Prospettive assistenziali, n. 120, ottobre-dicembre 1997

 

 

IL CONSENSO INFORMATO: UN DIRITTO DEL MALATO

PAOLO COZZI LEPRI - BIANCA CORAZZIARI (`)

 

 

II problema del consenso informato in materia di sanità è stato, oggetto di numerosi dibattiti e pubbli­cazioni di eminenti clinici, medici legali e giuristi che hanno evidenziato la complessità e molteplicità degli aspetti e dei modelli che possono verificarsi nella prassi del rapporto medico-paziente o, anche, operatore sanitario-paziente.

 

II modello "paternalistica"

 

AI fine di introdurre questa problematica ci sembra comunque utile riassumere brevemente i principali problemi che si pongono a partire da un'ottica tesa a salvaguardare i diritti del paziente. Tutti gli autori infatti concordano su un punto: da sempre è preval­so e continua a prevalere un modello di rapporto di tipo "paternalistico" che ha trovato giustificazione nelle seguenti argomentazioni:

1) il medico ha conoscenze tecniche superiori a quelle del malato;

2) il malato viene normalmente considerato come "incapace" di dare un pieno e libero consenso per­ché condizionato da fattori psicologici, culturali, ambientali e familiari;

3) il malato può comprendere la decisione del medico solo dopo che avrà sperimentato l'efficacia della cura. A partire invece dai diritti del malato il modello paternalistico è sicuramente da superare poiché consente al sanitario una discrezionalità e un potere eccessivo in un rapporto tra due individui aventi uguali diritti ed uguali dignità. Inoltre, negare al malato autorità e responsabilità adottando il modello paternalistico significa negare di fatto la libertà di comprendere la precisa natura del proble­ma e di conoscere le possibili alternative terapeuti­che. La conseguenza di questo errato atteggiamen­to è che il paziente, la maggior parte delle volte, non essendo correttamente informato, non è poi in grado di fare scelte personali adeguate e corrette anche sulla base dei suoi valori, della sua cultura e degli altri elementi che sono in gioco quali problemi fami­liari, economici, ecc.

 

Il modello "partecipazione reciproca"

 

Per superare l'attuale situazione di sudditanza del malato rispetto agli operatori sanitari sarebbe inve­ce auspicabile che questi ultimi applicassero il modello della "partecipazione reciproca" sulla base di una effettiva parità di potere. Questo modello parte dal presupposto che i due soggetti siano reci­procamente interdipendenti, essendo impegnati in un'attività che vede entrambi come soggetti attivi. Da un punto di vista etico giuridico, infatti, il malato deve poter conservare pienamente la sua autono­mia di giudizio tranne nei casi, previsti dalla legge, nei quali si trovi in condizione momentanea o per­manente di incapacità di intendere e di volere. Nel caso di malattie croniche invalidanti, che non inficia­no le capacità intellettive, abbiamo un esempio di "partecipazione reciproca" quando il malato, indiriz­zato dal medico accetta o compie quegli atti tera­peutici che gli permettono di recuperare o mantene­re il suo stato di salute e di autosufficienza evitando ulteriori peggioramenti o aggravamenti.

Nel caso invece del malato non in grado di inten­dere o di volere il consenso si applica nei confronti del suo rappresentante legale (tutore). Da segnala­re che, in caso di conflitti o contestazioni concer­nenti malati totalmente non in grado di intendere e di volere, è consigliabile, proprio ai fini di una miglio­re tutela dei diritti del malato, che i parenti o chi si fa carico del caso, intraprendano l'istanza per l'interdi­zione del malato. Infatti in questi casi nemmeno i parenti hanno una reale responsabilità legale nei confronti dei loro congiunti, né, in realtà possono agire giuridicamente sostituendosi al malato.

 

Gli elementi del consenso

 

II principio etico-giuridico del consenso informato fu enunciato per la prima volta nel 1914 dal giudice americano Benjamin N. Cardoso con le seguenti parole: «Ogni essere umano, adulto e sano di mente, ha il diritto di stabilire ciò che sarà fatto sul suo corpo; un chirurgo che effettui una operazione senza il consenso del suo paziente commette una aggressione per la quale è incriminabile per danni. Ciò è vero tranne nei casi di emergenza, quando il paziente è privo di conoscenza e quando è neces­sario operare prima che il consenso sia ottenuto».

