Prospettive assistenziali, n. 122, aprile-giugno 1998

 

 

A UN PUNTO CRUCIALE L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI IN SITUAZIONE DI HANDICAP

piero rollero

 

Dopo un quarto di secolo di esperienze di integrazione scolastica degli handicappati, ci troviamo a un punto cruciale di tale processo: sono in gioco diverse proposte di riforma radicale del sistema scolastico; il sistema di protezione e di sicurezza sociale è sottoposto a un fuoco di fila di accuse, quasi che i mali dell’Italia dipendessero solo dal suo funzionamento, peraltro carente.

A questo si associa una caduta di idealità e di coerenza rispetto ai principi e ai diritti civili garantiti dalla Costituzione, al punto che, anche a livelli più alti (come nella recente, grave, relazione della Commissione istruzione della Camera), si mettono in discussione i valori della integrazione scolastica, estesa e dovuta a tutti i cittadini.

E ancora: i tagli, e le cosiddette “razionalizzazioni” nel settore scolastico, e in particolare in quello dell’integrazione scolastica, da una Finanziaria ad un’altra, preoccupano seriamente per la loro grave incidenza.

In questo clima culturale e politico, accanto ad indubbie esperienze positive di integrazione, assistiamo a una emarginazione “strisciante” degli handicappati: il recente Testo unico delle leggi della scuola rivaluta le scuole, e persino gli istituti, speciali (con una operazione pseudogiuridica); si diffondono le concentrazioni di alunni handicappati in “scuole cosiddette attrezzate”; continuano e aumentano i “centri per gravi” per alunni in obbligo scolastico, al di fuori del circuito scolastico.

Accanto a un disegno di legge positivo rispetto all’integrazione scolastica (la “Riforma dei cicli scolastici”), vi è un altro disegno di legge che desta molte preoccupazioni: quello sulla “parità delle istituzioni scolastiche”; esso prevede l’obbligo, per le scuole “in parità”, di iscrivere gli alunni con handicap, ma non specifica “in classi normali”, col pericolo che tale iscrizione possa avvenire in scuole o addirittura in istituti speciali, rivalutati, come si è detto, nel Testo unico della Scuola.

Si aggiunga che, in questo quadro in movimento, la scuola sta entrando in un periodo di grandi cambiamenti connessi alla “autonomia”, una idea-guida che, pur nei suoi aspetti positivi, creerà non poche difficoltà al processo di integrazione. Nell’introdurre una specie di concorrenza tra le scuole, rischia di enfatizzare un’efficienza competiviva che lascia poco spazio alla solidarietà, all’attenzione per i più deboli, e può indurre più di una scuola a “deviare” la persona in situazione di handicap ad altra sede, perché la presenza “costa” di più e può rendere meno prestigiosa e “appetita” un’immagine della scuola basata sui principi aziendalistici della sola efficienza e del solo prodotto.

Se poi esaminiamo l’ultima Finanziaria 1998, constatiamo che sono stati approvati provvedimenti molto preoccupanti. In particolare, è caduto uno degli strumenti tradizionali, e sperimentato da anni, come indispensabile per un’efficace integrazione scolastica: ossia la norma che consentiva di formare una classe di alunni “ridotta” di numero in presenza di un compagno con handicap, e, nello stesso tempo, ad aggravare la situazione, è caduta anche la norma del numero massimo di alunni per tutte le classi.

E, ancora, si è introdotto un nuovo, dubbio, criterio di assegnazione degli insegnanti di sostegno: 1 insegnante ogni 138 alunni frequentanti la scuola. Tale criterio comporterà già nel prossimo anno scolastico una diminuzione consistente degli attuali sostegni, e ancor più nei prossimi anni se non verrà annualmente modificato: infatti i dati statistici prevedono una diminuzione della popolazione scolastica complessiva, e un aumento degli alunni con handicap.

