Prospettive assistenziali, n. 119, luglio-settembre 1997

 

 

L'AFFIDAMENTO FAMILIARE A SCOPO EDUCATIVO: UNA VALIDA ALTERNATIVA ALL'ISTITUTO

 

 

Riportiamo integralmente la lettera del 18 luglio 1997 stilata dagli psicologi consulenti e assistenti sociali del Servizio centralizzato contro il maltratta­mento del Comune di Vicenza Gabriella Cappellaro, Silvia Radaelli, Nicoletta Zamperlin, Liliana Carollo, Silvia Carraro, Antonio Corato, Lisa Sartorello, Maria Grazia Lovato, Elena Fongaro, Caterina Lancerotto, Teresa Andrighetti, Giordano Lovato, Maristella Zuccon e Cristina Farina.

 

 

«Poiché ci pregiamo, in qualità di psicologi e assi­stenti sociali, essere nel novero di quanti, nella let­tera del signor Giovanni Ricci di Pisa dell'11 luglio 1997 (1) vengono accusati di scarsa sensibilità, ignoranza scientifica e disinvoltura etica per osare proporre l'affido eterofamiliare alternativo all'istitu­zionalizzazione anche per bambini piccolissimi, magari in attesa di una definizione giuridica della propria posizione, reputiamo doveroso, anche a nome di quei bambini piccolissimi che non sono direttamente in grado di esercitare i loro diritti, pro­porre alcune considerazioni in merito.

«Si tratta qui del diritto-bisogno di famiglia da parte del bambino, in qualsiasi momento della sua storia, che sia neonato o infante di pochi mesi o bambino di qualche anno o più grandicello o adole­scente ancora alla ricerca della sua identità.

«Tutte le scienze antropologiche sono concordi nell'affermare la continuità nello sviluppo del bambi­no dalla nascita all'età adulta. Gli incidenti di percor­so non arrestano la crescita, ma possono provocare gravi interferenze, con conseguenze nefaste sul piano individuale e sociale.

«Tra tutti gli incidenti possibili uno dei più gravi è quello di non poter a pieno titolo fruire del diritto alla famiglia, che è fondamento, questo ancora lo dico­no sociologia e psicologia, dell'identità e della cre­scita.

«Partendo da questi presupposti, ormai unanime­mente condivisi, via via anche dagli organismi giuri­sdizionali di uno Stato come il nostro che purtroppo il garantismo troppe volte intende, quando trattasi di conflitto di interesse adulto-bambino, soprattutto dalla parte dell'adulto, sembra impossibile condivi­dere la tesi del signor Ricci, tutto proteso com'è a sacrificare alle teorie sull'attaccamento che il bambi­no sviluppa nei primi mesi di vita nei confronti degli adulti che ne hanno cura, gli interessi stessi del bambino.

«Il bambino, ogni bambino, vale di più di qualsiasi teoria, e i suoi interessi sono più sacri di qualsiasi corrente di pensiero. Di questo siamo convinti nella nostra attività di operatori e consulenti presso un Servizio comunale contro il maltrattamento. Siamo molto d'accordo con le teorie di Bowlby circa l'attac­camento che il bambino sviluppa in forma privilegia­ta e fondante nel primo anno di vita con le sue figu­re di riferimento. Peraltro riteniamo anche, e su que­sto non si può non convenire, che, quando un bam­bino molto piccolo viene allontanato dalla famiglia naturale perché maltrattante o addirittura è rifiutato alla nascita, non viene a cessare per questo, né può essere sospeso per un tempo più o meno lungo, il suo bisogno di figure di riferimento affettivo, e cioè di attaccamento se non a prezzo di stravolgimenti nella sua crescita.

«Le teorie di Bowlby, della Ainsworth, della Main, della Crittenden sono per noi strumento di continuo aggiornamento nella attività del Centro in cui ope­riamo. Ce ne serviamo perfino per valutare la qualità dell'attaccamento a suo tempo sperimentato da chi nell'oggi si prepara a diventare genitore affidatario, perché l'attaccamento esperito entra nella qualità di una valida funzione genitoriale. Ma proprio perché convinti che l'attaccamento, comunque, il bambino lo struttura e non c'è nulla o nessuno che possa arrestare la ricerca di attaccamento del bambino, riteniamo la soluzione migliore quella di accompa­gnare al meglio questo inarrestabile bisogno del bambino di attaccarsi.

«Le teorizzazioni del signor Ricci sono invece assai contraddittorie, perché vorrebbero coniugare teorie recenti sull'attaccamento con vecchi e desue­ti schemi di allevamento temporaneo del bambino nei luoghi cosiddetti "neutri" affinché il bambino "non si affezioni" in attesa che si compia l'iter giuridico, poniamo, come ricorda il signor Ricci, per "tre-quat­tro anni". Mito acritico.

