Prospettive assistenziali, n. 124, ottobre-dicembre 1998

 

 

d’abbandono si muore - lettera aperta ai sindacalisti e alla coscienza delle donne e degli uomini (*)

Andrea bartoli (**)

 

 

 

Anche tu lo sai: l’Italia è un paese che sta cambiando rapidamente. L’ingresso in Europa e dell’Europa (assieme ai molti altri interessi globali) è segno di questa trasformazione. Con l’Europa, l’Italia condivide esasperandolo, un bassissimo tasso di natalità che riduce la popolazione e fa aumentare in percentuale il numero degli anziani. Aggiungendo a questo fenomeno il prolungamento della vita media ecco che si profila uno scenario di una Italia anziana, sempre più anziana. Molti giunti alle soglie di questo scenario compiono un doppio errore. Da una parte sono tentati di identificare l’esser anziani con l’esser malati e quindi inutili, improduttivi, da abbandono. Dall’altra a considerare le malattie dell’anziano “inerenti l’età” e quindi ingestibili, ovvie, così identificate con l’ultima età da non esser più nemmeno malattie ma semplici sintomi di vecchiaia. Così Sergio Cofferati che scrivendo al CSA dichiara che «essere anziani cronici non è una malattia». Certo essere anziani non vuol dire esser malati. Esser cronici però vuol dire essere malati sempre, più o meno gravemente indipendentemente dal fatto d’esser anziani o meno. Purtroppo alcuni anziani sono malati cronici non autosufficienti e questa sequenza di definizioni, tutte necessarie e tutte vere, disturba alcuni che hanno in mente più disegni d’ingegneria sociale che i diritti dei cittadini.

I due errori hanno le loro radici in una cultura disabituata alla dipendenza, incapace di affrontare serenamente la morte, incerta davanti alla necessità delle distinzioni. Questa cultura e questi errori hanno creato le premesse per una battaglia contro i diritti dei malati cronici non autosufficienti di straordinario momento. Forzati alla pensione quando potrebbero ancora esser produttivi, ovvero costretti a lavorare anche quando non ne possono più, gli anziani in Italia vivono gli ultimi anni della loro vita nell’incubo di ammalarsi. Per l’anziano ammalarsi oggi in molti luoghi in Italia è una condanna a morte. Le attività di prevenzione vengono tagliate, quelle curative negate, quelle riabilitative sono inesistenti. L’orientamento sembra proseguire forte anche perché finora i sindacati non hanno assunto posizioni a difesa dei diritti degli anziani cronici non autosufficienti.

Ho avuto in animo di scrivere questa lettera aperta per molto tempo, ma solo ora, innanzi alla rilevanza e drammaticità del processo, mi sono distolto dalla risoluzione dei conflitti violenti di cui mi occupo alla Columbia University per dedicarmi nuovamente a questo conflitto silenzioso e tragico che chiede la vita di molti in una nazione che si dice civile. Ti scrivo personalmente,  con una lettera che fa appello alla tua coscienza, sperando, forse ingenuamente, di rompere il silenzio, la complicità, l’apatia che sembra regnare su un dramma tanto grande.

