Prospettive assistenziali, n. 118, aprile-giugno 1997

 

 

LA SCUOLA DEI DIRITTI (PARTE QUARTA)

 

 

Prosegue la pubblicazione delle relazioni svol­te alla Scuola dei diritti "Daniela Sessano"; inizia­tiva dell'Unione per la lotta contro l'emarginazio­ne sociale. I precedenti articoli pubblicati sono: "Diritto alla salute, ai servizi sociali, all'assistenza - Aspetti costituzionali e operativi" di R. Carapelle e "Rapporti del cittadino con la pubblica ammini­strazione, la giustizia e gli enti privati" di P. Gos­so, n. 108, ottobre-dicembre 1994, "Interdizione ed inabilitazione: realtà e prospettive" di R. Cara­pelle, n. 109, gennaio-marzo 1995, "Come esa­minare e valutare leggi e delibere, e come predi­sporle" di F. Santanera, n. 114, aprile-giugno 1996.

Per una trattazione organica dell'insieme delle problematiche concernenti le esigenze delle per­sone non in grado di autotutelarsi, si veda il li­bro di R. Carapelle e F. Santanera, A scuola di di­ritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia socio-sanitaria, UTET Libreria, Torino, 1977, pag. 88, L. 12.000. Per ricevere il volume versare L. 12.000 sul ccp n. 25454108 intestato a Associazione Promozione Sociale, Via Artisti 36, 10124 Torino.

 

 

LE CONDIZIONI ESSENZIALI PER TUTELARE LE PERSONE NON IN GRADO DI AUTODIFENDERSI

 

MARIA GRAZIA BREDA - FRANCESCO SANTANERA

 

Schematizzando si può affermare che si rivol­gono ai servizi di assistenza sociale principal­mente tre gruppi di persone:

a) i bambini privi di adeguata assistenza ma­teriale e morale da parte dei loro genitori; b) gli handicappati intellettivi, particolarmente quelli con limitata o nulla autonomia, orfani o co­munque senza adeguato sostegno familiare; c) i giovani, gli adulti e soprattutto gli anziani malati cronici non autosufficienti che, a causa della situazione di abbandono in cui sono la­sciati dal Servizio sanitario nazionale, hanno esaurito le proprie risorse economiche e non di­spongono più dei mezzi economici indispensa­bili per poter provvedere alle loro esigenze. Mol­to spesso - come è noto - è tutto il nucleo fami­liare che precipita in una condizione di miseria, a volte anche estrema.

In via di larga approssimazione il terzo gruppo costituisce I'80-90% di tutti gli attuali assistiti.

 

Caratteristiche salienti degli assistiti e dei loro familiari

Come è evidente, tutti i soggetti di cui ai pre­cedenti punti a), b) e c) sono nella assoluta im­possibilità di autodifendersi.

A questo riguardo è certamente destituita di ogni fondamento l'affermazione di coloro che sostengono che, per rispettare la libertà dei sin­goli, si debba sempre operare "con" gli assistiti. Giocoforza, è invece necessario, in questi casi, intervenire "per" i soggetti interessati, in loro so­stituzione.

Va da sé che questa sostituzione deve essere limitata agli atti che l'interessato non è in grado di compiere da solo, ad esempio per segnalare alle autorità la situazione di abbandono materia­le e morale dei neonati e dei bambini, per richie­dere la frequenza di un centro diurno per handi­cappati intellettivi, per rivendicare il diritto alle cure sanitarie di un anziano colpito da ictus.

Per quanto riguarda i familiari degli assistiti, spesso non sono in grado di contestare gli in­terventi scorretti assunti da enti pubblici e priva­ti: si tratta, ad esempio, dei genitori e dei con­giunti dei minori in stato di abbandono.

In merito ai parenti di handicappati intellettivi e di giovani, adulti e anziani cronici non autosuf­ficienti, occorre tener presente che essi sono quasi sempre fortemente condizionati dalla gra­vità delle condizioni del loro congiunto, dall'ur­genza degli interventi necessari e dall'impossi­bilità di ricorrere ai servizi privati a causa dell'inaccessibilità dei costi.

