Prospettive assistenziali, n. 126, aprile-giugno 1999

 

 

Aspetti positivi, negativi e problematici della nuova legge sul collocamento al lavoro delle persone con handicap

Maria grazia breda

 

 

La legge 12 marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, pubblicata sul Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale del 23 marzo 1999, che riportiamo integralmente in questo numero, accoglie alcune delle principali richieste avanzate dal CSA (1) e da altre organizzazioni impegnate per la riforma della precedente legge 482 del 1968 (2). Come vedremo in seguito, mentre sono condivisibili le affermazioni di principio contenute nella legge 68/1999, l’attuazione si presenta problematica a causa della indeterminatezza delle norme necessarie per una idonea applicazione.

 

Gli aspetti più importanti della legge 68/1999

1. Le disposizioni riguardano tutte le persone handicappate, senza esclusione alcuna. Infatti, si applica “alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento” (art. 1). Ovviamente la persona che desidera avviare una occupazione in proprio oppure cercare da sola il lavoro che più le aggrada, è libera di farlo. Restano, purtroppo, alcune disparità di trattamento e sono mantenuti vecchi privilegi e norme particolari di alcune categorie di invalidi (3).

 2. L’inserimento lavorativo di profughi, vedove e orfani – giustamente – non è più regolamentato dalle norme concernenti il collocamento obbligatorio degli handicappati (4). Si tratta infatti di persone con uno svantaggio sociale, che non impedisce loro di avere una normale capacità lavorativa. Nella precedente legge 482/1968, la loro presenza aveva contribuito a ridurre le possibilità di occupazione per gli handicappati iscritti al collocamento obbligatorio, in quanto le imprese si orientavano preferibilmente sulla loro assunzione (5).

 3. Si distingue tra handicap intellettivo e malattia psichica e si riconosce per entrambi il diritto al lavoro (6). Ricordiamo che fino alla sentenza n. 50/1990 della Corte costituzionale, che ha ribadito il diritto al lavoro anche per i pazienti psichiatrici (comprendendo però in questa definizione anche gli handicappati intellettivi) i suddetti soggetti erano esclusi dal mondo del lavoro e ingiustamente ritenuti incollocabili.

4. Viene introdotta la modalità del “collocamento mirato” prevedendo finalmente che la persona handicappata sia inserita nel posto adatto alle sue capacità “attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione” (art. 2). Non dovrebbe quindi più verificarsi il caso – così frequente in passato con la precedente legge 482/1968 – che un giovane, non adatto alla mansione richiesta dall’azienda, sia ugualmente inviato sul posto di lavoro inidoneo. Ad esempio, poteva succedere che, d’ufficio, una persona con difficoltà di deambulare venisse inviata alla ditta che richiedeva un magazziniere addetto allo scarico e carico delle merci, con il risultato che il posto di lavoro veniva rifiutato – per ovvi motivi – dallo stesso interessato. In base alle nuove norme, la persona dovrebbe essere scelta tra gli iscritti nelle liste del collocamento, ma tenendo conto della sua capacità lavorativa e dell’idoneità a ricoprire proficuamente la mansione richiesta dal datore di lavoro. Qualora non risultassero, tra gli aventi diritto, soggetti con le necessarie caratteristiche, è previsto che si proceda all’inserimento lavorativo mirato attraverso una adeguata preparazione professionale e/o riqualificazione del soggetto con handicap. Nel documento “Handicappati e società: quali strategie per il lavoro” (7) era stato evidenziato che “una corretta gestione del collocamento mirato, considerando le esigenze di entrambe le parti (lavoratore e azienda), agevoli di fatto anche l’azione contrattuale del sindacato fino a promuovere la disponibilità di posti di lavoro per persone handicappate/disoccupate che esprimono una capacità lavorativa, se messe nelle condizioni idonee”. Inoltre si riconosceva che “la capacità lavorativa può essere anche totale (piena) quando siano eliminate difficoltà di ordine ambientale. Fondamentale resta quindi in ogni caso la ricerca mirata del posto di lavoro e il suo adattamento, anche a fronte degli enormi progressi realizzati nel campo tecnologico, che permettono possibilità lavorative fino a qualche tempo fa impensabile”.

5. Sono previsti i servizi preposti alla realizzazione dell’inserimento lavorativo, denominati uffici competenti incaricati di “favorire l’inserimento dei soggetti di cui alla presente legge, nonché all’avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle competenze territoriali, alla stipula delle convenzioni e all’attuazione del collocamento mirato” (art. 6). Ad un comitato tecnico, previsto all’interno di questi nuovi uffici competenti, composto da esperti del settore sociale e medico-legale e da rappresentanti individuati dalle Regioni, viene assegnato il compito relativo “alla valutazione delle residue capacità lavorative, alla definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all’inserimento e alla predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di inabilità” (art. 6, comma b) (8).

6. Gli uffici competenti possono stipulare convenzioni con i datori di lavoro privati e con le cooperative sociali per l’inserimento lavorativo delle persone con maggiori difficoltà.

7. Sono concesse agevolazioni per le assunzioni sulla base dei programmi presentati e nei limiti delle disponibilità del Fondo nazionale e regionale (9). Esse sono proporzionali alla riduzione della capacità lavorativa della persona handicappata da inserire, come indicato nella tabella 1.

8. È notevolmente ridotta la percentuale delle assunzioni obbligatorie, che si applica indistintamente ai datori di lavoro pubblici e privati, nonché agli enti pubblici non economici. Con la nuova legge, infatti, si passa dalla precedente percentuale del 15 per cento di handicappati da assumere rispetto al totale dei lavoratori in servizio, a quella del 7 per cento per le imprese con più di 50 dipendenti (10). A questo riguardo merita ricordare che il CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, è stato il primo a proporre un radicale abbassamento di tale aliquota, da sempre disapplicata perché esagerata e perché erano decisamente irrisorie le sanzioni stabilite dalla precedente legge 482/1968. Nella piattaforma pubblicata in Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre-dicembre 1985, al punto 5) si legge, infatti, quanto segue: “Le percentuali per il collocamento obbligatorio al lavoro sono: 3 per cento per gli handicappati aventi piena capacità lavorativa; 3 per cento per gli handicappati aventi ridotta capacità lavorativa”. Il CSA proponeva che alle Regioni fosse attribuito il compito di assumere i necessari provvedimenti per “aumentare le suddette percentuali, nei casi in cui ciò sia necessario per assicurare un lavoro a tutti gli handicappati”. In questo modo si garantiva l’occupazione alle persone handicappate nel caso in cui – per qualche ragione particolare – fossero in misura maggiore alla percentuale indicata, senza imporre aprioristicamente quote elevate di assunzioni alle imprese. Come si può notare la percentuale proposta era più bassa di quella stabilita dalla legge 68/1999, ma si introduceva un passaggio importante: il riconoscimento di due tipi di handicappati avviabili al lavoro, e, quindi, due gradi diversi di capacità lavorativa. In sostanza, da un lato si chiedeva il riconoscimento di una realtà: la stragrande maggioranza degli handicappati, con il collocamento mirato, è in grado di raggiungere una piena capacità lavorativa e, quindi, una resa produttiva analoga agli altri colleghi di lavoro; parallelamente si intendeva, altresì, difendere il diritto ad essere collocati in normali posti di lavoro degli handicappati che, pur raggiungendo solo una capacità lavorativa ridotta, erano in grado di assicurare una resa produttiva certa e continua. Il Parlamento, purtroppo, non ha accolto la proposta del CSA; c’è pertanto il rischio che non siano avviati al lavoro i soggetti con ridotta capacità lavorativa e, in particolare, gli handicappati intellettivi.