 

UNA SERIA RIFLESSIONE SULL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

 

In questo clima culturale e politico, che minaccia di indurre una tendenza pericolosa di riflusso, è quanto mai urgente riproporsi una seria riflessione e un approfondito ripensamento sull’integrazione scolastica, per ripercorrere e chiarire le idealità che l’hanno ispirata e le esperienze positive in cui si è attuata. Si può indicare una triplice traccia di analisi:

  i suoi valori fondanti: “L’integrazione perché”;

  la sua destinazione ed estensione: “L’integra­zio­ne per chi”;

  le sue modalità istituzionali, organizzative, pedagogiche: “L’integrazione come”;

nella prospettiva generale di “Una scuola per tutti e per ciascuno”, come si intitola il documento ufficiale “La Carta di Lussemburgo”, approvato nel 1996 a conclusione del progetto pluriennale della Comunità europea, Helios, volto a promuovere l’integrazione delle persone in situazione di handicap.

 

INTEGRAZIONE PERCHÉ

 

I diritti sociali della Costituzione

Nella attuale fase delicata di modifiche della nostra Costituzione, è importante riaffermare l’immodificabilità dei suoi principi civili e sociali.

Come ha indicato la sentenza della Corte costituzionale n. 215/1987, proprio l’integrazione scolastica è tutelata da un “aggregato” di tali principi: il valore della solidarietà (art. 2) e dell’uguaglianza (art. 3), i diritti sociali previsti a tutela della famiglia e dei giovani (art. 31), degli invalidi (art. 38), il diritto all’istruzione (art. 34).

Al primo posto si pone un’interpretazione moderna e funzionale del diritto allo studio, come un diritto di cittadinanza, dalla cui realizzazione nessuno può essere escluso, perché ogni allievo – handicappato o no – possa promuovere lo sviluppo pieno della propria personalità, e uscire dalla scuola preparato ad affrontare, senza con ciò negare la disabilità che gli appartiene, la vita ulteriore nel mondo di tutti.

Di qui si ribadisce, come affermano le leggi e conferma la sentenza della Corte, che l’istituzione scolastica ha due precise finalità, fra loro interdipendenti: l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni.

 

L’integrazione, essenziale e insostituibile fattore di sviluppo - “Nell’integrazione consiste la vera speranza degli handicappati” (1)

La stessa sentenza della Corte costituzionale, a conferma dell’analisi giuridica dei diritti e dei valori della Costituzione, fa ricorso ad altri valori, desunti dalle scienze sociali, per affermare un principio di straordinaria rilevanza: «Per valutare la condizione giuridica dei portatori di handicap in riferimento all’istituzione scolastica occorre innanzitutto considerare, da un lato, che è ormai superata in sede scientifica la concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall’altro che l’inserimento e l’integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti. La partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.

«Insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica è dunque un essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità».

Le ricerche a questo riguardo sono molto numerose, e a livello internazionale: in primo luogo sono concordi nel rilevare gli effetti negativi dell’emarginazione in scuole o classi speciali, mentre rilevanti risultano i benefici nell’apprendimento e nella socializzazione in ambiti integrati; inoltre, le persone inserite fin dall’infanzia in classi integrate hanno ottenuto da adulti migliori risultati sul piano culturale e lavorativo.

 

I vantaggi per i compagni di classe e per la scuola

 

Un’altra serie di ricerche e di esperienze mettono in rilievo i benefici dell’integrazione scolastica per gli stessi compagni di classe, e in genere anche sul sistema della scuola. L’integrazione, ben condotta, fa bene all’alunno con handicap, ai compagni, a tutta la scuola.

Quando sono educati dagli adulti, i compagni di classe possono imparare a capire, rispettare gli altri, essere sensibili e abituarsi alle differenze; possono anche imparare a interagire, comunicare, instaurare amicizie, lavorare insieme e aiutarsi a vicenda sulla base delle loro potenzialità e dei loro bisogni individuali.

Ma vi è un “effetto circolare” positivo anche a livello di organizzazione della scuola e dei metodi degli insegnanti: come afferma un importante documento del 1975 (Documento “Falcucci”), «un nuovo modo di essere della scuola è la condizione della piena integrazione scolastica», ma l’esperienza migliore ha dimostrato che l’integrazione può essere l’occasione per l’innovazione della scuola stessa a vantaggio di tutti. La scuola può diventare un’opportunità di formazione e di evoluzione della qualità degli apprendimenti stessi, e l’handicap una risorsa per fare scuola.

