Prospettive assistenziali, n. 121, gennaio-marzo 1998

 

 

ISTITUTI DA SUPERARE, ANCHE PER GLI HANDICAPPATI INTELLETTIVI GRAVI

 

Il 31 gennaio 1998 ha avuto luogo a Trento un vivace incontro sul tema: “Aprire o chiudere gli istituti?”, promosso dalla Cooperativa di solidarietà sociale “La Rete”, che ha sentito l’esigenza di aprire un confronto sulla scelta discutibile (secondo quanto espresso in una lettera aperta del suo presidente Dario Janes) di ristrutturare e ampliare “Casa Serena”, una struttura gestita dall’ANFFAS, che ospita circa 40 ragazzi handicappati intellettivi.

Sul quotidiano “Alto Adige” del 13 settembre 1997 si legge infatti: «La Giunta provinciale di Trento, nell’ambito del piano per la ristrutturazione del patrimonio sanitario pubblico e per la realizzazione di residenze per anziani e per soggetti non autosufficienti, ha stanziato la somma di 12 miliardi e 825 milioni che consentiranno la costruzione di un nuovo edificio e il miglioramento di quello esistente».

Dario Janes lancia una proposta all’ANFFAS: «Prenda i 13 miliardi e con quelli si impegni con la Provincia a chiudere completamente Casa Serena entro la fine del 2000» (...). «Non è un sogno, perche l’ANFFAS è oggi in grado di lanciare (e vincere) questa sfida alla città intera», continua Janes nell’articolo “L’istituto, un approccio datato” apparso sul n. 8, ottobre 1997, della rivista “La Rete”, e ritiene fattibile superare “Casa Serena”, costruendo al suo posto un sistema di risposte alternative, quali le comunità alloggio e le case-famiglia, più rispondenti ai bisogni dei soggetti handicappati intellettivi.

Non mancano peraltro esperienze positive di co­mu­nità alloggio nella realtà del Trentino, alcune ge­sti­te dall’ANFFAS stessa. Nel corso del dibattito del 31 gennaio numerose sono le testimonianze di educatori, che ne ricordano i vantaggi rispetto all’istituto.

Le comunità sono inserite in normali condomini o piccole case, a contatto continuo con la gente e nel vivo della vita locale; il fatto stesso di vivere in non più di 8-10 persone favorisce la nascita di relazioni personali, un clima familiare; la conduzione stessa della comunità più simile a quella di una normale vita di famiglia, anche per quanto riguarda l’organizzazione della casa, dei pasti, della vita insieme.

Tutto questo non è possibile in istituto, dove le regole prevalgono necessariamente sui bisogni degli utenti. È l’organizzazione stessa di una grande struttura (e in zona ve ne sono ben tre), che impone eccessiva rigidità negli orari, nell’utilizzo degli spazi, nei rapporti personali. Tutti elementi che pesano negativamente sulla qualità della vita degli assistiti.

 

La paura del cambiamento

La prima reazione alla proposta di chiusura di “Casa Serena” è stata decisamente negativa, sia da parte dell’ANFFAS che delle famiglie che hanno i figli ivi ricoverati. Le famiglie hanno paura: temono un’improvvisa chiusura (che mai nessuno ha chiesto, senza che vi sia un’alternativa già predisposta), ma, soprattutto, rivendicano una loro esclusiva competenza nel valutare “il meglio” per i loro figli.

Anche l’ANFFAS, a nome del suo presidente Enrico Pancheri, sostiene che “solo” Casa Serena è in grado di assicurare gli interventi specialistici di cui necessitano tutti gli ospiti a causa della loro gravità.

Nella lettera del 18 dicembre 1997, inviata a Francesco Santanera del CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, così scrive: «Sono ragazzi che, per certi versi, hanno bisogno di ossigenoterapia, alimentazione enterale e terapie antiepilettiche e per altri versi devono essere contenuti per gravi comportamenti sia auto che etero aggressivi. Il parere degli esperti è che per un’utenza di questo tipo un centro attrezzato per le gravi situazioni che deve affrontare, sia più adeguato delle comunità alloggio».

Sicuramente nessuno vuole giudicare le famiglie che hanno scelto di ricoverare i propri figli a “Casa Serena” o negli altri istituti della zona; tuttavia i promotori dell’incontro sostengono di avere il diritto di sollevare il problema sia in merito all’opportunità di considerare “Casa Serena” l’unica soluzione giusta e, soprattutto, sul fatto che i 40 ospiti siano tutti gravemente malati come indicato nella lettera sopra citata.

Se da un lato può essere comprensibile l’angoscia delle famiglie, che dopo anni di lunghe attese hanno trovato finalmente in “Casa Serena” un luogo affidabile; d’altro canto è inutile negare che non si può chiedere alla società di integrare gli handicappati, e poi accettare che vi siano istituti come “Casa Serena” dove funziona ancora una sezione di scuola elementare speciale.

