Prospettive assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998

 

 

rilevazione delle organizzazioni di volontariato effettuata dall’istat

 

 

Sono ancora numerosi i politici ed i giornalisti che sulla consistenza del volontariato sparano cifre del tutto inventate: si arriva ad affermare che i volontari sarebbero 4-5 milioni, per alcuni addirittura per quanto riguarda solamente i settori sanitario e assistenziale.

Già nel numero 101 di Prospettive assistenziali uscito nel marzo 1993, avevamo affermato che il loro numero poteva essere calcolato in 500 mila, dato confermato dalla “indagine” svolta dalla Fondazione italiana per il volontariato (1).

L’anno scorso l’ISTAT ha condotto una rilevazione (2) sulle organizzazioni di volontariato iscritte, alla fine del 1995, ai registri regionali istituiti ai sensi della legge 266/1991, individuando, fra le organizzazioni che hanno risposto (6.017 su 8.803) la presenza di 316 mila volontari (3).

 

Caratteristiche strutturali delle organizzazioni di volontariato

 

Dalla rilevazione dell’ISTAT risulta che nel 1995 le organizzazioni iscritte ai registri regionali erano 8.803 e si concentravano soprattutto in quattro regioni: Lombardia (19,5% del totale), Toscana (15,5%), Veneto (13,7%) ed Emilia-Romagna (11,7%).

Nel complesso, il 64,2% delle organizzazioni era iscritto nei registri delle regioni settentrionali, il 21,7% in quelli delle regioni centrali ed il 14,1% in quelli delle regioni meridionali e insulari.

Le organizzazioni rispondenti, pari a 6.017, assumono quattro profili organizzativi tipici: il 46% di esse dichiara di non essere articolata in sedi periferiche e di non appartenere ad alcun gruppo più allargato, configurando le cosiddette “organizzazioni isolate”; il 37,4% può essere compreso nelle “organizzazioni di base” le quali, pur non essendo articolate territorialmente, appartengono a gruppi organizzativi più allargati; il 9,1% dei soggetti rispondenti risulta essere una “organizzazione capofila”, essendo articolata in più sedi periferiche, anche con autonomia di bilancio, senza riferirsi a gruppi più allargati; il 7,5% delle organizzazioni, infine, può essere considerata una “organizzazione intermedia”, poiché si articola verso il basso in più sedi periferiche e, contemporaneamente, fa parte di gruppi allargati di organizzazioni di volontariato. Il 45,7% dei volontari attivi opera nelle “organizzazioni isolate”, il 24% in “organizzazioni capofila”, il 16,4% in “organizzazioni di base” e il 13,9%, infine, nelle “organizzazioni intermedie”.

Va notato come, a partire dalle organizzazioni costituitesi nei primi anni sessanta, la quota di quelle che si collegano a strutture più ampie tenda a diminuire: infatti, tra le organizzazioni costituitesi nel quinquennio 1961-65 l’85,3% dichiara di appartenere oggi ad una organizzazione più ampia e la proporzione scende regolarmente fino al 30,5% per quelle costituitesi nell’ultimo quinquennio di riferimento (1991-95). Questo andamento caratterizza attualmente il settore per la frammentazione organizzativa. Tuttavia, le organizzazioni “capofila” o “intermedie”, 1.000 in complesso, si avvalgono di 17.000 sedi periferiche (di cui il 67% opera con autonomia di bilancio). Il 53,2% delle organizzazioni dichiara di operare in ambito comunale o sub-comunale, il 24,8% in ambito provinciale, il 10,3% in quello regionale, il 7,5% sull’intero territorio nazionale ed il 4,1% svolge le proprie attività anche al di fuori del paese.

Il 62% circa delle organizzazioni dichiara di poter contare su un numero di volontari che non supera le 30 unità (l’ISTAT non ha preso in considerazione i donatori di sangue e di organi) e la classe dimensionale nella quale si concentra il maggior numero di organizzazioni (31,6%) è quella con 11-20 volontari.

Le classi dimensionali estreme, quelle, cioè, con meno di 10 volontari o con 70 o più volontari attivi, riuniscono ognuna il 16% circa delle organizzazioni rispondenti.

Le organizzazioni attive nei settori sanitario, assistenziale, dell’istruzione, delle attività ricreative, culturali e sportive si concentrano nella classe con 11-20 volontari, quelle che si occupano di tutela e protezione di diritti e di beni culturali hanno, in prevalenza, una dimensione più contenuta, mentre le organizzazioni attive nel settore della protezione civile e dell’ambiente risultano nettamente più consistenti.

 

I volontari impegnati nelle organizzazioni

Nel 1995, i volontari attivi nelle organizzazioni rispondenti erano circa 316.000 (il 42% dei
quali donne), cui si aggiungevano poco più di
2.300 obiettori attivi e circa 3.000 appartenenti ad ordini religiosi (con un’incidenza di religiose pari al 32%).

Soltanto l’11,3% delle organizzazioni ha dichiarato di avere dei dipendenti, per un totale di circa 3.400 addetti, di cui il 31,9% a tempo parziale. Nel 62,7% delle organizzazioni con dipendenti operavano solo addetti a tempo parziale.

