Prospettive assistenziali, n. 125, gennaio-marzo 1999

 

 

piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000

 

 

Sul supplemento ordinario della Gazzetta ufficiale n. 288 del 10 dicembre 1998 è stato pubblicato il Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 (1) che reca il sottotitolo provocatorio “Un patto di solidarietà per la salute”, provocatorio in quanto i cittadini in pratica hanno limitate possibilità d’intervenire per migliorarne il funzionamento, per eliminare gli sprechi e, soprattutto, per impedire le sempre più frequenti violazioni delle leggi perpetrate contro le esigenze ed i diritti degli anziani cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer, dei soggetti colpiti da altre forme di demenza senile e dei pazienti psichiatrici con limitata o nulla autonomia.

Un esempio recentissimo. A nulla è servito il telegramma inviato dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti in data 2 dicembre 1998 al Ministro della sanità così redatto: «Chiediamo suo urgentissimo intervento evitare trasferimento forzoso dalla competenza sanitaria at quella assistenziale 550 malati psichiatrici da anni ricoverati manicomio. Trasferimento est effettuato senza rispettare leggi vigenti et sentenza Cassazione 1996 numero 10150 et senza alcuna possibilità reclamo utenti».

D’altra parte non ci risulta che l’On. Rosy Bindi abbia assunto iniziative contro la dilagante eutanasia da abbandono (2).

Crediamo di poter affermare che i cittadini sono stufi delle affermazioni di comodo: bisognerebbe che – finalmente – i politici, gli amministratori ed i loro consulenti passassero ai fatti.

La lettura del Piano sanitario nazionale 1998-2000 conferma che la realtà è assai diversa, a volte anche opposta, da quella che ci viene propinata dalle autorità.

Un primo passo per una programmazione seria consiste, a nostro avviso, nell’approvazione da parte del Parlamento dei Piani sanitari con legge (e non più con la votazione di un semplice ordine del giorno), di modo che le Regioni e le Aziende sanitarie siano obbligate a rispettarne le disposizioni.

In secondo luogo è necessario che non vengano più approvati altri atti amministrativi (linee di indirizzo, progetti obiettivo, ecc.) in quanto la loro attuazione non è obbligatoria ed i cittadini non hanno alcuna possibilità di intervento nei frequentissimi casi di inadempienza.

Si tenga presente che il Piano sanitario nazionale 1998-2000 prevede l’emanazione da parte del Ministero della sanità di ben 19 linee guida (per la riabilitazione, per l’assistenza ai pazienti in fase terminale, per il diabete, ecc.), di 11 documenti di indirizzo (medicina termale, forme integrative di assistenza, ecc.), di 8 documenti di approfondimento (liste di attesa, acquisti e prezzi, ecc.), di 14 linee guida cliniche (mal di schiena, asma bronchiale, ecc.) e di 7 progetti obiettivo (anziani, Aids, ecc.).

Infatti, le sovrapposizioni contrastano con la chiarezza: se si opera in modo serio sono sufficienti le leggi nazionali (comprese quelle di approvazione dei piani triennali) e regionali, nonché le deliberazioni delle stesse Regioni e delle Aziende sanitarie.

 

 

PIANO SANITARIO NAZIONALE 1998-2000

 

1. Un patto di solidarietà per la salute

La salute è un bene fondamentale per la persona e per la collettività.

Un sistema di servizi sanitari equo ed efficace è un determinante essenziale, anche se non esclusivo, per garantire la partecipazione alla vita sociale e l’espressione delle capacità individuali a tutti i cittadini, nel rispetto del principio di uguaglianza delle opportunità all’interno dell’intera collettività di cittadini.

La garanzia di uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari rappresenta l’obiettivo principale del Servizio sanitario nazionale (SSN) e l’elemento fondamentale che ne determina la forma di finanziamento e i criteri di organizzazione.

Il finanziamento attraverso la fiscalità generale, la distribuzione dei servizi secondo criteri di equità, la gratuità al momento del consumo rappresentano le tre condizioni necessarie (ancorché non sufficienti) per impedire che barriere finanziarie, geografiche o sociali ostacolino l’efficace fruizione del diritto alla salute.

I principi fondamentali dei sistemi sanitari di tipo universalistico, ai quali si ispira il SSN, sono:

1. universalità di accesso. L’accesso ai servizi sanitari non deve essere subordinato alla verifica di criteri di eligibilità “sociale” né di disponibilità finanziaria, ma soltanto alla valutazione professionale della necessità di interventi sanitari;

2. eguaglianza nella accessibilità ad un ampio spettro di servizi uniformemente distribuiti. L’eliminazione di barriere geografiche all’accesso deve essere garantita dalla programmazione territoriale dei servizi, mentre la gratuità al momento del consumo deve assicurare la rimozione di eventuali barriere economiche alla utilizzazione dei servizi;

3. condivisione del rischio finanziario. Il sistema di finanziamento deve garantire che il contributo individuale sia indipendente dal rischio di malattia e dai servizi ricevuti, ma determinato esclusivamente dalla capacità contributiva.

(...) Un sistema sanitario moderno, che guarda al terzo millennio, non può ritornare ai modelli degli anni ’70 né può limitarsi alla transizione dagli anni ’90, ma deve svilupparsi promuovendo la collaborazione dei diversi livelli di responsabilità in modo da realizzare un sistema al contempo autenticamente nazionale e locale.

Nazionale, in quanto capace di garantire livelli di assistenza uniformi sull’intero territorio e all’intera collettività di cittadini, assicurando servizi accreditati secondo criteri uniformi, sia per gli aspetti strutturali sia per quelli organizzativi.

Locale, in quanto valorizza le responsabilità regionali e aziendali nella programmazione, nella produzione e nella erogazione dei servizi sanitari.