Parimenti, non ha senso prevedere che nello stesso istituto siano svolte attività di tempo libero (ippoterapia, attività psicomotoria, animazione musicale, ecc.), che gli handicappati intellettivi potrebbero svolgere nei luoghi di tutti, a contatto e insieme agli altri.

È vera allora l’impressione di quel genitore, che in un intervento scritto, distribuito ai partecipanti, riflette sul perché nelle valli non ci siano comunità alloggio sufficienti. Si chiede se ciò non sia dovuto alla deresponsabilizzazione degli enti locali, che, piuttosto di costruire tante piccole realtà distribuite sul territorio, trovano più facile appoggiarsi a un istituto.

«Finché ci sarà un “posto per gravi” – sostiene quel genitore – ci saranno sempre ragazzi che saranno ritenuti tanto in difficoltà da non poter sperimentare altre soluzioni oltre a quella del grande istituto. Eppure se i nostri ragazzi potessero stare nella loro zona d’origine, probabilmente ci sarebbe un maggior coinvolgimento della loro comunità».

 

Costruire l’alternativa: un sogno che è già realtà

Don Vinicio Albanesi, presidente del CNCA - Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, sollecita i presenti a non guardare indietro, a non temere di sognare qualcosa di meglio per il futuro. Ma mette anche rigorosamente all’erta dal rischio onnipresente di separare ed emarginare chi ha maggiori difficoltà, con il pretesto di “proteggere”. E avverte che se si comincia a escludere, a definire chi ha diritto a stare dentro o fuori dalla società civile, nessuno di noi può essere garantito dal non rientrare, un domani, tra gli esclusi.

Si è fatta molta strada per superare gli istituti: non si parla più di ricovero in istituto di bambini ed anche gli handicappati fisici sono usciti. Si può costruire qualcosa di meglio di un istituto anche per gli handicappati intellettivi.

Maria Grazia Breda, del CSA - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino, accetta la sfida lanciata dal Presidente dell’ANFFAS in merito alle esigenze di chi ha, oltre alle difficoltà determinate dall’handicap intellettivo e dalla limitazione dell’autonomia, anche problemi seri dal punto di vista sanitario.

Ripercorre con i presenti la lunga battaglia condotta dalle associazioni aderenti al CSA per ottenere la costruzione di tre piccole comunità alloggio sanitarie, proprio per rispondere alle esigenze di persone, che presentano patologie sanitarie prevalenti tali da richiedere interventi continui e costanti di cura.

Non manca di sottolineare come tali soggetti, per fortuna, non siano così numerosi. Infatti, in tutta la città di Torino e provincia, non sono stati individuati più di 16 soggetti, di cui solo otto con condizioni sanitarie e di non autosufficienza veramente gravi. Non è dunque pensabile e facilmente realizzabile una trasformazione graduale di Casa Serena, sostituendola con comunità alloggio, anche sanitarie, per i casi che effettivamente manifestano tali bisogni?

Viene spontaneo citare il bellissimo esempio della Norvegia che nel 1991 ha deciso la chiusura di tutti gli istituti per handicappati, dando il via ad un programma per la realizzazione di interventi alternativi: aiuti alle famiglie, servizi a domicilio, centri diurni, piccoli appartamenti, comunità alloggio.

È la dimostrazione concreta che gli istituti si possono (e si devono) chiudere.

A questo punto è interessante conoscere anche l’opinione delle famiglie che hanno ancora i figli in casa. Quali sono le loro richieste a questo proposito?

«Quando ho letto sul giornale la lettera di Dario Janes, che chiedeva la chiusura di Casa Serena e l’apertura di comunità alloggio – racconta emozionata Mariolina Damonte, una mamma – ho pensato per la prima volta, che forse si apriva qualche spiraglio per mia figlia. Mi piacerebbe immaginarla in un gruppo famiglia, mentre continua a frequentare il centro diurno e quelle attività di tempo libero che oggi la coinvolgono così tanto e che le permettono di vivere con la gente. Mi dispiacerebbe molto invece vederla privata, da un giorno all’altro, di tutte le sue sicurezze: la casa, il centro diurno, la città, le persone che gravitano intorno nella sua giornata. Nel tempo abbiamo sempre dovuto pretendere e difendere soluzioni migliori di quelle che ci venivano offerte. Il proposito che vorrei fosse formulato oggi è quello di un impegno di studio per realizzare forme anche diverse di accoglienza dei nostri figli in piccoli gruppi, perché continuino ad avvalersi delle risposte già esistenti in città e di altre nuove da inventare».

L’appello viene accolto: il tavolo di confronto tra Provincia, ANFFAS, le famiglie aderenti alla Cooperativa “La Rete” e gli istituti della zona, viene accettato da tutti.

Si tratta ora di cominciare un percorso non semplice, ma sicuramente rivolto al vero interesse degli handicappati intellettivi che porti alla chiusura definitiva di tutti gli istituti.

 

 

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