Prospettive assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998

 

 

una valida proposta di legge sui malati cronici non autosufficienti

 

 

Riportiamo integralmente la relazione e il testo della proposta di legge n. 5119 “Norme per il riordino degli interventi in favore dei malati cronici non autosufficienti”, presentata alla Camera dei deputati in data 17 luglio 1998 dagli on. Saia, Maura Cossutta e da altri parlamentari.

Osserviamo che l’iniziativa riguarda la riorganizzazione degli interventi, mentre è riconfermato il diritto, già sancito dalle leggi vigenti, dei malati cronici non autosufficienti alle cure sanitarie senza limiti di durata, comprese quelle praticate presso strutture residenziali pubbliche e private convenzionate.

Al riguardo concordiamo con la previsione di un contributo (definirlo di solidarietà ci pare, tuttavia, fuorviante, anzi beffardo) a carico dei redditi pensionistici dei ricoverati (cfr. l’art. 8).

 

Relazione

Con la presente proposta di legge si intende affrontare un problema tanto grave quanto poco considerato agli effetti pratici, un problema che è molto trattato nei convegni, ma che tarda ad avere una soluzione concreta. Infatti oggi la maggior parte delle malattie e dei malati sono malattie e malati cronici: eppure l’attenzione posta dal Servizio sanitario nazionale è sui malati e sulle malattie cosiddette “acute”.

«Ben poche sono oggi le malattie che si possono definire rigorosamente “acute”; abbiamo frequentemente degli eventi acuti nel corso delle malattie croniche: dall’ictus all’infarto, dalla riacutizzazione della bronchite alla frattura dell’osteoparotico, all’avvento anemizzante nel neoplastico. È la nuova realtà della patologia prevalentemente degenerativa diversa rispetto a quella precedente, prevalentemente infiammatoria. Deve modificarsi di conseguenza anche il “privilegio dell’acuto” che caratterizza la mentalità medica soprattutto, ma anche la mentalità generale. La concezione dell’ospedale come deputato esclusivamente al trattamento delle affezioni acute non è più rispondente all’attuale realtà e al tipo di patologia prevalente di carattere degenerativo » (Fabris).

Del resto, l’attuale legislazione prevede che l’ospedale deve curare tutti i malati indipendentemente dal tipo di malattia e dalla sua durata. Si prenda infatti atto di quanto affermano alcune leggi ed, in particolare, l’articolo 32 della Costituzione che non afferma certamente che il diritto alla salute spetta solo ai malati acuti.

Dunque la distinzione fra malattie acute e croniche non è sostanzialmente fondata né sul piano scientifico, né su quello giuridico. Il significato vero di questa distinzione è soprattutto economico.

Se dunque i malati cronici sono la gran parte dei malati e lo Stato si trova nella necessità di fare grossi risparmi per rilanciare l’economia (cioè rilanciare i profitti), niente di più logico di escludere questi soggetti dai benefici del Servizio sanitario nazionale. Nel Regno Unito, durante il Governo Thatcher, erano state attuate misure atte allo scopo.

«Gli ultimi dieci anni hanno visto un notevole cambiamento di questo sistema sotto l’impulso della politica del governo conservatore, riassunto nella legge National Health Service and Community Care Act del 1990. Questa ha cercato di trasferire la spesa di questa assistenza dallo Stato al cittadino privato e alla sua famiglia. Il suo effetto è stato analizzato in alcune pubblicazioni recenti. Il meccanismo principale è stato il cambiamento di definizione dei fabbisogni socio-sanitari dell’anziano non autosufficiente, chiamandoli sociali invece che sanitari» (Impallomeni).

In Italia si va arrivando alla stessa conclusione, anche se non in maniera chiara e diretta, tramite atti amministrativi e come conseguenza di norme che si pongono all’apparenza obiettivi diversi.

Così l’ormai famoso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 1985, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 14 agosto 1985, riprendendo la legge finanziaria del 1984, la legge n. 730 del 1983, ha istituito il servizio socio-assistenziale di rilievo sanitario, facendo confusione fra ciò che è sanità ed assistenza e, di fatto, operando un passaggio tanto sottile quanto efficace (per l’economia e non per la salute), di trasferire progressivamente migliaia di persone dalla sanità all’assistenza, riducendo così il diritto alla salute garantito costituzionalmente. E più recentemente le leggi di riordino del Servizio sanitario nazionale (decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni) hanno instaurato per gli ospedali la pratica del finanziamento a tariffa per diagnosi, nota come il “DRG”, producendo fra gli effetti negativi quello delle cosiddette “dimissioni selvagge”, ovvero la pratica di espellere anzitempo dagli ospedali persone malate, croniche e non solo. Per fortuna il disegno di legge recante delega sul riordino del sistema sanitario (riforma del decreto legislativo m. 502 del 1992), già approvato dalla Camera dei deputati in prima lettura ed attualmente all’esame del Senato della Repubblica, prevede il superamento del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 1985 (decreto “Craxi”).