È quindi necessario proseguire e rendere più incisivo il processo di regionalizzazione e di aziendalizzazione del sistema, improntando il servizio sulla collaborazione fra tutti i livelli del SSN, oltre  che fra il SSN stesso e le istituzioni e i soggetti sociali con i quali interagisce.

Il contesto sociale mutevole e complesso pone l’esigenza di avviare nel Paese un vero e proprio patto di solidarietà per la salute, che impegni le istituzioni preposte alla tutela della salute e una pluralità di soggetti: i cittadini; gli operatori sanitari; le istituzioni; il volontariato; i produttori, non profit e profit, di beni e servizi di carattere sanitario; gli organi e gli strumenti della comunicazione; la comunità europea e internazionale. I risultati di salute non dipendono infatti solo dalla qualità tecnica delle prestazioni, ma trovano radici più profonde nella responsabilizzazione dei soggetti coinvolti e nella loro capacità di collaborare.

(...) La ricerca sui determinanti non sanitari della salute ha evidenziato il ruolo critico di fattori sociali ed economici, che si pongono al di fuori delle possibilità di controllo individuale ed esulano dalla sfera di intervento del sistema dei servizi sanitari. Gli interventi su questi determinanti della salute richiedono un coordinamento intersettoriale, a livello sia governativo sia regionale e locale, che si traduca in strategie condivise per obiettivi comuni.

La salute, intesa come benessere fisico, psichico e sociale, non è il mero prodotto dell’amministrazione sanitaria e dei correlati servizi articolati nel Paese. Deve rappresentare, piuttosto, un obiettivo perseguito da tutte le istituzioni che, pur non avendo una diretta competenza sanitaria, esercitano funzioni che possono incidere sullo stato di salute della popolazione.

Il volontariato rappresenta un momento forte del nuovo patto solidale, in ragione del suo contributo alla umanizzazione del servizio e per le istanze etiche di cui è portatore. Con la sua presenza contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo importante nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza.

(...) Il Piano sanitario nazionale (Psn) 1998-2000 assume come idee forti i seguenti nove punti qualificanti:

1.  rafforzare l’autonomia decisionale degli utenti;

2.  promuovere l’uso appropriato dei servizi sanitari;

3.  diminuire le diseguaglianze nei confronti della salute;

4.  favorire comportamenti e stili di vita per la salute;

5.  contrastare le patologie più importanti;

6.  aiutare a convivere attivamente con la cronicità;

7.  percorrere le strade dell’integrazione socio sanitaria;

8.  rilanciare la ricerca;

9.  investire nelle risorse umane e nella qualità del sistema.

(...)  Nel nostro Paese si osservano diseguaglianze rilevanti relativamente alle condizioni di salute: le persone, i gruppi sociali e le aree geografiche meno avvantaggiati presentano un maggior rischio di morire, di ammalarsi, di subire una disabilita, di praticare stili di vita rischiosi. Le cause sono complesse e risiedono nelle condizioni di vita e di lavoro della popolazione, nella dotazione di risorse materiali, nelle relazioni sociali, negli stili di vita e nell’accesso ai sistemi di cura. Le politiche per la salute devono contrastare le diseguaglianze irrobustendo le capacità delle persone e delle comunità di adottare comportamenti sani, migliorando l’accesso ai servizi e incoraggiando il cambiamento culturale ed economico. Con queste premesse, un modo importante per raggiungere gli obiettivi del Piano è migliorare la salute dei gruppi di popolazione meno sani riducendo le differenze rispetto ai gruppi più favoriti.

(...) L’incremento delle persone malate e non autosufficienti, in particolare anziane, pone il problema di gestire la propria condizione sviluppando al contempo le opportunità di partecipazione alla vita sociale. Per affrontare la cronicità è anzitutto necessario garantire continuità all’intervento di cura, privilegiando tutti i fattori che contribuiscono a rendere accettabile la qualità di vita a quanti, persone malate e loro familiari, vivono per lungo tempo in situazioni di difficoltà. In particolare è necessario garantire, fin quando è possibile, la permanenza a casa delle persone malate croniche non autosufficienti fornendo cure domiciliari, interventi di sostegno alle famiglie, assistenza domiciliare integrata.

La complessità di molti bisogni richiede la capacità di erogare risposte fra loro integrate, in particolare sociosanitarie. Se non vengono predisposte condizioni istituzionali e gestionali per coordinare gli interventi dei diversi settori impegnati nella produzione di servizi l’integrazione professionale non può bastare per migliorare la qualità e l’efficacia delle risposte. Per questo le Regioni devono incentivare le collaborazioni istituzionali entro ambiti territoriali adeguati a partire dalla dimensione distrettuale, formulando in via preferenziale piani unitari dei servizi sanitari e sociali, a livello regionale e sub-regionale, tenendo distinti i flussi di finanziamento dei rispettivi ambiti di attività. La elaborazione di piani di zona dei servizi, in particolare dei servizi ad elevata integrazione sociosanitaria, può essere un’utile premessa per ottimizzare le risorse, facilitare le responsabilizzazioni e le collaborazioni (...).

 

2. Un progetto nazionale per la salute

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ha come obiettivo principale la promozione della salute, a cui finalizzare l’organizzazione e l’erogazione di prestazioni e servizi sanitari.

Tale scelta, legata al riconoscimento che i determinanti della salute si estendono ben oltre le possibilità di interventi dei servizi sanitari, impone un’ampia assunzione di responsabilità, a livello individuale e collettivo, impone inoltre modificazioni culturali e strategiche volte alla elaborazione di politiche intersettoriali di promozione della salute.

