Prospettive assistenziali, n. 118, aprile-giugno 1997

 

 

Notiziario dell'Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale

 

 

LA TUTELA DEI DIRITTI DEI MALATI DI MENTE IN RELAZIONE ALLA CHIUSURA DEFINITIVA DEI RESIDUI MANICOMIALI

 

Si è tenuto un incontro a Milano il 9 maggio 1997 fra le associazioni che operano nel campo della tutela dei malati di mente prendendo in considerazione quanto di seguito esposto.

Per quanto la legge n. 724 del 1994 prevedes­se la chiusura definitiva dei residui manicomiali entro il 31 dicembre del 1996, è del tutto eviden­te che detta previsione doveva essere applicata correttamente dalle Aziende USL, con particola­re riguardo al rispetto dei seguenti principi.

In primo luogo bisognava rispettare il dettato della legge 180 del 1978, la quale, pur stabilen­do per prima la chiusura definitiva degli ospeda­li psichiatrici ad esaurimento dei pazienti, obbli­ga comunque gli enti competenti a trovare per i degenti soluzioni e collocazioni idonee.

In secondo luogo, alla luce del combinato di­sposto dell'articolo 32 della Costituzione, che ri­conosce e tutela il diritto alla salute in termini universali, e dei principi contenuti nelle leggi 180 e 833 del 1978, emerge chiaramente che i malati di mente non dovevano più essere consi­derati come degli alienati irrecuperabili, e quindi come persone da assistere o da custodire, bensì come persone con malattia specifica e perciò titolari di un diritto inviolabile ed assoluto alle cure, alla riabilitazione e al reinserimento.

Per questa ragione, onde evitare forme di di­scriminazione e di segregazione, la legge 180 del 1978 inserisce i servizi psichiatrici nei servi­zi sanitari generali. Per questa ragione, la legge 833 del 1978 considera la malattia mentale, sul piano anche giuridico, alla stessa stregua della malattia fisica, stabilendo, infatti, ai punti 3 e 4 dell'articolo 2 che è compito del Servizio sanita­rio nazionale diagnosticare e curare gli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenome­nologia e la durata, nonché riabilitare gli stati di invalidità sia somatica che psichica.

Recependo questi univoci principi di fondo, le linee guida del Ministero della sanità relative alla chiusura degli ex ospedali psichiatrici stabili­scono espressamente quanto segue: «La chiu­sura non deve verificarsi né attraverso interventi quali quelli che in passato hanno determinato di­missioni definite selvagge, né attraverso trasmi­grazioni in massa in strutture pubbliche e/o pri­vate che non garantiscono i diritti ad una corretta assistenza e i necessari interventi riabilitativi».

A conferma di queste disposizioni, una recen­te sentenza della Corte di Cassazione, la nume­ro 10150 del 20 novembre 1996 (1) ha precisato che le attività sanitarie, al pari di quelle di rilievo sanitario, sono oggetto di un diritto soggettivo (rispetto alle quali, dunque, può configurarsi soltanto un'attività vincolata, e non discreziona­le, della pubblica Amministrazione competente), e che nelle attività di rilievo sanitario rientrano le prestazioni di cura e di recupero psico-fisico dei malati di mente. Inoltre, la sentenza stabilisce che nelle leggi vigenti non v'è traccia di alcuna distinzione tra malati mentali acuti e cronici, tal­ché questi ultimi non possono essere esclusi dalle attività di cura di rilievo sanitario.

Alla luce dei principi illustrati, è perciò da cen­surare il fenomeno, purtroppo già verificatosi ed ancora in atto, per il quale i pazienti degli ex ospedali psichiatrici vengono abusivamente scaricati sul settore assistenziale, ossia in strut­ture di mera custodia, quali sono ad esempio le case di riposo, del tutto inadeguate a fornire corretti interventi curativi e riabilitativi a tutela della salute e dei bisogni reali dei malati di men­te. A peggiorare ulteriormente le cose è il fatto che tali decisioni, configuranti senza dubbio gli estremi delle dimissioni selvagge, vengono as­sunte dai responsabili delle Aziende USL al di sopra della volontà degli utenti e dei loro familia­ri. Infatti, eludendo il principio, emergente dalle linee guida ministeriali, relativo alla personaliz­zazione degli interventi riabilitativi a favore dei malati di mente in vista del superamento definiti­vo delle strutture manicomiali, sono stati delibe­rati trasferimenti in strutture di mera custodia senza chiedere il previo ed espresso consenso del paziente o del suo tutore, ma limitandosi ad avvertirli a posteriori di decisioni già assunte dall'alto.

Purtroppo, a riprova di tali abusi, si segnala altresì una recente delibera della Giunta regio­nale del Veneto, nella quale, senza alcun fonda­mento legislativo, si impone ai parenti dei malati di mente il pagamento delle rette di ricovero.

Ribadendo la nostra ferma condanna rispetto alle prassi illecite menzionate, proponiamo che gli interventi preordinati alla cura e alla riabilita­zione dei malati di mente, come previsto dalle leggi vigenti, restino di competenza del settore sanitario, e che il superamento dei manicomi av­venga nel pieno rispetto dei diritti dei pazienti e dei principi costituzionali, legislativi e ministeriali richiamati.

Siamo disposti ad accettare che i degenti possano pagare dei contributi alle Aziende USL a titolo di copertura parziale dei costi relativi alle prestazioni che eccedono i livelli uniformi di as­sistenza.

Tuttavia, devono restare fermi due principi fondamentali:

1) detti contributi devono essere rapportati al reddito e ai beni dell'utente; 2) i parenti non de­vono in nessun modo essere coinvolti per il pa­gamento di tali contributi.

 

Numerose le presenze in rappresentanza de­gli ex ospedali psichiatrici lombardi (15 fra pub­blici e privati). Verrà stilato un documento sulla situazione, anche in relazione alla nota vicenda della Sanità lombarda, che prevede per la psi­chiatria un riassetto “ospedalocentrico", con grave rischio per le necessità del territorio.

 

 

(1)     La sentenza è stata riportata integralmente sul n. 117 di Prospettive assistenziali.

 

 

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