Ebbene, la presente proposta di legge cerca di chiarire, con delle norme precise, alcune delle quali riprese da disposizioni già in vigore, in un quadro unico questa materia in modo da non lasciare più dubbi sui diritti dei malati cronici ad essere curati.

È chiaro che sono le regioni ad essere chiamate in campo. Nella sanità le competenze legislative sono soprattutto regionali, allo Stato spetta di dettare norme generali per non operare discriminazioni territoriali, perché le inevitabili differenze non siano sul piano dei diritti, ma delle modalità di erogazione del servizio, che può variare proprio in funzione delle peculiarità territoriali e ambientali.

Abbiamo visto però, e qui lo denunciamo, che a volte le regioni sono più realiste del re in fatto di ridurre la portata del diritto alla salute nei confronti dei malati cronici. Così in molte circostanze si verifica che un malato cronico anziano non autosufficiente non è considerato un malato ma solo un “disagiato”, anche se è colpito da un tumore o da una malattia cardiovascolare grave. Il passaggio dalla sanità all’assistenza per i malati cronici avviene in molte regioni con disinvoltura, quasi fosse una cosa naturale, anzi, auspicabile in nome dell’integrazione socio-sanitaria. Così sono state create strutture per malati gravi con scarso personale e con basso livello di qualificazione e per di più a pagamento con rette da hotel a cinque stelle a carico delle persone malate, dei loro parenti o dei comuni di apparte­nenza.

La presente proposta di legge intende regolamentare una materia che, per scarso approfondimento o a volte per mancanza di volontà politica, è lasciata nel vago o, peggio, maltrattata. Essa propone un  chiarimento che si traduce nella individuazione di un complesso di strutture e servizi raggruppate in un unico Dipartimento. Esiste infatti il Dipartimento di salute mentale, come esiste quello materno infantile e dell’età evolutiva e come esiste quello della prevenzione a tutela della salute dei lavoratori e per l’igiene ambientale; è dunque logico istituire un Dipartimento che risponda alle esigenze di una fascia di persone le cui patologie abbiamo definito ad alto rischio invalidante.

Il centro del Dipartimento è il Servizio di cure domiciliari che nasce dalla fusione di quei servizi che erano chiamati SD ovvero spedalizzazione domiciliare e ADI ovvero di assistenza domiciliare integrata. Una esigenza espressa in alcuni importanti convegni scientifici (confronta Convegno europeo sulle cure domiciliari, Milano, 23-25 ottobre 1996) e portata avanti da un gruppo di associazioni dei diritti contro l’emarginazione sociale dei più svantaggiati. Infatti anche all’interno della stessa regione abbiamo le situazioni più varie. In genere le pochissime esperienze di SD sono sempre sperimentali, non decollano mai in modo generalizzato nonostante siano ben consolidate, secondariamente abbiamo un’ADI che funziona solo per una parte della popolazione ed in genere in maniera incompleta, che non copre cioè tutti i giorni dell’anno. Se si vogliono attuare delle dimissioni precoci, in ragione prima di tutto delle necessità del paziente che nella gran parte dei casi sta meglio a casa sua, e solo secondariamente per ragioni di risparmio, è necessario fornire un servizio che sia in grado di intervenire come l’ospedale migliore, che possa cioè dare risposte complesse a problemi complessi e che quindi funzioni sempre, non lasci spazi vuoti.

Il Servizio di cure domiciliari deve essere, almeno di norma, legato ad una istituzione ospedaliera, sia per le possibilità che offre l’ospedale di letti disponibili, che possono rendersi necessari anche per persone che sono trattate al proprio domicilio, sia perché dà luogo al possibile utilizzo di diverse specializzazioni che in molti casi, domiciliari o no, sono richieste. Un servizio che deve essere ben organizzato: la persona deve essere presa in carico con continuità all’uscita dall’ospedale; se invece si tratta di una domanda che viene dal medico di medicina generale è necessario che vi sia l’opportuna valutazione sul piano diagnostico-terapeutico e riabilitativo da parte dell’apposita équipe di valutazione, come previsto nella presente proposta di legge.