9. L’obbligo di assunzione è esteso anche alle piccole e medie aziende. Alla riduzione della percentuale della quota di assunzioni obbligatorie, si contrappone l’estensione delle aziende obbligate all’assunzione di handicappati. Infatti si prevede l’assunzione di due lavoratori handicappati per le ditte con un numero di dipendenti compreso tra i 35 e i 50 e di un lavoratore handicappato se i dipendenti sono da 15 a 34 . In questa ultima fascia rientrano anche le organizzazioni sindacali, politiche e sociali senza scopo di lucro. Va rilevato, tuttavia, che per i suddetti enti l’obbligo di assunzione scatta solo nel caso di nuovi inserimenti lavorativi e con decorrenza dal trecentesimo giorno dalla data di pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale e cioè dal 17 gennaio 2000 (11). Inaccettabili le proteste delle associazioni delle piccole e medie imprese. Secondo Michele Perini, presidente dei piccoli industriali di Assolombarda “con questa normativa si favorirà solo il ‘nanismo industriale’, nel senso che se un imprenditore ha quindici dipendenti e vuole assumerne un altro, a causa di questo testo non lo farà mai e ridurrà così le sue potenzialità” (12). Ancora una volta gli imprenditori puntano il dito sull’obbligo di assunzione, ma non considerano che con il collocamento mirato verrà avviata una persona che sarà in grado di svolgere un’attività lavorativa produttiva. Inoltre, il presidente di Assolombarda non ricorda (o non vuole ricordare), che nel caso specifico il datore di lavoro sarà anche libero di scegliere la persona che desidera assumere, in quanto la chiamata per le imprese con meno di 35 dipendenti è nominativa (13).

10. Sono introdotte sanzioni pecuniarie più severe e sono escluse dalla partecipazione a bandi per appalti con la pubblica amministrazione le ditte non in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili.

 

I necessari provvedimenti attuativi

Come abbiamo già rilevato all’inizio, queste importanti dichiarazioni di principio, devono adesso tradursi in fatti concreti. Tutto dipende dai provvedimenti attuativi, che la legge 68 rinvia ad atti e decreti successivi del Governo e delle Regioni (si veda la tabella 1). Si tratta di punti nodali e, a seconda di come verranno normati, emergerà se le forze politiche vogliono assicurare un futuro di lavoro vero alle persone con handicap.

Savino Pezzotta nel quotidiano della CISL, Conquiste del lavoro, del 21 aprile 1999 segnala il rischio che si sta correndo e sollecita il suo sindacato, perché si metta nella “prospettiva di una gestione attiva della legge, coinvolgendosi con le associazioni di rappresentanza dei disabili, sia per realizzare quanto definito, che per recuperare gli elementi che non sono stati recepiti nel nuovo assetto normativo. Come tutte le leggi che disciplinano i rapporti e che tendono ad ampliare le possibilità di impiego, anche questa ha bisogno del ruolo fattivo del sindacato e di forti momenti di contrattazione e di concertazione. Sarebbe alquanto illusorio pensare – continua Pezzotta – che si possano ottenere dei buoni risultati senza un preciso costante impegno di mobilitazione e di coinvolgimento delle parti sociali”.

Anche Mario Dany De Luca, responsabile dell’ufficio handicap della CGIL di Roma mette in guardia il sindacato e le associazioni dal non lasciarsi sfuggire la grande occasione che la legge offre. “Ma – ricorda De Luca – quante sono le leggi nostrane che hanno una ispirazione svedese ed una traduzione mediterranea? Tante, forse troppe. Ecco, credo che a questo punto bisogna aprire un altro fronte (…): bisogna applicare la legge! Altrimenti consegnamo i disabili che cercano lavoro al mondo della virtualità giuridica, della finzione, che non integra ma alimenta frustrazioni e dinamiche regressive in quelle persone che si vogliono anche attraverso il lavoro affrancare, per quanto possibile, da una condizione in cui la vita viene vissuta ad ore o al massimo raccontata dagli occhi” (14).

Per l’On. Augusto Battaglia, che ritiene fortemente innovativo il testo, non mancano tuttavia le preoccupazioni rispetto alla sua attuazione. La legge, secondo Battaglia, lancia una nuova sfida alla società e al mondo, perché propone l’idea di un giovane disabile iscritto al collocamento, generalmente professionalizzato, spesso diplomato, laureato e capace di guidare l’automobile. Un giovane che nella maggioranza dei casi ha alle spalle anni di scuola, formazione, sport e che adesso vuole giustamente lavorare, divertirsi, viaggiare, formarsi una famiglia. Restano però ancora le “residue perplessità della Confindustria”, che egli si augura cadano definitivamente “affinchè imprenditori e sindacati operino fattivamente per il successo della legge nella sua fase attuativa” (15).

 

Quello che non si è ottenuto

Per poter operare correttamente per l’attuazione della legge 68/1999, oltre a tener conto delle conquiste realizzate, è necessario avere presente anche quanto non si è ottenuto. Questi gli aspetti negativi:

a) La chiamata nominativa può diventare anche totale. Infatti, le imprese possono richiedere agli uffici competenti la stipula di convenzioni (artt. 11 e 12) per la quota di persone handicappate che dovrebbero assumere numericamente. Le convenzioni, che possono essere concesse discrezionalmente dagli uffici competenti alle imprese, oltre ad altre numerose deroghe, comprendono per l’appunto, anche la facoltà della chiamata nominativa.

b) Le persone con problemi psichiatrici sono in pratica escluse dall’avviamento al lavoro. È difficile pensare che le imprese, di loro spontanea volontà, esercitino la chiamata nominativa mediante le convenzioni di cui all’articolo 11, anche se hanno diritto alle agevolazioni di cui all’articolo 13.

c) Nessuna percentuale di assunzione obbligatoria è stabilita per chi ha una riduzione della capacità lavorativa (fisici con limitata autonomia e handicappati intellettivi).

Restano infine alcuni aspetti problematici, la cui risoluzione sarà favorevole o meno all’avviamento al lavoro delle persone handicappate, a seconda delle decisioni che verranno assunte nei prossimi mesi da Governo, Regioni e Province.