II principio della necessità del consenso, enuncia­to per la chirurgia, fu poi esteso a tutti gli interventi diagnostici e terapeutici ed anche alle sperimenta­zioni sul malato. lì consenso poi non è dato una volta per tutte ma permane durante tutte le fasi della malattia. Gli elementi del consenso sono:

1) la volontarietà del consenso;

2) le modalità dell'informazione;

3) la comprensione dell'informazione da parte del malato;

4) la capacità di consentire;

5) l'attestazione per iscritto dell'avvenuto con senso.

Ognuno di questi elementi descritti rappresenta una condizione necessaria e indispensabile per la validità dello stesso consenso.

Le informazioni che devono essere fornite al paziente sono le seguenti:

1) descrizione dei procedimenti diagnostici, tera­peutici o strumentali proposti;

2) descrizione delle possibili alternative al tratta­mento proposto e loro vantaggi e svantaggi;

3) tutte le altre informazioni eventualmente richie­ste dal malato che possono sembrargli utili a pren­dere le sue decisioni.

 

Principali applicazioni

 

Gli ambiti nei quali il consenso informato trova la sua più importante applicazione, in base alla nostra esperienza di Associazione per la tutela dei diritti dei malati sono:

1) ricerche cliniche o interventi diagnostico tera­peutici accompagnati da rischio (interventi chirurgi­ci, elettroshock, ecc.);

2) sperimentazione farmacologica;

3) valutazione multidisciplinare e valutazione geriatrica con indicazione dei provvedimenti tera­peutici ed indicazione del servizio rispondente alle necessità del paziente.

Nel caso che, invece, vengano applicati mezzi terapeutici e diagnostici praticamente esenti da peri­coli e sufficientemente noti, il consenso viene consi­derato come incluso nella stessa richiesta di presta­zione d'opera da parte del paziente all'operatore sanitario. II consenso non è richiesto nei casi di trat­tamento sanitario obbligatorio che si applica, in par­ticolare, nell'ambito delle malattie psichiatriche.

Alcuni sostengono che spingere troppo sui diritti del malato crea un turbamento ai rapporti tra medi­co e malato. Se questo avviene, è dovuto al fatto che troppo numerosi sono gli abusi dei medici in rapporto al preciso dovere di informare il paziente.

L'esperienza quotidiana infatti ci mostra come siano diffusi e persistenti i casi .di consenso omesso o insufficiente oltre a quelli di negazione dei più ele­mentari diritti alla cura.

Per esempio, i casi più comuni, secondo la nostra esperienza, risultano essere:

1) mancate o carenti informazioni sulla natura della patologia, delle alternative terapeutiche e dei rischi connessi alla terapia;

2) mancata o carente possibilità di visionare la cartella clinica;

3) sperimentazione farmacologica priva dei necessari requisiti o, addirittura, senza che il pazien­te ne venga messo a conoscenza (in casi particola­ri quali malati di AIDS o terminali);

4) utilizzo di un linguaggio tecnico incomprensibi­le al malato;

5) valutazioni geriatriche effettuate senza la dovu­ta informazione e le corrette procedure.

 

Alcune specificazioni sul consenso informato

 

Per consenso informato si intende l'autorizzazione data dal paziente all'operatore medico per l'esecu­zione di un determinato trattamento sanitario, di cui ha avuto esaurienti spiegazioni, in modo da permet­tergli una scelta cosciente e consapevole.

II modulo di consenso informato è il documento, redatto in carta semplice, contenente gli elementi necessari per il consenso, sottoscritto dal diretto interessato o dal suo rappresentante legale e dall'o­peratore che ha somministrato il modulo. II suo valo­re è solo probatorio delle informazioni ricevute; deve, quindi, essere firmato solo dopo che queste siano state fornite, altrimenti risulta come non dato. Potendo essere revocato in qualsiasi momento, espressioni come "non desidero ulteriori chiarimen­ti", non sono corrette.

II rifiuto di firmare, quando non si siano ottenute informazioni, non implica alcuna responsabilità; anzi, è consigliabile non firmare moduli di cui sia chiara la sola intenzione di scaricare la responsabi­lità, tenuto conto del fatto che, comunque, nessun consenso scritto modifica o diminuisce la responsa­bilità del medico (vedi per esempio test e controlli obbligatori per legge rispetto all'epatite C e all'HIV nel caso di trasfusioni di sangue). Mentre quindi per i pazienti è un diritto, per gli operatori è un dovere.