Un altro discorso chiaro va fatto sulle residenze sanitarie assistenziali (RSA). Oggi si dà il nome di RSA a qualsiasi struttura. Ogni casa di riposo è chiamata RSA, addirittura si scrive su alcuni muri di ex ospedali psichiatrici il nome RSA, fingendo in questo modo di averli chiusi, oppure si inventano RSA per handicappati gravi. Non deve essere così. Le RSA sono strutture del Servizio sanitario nazionale che devono essere gestite in modo diretto o indiretto dalle aziende sanitarie locali. Sono strutture ad uso esclusivo delle persone anziane malate croniche non autosufficienti, collegate con l’ospedale generale, fornite di personale sanitario ed assistenziale che è assunto con il contratto della sanità e che risponde a precisi standard.

È importante sottolineare che le RSA hanno un senso se non vanno oltre un certo numero di persone. La normativa attuale prevede come eccezione, per le aree metropolitane, un numero massimo di 120 posti letto, cosa che deve essere superata, perché si tratta di una concentrazione di persone troppo elevata, che inevitabilmente diventa un ghetto. La RSA è una piccola struttura, legata al territorio per non rompere il legame parentale e solidale fra persona ricoverata, familiari e amici, e soprattutto con una valenza di non definitività.

La presente proposta di legge cerca di risolvere anche il problema economico. Propone infatti di far intervenire, dopo il sessantunesimo giorno di ricovero, il degente pensionato con una parte cospicua della sua pensione, sempre che con quella non debba mantenere altri familiari e a condizione che nessun altro parente, anche se tenuto al versamento degli alimenti, intervenga in sua vece; infatti, tale pratica distorta, che costituisce un vero e proprio ladrocinio salariale, benché contro la legge, è molto diffusa.

Va dunque chiarito che il pensionato malato cronico non autosufficiente, accolto in una RSA, interviene con una parte del suo reddito in senso solidale, per sostenere, più che se stesso, visto che nella gran parte dei casi ha già versato con i contributi sanitari ben più del costo necessario alle sue cure, il Servizio sanitario nazionale.

È importante ancora sottolineare la necessità di partecipazione alla vita del Dipartimento. Occorre dare la possibilità agli utenti e agli operatori di verificare il funzionamento dei servizi e di intervenire in modo critico e propositivo ogni volta che si rende necessario.

Senza dubbio una delle difficoltà della realizzazione della legge di riforma sanitaria del 1978 (la legge n. 833 del 1978) è stata proprio questa: non aver favorito, anzi a volte avere impedito, la partecipazione dei cittadini e degli operatori.

Occorre non ricadere nei vecchi errori, quindi occorre riproporre in ogni occasione strumenti e strutture di partecipazione perché i vecchi e i nuovi servizi effettivamente svolgano i loro compiti; e ciò sarà possibile se chi ne usufruisce li senta come suoi.

È infine necessario respingere quella sorta di terrorismo sul malato cronico, in particolare se anziano, che oggi si fa. Sappiamo che il fine è quello di arrivare ad intraprendere ulteriori misure di riduzione delle pensioni e della sanità, comunque va sottolineato che in molti casi è infondato. È infatti vero che in termini assoluti gli anziani sono aumentati ma, in generale e per ora, la loro condizione è migliore rispetto ai decenni precedenti. Quindi i malati cronici non autosufficienti sono aumentati perché è aumentato il numero assoluto di anziani, ma non tanto da giustificare il terrorismo psicologico che si fa nei loro confronti. Invece che ingegnarsi a promuovere una vasta campagna di prevenzione delle malattie cronico-degenerative e della non autosufficienza si vogliono colpire redditi e servizi sanitari sociali senza considerare che il miglioramento delle condizioni di vita è proprio dovuto ad essi.

Dunque il problema vero è quello della organizzazione della prevenzione, intervenendo in particolare per diminuire le malattie cronico-degenerative e la non autosufficienza che ne consegue, al fine di migliorare ulteriormente la qualità della vita e, pur in seconda battuta, ma realmente, di ridurre la spesa sanitaria sociale.

A tal fine è redatta la presente proposta di legge, che reca appunto norme per il riordino degli interventi in favore dei malati cronici non autosufficienti.

 

Proposta di legge

Art. 1 (Obiettivi)

1. La presente legge disciplina l’istituzione dei servizi sanitari di prevenzione, cura, riabilitazione e relazione sociale delle persone con patologie ad alto rischio invalidante, indipendentemente dall’età, dalla tipologia e dalla durata della malattia.