Il Progetto nazionale per la salute si articola nei seguenti obiettivi prioritari:

1)  promuovere comportamenti e stili di vita per la salute;

2)  contrastare le principali patologie;

3)  migliorare il contesto ambientale;

4)  rafforzare la tutela dei soggetti deboli;

5)  portare la sanità italiana in Europa (...).

 

3. Rafforzare la tutela dei soggetti deboli

I soggetti che non dispongono di adeguate abilità sociali sono spesso portatori di bisogni complessi e chiedono al sistema sanitario capacità di fare sintesi sui loro problemi e di agire in modo unitario per soddisfarli.

Sono soggetti deboli tutti coloro che, trovandosi in condizioni di bisogno, vivono situazioni di particolare svantaggio e sono costretti a forme di dipendenza assistenziale e di cronicità.

Sono ad alto rischio i disabili con un reddito al di sotto della soglia di povertà che necessitano di un intervento programmato, continuativo e integrato. Particolare attenzione va anche riservata all’anziano disabile e alle persone nella fase terminale della vita.

Obiettivo fondamentale del Psn 1998-2000 è introdurre nel sistema sanitario condizioni di maggiore equità nella erogazione dei servizi alle diverse categorie di popolazione in condizione di bisogno. In particolare, va evitato il rischio di assecondare aree privilegiate di bisogno, e di utenza, quando non giustificato da necessità assistenziali e da priorità etiche, evitando vantaggi competitivi per chi sa meglio rappresentare i propri bisogni.

A tal fine va incrementato l’utilizzo di metodi di valutazione interprofessionale del bisogno e va incentivato l’orientamento a formulare diagnosi globali, evitando di settorializzare gli interventi.

Gli standard di struttura vanno correlati a standard di processo idonei a garantire qualità di assistenza ed esigibilità dei diritti dei soggetti svantaggiati.

Per una maggiore tutela dei soggetti deboli, le Regioni evidenziano le condizioni di grave emarginazione presenti nel territorio ed elaborano progetti finalizzati a contrastare le diseguaglianze di accesso ai servizi.

Il distretto e l’integrazione tra le professioni sono condizioni operative necessarie per produrre diagnosi e valutazioni multidimensionali, selezionando risposte appropriate con riferimento alle diverse condizioni di bisogno. A questo scopo la personalizzazione degli interventi deve tenere conto del livello di non autosufficienza e della non disponibilità di risorse (economiche, personali, familiari, comunitarie o di altra natura).

Va inoltre perseguita una sistematica riduzione degli sprechi di risorse derivanti dalle cronicità evitabili, adottando soluzioni che rispondano a criteri di efficacia, economicità e umanizzazione. Anche per questo, i ricoveri nelle strutture sono giustificabili solo quando non siano praticabili altre forme di intervento di natura ambulatoriale, intermedia e domiciliare.

In questa sezione sono considerati alcuni particolari gruppi di soggetti deboli: gli stranieri immigrati, i tossicodipendenti, i malati mentali, i bambini e gli adolescenti, gli anziani che presentano specifiche esigenze di tutela e i malati terminali.

Per quanto riguarda la salute dei soggetti di cui a specifici progetti obiettivo, linee guida e documenti di approfondimento, si rinvia a quanto contenuto nei singoli documenti oggetto di definizione in altra sede e sinteticamente richiamati nei paragrafi successivi (...).

 

Salute mentale

La complessa problematica della tutela della salute mentale richiede l’elaborazione di uno specifico progetto obiettivo al quale è demandata la definizione di dettaglio degli obiettivi e delle linee di intervento. Di seguito sono richiamati solo alcuni aspetti di carattere generale.

Per  il triennio di validità del Piano sanitario nazionale sono indicati i seguenti obiettivi prioritari:

– Migliorare la qualità della vita e l’integrazione sociale dei soggetti con malattie mentali.

– Ridurre l’incidenza dei suicidi nella popolazione a rischio per problemi di salute mentale.

Gli interventi da compiere prioritariamente nel triennio di validità del Piano sono:

– completamento su tutto il territorio nazionale del modello organizzativo dipartimentale;

– stretta integrazione delle strutture operative coinvolte in modo tale che la presa in carico del paziente sia chiaramente evidenziata nella sua globalità anche per gli aspetti riguardanti le risorse impiegate;

– riconversione delle risorse recuperate dalla chiusura dei manicomi, destinandole alla realizzazione di condizioni abitative adeguate (residenziali e diurne) e alle attività dei dipartimenti di salute mentale;

– riqualificazione e formazione del personale sanitario, in particolare di quello già operante negli ex ospedali psichiatrici;

– realizzazione di interventi per la tutela della salute mentale in età evolutiva;

– adozione di programmi di aiuto alle famiglie con malati mentali, per sostenere i gravi carichi assistenziali che esse affrontano quotidianamente.

Fasi della vita e salute

Nel ciclo di vita delle persone devono esser considerate con particolare attenzione le fasi nelle quali i cambiamenti psicofisici e relazionali sono molto accentuati e nelle quali, quindi, maggiormente si concentrano rischi e potenzialità da considerare con interventi mirati di prevenzione e promozione della salute.

Le fasi cui il Piano sanitario nazionale 1998-2000 dedica specifica attenzione sono quella della procreazione, dell’età evolutiva e dell’età anziana, nonché quella delle persone nella fase terminale della vita.

Gli interventi che prevengono e contrastano il complessivo ambito delle patologie dell’età evolutiva sono chiamati a svolgere un ruolo strategico. Anche in questo modo trova significativa applicazione il concetto generale di patto di solidarietà per la salute, cui si ispira il Piano sanitario nazionale, individuando nelle generazioni più giovani i destinatari di una peculiare attenzione nel quadro di una alleanza tra le età della vita.