Si tratta, dunque, di persone facilmente ricat­tabili. Si comprendono, pertanto, i motivi per cui i genitori accettano per i loro figli handicappati intellettivi gravi la scuola speciale, quando que­sta è l'unica soluzione proposta dall'autorità scolastica. Si capisce, altresì, perché gli stessi genitori non lottino per il loro inserimento in classi normali: temono di perdere quel che han­no ottenuto dopo anni di sacrifici sofferti e di sollecitazioni ignorate.

Mentre per i congiunti di handicappati intellet­tivi, l'esperienza acquisita in anni di lotte può portarli ad una adeguata presa di coscienza dei loro diritti e di quelli dei loro figli, la situazione è molto più problematica per i familiari degli an­ziani cronici non autosufficienti. Spesso l'evento che ha determinato I'inguaribilità e la dipenden­za è stato improvviso. Nello stesso tempo gli in­terventi necessari sono indilazionabili.

II familiare, sovente anch'egli anziano, vive giorni e settimane di profonda angoscia, ha di fronte a sé una situazione del tutto nuova, non sa che cosa fare: accetta quindi le indicazioni dei funzionari e degli operatori e, se il congiunto è ricoverato, crede ciecamente nelle parole del primario e dell'altro personale dell'ospedale o della casa di cura privata. Pertanto, non mette in dubbio l'affermazione - assolutamente falsa - secondo cui il Servizio sanitario nazionale do­vrebbe curare solo i malati acuti ed i parenti sa­rebbero dalla legge tenuti a provvedere ai loro congiunti malati cronici non autosufficienti.

Infatti, con una semplice lettera raccomandata con ricevuta di ritorno al direttore generale dell'USL si ottiene sempre il rinvio sine die delle dimissioni dagli ospedali e dalle case di cura private convenzionate.

 

Le associazioni degli invalidi sono sempre dalla parte degli utenti?

Non sempre - purtroppo - è sufficiente rivol­gersi ad una associazione per essere adeguata­mente difesi. Spesso le associazioni degli invali­di non hanno tutelato e non tutelano il diritto alla massima possibile integrazione prescolastica, scolastica, lavorativa e sociale delle persone con handicap.

Ad esempio, nel 1970 la Commissione costi­tuita dai presidenti delle più importanti associa­zioni italiane degli invalidi in un documento inti­tolato "Criterio unitario nell'assistenza" (1) aveva sostenuto che «la generalità dei cittadini invalidi costituisce nel suo complesso un insieme netta­mente distinto del popolo italiano». Da questa considerazione la Commissione aveva dedotto che era necessaria «una radicale e completa ri­forma di struttura nel settore degli invalidi che, prescindendo dalla causa invalidante, sia attuata differenziando chiaramente i cittadini portatori di invalidità permanenti dai cittadini sani o inciden­talmente malati».

II vero scopo di molte associazioni di invalidi non è la tutela delle esigenze e dei diritti delle persone con handicap, ma la raccolta del mag­gior numero di quote sociali, di sussidi governa­tivi e di contributi.

AI riguardo, Gianni Selleri (2) afferma giusta­mente che «dal punto di vista sociologico e dei comportamenti si deve inoltre evidenziare che le Associazioni storiche di rappresentanza (Unione italiana ciechi, Ente nazionale sordomuti, ma so­prattutto l'Associazione nazionale mutilati e inva­lidi civili) contribuiscono a creare un'immagine degli handicappati come soggetti passivi ai quali attribuire assistenza e privilegi anziché ugua­glianza di opportunità. Queste associazioni (che fruiscono di ingenti finanziamenti pubblici, che gestiscono centri e servizi riabilitativi per molte centinaia di miliardi, che hanno rappresentanti nelle commissioni sanitarie e in quelle per il col­locamento) favoriscono, direttamente o indiretta­mente, la moltiplicazione degli invalidi al fine di avere maggiore potere politico e amministrativo, di ottenere sempre più numerose convenzioni con le Regioni, il Servizio sanitario e gli enti loca­li. Ma c'è soprattutto un fatto che dovrebbe far ri­flettere: alle associazioni storiche (che sono uni­te in un patto federativo) è consentito di trattene­re per delega le quote associative sulle pensioni e le indennità. Più invalidi, più entrate».

