Prospettive assistenziali, n. 121, gennaio-marzo 1998

 

 

ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: UN DOCUMENTO IMPORTANTE ED UNO SPIRAGLIO CON LA CGIL

 

1. La riforma del Welfare: riconoscere lo status di malato all’anziano cronico non autosufficiente

 

La medicina moderna, in particolare la geriatria, non interviene solo per curare le malattie guaribili, ma sempre più nei confronti delle patologie croniche a elevato rischio invalidante. Anzi, si può affermare che uno dei ruoli futuri della medicina sarà quello di garantire cure adeguate alle persone colpite da malattie croniche, comprese quelle che, per la loro gravità, possono provocare una situazione di dipendenza da altri per le necessità fondamentali della vita: mangiare, bere, spostarsi, ecc.

Si deve tendere ad assicurare un nuovo equilibrio psico-fisico che, pur permanendo la patologia, consenta al soggetto la massima autonomia possibile e la migliore qualità di vita.

La cura va rivolta all’intero soggetto e non solo alla parte del corpo malata, e – ovviamente – comprende tutte le prestazioni rivolte alla riduzione la più ampia possibile del dolore.

L’intervento dell’apparato sanitario si estende spesso ai familiari, la cui collaborazione è generalmente indispensabile anche ai fini strettamente terapeutici.

Le persone colpite da malattie croniche possono presentare situazioni acute anche molto gravi che richiedono interventi medici e infermieristici di rilevante intensità. Se essere cronici e non autosufficienti non può che essere una malattia, sotto il profilo scientifico non si possono operare distinzioni standardizzate fra malati acuti e cronici. Una suddivisione è fattibile solo su una base di “cut-off” basati sui giorni di degenza o altro criterio sostanzialmente arbitrario. A meno che, senza dirlo naturalmente, non si voglia favorire una sorta di eutanasia da abbandono.

Si concorda pienamente con quanto previsto dal DPR 1° marzo 1994 “Approvazione del piano sanitario nazionale per il triennio 1994-96”: «Gli anziani ammalati, compresi quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza, devono essere curati senza limiti di durata nelle sedi più opportune, ricordando che la valorizzazione del domicilio come luogo primario delle cure costituisce non solo una scelta umanamente significativa, ma soprattutto una modalità terapeutica spesso irrinunciabile».

Le RSA, residenze sanitarie assistenziali, devono far parte delle strutture gestite dal Servizio Sanitario nazionale o con esso convenzionate. Devono essere gestite sotto la responsabilità di un medico, preferibilmente geriatra, ed avere un personale sanitario adeguato alle esigenze dei malati cronici ivi ricoverati. Il trasferimento delle competenze dalla sanità all’assistenza sociale significherebbe non riconoscere agli anziani malati cronici lo status di malati da curare, ed avallerebbe una inaccettabile equazione inguaribile/incurabile da custodire.

Il documento, datato 30 gennaio 1998, è stato sottoscritto da: Francesco M. Antonini, già Professore ordinario di geriatria, Università di Firenze; Roberto Balestreri, Professore Ordinario di Geriatria, Università di Genova; Alessandro Beretta Anguissola, Presidente Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma; Massimo Dogliotti, Professore Ordinario di Diritto, Università di Genova, Magistrato di Cassazione; Fabrizio Fabris, Professore Ordinario di Geriatria, Università di Torino; Bruno Finzi, Geriatra, Presidente Emerito della S.I.M.O.G., Società Italiana Medici e Operatori geriatrici; Giulio Fornero, Direttore Sanitario A.S.L. 4, Regione Piemonte; Luigi G. Grezzana, primario di geriatria, Verona; Adriano Guala, primario di geriatria, Biella; Carlo Hanau, docente di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sanitari, Università di Bologna; Paola Lupano, Presidente collegio Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici di Infanzia di Torino; Carmine Macchione, Professore Associato di Geriatria, Università di Torino, sede di Orbassano; Argiuna Mazzotti, geriatra, già Assessore alla Sanità del Comune di Roma nelle giunte Argan e Petroselli; Massimo Mengani, Ricercatore presso Dipartimento Ricerche gerontologiche dell’I.N.R.C.A:, Ancona; Giovanni Nervo, Monsignore, già Presidente Fondazione Emanuela Zancan; Vito Noto, Geriatra, Presidente Associazione Italiana per lo Studio e la Promozione delle Cure Sanitarie a Domicilio; Massimo Palleschi, Presidente S.I.G.O., Società Italiana Geriatri Ospedalieri; Giuseppe Pasini, Sacerdote, Presidente Fondazione Emanuela Zancan; P. Giacomo Perico, Comitato di Redazione “Aggiornamenti Sociali”, Centro Studi Sociali, Milano; Luigi Pernigotti, Primario di Geriatria, Verbania; Pietro Rescigno, Professore Ordinario di Diritto Civile, Università La Sapienza, Roma; Giuseppe Rizzo, Segretario Generale E.I.S.S., Ente Italiano Servizi Sociali; Francesco Santanera, Comitato per la difesa dei Diritti degli Assistititi, Torino; Umberto Senin, Professore Ordinario di Geriatria, Unversità di Perugia; Mario Trabucchi, Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia; Carlo Valenzano, Dirigente medico 2° livello F.F., Medicina Generale E, DEA Osservazione, Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista, Torino.

