Prospettive assistenziali, n. 122, aprile-giugno 1998

 

 

VINTA LA VERTENZA CONTRO LA PROVINCIA DI TORINO SUI CONTRIBUTI ECONOMICI RICHIESTI AGLI HANDICAPPATI E ALLE LORO FAMIGLIE

CARLO SESSANO

 

Sono lieto di segnalare alle famiglie con parenti portatori di handicap intellettivo che è positivamente terminata la ultradecennale vertenza che avevo intrapreso, col sostegno del CSA - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, verso l’Amministrazione provinciale di Torino, contro la richiesta di contributi alle famiglie con congiunti che fruivano dei centri diurni per handicappati intellettivi che, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, non erano assolutamente in grado di svolgere alcuna proficua attività lavorativa.

Anche ai parenti delle persone ricoverate in istituti e comunità alloggio veniva da tempo richiesto un contributo sull’ammontare della retta.

Allo scopo di rendere edotti tutti coloro che si trovano in analoghe situazioni, ritengo opportuno riepilogare i punti principali della vicenda.

Con delibera 21 maggio 1987, la Provincia di Torino emanò una prima disposizione con la quale fissava dei parametri, assai onerosi per gli utenti e per i loro parenti, atti a determinare l’entità del contributo. Oltre al CSA insorsero tutte le associazioni e la Provincia di Torino sospese il provvedimento. Lo stesso ente concordò poi con il Comune di Torino una nuova formulazione del criterio contributivo (che alcune associazioni condivisero) in base al quale, per la fruizione dei centri diurni, veniva richiesto un contributo mensile variante dalle 31.000 alle 76.000 lire in funzione del reddito conteggiato sul nucleo familiare (genitori, fratelli, ecc.). Tale procedura venne applicata, però, soltanto dalla Provincia con delibera del 15 dicembre 1988 che retrodatava l’applicazione della norma al 1° ottobre 1988. Il Comune di Torino, invece, non ha mai dato corso alla propria proposta di delibera.

Non appena ricevetti la lettera con cui mi si chiedeva di produrre la documentazione inerente il reddito familiare, ho provveduto a respingere la richiesta dell’Amministrazione provinciale di Torino. Contemporaneamente, sempre con il fattivo aiuto del CSA, ho iniziato una campagna di informazione rivolta agli altri genitori per far loro conoscere gli elementi in base ai quali ritenevo in parte illegittima ed in parte inopportuna la pretesa della Provincia.

Occorre dire che la campagna ebbe un notevole successo: decine e decine di famiglie aderirono alla vertenza, anche quelle appartenenti ad altre associazioni, comprese quelle che consigliavano, invece, di pagare il contributo.

I criteri che ispirarono la vertenza furono:

1) nessuna legge prevede che possano essere chiamati a contribuire al costo della retta i parenti, anche quelli tenuti agli alimenti, di handicappati intellettivi maggiorenni;

2) l’art. 438 del Codice civile specifica chiaramente che solo chi è in stato di bisogno (o il di lui tutore) può chiedere gli alimenti ai parenti elencati nell’art. 433 del Codice civile;

3) se c’è contrasto fra le due parti, è il giudice a stabilire se gli alimenti devono essere corrisposti ed a fissarne l’entità. Ciò in ossequio all’art. 441 del Codice civile. Gli enti pubblici non hanno alcuna competenza in materia;

4) l’aspetto etico della pretesa. È mai possibile che ad un cittadino, la cui vita è già così fortemente compromessa ed il cui unico reddito, per la quasi generalità dei casi, è costituito dalla pensione di invalidità (all’epoca 250.000 lire mensili!), si possano richiedere contributi?

La vertenza continuò sino all’avvento di un nuovo assessore che, assillato dalle continue pressioni dei familiari degli handicappati e dal CSA, si decise infine a sospendere la richiesta di contribuzione con effetto dal 1° gennaio 1991. Contemporaneamente, l’Amministrazione provinciale di Torino predispose dei quesiti che inoltrò al Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito alla validità dei nostri assunti.

La risposta di detto ente, tenuto conto anche del parere dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’interno, venne inviata alla Provincia il 15 aprile 1994. Su queste basi, nel settembre del 1994, la Provincia di Torino, in esecuzione della delibera del 27 maggio 1994, comunicò ai parenti che la quota già fissata a loro carico era da considerarsi non più dovuta. Per analogia, anche ai parenti delle persone ricoverate in istituti e comunità alloggio, veniva revocato l’obbligo di contribuzione.

Restava da definire la quota di contributo a carico degli utenti. Infatti, in base alla delibera del 1987, l’esenzione spettava solo a coloro il cui reddito non superava i 3 milioni annui. Poiché, come già detto, l’importo della pensione di invalidità era allora di L. 250.000 mensili, l’ammontare complessivo sommava a L. 3.250.000 (13 x 250.000).

Mi sia concesso a questo punto un breve inciso. Riguarda la sensibilità, la solidarietà, l’essere vicino alle famiglie dei congiunti colpiti da handicap intellettivo la cui vita è così gravemente condizionata, concetti che, soprattutto a parole, spesso esprimono sindaci, assessori, dirigenti e funzionari di enti pubblici. Ne sia esempio il semplice calcolo sopra riportato. Il fatto scandaloso è originato dall’univocità d’intenti espressa da tutti coloro che hanno messo mano alla stesura e all’approvazione della delibera: nessun soggetto poteva fruire dell’esenzione! Tutti avrebbero dovuto, con le loro 250.000 lire mensili, insufficienti persino alla semplice sopravvivenza, versare alla tesoreria provinciale 31.000 lire!

E per annullare questa vergogna, abbiamo dovuto, io e il CSA, sostenere un’ulteriore battaglia che durò per altri tre anni, anche a causa del cambio degli assessori e dei tentativi di insabbiare il caso. Finalmente, nel luglio 1997 il Consiglio provinciale deliberò di ritenere estinto ogni credito della Provincia di Torino verso gli utenti. Con buona pace di tutti coloro che, nonostante le nostre insistenze, per dar retta ai cattivi consiglieri, hanno invece sempre pagato.

Questa vicenda ha, a mio avviso, una morale: il cittadino conscio dei propri diritti deve cercare in ogni modo di farli rispettare. Anche da solo!

 

 

(*) Vice-presidente dell’UTIM - Unione tutela insufficienti mentali.

 

 

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