 

I Sindacati dei lavoratori

I Sindacati dei lavoratori CGIL, CISL, UIL, com­preso quello che si è autodefinito "Sindacato dei cittadini", finora hanno fatto assolutamente nulla per tutelare le esigenze ed i diritti dei mino­ri in situazione di abbandono o con gravissimi problemi familiari.

Scarse e insufficienti sono state le iniziative ri­guardanti l'integrazione sociale (inserimento la­vorativo, assegnazione alloggi, abbattimento delle barriere architettoniche, disponibilità dei servizi sportivi, di tempo libero e culturale, ecc.) degli handicappati, soprattutto se si trattava di quelli più deboli, come quelli intellettivi.

A volte i Sindacati sono addirittura intervenuti a difesa di operatori che avevano compiuto atti di violenza nei confronti di assistiti, com'è avve­nuto presso le IPAB "Casa di riposo di Mestre" (3) e "Istituto di riposo per la vecchiaia" di Tori­no (4).

Un altro settore in cui i Sindacati CGIL, CISL, UIL di fatto sostengono la negazione del fonda­mentale diritto alla salute è quello degli anziani cronici non autosufficienti. Si arriva al punto che il Sindacato non difende i propri iscritti che sono stati colpiti da malattie inguaribili o hanno con­giunti in queste condizioni.

Per finire - ma l'elenco potrebbe essere più lungo - i Sindacati si sono sempre disinteressa­ti e si disinteressano dei contributi economici che gli enti pubblici, in violazione alle leggi vi­genti, richiedono ai parenti di assistiti maggio­renni.

Certamente se CGIL, CISL e UIL intervenisse­ro a tutela delle persone assistite, molte soffe­renze - spesso atroci - sarebbero evitate e gran parte dei problemi affrontati in questo arti­colo avrebbero in breve tempo una soluzione positiva.

 

Che cosa fare

È praticamente impossibile che le complesse problematiche concernenti i soggetti non in gra­do di autodifendersi siano assunte e portate avanti da singoli cittadini. È quindi necessario che le persone interessate si uniscano.

Però, contrariamente a quello che succede oggi, è di gran lunga preferibile che le organiz­zazioni di base non abbiano un numero troppo alto di aderenti anche allo scopo di evitare o li­mitare le lotte intestine che spesso ne paralizza­no l'operatività. Se gli aderenti sono molti è op­portuno che l'organizzazione si divida in due o più gruppi, autonomi gli uni dagli altri.

Ciascun gruppo, composto anche solo da una decina di persone, dovrebbe avere un preciso ambito territoriale di intervento (uno o più Co­muni) in modo da non disperdere la propria atti­vità, facilitare la raccolta delle informazioni e consentire un adeguato controllo sul funziona­mento dei servizi.

Inoltre, occorrerebbe definire anche il campo d'azione (handicappati intellettivi, anziani, mino­ri, ecc.) sulla base degli interessi sociali dei par­tecipanti e del numero degli aderenti.

 

Non gestire, ma promuovere

L'esperienza insegna che è assolutamente impossibile che la stessa organizzazione eserci­ti una effettiva azione promozionale (rivolta cioè alla creazione di una cultura e di interventi ade­guati per le persone incapaci di autodifendersi) quando svolge attività gestionali.

Chi provvede al funzionamento di centri diur­ni, di comunità alloggio, di residenze sanitarie assistenziali - si tratti di una associazione, di una cooperativa o di un'altra qualsiasi struttura - ha ovviamente come preoccupazione priorita­ria quella di far quadrare il bilancio e quindi di avere buoni rapporti con l'ente pubblico che fi­nanzia, buoni rapporti che sono anche la condi­zione assolutamente indispensabile per ottene­re il pagamento tempestivo delle quote, per evi­tare controlli soffocanti e per non essere esclusi dalle gare di appalto.