 

I costi dell’integrazione rispetto a quelli delle strutture speciali: le ricerche internazionali dell’OCSE

 

Fra i risultati della ricerca dell’OCSE, Peter Evans cita un punto di primaria importanza, il più realistico e il più convincente fra tutti i possibili argomenti a favore dell’integrazione scolastica: vale a dire i costi decisamente molto inferiori dell’integrazione rispetto all’educazione separata: «I dati rivelano, là dove si possono stabilire confronti ragionevoli, che l’integrazione è a molto minor costo delle strutture speciali. In Danimarca, le strutture speciali costano sei volte di più della scuola ordinaria, ma la pratica dell’integrazione costa solo quattro volte di più. In Spagna, il costo relativo alle strutture speciali è dieci volte maggiore del costo delle scuole normali, mentre l’integrazione viene a costare più o meno come la scuola normale. In Italia la scolarizzazione nelle strutture speciali viene a costare otto volte di più delle scuole normali, mentre l’integrazione costa solo quattro volte di più».

Di conseguenza suggerisce: «I governi e le altre autorità che esercitano il controllo finanziario devono pertanto esser convinti che i fondi resi disponibili per i servizi segreganti dovrebbero essere investiti in programmi di sviluppo scolastico del genere di quelli che ho appena brevemente delineato. Cioè, lo stesso livello di finanziamento, dovrebbe essere mantenuto, almeno a medio termine, ma bisognerebbe ridefinirne l’uso. Una quota maggiore dovrebbe essere devoluta per la formazione dell’insegnante in servizio, di tipo strutturato nella scuola stessa».

 

INTEGRAZIONE PER CHI?

 

Integrazione per tutti, senza alcuna esclusione

La legge quadro sull’handicap, interpretando correttamente la sentenza della Corte costituzionale, estende il diritto dell’integrazione a tutti i soggetti in situazione di handicap, senza alcuna esclusione: «L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap» (art. 12, comma 4).

E per dissipare ogni dubbio l’art. 43 va ad abrogare i limiti che erano presenti nella legge 118/1971, ove si intendevano esclusi dalle classi integrate i soggetti «affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento».

E a conferma, l’art. 11 della legge quadro (dedicato in specifico a “Interventi a favore di persone con handicap in situazione di gravità”) prevede che le comunità alloggio, i centri socio-riabilitativi, e simili istituzioni, debbono attuarsi «assicurando comunque il diritto alla integrazione sociale e scolastica secondo le modalità stabilite dalla presente legge e nel rispetto delle priorità degli interventi di cui alla Legge 4 maggio 1983, n. 184» (sull’adozione e l’affidamento).

 

“Non dire mai grave”

La stessa legge quadro ci dà una importante lezione, attraverso la terminologia con cui qualifica i soggetti con handicap. Essa non reca traccia dei termini “handicappati”, e tanto meno di “gravi o gravissimi”, termini che stigmatizzano e rinchiudono tali persone in una categoria fissata una volta per tutte, e immodificabile.

La legge usa invece «in situazione di handicap”, “con handicap in situazione di gravità”, in cui si vuole indicare che tale “situazione” non è definitiva, è reversibile, è modificabile, soprattutto in età evolutiva. Questa visione dinamica ed evolutiva anche della “situazione di gravità”, è rivolta a incentivare tutti i possibili interventi riabilitativi, educativi e di integrazione scolastica e sociale, per ottenere il massimo sviluppo possibile, prima di “arrendersi” alla gravità.

 

Le conferme della psicologia e della neuropsichiatria infantile

 

Le ricerche in questi settori confermano il carattere di evolutività dinamica anche delle situazioni di gravità, e insieme il valore dell’integrazione scolastica.

Gli apporti della psicologia si possono sintetizzare in queste affermazioni: «L’handicappato grave è in prima analisi difficile da definire. L’accezione più ricorrente lo classifica come soggetto caratterizzato da gravi compromissioni sul piano dell’autonomia e quindi della relazione. Sin qui tutto sembra chiaro ma vorremmo sottolineare per sfatare subito questa illusoria chiarezza che la definizione di grave può essere data solo al compimento dell’età evolutiva, e cioè soltanto ad una accertata e definitiva mancanza di autonomia».