2. Al fine di cui al comma 1, le regioni, entro e non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, riordinano tutta la materia ed istituiscono il Dipartimento delle patologie ad alto rischio invalidante, di cui all’articolo 2.

3. Le regioni inadempienti all’obbligo di cui al comma 2 non possono usufruire dei finanziamenti previsti dall’articolo 15 della presente legge, né di quelli di cui all’articolo 2 della legge 11 marzo 1988, n. 67.

 

Art. 2 (Istituzione del Dipartimento delle patologie ad alto rischio invalidante)

1. Ferme restando tutte le prerogative degli ospedali di cui all’articolo 14, le regioni istituiscono il Dipartimento delle patologie ad alto rischio invalidante di seguito denominato “Dipartimento” presso ogni azienda sanitaria locale, quale complesso delle strutture e dei servizi a favore delle persone malate non autosufficienti ed organizzano in concorso con i servizi di assistenza sociale di competenza dei comuni attività di prevenzione dalla condizione di non autosufficienza.

2. I servizi e le strutture del Dipartimento possono essere decentrati a livello distrettuale in considerazione della dimensione delle aziende sanitarie locali, nonché delle caratteristiche della popolazione residente.

3. Il direttore generale dell’azienda sanitaria locale, sentita la Conferenza dei sindaci, nomina il responsabile del Dipartimento.

 

Art. 3 (Servizi e strutture del Dipartimento)

1. Il Dipartimento è costituito dai seguenti servizi e strutture:

a)  Servizio di valutazione diagnostico-terapeutico-riabilitativa;

b) Servizio di cure domiciliari;

c)  residenze sanitarie assistenziali per anziani;

d)  centri diurni;

e)  day hospital;

f)  comunità terapeutiche.

 

Art. 4 (Servizio di valutazione

diagnostico-terapeutico-riabilitativa)

1. Il Servizio di valutazione diagnostico-terapeutico-riabilitativa è costituito da un’équipe medico-infermieristica e psico-sociale per la valutazione della condizione di malattia e di salute residua delle persone in condizioni di non autosufficienza e al tempo stesso per l’indicazione alla persona o alla struttura curante del percorso diagnostico-riabilitativo più adeguato conformemente ai protocolli esistenti. Responsabile del Servizio è lo specialista competente per la patologia del malato. Dell’équipe fa parte il medico di base relativamente ai suoi assistiti.

2. All’interno del Servizio in considerazione delle particolarità delle patologie dell’anziano e del numero consistente di anziani malati cronici non autosufficienti è istituita l’unità di valutazione geriatrica (UVG), di cui all’articolo 5.

 

Art. 5 (Istituzione dell’unità di valutazione

geriatrica)

1. L’unità di valutazione geriatrica (UVG) è istituita in ogni azienda sanitaria locale. Se l’azienda sanitaria locale ha un numero di abitanti superiore ai 100 mila l’UVG è istituita in ogni distretto socio-sanitario di base.

2. L’UVG ha il compito di verificare le domande di assistenza sanitaria di ogni anziano che, tramite i differenti canali, ne fa richiesta. L’UVG, impiegando il metodo della valutazione funzionale multidimensionale, è in grado di indicare all’équipe curante la risposta terapeutico-riabilitativa personalizzata per il singolo anziano tenuto conto sia dei fattori medico-clinici che di quelli socio-ambientali.

3. L’UVG è formata dalle seguenti figure professionali: geriatra, medico di medicina generale, infermiere professionale, assistente sociale. Sono altresì chiamati a far parte dell’UVG, stabilmente o in regime di consulenza, quelle figure professionali specialistiche di cui si ravvisa la necessità; in rapporto ad ulteriori necessità sono chiamati a farne parte pure il terapista occupazionale, il fisioterapista, l’audiologo, il logopedista, il podologo, il dietista e ogni altra figura professionale di cui si ravvisi l’esigenza.

4. L’UVG può corrispondere con l’équipe curante.

 

Art. 6 (Servizio di cure domiciliari)

1. Il Servizio di cure domiciliari è istituito in ogni azienda sanitaria locale quale sintesi fra i servizi di spedalizzazione domiciliare (SD) e di assistenza domiciliare integrata (ADI).

2. Il Servizio di cure domiciliari ha sede di norma presso una struttura ospedaliera o in altra struttura dell’azienda sanitaria locale comunque collegata con un ospedale e si prefigge l’intervento al domicilio del paziente al seguito della richiesta del medico di medicina generale o della divisione ospedaliera presso cui il paziente è stato ricoverato per patologie ad alto rischio invalidante.