 

Gli appuntamenti da non perdere e le iniziative da assumere

 

Chi si è impegnato attivamente per la riforma del collocamento al lavoro delle persone handicappate, deve oggi continuare con un’azione di vigilanza, di informazione e di promozione nei confronti dei livelli istituzionali preposti alla definizione dei provvedimenti occorrenti per dare attuazione ai principi contenuti nella legge 68/1999. Questi i punti principali sui quali sarà indispensabile concentrare l’impegno, prima dell’entrata in vigore della legge, stabilita per il 17 gennaio 2000.

 

A.   Accertamento dell’invalidità e della capacità lavorativa: due momenti diversi, che devono concorrere ad una valutazione unitaria

Non si può parlare di collocamento al lavoro degli handicappati, senza affrontare il nodo della dichiarazione di invalidità. In attesa di una definizione generale della materia, si devono introdurre meccanismi correttivi dell’attuale normativa, che continua a utilizzare la percentuale di invalidità per calcolare la riduzione della capacità lavorativa della persona handicappata, nonostante sia ampiamente noto a chiunque operi in questo settore che la percentuale di invalidità, assegnata dalle attuali commissioni medico-legali, è assolutamente inidonea per stabilire l’effettiva capacità lavorativa della persona. A questo proposito, Flavio Cocanari, responsabile delle politiche per l’handicap della CISL nazionale, in Conquiste del lavoro dell’11 marzo 1999, afferma provocatoriamente che “il disabile non è una percentuale”, per porre proprio l’accento sul fatto che molti articoli della legge 68/1999 continuano ad indicare la percentuale di invalidità come riferimento per l’adozione di alcuni provvedimenti importanti, ad esempio le disposizioni che riguardano le agevolazioni e gli incentivi alle imprese. “Ma – continua Cocanari - nessun datore di lavoro, nessun compagno di lavoro, nessun ‘progettista’ di inserimento mirato può trarre indicazioni utili da una percentuale che scompone la persona”.

Fermo restando il presupposto dell’invalidità, si deve considerare l’accertamento dell’invalidità come condizione per l’accesso alle prestazioni riguardanti gli handicappati, come ad esempio l’assegno della pensione di invalidità, o dell’indennità di accompagnamento. Per quanto riguarda il lavoro, invece, i soggetti che avranno la percentuale di invalidità indicata dall’attuale normativa per l’accesso al collocamento obbligatorio dovrebbero essere sottoposti ad un secondo momento di valutazione per l’accertamento delle capacità lavorative. Pertanto occorre prevedere un gruppo di esperti in materia del lavoro, che sia provvisto di strumenti tecnici idonei ad individuare le capacità lavorative. È quindi dalla seconda valutazione che dovrebbe risultare la piena capacità lavorativa o, secondo la definizione utilizzata nella legge 68/1999, “la riduzione della capacità lavorativa”, da assegnare alla persona handicappata che sceglie di iscriversi nelle liste del collocamento obbligatorio. Una percentuale che dovrebbe essere tanto maggiore quanto più rilevante è la riduzione della capacità lavorativa, riduzione che generalmente è a sua volta determinata da una grave minorazione associata ad una reale limitazione dell’autonomia. Invece, accade che, anche con questa nuova legge, l’unico riferimento per assegnare incentivi anche consistenti, sia sempre e solo la percentuale di invalidità. Per cui potrà accadere che sia ad esempio riconosciuta la fiscalizzazione totale per otto anni (prevista dalla legge 68/1999 per chi ha una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento) alle imprese che assumeranno un giovane paraplegico ragioniere in carrozzina con il cento per cento di invalidità, ma pienamente in grado di svolgere la sua attività lavorativa se, ovviamente, sarà collocato in un ufficio privo di barriere architettoniche.

 

Che cosa fare?

In primo luogo si deve intervenire, per quanto possibile, perché nell’atto di indirizzo, previsto al comma 4, dell’articolo 1 della legge (che dovrà essere emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri per definire i criteri per l’accertamento di invalidità), siano inseriti nuovi criteri per l’accertamento delle potenzialità lavorative in modo che la “riduzione della capacità lavorativa” non continui ad essere collegata solo alla percentuale di invalidità (16).

In secondo luogo si deve agire nei confronti delle Regioni, perché in base a quanto previsto dall’art. 6 della legge 68/1999, spetta proprio ad esse definire gli uffici competenti e istituire nell’ambito di questi organismi un comitato tecnicocon compiti relativi alla valutazione delle residue capacità lavorative”. Pertanto, oltre alle competenze già indicate al comma b) del citato articolo 6, si dovrebbe richiedere che tra i compiti del comitato tecnico vi siano anche quelli di accertare:

– la piena capacità o potenzialità lavorativa dei soggetti;

– la loro residua capacità o potenzialità lavorativa;

– la loro inidoneità a causa delle condizioni fisiche e/o intellettive di svolgere una proficua attività lavorativa.

In questo modo il Comitato tecnico dovrà necessariamente riconoscere che vi sono tre possibili tipologie di handicappati. Conseguentemente, le agevolazioni e gli incentivi, che in base alla presente legge il Comitato tecnico può decidere discrezionalmente di concedere alle imprese che utilizzano lo strumento delle convenzioni, potrebbero essere assegnati per facilitare solo l’inserimento al lavoro dei soggetti ai quali è stata riconosciuta una capacità lavorativa piena o ridotta.

Inoltre, mentre per gli handicappati con “piena capacità lavorativa” si tratterà di intervenire con sostegni per l’adattamento del posto di lavoro, la fornitura di particolari ausili o garantendo il trasporto, nel secondo caso, che interessa prevalentemente handicappati fisici con limitata autonomia e gli handicappati intellettivi, dovranno essere impegnati in modo sostanzioso tutti gli strumenti di mediazione e gli incentivi a disposizione degli uffici competenti per favorire la loro collocazione lavorativa in azienda. In sostanza, non si dovrebbe permettere che siano assicurate agevolazioni fiscali per i soggetti handicappati in grado di svolgere bene il loro lavoro, che non rappresentano alcun peso per le imprese. Non si può continuare a far finta di non ricordare che, anche nel nostro paese, vi sono esempi illustri di persone con grave limitazione dell’autonomia, a causa dell’handicap fisico, pienamente in grado di svolgere l’attività che hanno scelto in base alle loro aspirazioni e alle loro capacità. È anche per rispettare la dignità di queste persone, che hanno raggiunto livelli notevoli di professionalità indipendentemente dalla loro situazione di handicap, che alle persone handicappate in grado di essere pienamente produttive, non si devono assegnare alle imprese agevolazioni o sgravi fiscali. È un’umiliazione che non deve mai più essere imposta agli handicappati con piena capacità lavorativa.

E per chi non è avviabile al lavoro?

Proponiamo anche l’individuazione delle persone con capacità lavorative nulle perché, se da un lato chiediamo assunzioni per le persone in grado di lavorare (anche se in alcuni casi con una capacità lavorativa ridotta), dall’altro siamo consapevoli che vi sono handicappati con nessuna possibilità di svolgere attività lavorative proficue. È indispensabile, però, prevedere che per i soggetti esclusi dal collocamento obbligatorio al lavoro (perché ritenuti non in grado di assicurare una resa produttiva certa e continua, anche se ridotta), sia riconosciuto il diritto alle prestazioni dei servizi assistenziali (17).