 

2. Si avvicinano le posizioni della CGIL e del CSA?

 

Sono positivamente proseguiti i rapporti fra CGIL e CSA. Al riguardo, riportiamo integralmente la lettera inviata al CSA dal Segretario generale della CGIL, Sergio Cofferati, in data 3 febbraio 1998 e la risposta del CSA spedita il 16 dello stesso mese.

 

Lettera del Segretario generale della CGIL

Come è evidente dal carteggio che lei ha allegato alla sua lettera del 22 dicembre, la CGIL ha già incontrato i rappresentanti del CSA ed ha sempre risposto alle lettere inviate: questo a riprova dell’attenzione che abbiamo alle sollecitazioni che ci vengono dalle organizzazioni di rappresentanza sociale.

Betty Leone e Gloria Malaspina vi hanno illustrato la strategia della nostra organizzazione rispetto al problema della non autosufficienza; io potrei solo ripetervi le stesse cose.

Colgo l’occasione comunque per ribadirvi che noi non abbiamo firmato accordi con il Governo per garantire le cure sanitarie agli anziani malati cronici, dal momento che il nostro SSN garantisce già questo diritto a tutti i cittadini/e indipendentemente dall’età. Abbiamo invece firmato un accordo che impegna il Governo alla costituzione di un fondo per gli anziani non autosufficienti per reperire risorse aggiuntive che garantiscano a questi anche le cure non sanitarie di cui sono bisognosi (accordo sulla riforma del welfare novembre 1997).

Per quanto riguarda invece il problema delle dimissioni precoci degli anziani malati dagli ospedali e la questione dell’organizzazione e del finanziamento delle RSA (residenze sanitarie assistite), ce ne stiamo occupando sia a livello nazionale (revisione DRG) sia a livello regionale.

Spero di essere stato esauriente e di aver eliminato gli equivoci che rimangono tra noi per motivi che non mi sono chiari.

 

Lettera del CSA

La ringrazio della Sua lettera del 3 u.s. e sono molto lieto della sua affermazione: «Noi non abbiamo firmato accordi con il Governo per garantire le cure sanitarie agli anziani malati cronici, dal momento che il SSN garantisce già questo diritto a tutti i cittadini/e indipendentemente dall’età», affermazione che apre la speranza ad una positiva soluzione di una drammatica situazione che riguarda centinaia di migliaia di persone anziane malate ed i loro congiunti.

Il problema, che ci assilla da molti anni, deriva dal fatto che questo diritto non viene attuato in nessuna parte del nostro paese. Infatti, rilevata la condizione di cronicità (spesso nonostante la presenza di fatti acuti) il SSN dimette l’anziano inguaribile (ma sempre curabile) e non autosufficiente e lo trasferisce alla competenza del settore dell’assistenza sociale.