I due errori di percezione che ho menzionato conducono infatti al disegno e alla implementazione di una strategia di abbandono che seleziona i meno forti e li lascia morire. Non a caso si è parlato di “eutanasia d’abbandono”. Se si crede che tutti gli anziani siano malati è chiaro che bisogna aver paura. Se si ha paura non ci si prepara. Si rimanda il tempo della consapevolezza al momento in cui sarà troppo tardi. Quando infatti ci si ammala da anziani spesso la guarigione avviene più lentamente. Ci sono ragioni fisiologiche e funzionali per questo fenomeno. Da una parte il corpo di un anziano non reagisce come quello di un giovane (generalizzazioni sono sempre problematiche), dall’altra la mente non investe nel futuro allo stesso modo. Il desiderio di guarire, o almeno di stare meglio, il desiderio di tornare ad una vita normale o almeno equilibrata, si affievoliscono con l’aggravarsi ed il prolungarsi di una malattia, persistono e sono estremamente significativi. Questo atteggiamento vitale di chi, pur malato vuol vivere, incontra una risposta insolente che sostanzialmente afferma: «Se sei vecchio e sei malato, tu sei solo te stesso. Sei il compimento di quel che sei, di quel che dovevi diventare. Per questo non ti curo, non ti riabilito e non mi pento di non aver fatto nulla per prevenire quel che oggi ti fa soffrire». Questo è l’imbroglio di chi nega agli anziani malati non autosufficienti il diritto alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. I due errori di percezione non sono innocui: generano una politica violenta d’abbandono proprio contro coloro che sono più deboli, che non possono parlare, che spesso, purtroppo, non possono votare. Agli anziani che contano si fa credere che la malattia non esista, ovvero, contraddittoriamente li si terrorizza che il “diventare veramente vecchi” sarà una condanna. Ed effettivamente la condanna viene quando poi, malati per una caduta, per la morte improvvisa di un coniuge, per un trasloco forzato, per una demenza incompresa, chi è anziano e malato viene abbandonato a se stesso, alla famiglia che non ce la fa, alle istituzioni inadeguate, ovvero peggio a quelli che lucrano sulla cattiva sorte di molti. Così i vecchi fanno notizia, vittime di abusi che dovrebbero far raccapricciare e che invece non sembra lascino un segno. Così gli anziani, malati, continuano a morire nelle stamberghe di chi, sedandoli e senza scrupolo, “se ne prende cura”. Abbiamo costruito un sistema d’abbandono che lascia morire senza compagnia, senza dignità, senza diritti. Non può continuare. Saremo vecchi anche noi, alcuni presto, alcuni più tardi, ma molti – più che in passato – diventeranno vecchi. È tempo di ristabilire un’alleanza tra coloro che hanno voce e potere politico e quelli che non l’hanno. È tempo di mobilitare le coscienze ancora per spiegare l’inganno di un abbandono giustificato coi soldi che è condanna per troppi.

Esser anziani infatti non vuol dire esser malati. Esser malati non vuol dire esser cronici. Ma esser anziani quando si è anche malati e cronici non può esser una ragione per non prevenire, curare e riabilitare. La percentuale di coloro  che in tarda età hanno delle limitazioni funzionali è significativa ma non tale da consentire generalizzazioni (2,4% secondo il Progetto Obiettivo Anziani del CNR). Molti anziani continuano a stare bene ed essere autosufficienti anche in tarda età. Certo le spese sanitarie crescono con il crescere dell’età ma è grave che molti sottolineino «che il costo delle cure agli anziani in Italia è doppio rispetto agli adulti» senza dire che negli Stati Uniti – non certo paese di grande tradizione della medicina sociale – il rapporto è di gran lunga superiore. Altri, nel mondo, spendono per i loro anziani più di noi. Una verità che spiega questi dati, spesso nascosta, è che il grande carico dell’assistenza e cura è a carico delle famiglie. Il numero delle persone ricoverate in istituti è rimasto stabile anche se gli ospiti sono meno autosufficienti di ieri. Ciò vuol dire che la tendenza generale è contro l’istituzionalizzazione che avviene praticamente solo in condizioni di non autosufficienza. Le risposte alla non autosufficienza dell’anziano come del giovane e dell’adulto sono varie, ma tutte dovrebbero tener conto di un requisito essenziale: il rispetto dei diritti e delle esigenze del malato.

Vari documenti sono stati prodotti negli ultimi vent’anni a riguardo. Le energie migliori concordano, sia sul piano della ricerca che della pratica, che alcuni orientamenti fondamentali dovrebbero esser seguiti nella ricerca di soluzioni positive alle sfide poste dall’invecchiamento della popolazione. Tra queste:

1 - rispetto del diritto alla prevenzione, cura e riabilitazione di tutti i cittadini senza distinzione d’età, classe, sesso o provenienza geografica;

2 - sviluppo dei servizi domiciliari sanitari, sia che facciano riferimento agli ospedali, sia che siano promossi dalla libera associazione di medici di base e di altre categorie di lavoro sanitarie (infermieri, fisioterapisti, tecnici...);