 

L'elusione del consenso informato

 

Nel nostro ordinamento mancano specifiche disposizioni in materia, fatto che concorre alla grave diffusione del fenomeno della elusione del consen­so informato. Allo stato attuale, l'assenza di uno dei requisiti necessari all'espressione del consenso o l'invalidità del medesimo, non produce conseguen­ze penali dirette, ma solo indirette, qualora il tratta­mento medico-chirurgico abbia dato luogo ad un fatto tipico costituente reato. La mancata richiesta di consenso, invece, incidendo direttamente sui diritti fondamentali dell'individuo, deve essere riconosciu­ta come figura autonoma, e, perciò, direttamente sanzionabile da parte delle autorità.

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 364

 

Molto importante la sentenza n. 364/1997 della terza Sezione civile della Corte di Cassazione del 30 aprile 1996, depositata in Cancelleria il 15 gen­naio 1997, di cui riportiamo le parti principali:

a) «Nell'ambito degli interventi chirurgici, in parti­colare, il dovere di informazione concerne la portata dell'intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti con­seguibili e gli eventuali rischi, si da porre il paziente in condizioni di decidere sull'opportunità di proce­dervi o di ometterlo, attraverso il bilanciamento di vantaggi o rischio;

b) «L'obbligo di informazione si estende, inoltre, ai rischi specifici rispetto a determinate scelte alterna­tive, in modo che il paziente, con l'ausilio tecnico­scientifico del sanitario, possa determinarsi verso l'una o l'altra delle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corri­spondenti vantaggi. Sotto un altro profilo è noto che interventi particolarmente complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chi­rurgici, presentino, nelle varie fasi, rischi specifici e distinti. Allorché tali fasi assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse, a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l'obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi ed ai rispettivi rischio;

c) «Spetta all'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - fornire la prova che la prestazione profes­sionale è stata eseguita in modo idoneo e che que­gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile, eventualmente in dipendenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile e non evitabile con l'ordi­naria diligenza professionale (ovvero, al fine di limi­tare la responsabilità alla colpa grave, che il tratta­mento o l'intervento comportavano la soluzione di problemi di particolare difficoltà). Ne discende che l'incertezza degli esiti probatori in ordine all'esatto adempimento della prestazione professionale va posto a carico del prestatore d'opera o della struttu­ra in cui lo stesso è inserito e comporta l'accogli­mento della domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità contrattuale».

 

I riferimenti giuridici

 

I riferimenti normativi al riguardo sono:

- Art. 13 della Costituzione: «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di deten­zione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e nei modi previsti dalla legge».

- Art. 32 della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

- Art. 50 del Codice penale: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne».

- Art. 5 del Codice civile: «Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quan­do siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pub­blico o al buon costume».

- Decreto ministeriale 27 aprile 1992 (il primo capi­tolo del paragrafo 8, che riprende le dichiarazioni di Helsinki).

- Decreto legge 25 marzo 1996, n. 161, in materia di sperimentazione e utilizzazione dei farmaci: «Prima del trattamento il medico deve ottenere il consenso informato del paziente».

- Legge 833/1978, art. 29. Specifica che la speri­mentazione clinica deve essere regolamentata per legge.

- Codice di deontologia medica: «II medico ha il dovere di dare al paziente, tenuto conto del suo livello di cultura e delle sue capacità di discernimen­to, la più serena e idonea informazione sulla dia­gnosi, prognosi, prospettive terapeutiche e loro con­seguenze... Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere comunque soddi­sfatta ... In ogni caso la volontà del paziente, libera­mente espressa, deve rappresentare per il medico elemento al quale ispirare il proprio comportamen­to.... Il medico non può intraprendere alcuna attività diagnostico-terapeutica senza il consenso del paziente, validamente informato. In ogni caso, in presenza dell'esplicito rifiuto del paziente, capace di intendere e volere, il medico deve desistere da qual­siasi atto diagnostico e curativo, non essendo con­sentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente».

 

 

 

 

(*) Paolo Cozzi Lepri è un dirigente del CODICI, Coor­dinamento per i diritti dei cittadini; Bianca Corazziari è un opera­tore dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico dell'Azienda sanita­ria locale Roma A.

 

 

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