3. L’ulteriore scopo del Servizio è quello di seguire il paziente con il suo consenso, con quello della sua famiglia, e in collaborazione con il suo medico di medicina generale al proprio domicilio al fine di non prolungare inutilmente il ricovero in ospedale, ottimizzando gli interventi riabilitativi e rendendo compatibili terapie complesse con il mantenimento o il reinserimento precoce in ambiente familiare.

4. Le aziende sanitarie locali individuano con proprio atto deliberativo le divisioni ospedaliere o le équipe territoriali che per effetto della specializzazione raggiunta e delle conoscenze ed esperienze acquisite sono in grado di costituire il Servizio di cure domiciliari e di perseguirne gli scopi.

5. La regione verifica l’istituzione del Servizio di cure domiciliari entro i medesimi termini fissati per la costituzione del Dipartimento, ai sensi dell’articolo 1, comma 2.

 

Art. 7 (Istituzione delle residenze sanitarie

assistenziali)

1. Le regioni, conformemente al numero e alla tipologia degli abitanti, programmano l’istituzione delle residenze sanitarie assistenziali (RSA) quali presidi sanitari che assicurano prestazioni globali curative e riabilitative ad anziani cronici non autosufficienti attuando la massima integrazione con le risorse familiari e sociali sul territorio. Le RSA possono essere di nuova costruzione, derivare dalla trasformazione di ospedali dismessi o di case di riposo e strutture protette per anziani. Esse devono fare riferimento a precisi ambiti territoriali, quali i quartieri, le circoscrizioni, i piccoli comuni.

2. Le RSA devono rispettare alcuni standard strutturali minimi quali:

a) ricettività non superiore a sessanta anziani anche per le aree metropolitane con articolazioni per gruppi di venti componenti;

b) unità abitative singole per una o due persone, con superficie non inferiore a 24 metri quadrati, dotate ciascuna di veranda, servizio igienico completo, erogatore di ossigeno, citofono e telefono;

c) servizi comuni quali cucina con annessa mensa, soggiorno di 32 metri quadri per ogni dieci anziani, palestra per le attività motorie e di riabilitazione, locali di socializzazione e di incontro con familiari, amici e volontari;

d) giardino attrezzato di 100 metri quadri ogni dieci anziani.

3. L’organico delle RSA è quello previsto dal decreto del Ministro della sanità 13 settembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 24 settembre 1988.

4. È fatto divieto di istituire primariati nelle RSA.

5. L’azienda sanitaria locale garantisce il collegamento funzionale fra ospedale ed RSA, anche al fine di favorire l’interscambio di personale fra servizi ospedalieri ed extraospedalieri.

6. Il ricovero degli anziani in RSA in nessun caso deve essere considerato definitivo. Esso deve essere invece utilizzato con flessibilità anche per periodi relativamente circoscritti e ripetibili nel tempo, secondo le reali esigenze dell’anziano e del suo contesto familiare.

7. È fatto divieto di adibire le RSA a ricovero per malati psichiatrici e psichici o per malati di AIDS.

 

Art. 8 (Contributo di solidarietà)

1. A decorrere dal sessantunesimo giorno di degenza presso le RSA il ricoverato è tenuto a versare una somma non superiore al 60 per cento del proprio reddito pensionistico annuale all’azienda sa­ni­taria locale che ha disposto il ricovero. Il versamento deve essere effettuato con frequenza bimestrale.

2. Entro e non oltre centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano emanano leggi per:

a) l’attuazione del comma 1 tenendo conto che al ricoverato deve essere garantita la disponibilità dell’intero reddito pensionistico o di una parte di esso al fine di poter provvedere alle proprie esigenze non soddisfatte dall’istituzione in cui è ricoverato, quali oneri verso terzi, vestiario, piccole spese personali e similari, ovvero alle necessità dei congiunti conviventi o comunque a proprio carico;

b) garantire ai ricoverati nelle RSA tutte le occorrenti prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative e alberghiere, comprese quelle inerenti l’indennità di accompagnamento.

3. Alla scadenza di cui al comma 1 l’intero importo dell’indennità di accompagnamento degli utenti delle RSA è destinato all’azienda sanitaria locale che ne ha disposto il ricovero.

4. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 433 e seguenti del codice civile ovvero l’impossibilità di richiesta, da parte di persone diverse dall’interessato, di contributi economici a titolo di alimenti. Soltanto il soggetto in condizioni di bisogno può agire in giudizio nei confronti dei parenti tenuti agli alimenti ai sensi dell’articolo 438 del codice civile; solo al giudice compete la fissazione dell’entità del contributo.

 

Art. 9 (Istituzione del day hospital)

1. I day hospital, aggregati ai reparti ospedalieri o ai distretti sanitari, sono servizi sanitari che erogano interventi di carattere diagnostico, curativo o riabilitativo di tipo specialistico. Le aziende sanitarie locali sono tenute ad elaborare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un programma di attivazione di tali servizi dando priorità a quelli aggregati ai reparti di geriatria, pneumologia, cardiologia, oncologia, medicina ed ortopedia.

 

Art. 10 (Istituzione di comunità terapeutiche)

1. Le comunità terapeutiche sono piccole strutture residenziali del Servizio sanitario nazionale, gestite dalle aziende sanitarie locali con un massimo di dieci persone. In esse devono trovare accoglienza persone malate croniche gravi come i malati terminali o i malati di AIDS che hanno bisogno di particolari cure e non possono essere curate a domicilio.

2. Le regioni in base alla situazione epidemiologica territoriale programmano il numero delle comunità terapeutiche residenziali, la loro tipologia, e lo standard di personale relativamente al tipo di persone che devono essere accolte.

 

Art. 11 (Istituzione di centri diurni)

1. I centri diurni sono istituiti nei distretti socio-sanitari di base.

2. I centri diurni sono strutture sanitarie che intervengono nei confronti delle persone malate croniche non autosufficienti, attuando programmi di cura, di riabilitazione e di socializzazione lungo l’arco di otto-dodici ore al giorno per sei giorni la settimana.

3. Le regioni sulla base della situazione epidemiologica territoriale dettano norme per la realizzazione di almeno un centro diurno per distretto socio-
sanitario di base e stabiliscono gli standard di
perso­­nale.

4. Sono in particolare istituiti, almeno uno per ogni azienda sanitaria locale, centri diurni per persone affette da demenza senile.

 

Art. 12 (Prevenzione della condizione

di non autosufficienza)

1. Il Dipartimento di cui all’articolo 2, unitamente con i servizi di assistenza sociale dei comuni facenti parte del territorio della azienda sanitaria locale, programma iniziative di prevenzione della condizione di non autosufficienza con particolare riferimento ai soggetti più a rischio. Il programma deve consistere nella individuazione delle persone a rischio, in iniziative finalizzate alla informazione ed educazione sanitaria con particolare riferimento ad una corretta alimentazione ed utilizzo dei farmaci. Il programma comprende screening di medicina preventiva e tutte le iniziative più opportune allo scopo, comprese quelle di carattere sportivo e culturale.

 

Art. 13 (Istituzione del Comitato di partecipazione del Dipartimento)

1. In ogni Dipartimento è istituito il Comitato di partecipazione degli utenti e degli operatori. Il Comitato è formato per due terzi dai rappresentanti degli utenti (ovvero dei familiari, sindacati e altre formazioni sociali operanti sul territorio) e per un terzo dagli operatori del Dipartimento.

2. Il Comitato di partecipazione verifica il funzionamento dei servizi del Dipartimento, presenta istanze di critica e di proposta al responsabile del Dipartimento e, se del caso, al direttore generale dell’azienda sanitaria locale.

3. La regione stabilisce le linee fondamentali per la regolamentazione del Comitato di partecipazione. In esso deve essere specificato che il presidente è eletto, all’interno del medesimo Comitato, fra i rappresentanti degli utenti. Il Comitato di partecipazione deve essere costituito contestualmente al Dipartimento.

 

Art. 14 (Norme di salvaguardia)

1. In conformità a quanto previsto dalla legislazione vigente, gli ospedali sono luoghi di cura e di riabilitazione nei quali devono trovare accoglienza malati acuti, cronici, lungodegenti e convalescenti.

2. Ai fini di cui al comma 1 sono pertanto vietate le dimissioni forzate di persone malate croniche non autosufficienti al di fuori di reali alternative concordate con gli interessati e al di fuori dei servizi e delle strutture del Servizio sanitario nazionale.

 

Art. 15 (Finanziamenti)

1.         All’onere derivante dall’attuazione della presente legge si provvede con gli ordinari finanziamenti destinati ai soggetti portatori di malattie croniche dalla legislazione vigente in vigore, nonché con i finanziamenti autonomamente deliberati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 

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