 

Infanzia e adolescenza

La progressiva riduzione della mortalità infantile (dall’8 per mille nel ’91 al 7,4 per mille nel ’93) come pure di quella perinatale (dall’11 al 9,3 per mille) ha seguito in Italia una tendenza analoga a quella di altri paesi dell’Europa occidentale.

Il divario tra Centro-Nord e Sud è tuttavia ancora rilevante: nel 1993, la moralità infantile è stata del 5,7 per mille nelle Regioni del Centro-Nord e dell’8,7 per mille al Sud, con tassi che in alcune regioni sono più del doppio rispetto ad altre.

L’obiettivo fissato nel precedente piano di portare il tasso di mortalità perinatale sotto il 10 per mille in tutte le regioni non è stato raggiunto in alcune regioni nelle quali vanno intensificati gli sforzi per migliorare la qualità dei servizi materno infantili.

L’aumento del peso relativo di bambini portatori di disabilità a seguito di patologie congenite o acquisite, grazie anche al miglioramento degli interventi in fase perinatale, richiede al sistema sanitario maggiore capacità di intervento precoce di natura intensiva e riabilitativa.

Particolare attenzione deve essere dedicata alle situazioni di abbandono, trascuratezza e deprivazione di cure primarie nella prima infanzia, così come alle anomalie e ai disturbi dello sviluppo in età evolutiva.

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 pone i seguenti obiettivi di carattere generale:

– ridurre la mortalità perinatale e infantile almeno all’8 per mille in tutte le regioni;

– prevenire i comportamenti a rischio in età pre-adolescenziale e adolescenziale con riferimento alle lesioni accidentali gravi, alle autolesioni e alla dipendenza;

– prevenire le cause di disabilità mentale, sensoriale e plurima;

– prevenire i casi di disagio psichico e sociale dovuto a problematiche scolastiche, familiari e relazionali, anche in riferimento ad abusi e maltrattamenti;

– promuovere la procreazione cosciente e responsabile, tutelando le gravidanze a rischio e fornendo un adeguato sostegno alle famiglie;

– favorire programmi di prevenzione e controllo delle malattie genetiche;

– monitorare lo stato di salute dell’infanzia, della pre-adolescenza e dell’adolescenza nella dimensione fisica, psichica e sociale, anche avvalendosi dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia.

Gli obiettivi di Piano saranno articolati in uno specifico Progetto Obiettivo materno-infantile in corso di elaborazione, nel quale saranno sviluppate anche le azioni dirette alla tutela della salute della donna, in tutte le fasi della vita e negli ambienti di vita. Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 prevede la predisposizione e l’adozione di linee guida per la salute riproduttiva.

È da privilegiare e sviluppare nei piani regionali e locali l’attività dell’area pediatrica per garantire a livello sanitario e socio-assistenziale, intra ed extraospedaliero, ogni forma di tutela della salute infantile fino al termine dello sviluppo, mediante le seguenti azioni:

– assicurare interventi preventivi e diagnostici di provata efficacia in epoca pre e perinatale;

– attuare interventi per la promozione della salute in età pre-adolescenziale e adolescenziale;

– razionalizzare l’ospedalizzazione in età pediatrica, tenendo conto delle particolari esigenze della fascia di età cui si rivolge, coordinando e integrando l’assistenza con l’offerta di servizi distrettuali e valorizzando il pediatra di famiglia;

– potenziare i servizi extraospedalieri, specie quelli a ciclo diurno, preposti al recupero dei disturbi neuropsicopatologici e delle limitazioni funzionali;

– migliorare la qualità umana dei servizi rivolti all’infanzia anche mediante l’utilizzo appropriato di tecnologie biomediche;

– predisporre linee guida per la gravidanza, il parto, le cure ospedaliere pediatriche, la pediatria di famiglia e di comunità;

– integrare i servizi materno-infantili con quelli socio-assistenziali ed educativi, anche tenendo conto di quanto previsto nel Piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

 

Anziani

Il processo di invecchiamento della popolazione è destinato a protrarsi nel prossimo futuro. Secondo le previsioni elaborate dall’Istat, nel 2020 il 23% della popolazione italiana avrà più di 65 anni e la speranza di vita alla nascita sarà di 78,3 anni per gli uomini e di 84,6 per le donne. In termini relativi, aumenteranno soprattutto i grandi vecchi con età superiore agli 80 anni.

Una quota significativa di anziani soffre di patologie croniche, spesso multiple, e di disabilità che ne limitano l’autosufficienza. Il 52% degli uomini e il 61% delle donne dichiarano almeno due malattie croniche in atto, il 44% e il 51%, rispettivamente, ne dichiarano almeno tre (Istat 1994). Tra essi, i malati di Alzheimer costituiscono una popolazione di 500.000 soggetti particolarmente esposti a condizioni di deterioramento della qualità della vita per se stessi e per i familiari, sui quali ricade gran parte del peso assistenziale.

Nel 1994 i disabili di 60 anni e più non istituzionalizzati ammontano a oltre due milioni, pari al 17% degli ultrasessantenni (Istat, 1997). La disabilità accompagna soprattutto le età avanzate e condiziona fortemente la vita degli ultraottantenni. Si passa infatti dal 6% di disabili a 60-64 anni, al 47% a 80 anni e più. Il 10% degli uomini e il 31% delle donne di 60 anni e più vivono soli. I disabili che vivono soli sono 618.000. Sono anziani oltre un terzo delle 6.690.000 persone che vivono in condizioni di povertà.