3 - rafforzamento delle Unità di Valutazione Geriatrica e della loro valenza nazionale;

4 - sviluppo dei servizi di accompagnamento e controllo che favoriscano i contatti dei singoli e delle famiglie anziane con il tessuto sociale;

5 - sviluppo dei centri diurni e territoriali per i dementi ed integrazione dei servizi alle famiglie;

6 - sviluppo dei centri riabilitativi;

7 - stretto controllo degli standard operativi delle strutture che ospitano non autosufficienti;

8 - rilancio dei servizi sociali ed in particolare delle attività di sostegno ai nuclei familiari, di assistenza economica continuativa e straordinaria, di aiuto domestico (pulizia dell’alloggio, igiene personale, accompagnamenti, pasti a domicilio...).

Molto di più può essere fatto, ma il fare non può che seguire la consapevolezza. Ecco perché mi sono rivolto alla coscienza di ciascuno, al momento interiore nel quale risolviamo i nostri dubbi e le nostre speranze. Spero che parlando a quella coscienza tu possa accogliere il grido di chi non è più ascoltato, il lamento di chi muore solo, male, senza cure, senza assistenza, condannato da un sortilegio che sembra far dire ai sani «non t’ammalare perché altrimenti t’abbandono». Spero che nella coscienza di qualcuno quel grido risuoni e rompa la complicità di chi vede un cronico non autosufficiente, un demente, un allettato e dichiara: «non è malato, non me ne curo». Spero che la coscienza di ciascuno faccia riemergere gli spezzoni di vita di quelli che conosciamo, finiti in ospedale o a casa o in istituto senza le cure cui avrebbero avuto diritto, senza le premure che li avrebbero fatti vivere ancora. Spero che quest’appello arrivi a chi si ricorda dell’amico disperato, alla scoperta che non poteva più mantenere sua madre a casa, con dignità, come avrebbe voluto. Forzati fuori dalle case dalla mancanza d’aiuto molti finiscono in istituti dove non vorrebbero stare e dove i familiari sono costretti a pagare cifre esorbitanti per cure che è loro diritto ricevere gratuitamente. È un ciclo infernale di morte e di soldi.

Questa lettera, lo so, l’ho scritta tardi, troppo tardi perché se c’è qualcosa chiara in questo dibattito è la consapevolezza di un’urgenza: per chi è anziano oggi, alle volte malato e non autosufficiente, non c’è tempo. Il momento è venuto per cambiare, a cominciare da me.

Che nessuno stia più dalla parte dell’eutanasia d’abbandono. Vivremo meglio insieme, tutti.

New York, 15 agosto 1998

 

 

 

 

(*) Lettera inviata in data 18 agosto 1998 da Andrea Bartoli ai Ministri Rosy Bindi e Livia Turco ed ai Segretari generali della CGIL - Sergio Cofferati, della CISL - Sergio D’Antoni e della UIL - Pietro Larizza.

(**) Andrea Bartoli insegna alla Columbia University dove è Direttore del International Conflict Resolution Program, School of International and Public Affairs. È da molti anni membro della Comunità di Sant’Egidio. Vive a New York dal 1992. Sull’argomento, ha pubblicato il volume “Anziani” (Caritas Italiana, 1994) e molti contributi scientifici sulla valutazione della autosufficienza e sulla violenza contro gli anziani. È gradito ogni commento o risposta. Il suo indirizzo è: International Conflict Resolution Program - SIPA Box 23, Columbia University, New York, NY 10027, tel. 001.212.8544449, fax 001.212.8548479 - e.mail: ab203@columbia.edu.

 

 

 

 

 

 

SPESA SANITARIA PER GLI ANZIANI

IN RAPPORTO A QUELLA PER GLI ADULTI

(anni 1987-88)

 

Paese                                                   Rapporto

                                           spesa sanitaria anziani e adulti

USA                                                         7,4

Giappone                                               4,8

Olanda                                                    4,5

Regno Unito                                          4,3

Media OCSE                                          4,3

Germania                                               2,6

Francia                                                    2,4

Italia                                                         2,3

(fonte: OCSE 1988)

 

 

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