Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999

 

 

Specchio nero

 

 

educatore condannato a 13 anni di reclusione per pedofilia

 

Da molti anni chiediamo alle Autorità (Ministri, Regioni, Comuni, ASL, Province, ecc.) l’approvazione dei provvedimenti occorrenti per evitare che dai servizi pubblici e privati di assistenza ai minori e ai soggetti adulti incapaci di autodifendersi venga assunto personale (soprattutto gli educatori, ma anche tutti gli altri operatori).

In particolare, preso atto – com’è ovvio – che le condizioni di vita delle persone assistite dipendono in larghissima misura dalle capacità (e non solo dal numero) degli addetti e dalla loro professionalità, avevamo rilevato che «per raggiungere questo obiettivo è altresì necessario che tutti gli operatori, prima di essere assunti per lo svolgimento di attività, siano sottoposti, con tutte le garanzie di riservatezza del caso, a un esame approfondito della loro personalità».

Allo scopo avevamo precisato che «centri scientificamente riconosciuti validi, scelti di comune accordo dagli enti e dai sindacati dei lavoratori, dovrebbero essere incaricati di rilasciare una dichiarazione attestante che l’operatore è adeguato per le caratteristiche della sua personalità e per la sua professionalità, a svolgere determinate attività con handicappati gravi» (1).

Finora le Autorità preposte si sono disinteressate completamente della questione, ed ecco che si presenta un’altra orribile situazione (2).

Infatti, il 25 gennaio 1999 il Tribunale di Milano ha condannato a 13 anni di reclusione L.A. di anni 31, educatore presso due comunità di accoglienza.

Secondo le testimonianze raccolte dall’Autorità giudiziaria, L.A. durante la sua attività di educatore avrebbe violentato 11 ragazzini, alcuni, all’epoca dei fatti, appena bambini; due di essi avevano raccontato al magistrato di aver subito uno stupro, consumato di notte durante i giri di controllo dell’educatore nei centri di accoglienza.

Ventiquattro ore dopo la sentenza, il Pubblico Ministero, Pietro Forno, ha lanciato su la Repubblica del 27 gennaio 1999 l’allarme: «Per i maschi che arrivano da situazioni familiari disastrose, con incesti e violenze, c’è un rischio molto alto di pedofilia nelle strutture in cui dovrebbero essere assistiti».

Al giornalista che l’intervistava, ha precisato quanto segue:

«Il primo punto è la qualità del personale che si occupa di questi adolescenti difficili. Non c’è un filtro adeguato nella scelta delle persone che devono affrontare situazioni delicate, ambigue, torbide. Non ci si può basare sul volontariato, su chi si presenta solo perché sembra portato al rapporto con i bambini».

E dopo la selezione?

«Serve anche un’adeguata professionalità. Il problema è che oggi questi educatori sono poco pagati e quindi ci si rivolge al volontariato. Però i pericoli che questo comporta sono evidenti. Queste sono le premesse, poi ci devono essere i controlli. Quando si inizia un tipo di attività come questa, bisogna vedere come si affronta l’impatto con questa realtà: quindi in un periodo più o meno lungo di prova bisogna verificare con test attitudinali cosa succede agli operatori».

Il problema dei controlli però non si esaurisce qui: lei ha parlato anche di una pericolosa tendenza all’omertà all’interno delle comunità...

«È questo l’ultimo degli interventi ma non certamente il meno importante: serve trasparenza nella gestione di questi centri. Occorre il coraggio di denunciare subito i comportamenti deviati degli operatori senza temere di perdere la faccia o il denaro dei contributi. Invece in questi anni molti responsabili delle comunità hanno preferito tacere».

C’è qualcosa da aggiungere a questa ricetta?

«Certo, e anche in questo campo è la prevenzione. C’è tutto un lavoro di assistenza che va fatto prima di arrivare a portare il ragazzino in comunità. Purtroppo la sensibilità in questo senso, sino ad ora, è mancata».

Servirà questa brutale vicenda a determinare – finalmente – gli opportuni interventi di prevenzione di competenza del Governo, delle Regioni, dei Comuni, delle ASL e delle Province?

 

 

(1) Cfr. M.G. Breda e F. Santanera, Handicap oltre la legge quadro - Riflessioni e proposte, UTET Libreria, Torino, 1995. Analoghe considerazioni valgono per tutti i soggetti incapaci di autodifendersi.

(2) Ricordiamo i crudeli maltrattamenti inferti negli anni scorsi da alcuni operatori della casa di riposo di Mestre, Via Spalti 1 ai vecchi ricoverati: atti di libdine violenta nei confronti di un anziano ricoverato; un altro vecchio colpito a pugni dopo che il suo volto era stato coperto con un lenzuolo; ripetuti atti di sciacallaggio consistenti nella sottrazione di oggetti vari ai degenti, ecc. (Cfr. F. Santanera, M.G. Breda, F. Dalmazio, Anziani malati cronici: i diritti negati, UTET Libreria, Torino, 1994). Citiamo, inoltre, lo strappo di tutte le unghie delle mani e dei piedi di tre handicappati adulti ricoverati nell’istituto privato OSMAIRM di Laterza (Taranto), fatto avvenuto nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio 1996 (Cfr. Specchio nero del n. 115 di Prospettive assistenziali).

 

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