Le politiche sanitarie nei confronti della popolazione anziana devono prevedere interventi integrati per la prevenzione e il recupero della compromissione fisica e del deficit funzionale e, quindi, anche dello svantaggio sociale che ne può derivare. I programmi di intervento si qualificano, quindi, come programmi ad elevata integrazione sociosanitaria, improntati ad una visione positiva dell’età anziana, tramite la rimozione delle barriere che impediscono l’apporto attivo degli anziani autosufficienti alla vita sociale. Va inoltre promossa una cultura dei servizi che recuperi l’anziano come soggetto sociale in una società integrata e solidale. Agli anziani è garantita l’assistenza sanitaria senza limiti di durata, nelle sedi più appropriate e privilegiando il domicilio (*).

L’area degli anziani sarà oggetto di uno specifico progetto obiettivo, in via di definizione in altra sede, al quale si rimanda.

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 pone i seguenti obiettivi di carattere generale:

– promuovere il mantenimento e il recupero dell’autosufficienza nell’anziano;

– adottare politiche di supporto alle famiglie con anziani bisognosi di assistenza a domicilio (anche a tutela della salute della donna, sulla quale ricade nella maggior parte dei casi l’onere dell’assistenza);

– promuovere l’assistenza continuativa e integrata (intra ed extra-ospedaliera) a favore degli anziani;

– favorire l’integrazione interna al sistema sanitario e fra questo e l’assistenza sociale.

Gli interventi da compiere prioritariamente nel triennio di validità del Psn sono:

– adeguare il numero di posti letto ospedalieri dedicati alla lungodegenza riabilitativa allo standard di 1 posto letto per mille abitanti;

– garantire nei distretti la presenza delle unità di valutazione geriatrica (Uvg), atte a fornire analisi globale del bisogno dell’anziano e favorire un’assistenza personalizzata e continuativa;

– sviluppare le forme alternative al ricovero, mediante l’assistenza domiciliare integrata (Adi), quella semiresidenziale e l’ospedalizzazione a domicilio, favorendo l’integrazione fra le diverse forme di intervento;

– realizzare le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) previste nella legge finanziaria n. 67 del 1988.

 

Assistenza alle persone

nella fase terminale della vita

Le persone affette da patologie evolutive irreversibili per le quali non esistono trattamenti risolutivi, necessitano di una assistenza finalizzata al controllo del dolore, alla prevenzione e cura delle infezioni, al trattamento fisioterapico e al supporto psicosociale.

Oltre al paziente, l’attenzione deve essere dedicata ai familiari, prima e dopo il decesso del malato. In questi casi, un’assistenza di buona qualità deve offrire la possibilità di trascorrere l’ultima parte della vita in famiglia, o, quando questo non è possibile, in strutture di ricovero adeguate alla natura dei problemi.

Obiettivo del Piano sanitario nazionale 1998-2000 è migliorare l’assistenza erogata alle persone che affrontano la fase terminale della vita.

A tal fine sono da privilegiare le azioni volte:

– al potenziamento dell’assistenza medica e infermieristica a domicilio;

– all’erogazione di assistenza farmaceutica a domicilio tramite le farmacie ospedaliere;

– al potenziamento degli interventi di terapia palliativa e antalgica;

– al sostegno psicosociale al malato e ai suoi familiari;

– alla promozione e al coordinamento del volontariato di assistenza ai malati terminali;

– alla realizzazione di strutture residenziali e diurne (hospice), autorizzate e accreditate.

(...)

 

4. Riabilitazione

La riabilitazione è un terreno elettivo per gli approcci multidimensionali, plurispecialistici e per l’integrazione dei diversi interventi, da realizzare valorizzando la continuità terapeutica in modo da iniziare la riabilitazione in fase precoce, facilitare il recupero di competenze funzionali e lo sviluppo di competenze sostitutive, e da porre in essere soluzioni efficaci per garantire l’autonomia possibile, con particolare attenzione all’area dell’età evolutiva, degli anziani e dei neurolesi post traumatici.

L’assistenza riabilitativa, comprendente strutture e servizi a diversi livelli (distrettuale, sovra-distrettuale e multizonale) e con diverse modalità di organizzazione dell’offerta (ospedaliera ed extraospedaliera, di natura residenziale e semi-residenziale), deve garantire la valutazione del bisogno e l’inquadramento diagnostico sulla base di programmi terapeutici e riabilitativi validati da evidenze scientifiche di efficacia.

In sede ospedaliera gli interventi devono essere organizzati in modo che la riabilitazione venga garantita ed effettuata o in reparti autonomi muniti di posti letto oppure con servizi di Recupero e Riabilitazione funzionale afferenti alle diverse unità operative ed in lungodegenze finalizzate al recupero ed alla riabilitazione funzionale. Per quanto riguarda i reparti di alta specialità riabilitativa (quali ad esempio le unità spinali unipolari, i reparti per gravi T.C.E. e cerebrolesioni acquisite), la riabilitazione è parte integrante dell’organizzazione di tali unità operative.

L’analisi dei profili di consumo di risorse e di costo associati ai diversi tipi di intervento potrà consentirne valutazioni sistematiche, anche al fine di pervenire ad una tariffazione per livelli e per tipologie di intervento.

La natura dei bisogni riabilitativi richiede un costante impegno a garantire integrazione tra interventi, attraverso l’attivazione di circuiti riabilitativi finalizzati alla continuità ed efficacia assistenziale, stabilendo collegamenti organici tra prestazioni ospedaliere ed extraospedaliere e tra assistenza sanitaria e sociale.

La riorganizzazione dell’attività di riabilitazione deve rispondere ai seguenti obiettivi generali:

– garantire la continuità assistenziale, assicurando l’organica collocazione della riabilitazione nel circuito “prevenzione, cura e riabilitazione”;

– assicurare l’efficacia delle prestazioni rese;

– articolare i livelli di intensità delle prestazioni tenuto conto della natura dei bisogni.