Così si ricava da un importante documento della Società di neuropsichiatria infantile, sezione di Torino: «L’ambiente scolastico e sociale normale, se attiva i necessari strumenti per l’inserimento ed il lavoro educativo, è in grado di fornire stimoli a quelle capacità comunque presenti anche nei bambini handicappati gravissimi, capacità che non si possono dare come irrimediabilmente compromesse o di esclusiva competenza del servizio sanitario nazionale [...]. Il concetto di irreversibilità inerisce strettamente criteri clinici ed etiopatogenetici; ma, di per sé, non qualifica la educabilità e le capacità adattivo-comportamentali del bambino malato. Pertanto non sono questi i criteri su cui fondare l’esclusione o meno dalla scuola (intesa come servizio educativo per tutti i bambini)».

 

Una “selezione alla rovescia” per circoscrivere il più possibile la situazione di gravità

 

In conseguenza dei punti precedenti, si avanza una proposta, di grande rilevanza sociale: circoscrivere al massimo la situazione di gravità, contro la tendenza a dilatarla, per una continua ricerca volta a limitare il circuito assistenziale o a farne uscire il maggior numero possibile di soggetti, ad attivarne gli sviluppi personali senza preconcetti paralizzanti, e individuare le soluzioni più socializzanti possibili.

Questa operazione di non negare, ma di circoscrivere sempre la situazione di gravità, tramite una specie di “selezione alla rovescia”, punta nel concreto ad iniziative e risorse idonee a tentare nuove strade di attivazione e di sviluppo personale.

 

Fra “deficit” ed “handicap”: non c’è sempre un rapporto diretto

 

È fondamentale la distinzione fra “deficit” ed “handicap”, anche per le sue pratiche conseguenze nelle situazioni di gravità. In una circolare del Provve­ditorato agli Studi di Torino troviamo questa esemplare indicazione: «Anche quando il deficit è molto grave, un vissuto individuale positivo, la ricchezza dei rapporti sociali e la predisposizione di misure adeguate possono ridurre la situazione di handicap in modo significativo, così come, viceversa, un piccolo deficit può dare origine ad una grande handicap se non incontra la ricchezza pedagogica adeguata».

 

Molte ricerche ed esperienze confermano l’integrazione “possibile” anche nelle situazioni di gravità

 

Come non ricordare, per prima, la “Storia di Nicola. Le conquiste di un bambino handicappato grave nel racconto della madre adottiva”, col suo «risveglio, graduale, lento, ma tenace», per cui «è stato come vederlo rinascere»? (2).

Ma molte altre esperienze e ricerche confermano simili integrazioni possibili, e ne indicano alcuni importanti risultati e condizioni: anzitutto una scuola profondamente educativa, e “terapeutica”; un lavoro intenso sulla “comunicazione”, nella classe, alla scoperta dei vari tipi e livelli di “linguaggi”, anche non tradizionali; conoscenza dell’handicap da parte dei bambini, per trasformare, come avverte Canevaro, «il deficit da elemento oscuro di cui non bisogna parlare, a occasione di indagine e di apprendimento per elevare la qualità della scuola e degli apprendimenti». È possibile cambiare la qualità della vita, se i soggetti sono trattati con dignità, portati a godere del massimo equilibrio, ad essere sereni, per poter essere anche felici.

 

Ultimo segreto: “incontrare il bambino, al di là del suo handicap”

 

Come afferma, con grande intuizione, C. Brutti: «L’handicappato è un bambino. L’incontro con il bambino ci ha fatto capire che egli ci interpella, in primo luogo come bambino totale. Ci suggerisce, cioè, che al di là del suo handicap egli esiste come bambino, con i bisogni e i desideri di ogni bambino, con gli stessi diritti e le stesse aspettative. La stortura del nostro approccio al bambino handicappato ci deriva, primariamente, dal misconoscimento di questa fondamentale realtà».