 

B.   I servizi per l’inserimento lavorativo mirato

Come abbiamo già detto gli uffici competenti e il comitato tecnico sono i servizi preposti all’l’inserimento lavorativo dalla legge 68/1999 e vengono collocati nell’ambito dei centri per l’impiego, le nuove strutture che le Province devono realizzare, su mandato delle Regioni, in attuazione del decreto legislativo 469/1997 concernente la riforma del mercato del lavoro.

È positivo che il collocamento obbligatorio al lavoro delle persone con handicap sia stato assegnato agli uffici incaricati dell’organizzazione delle politiche del lavoro per tutti i lavoratori. Abbiamo sempre sostenuto che gli handicappati sono cittadini come tutti gli altri; devono quindi avere libero accesso ai servizi sociali previsti per tutti: scuola, formazione professionale, sanità, trasporti, tempo libero, sport, lavoro. Solo in questo modo è realizzabile una vera integrazione, che ha inizio con l’assunzione da parte di ogni settore delle competenze necessarie per rispondere adeguatamente ai problemi di tutti i suoi cittadini, handicappati compresi, organizzandosi di conseguenza.

Restano aperti due problemi:

1) si corre il rischio oggettivo che il legittimo interesse delle persone handicappate ad ottenere un posto di lavoro venga preso in considerazione solo dopo che sono state soddisfatte le esigenze dei disoccupati più forti, iscritti nel collocamento ordinario (in grado di esercitare una maggiore pressione nei confronti degli organi competenti) o di altre categorie di soggetti ritenuti per motivi diversi bisognosi di particolari attenzioni. Infatti all’art. 2, punto 2, del decreto legislativo 469/1997 sono conferiti alle Regioni funzioni e compiti in materia di politica attiva del lavoro per incentivare: l’occupazione delle donne, dei soggetti tossicodipendenti ed ex detenuti, degli iscritti di cui all’articolo 25 della legge 23 luglio 1991, n. 223, dei lavoratori posti in mobilità e dei soggetti svantaggiati. Non sono invece evidenziati particolari interventi per favorire l’occupazione degli handicappati;

2) è dunque necessario chiedere interventi specifici di politica attiva  del lavoro per gli handicappati (in particolare di coloro che hanno una limitata autonomia) sia nelle leggi regionali, che dovranno recepire le indicazioni del decreto legislativo sopra citato, sia nell’ambito delle delibere provinciali, con le quali saranno istituiti e regolamentati i servizi preposti al collocamento obbligatorio (18). Affinché si possa realizzare in modo adeguato il collocamento obbligatorio al lavoro delle persone con handicap, a nostro avviso, è assolutamente necessaria la formazione di un gruppo stabile di operatori, con il compito di realizzare concretamente l’inserimento lavorativo della persona in azienda. Il gruppo dovrebbe svolgere le seguenti attività:

– collaborare con il settore della formazione professionale per l’individuazione dei contenuti e delle modalità dei corsi di formazione professionale o prelavorativa (19) e delle iniziative di aggiornamento professionale;

– ricercare i posti di lavoro più idonei;

– svolgere tutte le necessarie attività tecniche per rendere possibile l’inserimento lavorativo (adeguamento del posto di lavoro, abbattimento delle barriere architettoniche…);

– suggerire eventuali strumenti di mediazione e/o di incentivazione d’intesa con gli uffici competenti;

– seguire il soggetto nelle fasi iniziali del suo inserimento e mantenere con l’azienda un collegamento anche per eventuali momenti critici successivi, in particolare per i lavoratori con maggiori difficoltà.

Un servizio con queste caratteristiche e con questa importanza avrebbe avuto bisogno di una norma più cogente. Invece, la definizione contenuta nell’art. 6 della legge 68/1999 è del tutto generica: si limita a indicare la necessità che gli uffici competenti provvedano “in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, secondo le specifiche competenze loro attribuite, alla programmazione, all’attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l’inserimento dei soggetti di cui alla presente legge (…)”. Non siamo riusciti ad ottenere dal Parlamento l’inserimento di una norma che obbligasse le Regioni all’istituzione di questi servizi a livello territoriale, con il coinvolgimento degli Enti locali. Pertanto non ci resta che adoperarci perché  le Province, che devono organizzare i servizi per il collocamento obbligatorio, si convenzionino obbligatoriamente con gli enti locali (Comuni singoli o associati, o Comunità montane) affinchè siano messi a loro disposizione i servizi già esistenti per l’inserimento lavorativo. In questo caso, il personale dovrà altresì rientrare funzionalmente nella pianta organica della Provincia, per poter correttamente lavorare in sintonia con l’Ufficio competente. Naturalmente tutti noi auspichiamo che il patrimonio di esperienze sviluppato in tanti anni di collocamento mirato, consistente nelle decine e decine di gruppi di lavoro attivati presso i servizi più diversi (servizi aperti presso gli assessorati al lavoro e/o alla formazione professionale, servizi sanitari delle Asl, servizi assistenziali dei Consorzi o dei Comuni, centri di formazione professionale…) siano recuperati nell’ambito dei nuovi uffici preposti all’inserimento lavorativo.

 In pratica si dovranno da un lato salvaguardare le metodologie di lavoro e le autonomie territoriali realizzate in questi anni dagli enti locali e, contestualmente, si dovrà riconoscere all’ufficio competente del centro per l’impiego la gestione e il coordinamento delle attività inerenti il collocamento al lavoro degli handicappati.

 

Ma cosa succede se Provincia e Comune non stipulano alcuna convenzione?

 

Ci sembra evidente che spetti alla Regione, che dovrà definire le attribuzioni degli uffici competenti e la loro collocazione, prevedere l’obbligo per le Province di convenzionarsi e per i Comuni (singoli o associati) e le comunità montane di fornire il personale necessario per l’istituzione del servizio di inserimento lavorativo.

 La nostra proposta è che le figure professionali necessarie siano scelte preferibilmente tra quanti hanno maturato esperienze nel settore lavoro o nell’ambito della formazione professionale o, in subordine, nei servizi sanitari e sociali per l’inserimento lavorativo (ex SIL).

 

Convenzioni con le cooperative sociali

L’art. 12 della legge 68 offre l’opportunità all’impresa di stipulare con gli uffici competenti “apposite convenzioni finalizzate all’inserimento temporaneo dei disabili appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1, presso le cooperative sociali stesse, ovvero presso liberi professionisti, ai quali i datori di lavoro si impegnano ad affidare commesse di lavoro”. Le convenzioni non sono ripetibili per lo stesso soggetto, “salvo diversa valutazione del comitato tecnico” e riguardano un solo lavoratore handicappato, se il datore di lavoro occupa meno di 50 dipendenti e non più del 30 per cento dei lavoratori per il datore di lavoro che occupa più di 50 persone. La convenzione è subordinata alla sussistenza di alcuni requisiti, tra cui la contestuale assunzione a tempo indeterminato del disabile da parte del datore di lavoro, che deve essere in regola con la copertura della restante aliquota d’obbligo.