A tal fine, costituiscono obiettivi strumentali:

– la precisazione e la qualificazione delle funzioni dei diversi soggetti erogatori (pubblici e privati);

– il riassetto complessivo del settore per quanto attiene alle funzioni riabilitative di tipo intensivo (in ambiente ospedaliero ed extraospedaliero), alle funzioni riabilitative intermedie di tipo estensivo e alla gestione della lungodegenza post-acuzie.

I piani regionali devono assumere obiettivi di natura gestionale e professionale:

– realizzando riconversioni e riequilibrando gli in­terventi in rapporto alle diverse funzioni riabilitative;

– mettendo in grado i diversi centri di responsabilità di migliorare gli interventi;

– attuando forme di monitoraggio sistematico di efficienza e di efficacia;

– verificando con parametri misurabili il livello di adeguatezza tecnica e tecnologica delle strutture;

– incentivando le integrazioni funzionali fra le diverse unità operative interessate, al fine di garantire continuità assistenziale nel rapporto tra cura e riabilitazione;

– promuovendo progetti di inserimento lavorativo e sociale.

I centri socio-riabilitativi e le residenze sanitarie-assistenziali sono strutture che erogano prestazioni integrate, ovvero tali da rendere compresenti professioni di diversa natura. Gli esiti di miglioramento funzionale e di mantenimento delle abilità dovranno essere oggetto di valutazioni sistematiche.

 

Innovazione tecnologica

La realtà italiana delle tecnologie sanitarie è caratterizzata da una elevata vetustà delle apparecchiature (l’età media del patrimonio tecnologico del SSN è di oltre 8 anni) e da una diseguale distribuzione all’interno del territorio nazioniale. In termini quantitativi, la dotazione complessiva è sostanzialmente prossima a quella del resto dell’Europa, con valori talvolta anche decisamente superiori alla media europea.

Il settore risente inoltre della progressiva obsolescenza tecnologica degli impianti e delle attrezzature, fenomeno tipico del settore e comune a tutti i paesi sviluppati.

Il Psn 1998-2000 si pone i seguenti obiettivi generali:

– individuazione delle priorità di sviluppo delle nuove tecnologie, tenuto conto della necessità di un contestuale rinnovo della base tecnologica esistente e di una diffusione programmata delle alte tecnologie;

– dismissione delle strutture obsolete e ricostituzione delle dotazioni strutturali, impiantistiche e tecnologiche;

– sviluppo sistematico delle procedure di valutazione delle tecnologie e delle loro ricadute organizzativo-gestionali;

– piena valorizzazione del parco tecnologico esistente, attraverso l’utilizzo integrato nei percorsi diagnostico terapeutici e l’impiego intensivo, in termini di orari, delle attrezzature disponibili;

– miglioramento dei processi di gestione e di manutenzione delle apparecchiature biomediche;

– coinvolgimento e responsabilizzazione degli operatori nei processi di introduzione e gestione delle nuove tecnologie.

Con riferimento agli obiettivi di sicurezza delle apparecchiature e delle tecnologie si rinvia a quanto indicato nella parte II del Psn, al paragrafo “La sicurezza delle strutture sanitarie”.

Costituiscono azioni da sviluppare nei piani regionali e aziendali:

– inventariazione e valutazione delle tecnologie esistenti, dal punto di vista dello stato delle apparecchiature e del loro utilizzo;

– adozione di sistemi di incentivazione alla dismissione delle apparecchiature obsolete;

– definizione di programmi regionali co-finanziati (Stato, Regioni e Aziende Sanitarie) relativi ai settori ad elevato investimento tecnologico, in ragione del fabbisogno accertato nel bacino regionale e per l’eventuale creazione di centri di eccellenza interregionali di riferimento;

– promozione coordinata, anche a livello regionale, della ricerca applicata per la sperimentazione e la valutazione tecnica e clinica delle nuove tecnologie;

– piena responsabilizzazione economica delle istituzioni remunerate a prestazione relativamente alla ricostituzione e all’ammodernamento della base tecnologica, in coerenza con il principio di aziendalizzazione dei servizi sanitari.

(...)

 

5. I principi guida

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 definisce i livelli di assistenza alla luce dei principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale:

– il principio della dignità umana, in base al quale ogni persona ha uguale dignità e uguali diritti, a prescindere dalle caratteristiche personali e dal ruolo svolto nella società;

– il principio della salvaguardia, in base al quale lo stato di salute della persona va tutelato prima che possa essere pregiudicato;

– il principio del bisogno, in base al quale tutte le persone in condizione di bisogno hanno diritto all’assistenza e le risorse disponibili devono essere prioritariamente indirizzate a favore delle attività in grado di rispondere ai bisogni primari della popolazione;

– il principio della solidarietà nei confronti dei soggetti più vulnerabili, in base al quale le risorse devono essere prioritariamente utilizzate a favore dei gruppi di popolazione, delle persone e delle condizioni che presentano bisogni rilevanti in termini sociali e clinico-epidemiologici;

– il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza degli interventi in base al quale le risorse devono essere indirizzate verso le prestazioni la cui efficacia è riconosciuta in base alle evidenze scientifiche e verso i soggetti che maggiormente ne possono trarre beneficio;

– il principio dell’efficienza produttiva, in base al qua­le nella scelta fra differenti modalità di organizzazione dell’offerta e fra differenti tipologie di attività de­vono essere privilegiati gli interventi che, a parità di risultato, garantiscono un uso ottimale delle risorse;

– il principio dell’equità, in base al quale deve essere assicurata la rimozione delle barriere geografiche ed economiche che ostacolano il ricorso all’assistenza sanitaria da parte dei cittadini e devono essere colmati i divari informativi e comportamentali che discriminano le persone e i gruppi di popolazione nei confronti della salute, in modo da garantire eguali opportunità di accesso e di assistenza, a parità di bisogno.