 

L’INTEGRAZIONE COME? “UNA SCUOLA PER TUTTI E PER CIASCUNO”

 

Una volta individuate le ragioni profonde dell’integrazione scolastica, e chiarita la sua estensione a tutti i soggetti in situazione di handicap, senza esclusione, il punto più delicato rimane la pratica attuazione dei diritti acquisiti in progetti efficaci.

Vi è in proposito una lunga serie di norme che si sono andate evolvendo, anche grazie – bisogna riconoscerlo – alla citata sentenza della Corte costituzionale, e nonostante alcuni tentativi di arresto e di riflusso. Si sono così conquistate la tutela progressiva di diritti certi, e insieme la “traccia” di una pedagogia della “qualità della scuola e dell’integrazione”.

È vero, come afferma Andrea Canevaro, che «le leggi non possono essere considerate strumenti miracolistici e non possono trasformare la realtà per il solo fatto di esserci». Con ciò si vuole indicare la fatica di tradurre nella realtà i principi, e la distanza che li separa, e insieme l’impegno dello sforzo progressivo.

Ma le norme sono la garanzia dei diritti: quando alcune di esse scompaiono, come nella recente Finanziaria 1997, non vi è più tutela possibile, anche se si tratta di strumenti che hanno garantito finora, in modo essenziale, un’integrazione scolastica efficace.

In questo momento delicato di transizione, si può accennare ai principali interventi doverosi da parte delle istituzioni, per assicurare al meglio l’integrazione, richiedendo il ripristino delle norme soppresse.

In secondo luogo si possono indicare alcuni fondamenti della “qualità della scuola e dell’integrazione”, altrettanto, e forse più importanti.

 

I doveri delle istituzioni

Com’è noto, numerose norme impongono come obbligatori precisi interventi, in merito all’integrazione scolastica, alla Scuola, agli Enti locali, ai Servizi sanitari, ciascuno nel proprio settore di competenza specifica, ed anche – a conferma di un compito particolarmente delicato – in coordinamento fra loro, tramite Intese o “Accordi di programma”, anch’essi regolati da norme precise.

Si può scegliere, come punto nodale, particolarmente delicato, il settore degli alunni con handicap in situazione di gravità. La mancanza di impegni precisi e continuativi da parte delle istituzioni, nei confronti di questi soggetti, comporta conseguenze gravi, e anche drammatiche, come l’esclusione, l’emarginazione e l’istituzionalizzazione, spesso a vita.

Eppure alcune norme al riguardo sono di alto valore, come quella che tutela tali alunni prescrivendo «priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici» (essa si ritrova ribadita nella legge 104/92 agli artt. 3 e 42; e nel decreto 9/7/1992).

Le istituzioni, come “servizi pubblici”, hanno precisi interventi da attuare: gli Enti locali, in modo specifico, sono tenuti a fornire «l’assistenza educativa per l’autonomia e la comunicazione personale», e i Servizi sanitari interventi diagnostici, e soprattutto di cura e di riabilitazione, di particolare intensità.

La Scuola, a sua volta, forniva insegnanti di sostegno anche “in deroga” alle assegnazioni comuni, fino al rapporto di “1 a 1” fra alunno e insegnante, e inoltre era autorizzata a formare sezioni e classi a numero ridotto di alunni. Ora con la Finanziaria 1998 sono state soppresse le norme sulle classi ridotte, e sono state “compromesse” le importanti “deroghe” di assegnazione del sostegno, perché si indica una non chiarita possibilità di assumere con contratto “a tempo determinato” insegnanti di sostegno in deroga, in presenza di handicap particolarmente gravi.

Il ripristino certo delle norme che regolavano questi due aspetti dell’integrazione è un dovere impellente, da indicare con urgenza al Governo e al Parlamento.

 

La qualità della scuola, e dell’integrazione

Si è già citato, da un documento fondamentale dell’integrazione scolastica (Documento “Falcucci”, 1975), il suo titolo-programma, ancora attuale e impegnativo: “Un nuovo modo di essere della scuola, condizione della piena integrazione scolastica”.