Nel n. 122, aprile-giugno 1998, di Prospettive assistenziali, avevamo manifestato il nostro forte dissenso nei confronti di questa formulazione, che oggi è purtroppo diventata legge, grazie anche a Pellegrino Capaldo, Presidente della Fondazione italiana per il volontariato, che sul n. 6, giugno 1995 della Rivista del volontariato, aveva affermato: «Penso ad una diversa disciplina delle ‘categorie protette’ che consenta alle imprese di scegliere tra l’assunzione diretta e l’affidamento di commesse ad un organismo produttivo che dia lavoro a quelle ‘categorie’» (20).

Continua a restare inaccettabile, a nostro avviso, che un’impresa assuma una persona, ma anziché inserirla nella propria azienda (garantendo quindi anche la sua socializzazione) la “comandi” ad una cooperativa sociale, che, in cambio, otterrà una commessa di lavoro sufficiente a garantirle la remunerazione del soggetto con handicap.

Molte erano e restano le ragioni del nostro dissenso che riproponiamo:

• anche se si è ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato (nella prima formulazione del testo di legge era previsto solo l’assunzione a tempo determinato), rimane la spada di Damocle del comitato tecnico, che ha la facoltà di rinnovare la convenzione con la cooperativa a sua discrezione e, quindi, anche all’infinito, per cui la persona handicappata potrebbe anche non andare mai a lavorare in azienda, ma essere costretta a restare sempre nella cooperativa;

• non si comprende perché la stessa procedura non poteva essere prevista anche con le piccole aziende, e non solo con le cooperative; inoltre non si capisce per quali motivi l’inserimento possa essere attuato solo presso i liberi professionisti disabili e non presso tutti i liberi professionisti. Ampliando l’ambito degli inserimenti (pur continuando noi a ritenerli emarginanti) si sarebbe garantita una maggiore distribuzione di opportunità. Le cooperative sociali devono assumere almeno il 30 per cento di persone svantaggiate per ottenere le agevolazioni previste dalle leggi vigenti. Il ghetto è pressochè assicurato; d’altra parte se la cooperativa deve essere una impresa e perciò competitiva, difficilmente potrà raggiungere tale scopo qualora la maggior parte dei suoi lavoratori abbia problemi di resa produttiva: diventerà, quindi, inevitabilmente un contenitore di persone socialmente escluse;

• nulla è precisato in merito alla capacità lavorativa delle persone handicappate avviate alle cooperative sociali. Si dovrà quindi intervenire tempestivamente affinché le convenzioni siano concesse solo nel caso di persone con una reale riduzione della capacità lavorativa, per evitare che soggetti in grado di garantire una piena capacità lavorativa siano ingiustamente esclusi dal lavoro normale;

• con l’inserimento dei disabili nelle cooperative sociali previsto dalla legge 68/1999, si creerà un mercato parallelo riguardante le commesse a basso costo. Si favorirà, inoltre, il contenimento dei salari dei lavoratori delle stesse cooperative e sarà così incentivata una concorrenza sleale, a danno delle cooperative che rispetteranno le regole e i contratti di lavoro. Infine si creerà una inaccettabile disparità di trattamento economico tra i soci, i dipendenti della stessa cooperativa e i lavoratori handicappati assunti dalle aziende, che godranno di condizioni contrattuali migliori;

• è facile prevedere che le imprese saranno indotte a costituire proprie cooperative. Infatti, è sufficiente trovare soci di comodo, tanto più che essi non sono tenuti dalle leggi vigenti a svolgere alcuna attività lavorativa presso le cooperative;

• poiché le commesse esterne riguarderanno soprattutto lavori sottoqualificati, i lavoratori handicappati inseriti nelle cooperative sociali non acquisiranno nessuna nuova abilità.

 

Troppi gli esoneri e le esclusioni: a rischio centinaia di posti di lavoro

 

L’abbassamento della percentuale obbligatoria di assunzioni al 7 per cento, può  trasformarsi in un boomerang per gli handicappati, se non si limitano al massimo gli esoneri concedendoli solo in caso di situazioni eccezionali e attentamente delimitate.

La legge 68/1999 rinvia ad altri provvedimenti per:

– l’individuazione delle mansioni che non consentono l’occupazione di disabili (o lo consentono in misura ridotta) nell’ambito degli enti pubblici non economici e delle amministrazioni pubbliche in genere;

– l’esonero per i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici dall’assunzione obbligatoria (versando, in cambio, un contributo al fondo regionale per l’occupazione) in relazione alle «speciali condizioni delle loro attività» (art. 5).

Nella tabella 2 sono indicate anche le scadenze e gli enti che dovranno decidere, se e in quale misura, l’entità delle esenzioni.

È indispensabile agire in modo da condizionare questi provvedimenti, affinché si mantengano rigorosamente selettivi e ridotti, perché esoneri ed esclusioni non rendano scarsamente operativa la legge 68/1999.

Non condividiamo affatto che, con l’introduzione del collocamento mirato, che permette anche al lavoratore handicappato con una riduzione della capacità lavorativa di realizzare una resa produttiva congrua alla mansione affidatagli, con la legge 68/1999:

– sia concesso alle aziende che occupano da 15 a 35 dipendenti di assolvere all’obbligo soltanto nel caso di nuove assunzioni e, per i partiti, i sindacati e le associazioni (art. 3) solo per assunzioni di personale tecnico con funzioni amministrative;

– per i servizi di polizia, della protezione civile e della difesa nazionale il collocamento dei disabili sia previsto esclusivamente negli uffici amministrativi (art. 3);

– i datori di lavoro pubblici e privati che operano nel settore del trasporto pubblico aereo e marittimo e terrestre sono esonerati totalmente dal collocamento obbligatorio per quanto riguarda il personale viaggiante e navigante (art. 5). Si tratta di un’esclusione a priori di ogni possibilità di collocamento anche per gli handicappati intellettivi e i soggetti con sindrome di Down: possibile che in tutti questi settori non vi sia bisogno di addetti alle pulizie, aiuti magazzinieri, facchini, fattorini, tanto per citare solo alcuni dei possibili ruoli lavorativi che potrebbero essere svolti da queste persone in grado di svolgere attività lavorative proficue, ma ovviamente in mansioni non specializzate.

Oltre alle esclusioni sopra indicate, vanno ricordate, altresì, le numerose sospensioni concesse alle imprese che abbiano presentato richiesta di cassa integrazione, mobilità e le altre iniziative indicate nel 5° comma dell’art. 3.