 

6. I livelli essenziali di assistenza

 (...) Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 individua nei livelli essenziali di assistenza l’ambito delle garanzie che il SSN si impegna ad assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale alla totalità dei cittadini.

Sono definiti essenziali i livelli di assistenza che, in quanto necessari (per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute della popolazione) ed ap­propriati (rispetto sia alle specifiche esigenze di salute del cittadino sia alle modalità di erogazione delle prestazioni), debbono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale e all’intera collettività, tenendo conto delle differenze nella distribuzione delle necessità assistenziali e dei rischi per la salute (...).

Le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza sono erogate dal Servizio sanitario nazionale a tutti i cittadini (art. 50, legge n. 450/1997 e decreto legislativo n. 124/1998):

– senza oneri a carico dell’utente al momento della fruizione del servizio, relativamente alle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e le altre prestazioni di assistenza specialistica incluse in programmi organizzati di diagnosi precoce e prevenzione collettiva realizzati in attuazione del Piano sanitario nazionale, dei Piani sanitari regionali o comunque promossi o autorizzati con atti formali della Regione o della Provincia autonoma; le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e le altre prestazioni di assistenza specialistica finalizzate alla tutela della salute collettiva obbligatorie per legge o disposte a livello locale in caso di situazioni epidemiche e quelle finalizzate all’avviamento al lavoro; le prestazioni di medicina generale e di pediatria di libera scelta; i trattamenti erogati nel corso di ricovero ospedaliero in regime ordinario ivi inclusi i ricoveri di riabilitazione e di lungodegenza post-acuzie, e le prestazioni strettamente e direttamente correlate al ricovero programmato, preventivamente erogate dalla medesima struttura, ai sensi dell’articolo 1, comma 18, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

– dietro pagamento di una quota limitata, per le restanti prestazioni soggette – in base alla normativa vigente – alla compartecipazione alla spesa, definita in modo da promuovere la consapevolezza dell’onere economico connesso alla erogazione delle prestazioni e comunque di entità tale da non costituire ostacolo all’utilizzo dei servizi da parte del singolo cittadino. (...)

 

7. L’integrazione tra assistenza sanitaria e sociale

 

(...) L’integrazione delle responsabilità e delle risorse rappresenta una condizione essenziale per migliorare l’efficacia degli interventi. Essa incide sulla continuità assistenziale, investe i rapporti tra ospedale e territorio, tra cure residenziali e domiciliari, tra medicina generale e specialistica.

A questo scopo, anche in relazione ai nuovi e diversi compiti dei Comuni derivanti dalle modifiche istituzionali in itinere del d.lgs. 502/92 e successive modifiche e integrazioni, va attuata la programmazione degli interventi socio-sanitari a livello distrettuale con intese programmatiche tra le Direzioni Generali delle Aziende Sanitarie e le rappresentanze dei Comuni associati, secondo le normative regionali derivanti dall’applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.

Nei Piani Regionali, l’integrazione deve costituire una priorità strategica, a cui destinare congrue risorse adottando anche il metodo dei Progetti Obiettivo. Sono da considerarsi prioritarie nell’integrazione socio-sanitaria le attività afferenti all’area materno-infantile; handicap; anziani, con particolare riferimento ai soggetti non autosufficienti; salute mentale; tossicodipendenza; condizioni che richiedono una assistenza prolungata e continuativa, con particolare riferimento alle patologie oncologiche e alle infezioni da HIV.

In particolare, l’integrazione socio-sanitaria va attuata e verificata a tre livelli: istituzionale, gestionale e professionale.

L’integrazione istituzionale nasce dalla necessità di promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse (aziende sanitarie, amministrazioni comunali, ecc.) che si organizzano per conseguire comuni obiettivi di salute. Può avvalersi di un’ampia dotazione di strumenti giuridici quali le convenzioni e gli accordi di programma (stipulati da circa la metà delle aziende sanitarie, per tre quarti nell’area dell’assistenza agli anziani).

Il distretto è la struttura operativa che meglio consente di governare i processi integrati fra istituzioni, gestendo unitariamente diverse fonti di risorse (del SSN, dei comuni, della solidarietà locale).

Il controllo direzionale dovrà consentire il monitoraggio dei processi assistenziali integrati, correlando le risorse impiegate ai risultati ottenuti.

A questo scopo le Regioni, nei rispettivi Piani, preferibilmente socio-sanitari, provvedono a definire i criteri di finanziamento e gli indirizzi organizzativi, mettendo in grado le aziende Usl di programmare l’entità delle risorse da assegnare ai distretti.

L’integrazione gestionale si colloca a livello di struttura operativa: in modo unitario nel distretto e in modo specifico nei diversi servizi che lo compongono, individuando configurazioni organizzative e meccanismi di coordinamento atti a garantire l’efficace svolgimento delle attività, dei processi e delle prestazioni.

Sul piano gestionale vanno incrementati gli approcci multidimensionali e le modalità operative basate sulla metodologia di lavoro per progetti.

Le unità multiprofessionali devono tenere conto della ripartizione delle risorse a carico del bilancio sanitario e sociale, sulla base di quanto definito dalle Regioni, utilizzando gli strumenti di contabilità analitica e dei corrispondenti centri di responsabilità.

Le azioni di verifica e di valutazione sono ad essi direttamente correlati e devono essere ricavabili dal sistema informativo del distretto. Vanno a questo scopo previste procedure idonee a facilitare la valutazione dei servizi da parte degli utenti.