«Ritenere che il bambino nel primo anno di vita non possa e quindi non debba essere affidato a una famiglia alternativa alla sua famiglia naturale valuta­ta temporaneamente inadeguata e in attesa di deci­sione del tribunale, perché se no "si attaccherebbe" ai genitori affidatari, è frutto distorto di un teoricismo insensato e fuorviante, disposto a sacrificare il bam­bino sull'altare della teoria.

«Siamo convinti che le teorie debbano essere al servizio dell'uomo e non viceversa.

«Breve o lungo che sia il tempo che il bambino tra­scorre lontano dalla sua famiglia definitiva, e tutti dobbiamo batterci perché abbia una sua famiglia, una famiglia definitiva, nel più breve tempo possibi­le, deve essere comunque chiaro che non esistono luoghi neutri. Ed è bene non esistano, perché si trat­terebbe di luoghi sterilizzati abitati da robot o da per­sone prive perfino di quell'identità di genere che è il minimo richiesto ad un adulto che voglia entrare in un rapporto educativo con un bambino.

«Quanto sia mitologicà ormai l'idea dei luoghi "neutri" lo dice la scienza psicologica quando affer­ma, proprio grazie alle teorie di Bowlby, che un bambino all'adulto, comunque s'attacca (vedi attac­camento ansioso o evitante), dell'adulto comunque ha bisogno per crescere, sempre, senza soluzioni di continuità. Lo avevano fatto capire anche gli esperi­menti di Harlow con le scimmie allevate non dalla madre, ma nutrite da un biberon appeso ad un palo coperto di pelliccia: le scimmie, in mancanza d'altro, svilupparono attaccamento per il palo, crebbero... e divennero psicopatiche!

«La teoria dei "luoghi neutri" crea danni psicofisici inimmaginabili nei bambini, costretti troppo spesso a vivere, dopo essere stati allontanati dalla propria famiglia, in contesti dove la sola neutralità rappre­sentata è quella di adulti che si avvicinano a fianco del bambino, nella migliore delle ipotesi indifferenti, nella peggiore carichi di sensi di colpa, elementi di cui il bambino, che comunque s'attacca per soprav­vivere, si alimenta con conseguenze poi nefaste sul piano della struttura di personalità.

«Con questo non si vuole dichiarare che è il meglio per il bambino passare da una famiglia ad un'altra. Quanto meno è un passaggio da prepara­re, monitorare, seguire, accompagnare. Si vuole senza dubbio affermare che è male minore di quel­lo che il vuoto, riempito di attaccamenti illusori e frammentati, provoca nella psiche del bambino costretto a sostare in "luoghi neutri".

«Per pensare così occorre però essere convinti che purtroppo il maltrattamento è una realtà. Forse il signor Ricci non l'ha ancora intravista».

 

 

 

(1) Il  testo della lettera del Sig. Ricci è il seguente: «Nei nostri mezzi di comunicazione di massa si parla, sempre più spesso, di diritti dell'infanzia (e, più in generale, dei minori) e fra gli strumenti per la tutela di tali diritti è di frequente ricordato, in termini asso­lutamente positivi, l'istituto giuridico dell'affidamento familiare.

«Non mi sembra sia mai stato sottolineato, tuttavia, come l'af­fidamento possa assumere una connotazione decisamente negativa se il minore affidato è nel primo anno di vita e se, in un successivo periodo, la famiglia d'origine è giudicata idonea a (ri)accoglierlo. Esiste infatti anche nella nostra specie biologica (come in altre) un sistema comportamentale ereditario genetica­mente (ma modificabile e alterabile ad opera dell'ambiente) denominato dagli studiosi "attaccamento'; nel bambino, cioè, affiora fra i sei e i dodici mesi un potente legame affettivo con quelle figure familiari - in primis, solitamente, la madre - da cui egli si sente accudito e protetto (peraltro se i genitori non si com­portano nel giusto modo l'attaccamento sarà ansioso o mancato). Tutto questo è stato verificato, a partire dagli anni '50, da John Bowlby e da numerosi altri ricercatori.

«Per il bambino affidato a una famiglia nel primo anno di vita, le figure di attaccamento saranno "inevitabilmente" i genitori affi­datari (ovviamente, sempre che questi rispondano correttamente ai suoi bisogni). Certo, il bambino potrà accettare presto l'idea di avere altri due genitori (quelli naturali). Ma le figure di attacca­mento privilegiate rimarranno ancora quelle degli affidatari. Si pensi, perciò, al trauma cui è sottoposto, per esempio, un bambi­no affidato a una coppia nei primi mesi di vita e restituito ai geni­tori biologici, poniamo, a tre-quattro anni.

«Ritenere che egli possa non subire alcuno scompenso ed anzi modificare, magari in qualche mese, il proprio orientamento affettivo è insieme un'idiozia ed un pensiero opposto ai diritti del soggetto da tutelare: eppure la scarsa sensibilità di qualche tri­bunale dei minori, ma soprattutto l'ignoranza scientifica e la disin­voltura etica di certi neuropsichiatri infantili, psicologi e assistenti sociali operanti nel servizio pubblico, fanno sì che casi di questo genere avvengano realmente».

 

 

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