In conclusione, le occasioni di lavoro, almeno in questa prima fase, saranno tutte da costruire e da difendere. Non a caso nell’articolo “Posti di lavoro ai disabili “ apparso su La Stampa del 3 maggio 1999 si sostiene quanto segue: “Il fatto che la legge preveda che un certo numero di posti nell’ambito dell’azienda sia assegnato di autorità ai disabili non significa che ognuno di essi abbia diritto al lavoro. Resta sempre in piedi la legge della domanda e dell’offerta. Se i posti sono inferiori al numero dei disabili, è chiaro che molti resteranno fuori dal circuito virtuoso anche se in teoria avrebbero diritto al lavoro. Ma tale diritto, come è noto, vale anche per chi disabile non è ed è costretto per la particolare congiuntura a fare il disoccupato di professione”.

 

Alcune riflessioni

Vi sono molte probabilità che la legge 68/1999 si riveli una legge valida, in termini di principio, ma inefficace per dare lavoro a giovani handicappati disoccupati, specialmente se hanno una riduzione della capacità lavorativa.

 Perché non ci si ritrovi tra qualche tempo con una “scatola vuota”, al pari di quello che è stata la precedente legge-quadro sull’handicap, bisognerà agire tempestivamente sugli organi istituzionali per ottenere l’attuazione delle iniziative che sono state illustrate in precedenza. In particolare si dovrà intervenire nei confronti degli assessorati al lavoro e formazione professionale delle Regioni e delle Province.

 Tuttavia è bene considerare il problema anche nel suo insieme più complessivo. Da sempre il diritto al lavoro degli handicappati, anche di coloro che hanno piena capacità lavorativa, è venuto meno per l’inerzia degli organi istituzionali e delle forze sociali di farlo rientrare nelle trattative generali relative alle politiche attive del lavoro.

Sempre più sovente lo Stato, le organizzazioni sindacali, gli enti locali siedono ad un tavolo comune con le organizzazioni imprenditoriali per decidere sgravi fiscali, incentivi per creare occupazione (quali ad esempio la rottamazione), interventi per favorire ristrutturazioni (cassa integrazione e mobilità), patti territoriali con deroghe rispetto ai contratti collettivi di lavoro.

Si tratta di interventi “pagati” dalla collettività, a favore delle imprese, nella speranza che possano avere una ricaduta in termini di occupazione.

Lo scorso 11 maggio 1999 il Senato della Repubblica ha approvato un disegno di legge (21) che ha l’obiettivo di promuovere l’occupazione in particolare dei giovani attraverso attività formative e l’apprendistato. Sono stati stanziati, per il momento, 200 miliardi a favore delle Regioni.

Anche questo provvedimento non prevede una quota di risorse o di iniziative volte a tutelare il diritto al lavoro dei giovani disoccupati handicappati.

Eppure, se lo Stato e gli enti locali non pretendono posti di lavoro dalle aziende nel momento in cui le aziende stesse chiedono particolari agevolazioni, in quale altro momento è mai pensabile ottenerli?

Le imprese sono sempre pronte a sottolineare i vincoli e i limiti del collocamento obbligatorio e pretendono ulteriori incentivi e sgravi. Sarà necessario adoperarsi per ricordare che, in altre occasioni ma sempre dalla stessa cassa, escono anche emolumenti e sostegni pubblici alle imprese, che concorrono alla realizzazione dei profitti che, in base ai dati Mediobanca riportati su La Repubblica del 7 agosto 1998, sono aumentati nel 1997 del 50 per cento.

Infine, il Comune (singolo o associato) è il nostro principale riferimento sia per assicurare il personale necessario per i servizi relativi al collocamento mirato, sia per ottenere eventuali incentivi aggiuntivi a quelli previsti in misura assai limitata dalla legge 68/1999, incentivi a volte neppure concorrenziali rispetto agli interventi stabiliti a favore delle imprese, ad esempio per l’assunzione di giovani normodotati nel Meridione.

Va ricordato proprio al Comune, l’ente a noi più vicino, che è anche suo interesse collocare al lavoro quanti più disoccuppati handicappati ha tra i suoi cittadini che, altrimenti, finiscono inevitabilmente per diventare una voce passiva del suo bilancio, nel capitolo assistenza.

 

 

 

(1) CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, via Artisti 36, 10124 Torino, al quale aderiscono dal 1970 associazioni e gruppi di volontariato impegnate per la difesa dei diritti delle persone non in grado di difendersi: minori in situazione di abbandono o con famiglie problematiche, anziani malati cronici non autosufficienti, handicappati con limitata o nulla autonomia, con particolare riguardo agli handicappati intellettivi.

(2) Sul tema lavoro e formazione professionale degli handicappati si ricordano  gli articoli pubblicati su questa stessa rivista: “Proposta di legge di iniziativa popolare: interventi per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali”, n. 5/6 gennaio-giugno 1969;  “Istituiti dal Comune di Torino corsi integrati di formazione professionale per handicappati”, n. 24, aprile-giugno 1973; “Sentenza in materia di collocamento obbligatorio al lavoro di invalidi”, n. 28, ottobre-dicembre 1974; “Interventi regionali per favorire l’inserimento sociale degli handicappati fisici, psichici e sensoriali”, n. 30, aprile-giugno 1975; V. Bagnasco, “Esperienze e problemi dell’inserimento al lavoro di handicappati psichici”, n. 39, luglio-settembre 1977; “Inserimento al lavoro di handicappati psichici (delibera d’assunzione di 18 handicappati intellettivi in posti della Provincia di Torino), n. 40, ottobre-dicembre 1977; “Sentenza sul collocamento obbligatorio al lavoro degli invalidi”, n. 41, gennaio-marzo 1979; “Comune di Torino: indicazioni programmatiche degli interventi a favore degli handicappati di età superiore ai 14 anni”, n. 44, ottobre-dicembre 1978; “Sentenza sul collocamento obbligatorio degli handicappati”, n. 45, gennaio-marzo 1991; “Sei piattaforme sugli interventi per gli handicappati”, n. 46, aprile-giugno 1991;  “Inserimento lavorativo degli handicappati psichici, n. 48, ottobre-dicembre 1979; “Inserimento lavorativo degli handicappati gravi e interventi per i gravissimi”,  n. 53, gennaio-marzo 1981 (si vedano in particolare le sintesi dei gruppi di lavoro su “Formazione professionale”, pag. 44; “Inserimento lavorativo in aziende pubbliche e private e in cooperative, strategie del sindacato e dei movimenti di base”, pag. 45 e segg.; “Organizzazione del lavoro e produttività: ruolo delle strutture sindacali di base”, pag. 49); W. Fossati, “L’inserimento lavorativo degli handicappati all’Alfa Romeo di Arese con il finanziamento del Fondo sociale europeo”, n. 54, aprile-giugno 1981; “L’inserimento al lavoro degli handicappati: un caso esemplare”, n. 57, gennaio-marzo 1982; “Documento base del Coordinamento nazionale tra le associazioni e i movimenti di base per i problemi dell’emarginazione e dell’handicap”, n. 59, luglio-settembre 1982; “Il Governo nega agli handicappati il diritto al lavoro. Assunzioni obbligatorie di invalidi da parte delle pubbliche amministrazioni. Una esperienza di inserimento al lavoro di adolescenti handicappati psichici”, n. 61, gennaio marzo 1983; ”Il Governo insiste: gli handicappati non devono lavorare (e il Sindacato approva…)”, n. 64, ottobre-dicembre 1983; “Invalidi, Sindacato e Governo (ovvero, le “due verità”). Significato, realtà e problemi dell’integrazione sociale delle persone con deficit funzionali”, n. 65, gennaio-marzo 1984; W. Fossati, “Piattaforma del Sindacato lombardo per l’inserimento lavorativo degli handicappati”; “Handicap e lavoro: primo maggio negato”, n. 66, aprile-giugno 1984; “Deliberazioni sulla formazione prelavorativa degli handicappati”, n. 67, luglio-settembre 1984; “Sindacato e handicappati: le bugie hanno le gambe corte”, n. 68, ottobre-dicembre 1984; F. Santanera, “Esperienze in materia di formazione professionale e di inserimento lavorativo di handicappati”, n. 70, aprile-giugno  1985; G. Callegari,  “Riflessioni sull’inserimento nei ruoli del Comune di Torino di persone con handicap”, n. 71, luglio-settembre 1985; “Proposte del CSA per la riforma della legge sul collocamento obbligatorio”, n. 72, ottobre-dicembre 1985;  G. Selleri, “Per una adeguata riforma del collocamento obbligatorio”, n. 75, luglio-settembre 1986; “Nuove proposte per il collocamento obbligatorio al lavoro degli handicappati”, n. 89, gennaio-marzo 1990; “Handicappati e società: quali strategie per il lavoro”, n. 93, gennaio-marzo 1991; F. Cocanari, ”Il diritto al lavoro degli handicappati: proposte per una idonea riforma del collocamento obbligatorio”, n. 99, luglio-settembre 1992; “Handicappati e società: proposte per la nuova legge sul collocamento al lavoro delle persone handicappate”, n. 100, ottobre-dicembre 1992; “L’inserimento lavorativo degli handicappati: un diritto-dovere. Nuovi orientamenti culturali ed operativi”, n. 104, ottobre-dicembre 1993;”Handicappati e società: almeno sette posti di lavoro per le persone handicappate ogni cento lavoratori assunti: si deve, si può: spunti per costruire una piattaforma operativa”, n. 109, gennaio-marzo 1995; M.G.Breda, “Una vera riforma del collocamento al lavoro degli handicappati è ancora lontana”, n. 111, luglio-settembre 1995; A. Battaglia, “La riforma del collocamento dei lavoratori con handicap”, n. 112, ottobre-dicembre 1995; “Il progetto unificato sul collocamento obbligatorio al lavoro degli handicappati ed il rischio di una controriforma”, n. 121, gennaio-marzo 1998; “Handicap e lavoro: condizioni per una riforma seria del collocamento obbligatorio”, n. 122, aprile-giugno 1998.