A livello territoriale i volontari sono distribuiti nel seguente modo: il 65% nelle Regioni del nord, il 24,4% nelle Regioni centrali e il 10,5% in quelle meridionali e insulari.

Nel complesso, pur appartenendo i volontari ad ogni classe d’età, si registra una prevalenza tra i 30 e i 54 anni, con il 41% dei volontari attivi (nell’intera popolazione, la classe di età rappresenta il 34,5% della popolazione).

Le classi più giovani e quelle di età più avanzata (rispettivamente con meno di 29 anni e con più di 54) si equivalgono, raccogliendo ognuna circa il 30% delle presenze (nell’intera popolazione, i due gruppi raccolgono rispettivamente il 36,7% ed il 28,8% del totale). Le donne sono meno degli uomini nella classe centrale di età e più numerose in quella di età più elevata; gli uomini prevalgono fra i giovani.

Il titolo di studio più diffuso (39,3%) tra i volontari è quello di scuola media inferiore.

I volontari con il titolo di scuola media superiore risultano pari al 35,4% del totale. I laureati costituiscono il 10% circa dei volontari e coloro che non hanno titolo di studio o hanno conseguito la sola licenza elementare ammontano al 15,1%.

Nel complesso, quindi, il livello di istruzione dei volontari italiani risulta essere medio-basso, con quasi il 55% che ha conseguito al più un diploma di scuola media inferiore.

Le donne risultano mediamente più istruite degli uomini; fra esse sono infatti proporzionalmente più numerose le laureate e le diplomate di scuola superiore rispetto a quanto si rileva per gli uomini; viceversa, i volontari forniti di sola licenza media sono proporzionalmente più numerosi fra gli uomini (42,6%) rispetto alle donne (34,9%).

Quasi la metà dei volontari (48%) ha un’occupazione, il 18,8% si è ritirato dal lavoro, l’11,1% è in posizione di casalinga, il 10,7% è ancora studente e l’8,2% è disoccupato o in cerca di lavoro. Tra le donne, la quota di occupate scende al 39,2% e nettamente più bassa risulta anche quella delle pensionate (16,7%). Le studentesse e le donne in cerca di occupazione o disoccupate sono rispettivamente il 9,3% e il 6,0%.

 

I settori d’attività, i servizi offerti ed i destinatari

 

Numerose organizzazioni di volontariato hanno dichiarato di operare in più settori di attività. Più in dettaglio, il 52,9% delle organizzazioni opera in un solo settore, il 20,8% è attivo in almeno due settori, il 13,3% in tre settori e una quota analoga opera in quattro o più settori di attività. L’area di intervento più frequente è quella sanitaria, nella quale dichiara di operare il 47% delle organizzazioni rispondenti. Seguono, in questa graduatoria, i settori dell’assistenza sociale (38% delle segnalazioni), delle attività ricreative e culturali (27,5%), della protezione civile (14,8%), dell’istruzione e delle attività sportive (ambedue con il 12,4%), della tutela e protezione dei diritti (10,3%), della protezione dell’ambiente (9,3%) e, infine, il settore dei beni culturali, con una presenza del 4,4% delle organizzazioni.

Se si valuta la prevalenza sulla base del numero di volontari attivi in ciascuno dei settori di attività, ai primi posti si trovano ancora la sanità e l’assistenza sociale (nei quali opera, complessivamente, l’82,5% dei volontari), al terzo posto si collocano le attività di protezione civile (9,9%), al quarto quelle ricreative e culturali (7,9%), mentre ciascuna delle altre aree di impegno raccoglie una percentuale di volontari inferiore al 3%.

La diversificazione delle attività svolte dalle organizzazioni di volontariato si esprime anche nel numero dei servizi offerti. Mediamente, le organizzazioni rispondenti offrono più di tre servizi: i più diffusi sono il servizio di ascolto e sostegno, effettuato dal 35,9% delle organizzazioni, quelli connessi alla erogazione di servizi culturali (30,1%), i servizi ricreativi (26,9%), di accompagnamento (26,2%) e di assistenza morale (26,1%).

Anche considerando le caratteristiche delle strutture e degli ambiti operativi nei quali le organizzazioni di volontariato esprimono le loro funzioni, emerge una ricca varietà di contesti.

Il tipo di struttura più frequentemente utilizzata (31,9%) è quella ospedaliera o ambulatoriale pubblica. Seguono, con percentuali decisamente inferiori, i domicili degli assistiti (21,3% dei casi), la strada (12,5%), i centri sociali (12,0%), le case di riposo (11,6%), i centri di ascolto (10,1%). Ciascuno degli altri luoghi raccoglie sempre meno del 7% delle indicazioni.

I destinatari delle attività svolte dalle organizzazioni di volontariato sono anch’essi piuttosto diversificati. Le organizzazioni dichiarano di occuparsi (in modo continuativo) di persone malate (16,6%), di portatori di handicap (12,0%), di anziani, autosufficienti (11,2%) o meno (11,9%), di minori (8,5%) e di persone in condizioni di disagio economico (6,8%).

 

 

(1) Cfr. il supplemento del n. 3, marzo 1994 della Rivista del volontariato.

(2) Cfr. Note rapide, Istat, n. 9, 24 novembre 1997.

(3) Si tenga presente che l’indagine ha riguardato esclusivamente le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali.

 

 

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