L’integrazione professionale è strettamente correlata all’adozione di profili aziendali e Linee guida finalizzate a orientare il lavoro interprofessionale nella produzione dei servizi sanitari: domiciliari, intermedi e residenziali.

Condizioni necessarie dell’integrazione professionale sono: la costituzione di unità valutative integrate, la gestione unitaria della documentazione, la valutazione dell’impatto economico delle decisioni, la definizione delle responsabilità nel lavoro integrato, la continuità terapeutica tra ospedale e distretto, la collaborazione tra strutture residenziali e territoriali, la predisposizione di percorsi assistenziali ap­propriati per tipologie d’intervento, l’utilizzo di indici di complessità delle prestazioni integrate.

 

L’assistenza domiciliare integrata

Curare a casa richiede un cambiamento di prospettiva sostanziale: dal malato che ruota attorno alle strutture erogatrici, alle strutture e alle professioni che assumono come centro di gravità la persona con i suoi bisogni.

Questo può avvenire con diverse modalità operative di intervento a casa da parte dei servizi distrettuali.

Le cure domiciliari, e in particolare l’assistenza domiciliare integrata, rappresentano una base privilegiata di azione per garantire flessibilità ed efficacia agli interventi.

L’assistenza domiciliare diventa integrata (Adi) quando professionalità diverse, sanitarie e sociali, collaborano per realizzare progetti unitari, cioè mirati sulla diversa natura dei bisogni.

La programmazione dell’Adi deve prevedere la complementarità tra i diversi moduli assistenziali, la valorizzazione del nursing, la collaborazione delle famiglie, tenendo conto che una stretta collaborazione tra ospedale e distretto può favorire la permanenza a casa anche di persone non autosufficienti.

Condizioni necessarie dell’Adi sono: la pianificazione organica delle unità di offerta nel distretto, la valutazione multidimensionale, la globalità e intensività dei piani di cura, la continuità terapeutica degli interventi, la collaborazione tra operatori sanitari e sociali, la valutazione dei costi delle decisioni, la collaborazione della famiglia, la valutazione evolutiva degli esiti.

Il buon funzionamento del sistema informativo di distretto e l’analisi sistematica dei costi correlati al livello di intensità e complessità assistenziale dei diversi centri di erogazione sono base necessaria per i nuclei di valutazione nell’attività di verifica e valutazione dei risultati conseguiti.

 

Il distretto

Il distretto rappresenta un centro di servizi e prestazioni dove la domanda di salute è affrontata in modo unitario e globale.

Il distretto è struttura operativa dell’Azienda Usl; la sua autonomia gestionale è realizzata nell’ambito dei programmi approvati dall’Azienda, tenendo conto dei piani di zona dei servizi, definiti di comune intesa con le amministrazioni comunali.

Le dimensioni del distretto vengono definite nell’ambito degli indirizzi organizzativi dell’art. 2 del d.lgs. n. 502/92 e successive modificazioni, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e degli insediamenti umani e produttivi.

Il numero di processi assistenziali e la relativa composizione delle prestazioni definiscono il suo profilo organizzativo. A parità di risorse e di produzione, i profili organizzativi dei distretti possono diversificarsi in ragione delle strategie aziendali.

Il distretto è la sede nella quale sono attivabili tutti i percorsi di accesso del cittadino ai servizi sanitari garantiti con metodi e tempi certi, attraverso sistemi intelligenti, attivati in rete con tutti i soggetti erogatori di servizi e prestazioni. La ricerca della prestazione, da quella ambulatoriale al ricovero ospedaliero, dovrà essere garantita dai servizi di distretto a tutti i cittadini residenti.

Il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta sono riferimenti immediati e diretti per le persone e le famiglie. Essi nel rapporto con gli assistiti valorizzano le funzioni educative e di promozione della salute a diretto contatto con l’utenza. Valutano inoltre i bisogni delle persone al fine di orientare e regolare l’accesso al Servizio sanitario nazionale.

Nell’ambito del processo di allocazione delle risorse disponibili all’interno dell’Azienda Usl, in funzione del volume programmato di attività del distretto, allo stesso viene assegnato un determinato volume di risorse.

Per ottimizzare in modo funzionale i processi di distretto, le Regioni, nei rispettivi piani, specificano le prestazioni di assistenza domiciliare, intermedia e residenziale, evidenziando le diverse fonti di finanziamento.

Le risorse professionali, economiche e di altra natura presenti nel distretto sono dirette dal responsabile del distretto. Il medico di medicina generale svolge un ruolo centrale nell’operatività di distretto, insieme con gli altri profili professionali sanitari e sociali presenti al suo interno, ed è integrato nell’organizzazione distrettuale. L’azione del medico di medicina generale è valutata nel più ampio quadro dei fattori produttivi del distretto.

 

 

 

(1) Non ci sembra un elemento di serietà la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale alla fine del 1998 del Piano, la cui validità avrebbe dovuto decorrere dal 1° gennaio.

(2) Cfr. dello scorso numero di Prospettive assistenziali “L’eutanasia da abbandono: lettera aperta al Ministro della sanità, On. Rosy Bindi”.

(*) Ricordiamo che nel Piano sanitario nazionale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 1994 era previsto quanto segue: «Gli anziani ammalati, compresi quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza, devono essere curati senza limiti di durata nelle sedi più opportune, ricordando che la valorizzazione del domicilio come luogo primario delle cure costituisce non solo una scelta umanamente significativa, ma soprattutto una modalità terapeutica spesso irrinunciabile». Nonostante le precise indicazioni sopra riportate, sono continuate, anzi sono aumentate le dimissioni, spesso selvagge, degli anziani malati cronici dagli ospedali, mentre lo sviluppo dei servizi sanitari domiciliari è stato estremamente limitato (n.d.r.).

 

 

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