(3) Restano ferme le norme per i centralinisti telefonici non vedenti,  per i massaggiatori e massofisioterapisti non vedenti,  per i terapisti della riabilitazione non vedenti e gli insegnanti non vedenti; inoltre è confermato l’accesso al collocamento obbligatorio con il 33 per cento  di invalidità (al posto del  45 per cento richiesto  per tutti gli altri aventi diritto) per gli invalidi del lavoro e tutte le norme approvate in precedenza a favore delle persone invalide di guerra, civili di guerra e  per servizio. Si veda l’art. 1, comma 1, lettere b), c), d) ed i commi 2 e 3, dello stesso articolo.

(4) In attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro, che regolamenti percorsi preferenziali per chi si trova in situazioni particolari di svantaggio sociale, l’art. 18 della legge 68/1999 prevede per i profughi, le vedove e gli orfani  una quota di riserva aggiuntiva  rispetto a quella prevista per gli handicappati, pari ad un’unità per i datori di lavoro pubblici e privati, che occupano da cinquantuno a centocinquanta dipendenti.

(5) Nella relazione al Parlamento sull’attuazione delle politiche per l’handicap relativa al 1997 si rileva la situazione nettamente migliore dei lavoratori protetti che rientrano nella categoria degli orfani, delle vedove e profughi rispetto a quella degli invalidi. Infatti occupano circa il 26,6% dei posti di lavoro, mentre costituiscono circa il 15% del totale dei disoccupati.

(6) Nel documento  “Handicappati e società: quali strategie per il lavoro”, op. cit., si rileva quanto sia importante la distinzione “ai fini dell’inserimento lavorativo, perché per le persone con handicap psichico, proprio perché malate, vanno innanzitutto previste tutele adeguate. Esse possiedono sovente anche una buona capacità lavorativa che dipende però, in grande misura, dalla scelta del posto di lavoro e dal sostegno che possono ricevere dal gruppo di lavoro, nonché dal supporto indispensabile del servizio sanitario di territorio”.

(7) Cfr. “Handicappati e società: quali strategie per il lavoro”, op. cit.

(8) Questi due servizi saranno collocati nell’ambito dei centri per l’impiego, le nuove strutture che le Province devono realizzare, su mandato delle Regioni, in attuazione del decreto legislativo 469/1997, in ambiti  territoriali aventi un’utenza non inferiore a 100 mila abitanti.

(9) E’ istituito presso il Ministero del lavoro il “Fondo per il diritto al lavoro dei disabili” per il cui finanziamento è autorizzata la spesa di 40 miliardi di lire per il 1999 e di 60 miliardi a partire dal 2000. Si prevede altresì l’istituzione da parte delle Regioni di un proprio “Fondo per l’occupazione dei disabili” che sarà alimentato dalle sanzioni comminate ai datori di lavoro inadempienti e da contributi di diversa natura. Con il fondo si dovranno finanziare tutte le attività di sostegno dei percorsi di inserimento lavorativo.

(10) Ricordiamo che per gli enti pubblici la percentuale prevista dalla legge 482/1968 era addirittura del 40 per cento.(11) Sono molti altri  i limiti introdotti dalla legge 68/1999, che approfondiremo in seguito nel paragrafo dedicato agli esoneri.

(12) Cfr. L.Castaldini (a cura di), “Michele Perini, presidente dei piccoli industriali di Assolombarda: chi ha fatto questa legge ha dimostrato che, in Italia, delle persone disabili non interessa niente a nessuno”, in H-Press, n. 7, 15 aprile 1999.

(13) L’assunzione potrà realizzarsi con chiamata nominativa nei seguenti casi:  a) le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti, nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi; b) il 50 per cento delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano da 36 a 50 dipendenti; c) il 60 per cento delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti” (art. 7).

(14) Cfr. M.D.DE LUCA, “La nuova legge sul collocamento obbligatorio: quali prospettive di lavoro per i disabili?”, in Anch’io, marzo 1999.

(15) A.BATTAGLIA, “Una legge attesa da 25 anni”, in Alogon, n. 41-1999.

(16) Secondo Flavio Cocanari: “Ciò chiama in causa il Ministero del lavoro, che tra l’altro era stato investito dal terzo comma dell’articolo 3 della legge 335 di predisporre (anche qui ai fini dell’assolvimento di una delega al  Governo) i nuovi criteri per la valutazione delle condizioni di minorazione, di disabilità e di handicap”, in Conquiste del lavoro, “Gli adempimenti del Ministero del lavoro”,  21 aprile 1999.