Ma lo stesso testo elenca e sviluppa diversi elementi concreti di tale auspicata innovazione della scuola: nuove attività “integrative”; nuovo concetto di intelligenza, non solo logico-astratta, ma anche senso-motoria e pratica; e quindi un nuovo concetto di “apprendimento” tramite nuovi “linguaggi”; e ancora, una nuova organizzazione di classe e di scuola: a vantaggio, d’altronde, per tutti gli alunni, handicappati o no.

Altri strumenti operativi, di qualità, sono stati acquisiti nella normativa successiva: in particolare, il funzionamento di “gruppi di lavoro” all’interno della scuola: per la programmazione complessiva dell’integrazione, e per ciascun alunno in situazione di handicap (al fine di predisporre e verificare il “piano educativo individualizzato”), col concorso anche dei Servizi sociali, degli Enti locali, delle famiglie e degli studenti.

Gli insegnanti sono certamente il fulcro della qualità della scuola e dell’integrazione, sia gli insegnanti specializzati, qualificati come “contitolari” a tutti gli effetti sulla classe, sia gli insegnanti “curricolari”, la cui collaborazione (definita come “dovere deontologico”) è preziosa e indispensabile. È così diffusa l’esigenza di impostare una seria politica di formazione del personale della scuola, dai dirigenti scolastici ai docenti curricolari e di sostegno.

Se si pensa che sono 60.000 gli insegnanti specializzati, che provengono da formazioni non omogenee, occorre un ripensamento radicale della loro preparazione. Se si pensa che oltre il 30% delle classi accoglie un allievo con handicap, e ogni insegnante avrà occasione di incontrare, nella sua carriera, un allievo con bisogni speciali, è necessario che anche gli insegnanti “curricolari” abbiano una preparazione di base e un aggiornamento in servizio adeguati.

Ma a questo riguardo vi è un’esigenza più profonda: gli insegnanti devono essere aiutati, anche con provvedimenti concreti, a ritrovare il senso del proprio lavoro a scuola, in un momento in cui esso sembra smarrito, a ricuperare il loro alto ruolo sociale, di formazione della personalità di tutti gli alunni, handicappati o no.

Altri elementi essenziali della qualità dell’integrazione si ritrovano anche nelle finalità e in alcune modalità organizzative indicate nelle stesse norme della legge quadro sull’handicap.

I fini da perseguire nell’integrazione sono indicati con tale precisione e ampiezza da facilitare, e approfondire, l’integrazione di tutti gli alunni con handicap, ancora una volta, senza esclusione di alcuno. Infatti l’articolo 12, comma 3 (secondo le indicazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale) propone questo largo spettro di possibilità: «lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione».

Fra le modalità indicate dalla stessa legge, risultano essenziali l’organizzazione dell’attività educativa e didattica «secondo il criterio della flessibilità nell’articolazione delle sezioni e delle classi, anche aperte», e insieme, una intensa programmazione individualizzata, con attenzione specifica ai bisogni e alle potenzialità di ciascun alunno.

Ancora più in concreto, questo significa, nell’individualizzazione, scegliere, adattare, facilitare, avvicinare alle possibilità del singolo alunno in difficoltà, obiettivi personalizzati, ma conformi agli obiettivi generali della classe.

In casi di particolare necessità, è stata indicata la possibilità, e l’efficacia, di far partecipare, comunque, l’alunno alle attività di classe, assicurando almeno che egli partecipi alla “cultura” dei compiti e delle attività, all’atmosfera dei singoli apprendimenti, quando non è possibile la sua adesione totale agli obiettivi e ai compiti più generali e complessi.

Non meno importante è l’impegno di curare i rapporti sociali all’interno della classe, attraverso quella che è stata definita “l’educazione fra i pari”, che si traduce nella solidarietà, nell’aiuto, nel sostegno reciproco, e nella formazione comune.

Una scuola, così impegnata nell’integrazione, è anche attenta a “tutte le differenze” e ai «processi personalizzati: una scuola per tutti e per ciascuno».

 

 

 

(1) Giuseppe Vico (Università Cattolica di Milano), Han­di­cappati, La Scuola, Brescia, 1984, pag. 84.

(2) Giulia Basano, Storia di Nicola..., Rosenberg & Sellier, Torino, 1987, 1989, 1991.

 

 

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