive assistenziali, n. 127, luglio-settembre 1999

 

 

Interrogativi

 

 

Perché l’inca-cgil ignora il diritto dei vecchi malati cronici non autosufficienti alle cure sanitarie?

 

Sul numero 1, gennaio 1999, de L’assistenza sociale, rivista dell’INCA-CGIL, sono state pubblicate le relazioni tenute in occasione del centenario della legislazione italiana sulla sicurezza sociale. Rita Cavaterra, della Presidenza dell’ente suddetto e responsabile dell’area relativa alla sicurezza sociale, è intervenuta sul tema “La legislazione sociale in Italia; ruolo del Sindacato e del Patronato”, analizzando i provvedimenti relativi alla previdenza, alla tutela della salute e dell’assistenza sociale. Non ha fatto, però, alcun cenno all’importantissima legge 4 agosto 1955 n. 692, nonostante che il provvedimento sia stato approvato dal Parlamento proprio su sollecitazione del Sindacato.

Perché non ha riferito che, a seguito della legge suddetta, confermata da tutti i successivi provvedimenti, ai pensionati ed ai familiari di qualsiasi età era stato riconosciuto, per la prima volta, il diritto non solo alle prestazioni sanitarie domiciliari e ambulatoriali ed alle prestazioni farmaceutiche, ma anche alle cure ospedaliere senza limiti di durata nei casi di malattie specifiche della vecchiaia (1)?

La sua dimenticanza è forse dovuta al fatto che attualmente la CGIL è contraria al riconoscimento della competenza del Servizio sanitario nazionale nei riguardi degli anziani malati cronici non autosufficienti?

O, forse, anche la Cavaterra ritiene, come ha assurdamente affermato Sergio Cofferati, Segre­tario generale della CGIL, che «essere anziani cronici non è una malattia» (2)?

 

 

Perché “famiglia oggi” pubblica notizie infondate?

 

Il numero 6/7, giugno-luglio 1999, dell’autorevole rivista “Famiglia Oggi” è stato dedicato a “Il disabile fra noi: normative, servizi, prevenzione. Ma la famiglia resta sola”.

Il titolo lascerebbe sperare in una oggettiva prospettazione della situazione. Se però si passa dalla prima all’ultima pagina di copertina, risulta evidente una vistosa contraddizione. Infatti la rivista si chiude con la scritta: «Le risposte alla disabilità negli ultimi anni sono migliorate anche per l’ottima legislazione (italiana, n.d.r.) non seconda all’Europa».

Ma, di grazia in quali parti, se si escludono le disposizioni sull’inserimento scolastico, sono ottime le nostre leggi?

Inoltre, non possiamo tacere sul fatto che molte affermazioni contenute nell’articolo “Tutelare la persona” di Danilo Massi, componente della Commissione interministeriale per l’handicap della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono assolutamente infondate.

Non è fuorviante l’affermazione riportata all’inizio del suo articolo secondo cui «nel nostro paese la tutela e l’integrazione sociale delle persone handicappate sono disciplinate da un’articolata e complessa normativa che definisce un quadro sufficientemente completo di diritti della cittadinanza?».

Per i diritti della cittadinanza, Danilo Massi si riferisce ai 22 “possono” (le Regioni “possono”, i Comuni “possono” e mai “devono”) della legge quadro sull’handicap?

In base a quali elementi oggettivi l’Autore può sostenere che «la legge quadro individua interventi e servizi che assicurano l’autonomia e l’integrazione sociale (aiuto personale, centri socio-riabilitativi ed educativi diurni, comunità alloggio e case famiglia» e che «il provvedimento con particolare riguardo alla situazione delle persone in situazioni di gravità, considera e indica forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale anche della durata di 24 ore, servizi di accoglienza e di emergenza»?

Come fa a leggere “devono” quando nella legge 104/1992 c’è scritto “possono”? E, infine, in base a quali elementi oggettivi Danilo Massi afferma che con la legge 162 del maggio 1998 sono state apportate «sostanziali integrazioni alla legge quadro sull’handicap», quando le relative norme sono caratterizzate da altri tre “possono”?

 

 

Non sono troppo elevati i costi di gestione dei centri di servizio per IL volontariato dell’emilia romagna?

 

L’Assessore alle politiche sociali e familiari della Regione Emilia Romagna, Gianluca Borghi, ha fatto il punto sui nove centri di servizio per il volontariato istituiti in ciascuna delle Province della Regione.

Dalla loro istituzione a tutto il ’98 i centri hanno incassato L. 4 miliardi e 639 milioni. Nello stesso periodo gli oneri sostenuti per il personale ammontano a L. 1 miliardo 147 milioni (24,7%), per collaborazioni esterne sono stati erogati L. 871 milioni (18,8%), mentre le spese per corsi, convegni e seminari sono state di L. 107 milioni (2,3%); per il funzionamento dei centri il costo è stato di L. 834 milioni (18%). In totale, le spese complessive dei centri di servizio per il volontariato dell’Emilia Romagna hanno inciso nella misura del 63,8% rispetto alle somme incassate.

Chiediamo all’Assessore Borghi: non le sembra che i costi di gestione siano troppo elevati?

 

(1) L’elenco delle malattie specifiche della vecchiaia, reso noto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 21 dicembre 1956, comprende praticamente tutte le patologie, incluse quelle che causano la non autosufficienza.

(2) Cfr. F. Santanera e Maria Grazia Breda, Come difendere i diritti degli anziani malati, UTET Libreria, Torino, 1999, pag. 55.

 

www.fondazionepromozionesociale.it