(17) Per questi soggetti si chiede l’istituzione da parte dei servizi assistenziali degli Enti locali (Comuni o Consorzi di Comuni o Comunità montane) di centri diurni, aperti almeno 5 giorni alla settimana per non meno di 8 ore al giorno e,  per chi non può più contare sulla propria famiglia, anche  di comunità alloggio, con al massimo 10 posti letto, inserite in normali abitazioni o in piccole villette, purché all’interno di un centro abitato.

(18)  In base all’art. 9 “per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il  conferimento delle funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione”.

(19) Per corso prelavorativo si intende un’attività di formazione professionale rivolta specificatamente a giovani con handicap intellettivo, che non sono in grado di frequentare i corsi normali di formazione professionale e di raggiungere la qualifica finale, a causa dell’alto contenuto nozionistico e teorico che tali corsi contengono. Sono però soggetti che possiedono potenzialità lavorative, e si può ragionevolmente prevedere il loro  inserimento lavorativo. I corsi sono organizzati dalla Regione Piemonte, in convenzione con enti di formazione pubblici e privati, in moduli di 12-15 allievi per classe e sono inseriti nei normali centri di formazione professionale. Durano tre anni, per un totale complessivo di 2400 ore. Caratteristica di questi corsi è l’alternanza tra una parte teorica (minima) e il tirocinio sul posto di lavoro, che invece occupa una parte rilevante del monte ore. I corsi prelavorativi non si prefiggono l’obiettivo di una qualifica, ma si preoccupano di aumentare l’autonomia globale dell’allievo in modo da rendere possibile un collocamento lavorativo in attività che prevedano lo svolgimento di mansioni semplici. Cfr. i volumi “Formare per l’autonomia - Strumenti per la preparazione professionale degli handicappati intellettivi” di M.G. Breda e M. Rago, Rosenberg & Sellier, Torino e “Il lavoro conquistato - Storie di inserimenti di handicappati intellettivi in aziende pubbliche e private”, di E. De Rienzo, C. Saccoccio e M.G. Breda, Rosenberg & Sellier, Torino.

(20) Cfr. “La Fondazione italiana per il volontariato non vuole che handicappati e svantaggiati lavorino nelle normali aziende”, in Prospettive assistenziali, n. 111, luglio-settembre 1995.

(21) Senato della Repubblica, 11 maggio 1999, disegno di legge d’iniziativa del Governo, già approvato dal Senato e modificato, previo stralcio degli articoli 38 e 44 comma 1 dell’articolo 5, dalla Camera dei Deputati “Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali”.

 

 

 

Tabella 1 - Gli adempimenti del Ministero del lavoro

 


1. Atto di indirizzo e coordinamento emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri - Art. 1, co. 4.

Questo atto spetta al Presidente del Consiglio e sicuramente coinvolge il Ministero della sanità. Vi è però da tenere conto che i nuovi criteri debbono essere finalizzati all’individuazione delle capacità e delle abilità, con l’intento prioritario di acquisire gli elementi di conoscenza utili alla formulazione dei percorsi che dovrebbero condurre all’inserimento lavorativo mirato.

Ciò chiama in causa il Ministero del lavoro, che tra l’altro era stato investito dal terzo comma dell’articolo 3 della legge 335 di predisporre (anche qui ai fini dell’assolvimento di una delega al Governo) i nuovi criteri per la valutazione delle condizioni di minorazione, di disabilità ed handicap. Scadenza 120 giorni dalla data di pubblicazione sulla G.U. (d’ora in poi “pubblicazione”).

2. Dpcm di individuazione delle mansioni che, in relazione all’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti pubblici non economici, non consentono o limitano l’occupazione di lavoratori disabili (art. 5, co. 1).

Competenza: Dipartimento Funzione pubblica?

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

3. Decreto di disciplina dei provvedimenti relativi agli esoneri parziali dagli obblighi di assunzione e di definizione dei criteri e delle modalità di concessione (art. 5, co. 4).

Competenza: Ministero del lavoro.

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

4. Decreto di adeguamento degli importi dei contributi e relativa maggiorazione dovuti dai datori di lavoro parzialmente esonerati dall’obbligo di assunzione (art. 5, co. 5).

Competenza: Ministero del lavoro.

Scadenza: ogni 5 anni.

5. Criteri e modalità relativi al pagamento dei contributi esonerativi al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili (art. 5, co. 7).

Competenza: Regioni.

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

6. Decreto di definizione della periodicità dell’invio dei prospetti riepilogativi la situazione occupazionale dei datori di lavoro soggetti ad obbligo, definendo anche altre eventuali informazioni utili (art. 9, co. 6).

Competenza: Ministero del lavoro.

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

7. Istituzione Fondo per il diritto al lavoro dei disabili presso il Ministero del lavoro.

8. Decreto per la definizione dei criteri di ripartizione tra le Regioni del “Fondo” (art. 13, co. 8).

Competenza: Ministro del lavoro.

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

9. Verifica degli effetti delle disposizioni relative ai contributi ai datori di lavoro e alla gestione del “Fondo” (art. 13, co. 9).

Competenza: Governo della Repubblica.

Scadenza: 3 anni dall’entrata in vigore della legge.

10. Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge (art. 21).

Competenza: Ministro del lavoro.

Scadenza: ogni due anni, entro il 30 giugno.

11. Emanazione norme di esecuzione (art. 20).

Scadenza: 120 giorni dalla pubblicazione.

12. Costituzione “comitato tecnico” e nomina dei funzionari e degli esperti del settore sociale e medico-legale (art. 6, co. 2).

Competenza: Regioni.

13. Definizione modalità valutazione degli elementi per la formazione della graduatoria dei disoccupati iscritti nell’apposito elenco (art. 8, co. 4).

Competenza: Regioni.

14. Costituzione “Fondo regionale” (art. 14, co. 1).

Competenza: Regioni.


 

(da “Conquiste del lavoro”, 21 aprile 1999)

 

 

 

 

 

Tabella 2 - Agevolazioni ed esenzioni

 

Agevolazioni

 

 

 

Fiscalizzazione totale

 

 

 

 

 

Fiscalizzazione parziale (50%)

 

 

 

 

Rimborso forfettario

Durata massima

 

 

 

Otto anni

 

 

 

 

 

Cinque anni

Condizioni disabile

 

Riduzione capacità lavorativa (r.c.l.) superiore 79% (1ª-3ª categoria per le invalidità di guerra o di servizio) o handicap intellettivo e psichico senza limite di r.c.l.

 

R.c.l. tra il 67 e il 79% (4ª-6ª categoria tabelle invalidità di guerra)

 

 

 

R.c.l. superiore al 50%

Note

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per rimozione barriere architettoniche, adattamento del posto di lavoro, apprestamento di tecnologie di telelavoro

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it