Ne deriva che, se per un adulto gravemente malato di cancro e non autosufficiente, la competenza rimane sempre del SSN, gli anziani aventi l’identica patologia, e con la stessa gravità, sono trasferiti al settore dell’assistenza sociale, con un supporto spesso assolutamente inadeguato per quanto concerne le cure sanitarie.

Ne consegue, altresì, che l’adulto malato cronico e non autosufficiente riceve gratuitamente le prestazioni sanitarie, mentre l’anziano nelle medesime condizioni deve sborsare fino a 80 mila lire al giorno. E, se non ne ha i mezzi, i Comuni obbligano i parenti a versare la differenza (a volte anche più di un milione al mese!), nonostante che le leggi vigenti non lo consentano.

Come risulta dall’articolo allegato “Facciamo il punto sui contributi economici indebitamente richiesti dagli enti pubblici ai parenti degli assistiti maggiorenni”, avviene altresì che i Comuni (nel caso in esame quelli di Reggio Emilia e di Udine) compiano atti intimidatori e ricorrano a deplorevoli ricatti.

Questo Comitato si è rivolto e si rivolge a Lei quale rappresentante del più importante sindacato (abbiamo scritto ma senza successo ai Segretari Generali D’Antoni e Larizza) in quanto finora mai CGIL, CISL e UIL (o uno di essi) ha contestato l’operato illegale e disumano del SSN, delle Regioni e dei Comuni in materia della competenza sanitaria per gli anziani cronici non autosufficienti; Anzi tutti gli accordi che conosciamo, sottoscritti dai Sindacati, in particolare dai Pensionati, non tengono in alcuna considerazione le Sue affermazioni prima riportate, da questo Comitato pienamente condivise.

La nostra opposizione alla costituzione di un fondo «per gli anziani non autosufficienti» (che sono, salvo rarissime eccezioni vecchi malati cronici) deriva dalla situazione sopra descritta, situazione che non dovrebbe essere consolidata fornendo contributi economici non al settore sanitario, ma a quello assistenziale, attualmente gravato da oneri non previsti da alcuna legge.

D’altro canto, non si comprende per quale motivo il «fondo per gli anziani non autosufficienti» debba essere istituito, come Lei scrive «per reperire risorse aggiuntive che garantiscano a questi anche le cure non sanitarie di cui sono bisognosi», quando CGIL, CISL e UIL non ritengono (com’è giusto) che fondi aggiuntivi non sanitari debbano essere previsti per i bambini, i giovani e gli adulti malati non autosufficienti. Inoltre è evidente la difficoltà di distinguere fra malati non autosufficienti e autosufficienti.

Questo Comitato, invece, non si opporrebbe all’approvazione di una legge che prevedesse il pagamento di una quota a carico della pensione del malato nel caso di degenza superiore ai 30-60 giorni.

Quasi tutte le Regioni hanno stabilito che le RSA non fanno parte del settore sanitario, ma di quello dell’assistenza sociale, contrariamente a quanto previsto dalla legge 67/1988, dal decreto del Ministro della sanità del 13 agosto 1989 n. 321, dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989, dal Progetto obiettivo “Tutela della salute degli anziani” approvato dal Parlamento il 30 gennaio 1992, dal decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 1994 “Approvazione del piano sanitario nazionale per il triennio 1994-1996”.

Anche in questo caso c’è stato, purtroppo, pieno accordo dei Sindacati CGIL, CISL e UIL.

Questo Comitato è dunque ben lieto, come Lei scrive, che «il problema delle dimissioni precoci degli anziani malati dagli ospedali e la questione dell’organizzazione e del finanziamento delle RSA» sia esaminato dalla CGIL a livello nazionale e regionale e spera che detta analisi venga compiuta fondandola sulla Sua affermazione riportata all’inizio di questa lettera.

In tal modo, ne sono certo, verrà rispettato il diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non autosufficienti sulla cui situazione – mi permetto di ricordarlo nuovamente – sono intervenuti S.E. il Cardinale Carlo Maria Martini e alcuni eminenti operatori del settore con i documenti che unisco.

Le confermo la richiesta di un incontro con la S.V., al fine di esporre più dettagliatamente la situazione e di ricercare le opportune intese.

 

 

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