Data l'inconciliabilità fra gestione, promozio­ne e controllo, è problematica la presenza come soci, soprattutto se il loro peso associativo è de­terminante, dì operatori (medici, assistenti so­ciali, ecc.) e di funzionari impegnati nella gestio­ne di servizi pubblici o privati.

 

Come costituire un'associazione di volontariato

Se viene scelta - come sembra essere di gran lunga preferibile - l'associazione, c'è da tener presente che le organizzazioni di volonta­riato beneficiano di alcuni importanti vantaggi (esenzione dall'IVA e dalle imposte di bollo e di registro). Inoltre i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costitui­scono redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell'imposta locale sui redditi (ILOR).

D'altra parte la costituzione di un'associazio­ne non comporta l'esborso di alcuna somma. Occorre solo predisporre Fatto costitutivo e lo statuto. Nel primo debbono essere indicate le generalità, il luogo e la data di nascita, la resi­denza e il codice fiscale di coloro che parteci­pano alla costituzione dell'organizzazione e che sottoscrivono sia l'atto costitutivo che lo statuto. Nell'atto costitutivo devono, inoltre, essere pre­cisati gli scopi (riportando quelli inseriti nello statuto), le cariche sociali: presidente, eventuali vice-presidenti, segretario, tesoriere (queste due cariche possono essere attribuite ad una sola persona), la composizione del collegio dei revisori dei conti (presidente e componenti, in genere due).

Lo statuto deve contenere: il riferimento alla legge sul volontariato 11 agosto 1991 n. 266, la denominazione dell'associazione, la sede, gli scopi, i mezzi previsti per il raggiungimento delle finalità sociali (quote, sovvenzioni da parte di soggetti pubblici e privati, ecc.), gli organi (as­semblea di soci, consiglio direttivo, presidente, ecc.) ed i loro compiti.

La legge 266/1991 prevede che, per poter es­sere iscritte nei registri regionali, le organizza­zioni di volontariato per lo svolgimento delle atti­vità devono avvalersi «in modo determinante del­le prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti»; inoltre nello statuto «devono essere espressamente previsti l'assenza dei fini di lucro, la democraticità della struttura, l'elettivi­tà e la gratuità delle cariche associative, nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Debbono essere al­tresì stabiliti l'obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi e i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'assemblea degli aderenti».

Infine, segnaliamo che l'atto costitutivo e lo sta­tuto devono essere redatti su carta uso bollo.

La registrazione è fatta gratuitamente (entro il termine massimo di 20 giorni dall'effettuazione dell'assemblea costituente) dall'Ufficio del regi­stro, atti privati, a condizione che risulti che l'as­sociazione è stata costituita ai sensi e per gli ef­fetti della legge 266/1991 sul volontariato e che verrà richiesta l'iscrizione nei registri regionali. Possono essere registrate, sempre gratuita­mente, più copie dell'atto costitutivo e dello sta­tuto purché ognuna di esse sia sottoscritta da tutti coloro che hanno partecipato alla costitu­zione dell'associazione.

Sempre gratuitamente sono registrati i verbali delle assemblee dei soci e dei consigli direttivi.

 

Obiettivi da perseguire

Se la scelta dell'associazione (o di altro tipo di organizzazione) si rivolge alle persone in diffi­coltà, gli obiettivi da perseguire sono sostanzial­mente due.

In primo luogo occorre intervenire per preve­nire le situazioni di bisogno; inoltre è necessario ottenere dagli enti pubblici competenti che sia garantita ai soggetti che devono ricorrere all'as­sistenza - come a tutti gli altri cittadini - il sod­disfacimento delle esigenze fondamentali di vita (istruzione, casa, sanità, ecc.).

Di particolare rilievo è ottenere il rispetto dei diritti sanciti dalle leggi in vigore.

In un prossimo articolo sarà affrontato il tema delle richieste da avanzare agli enti tenuti ad in­tervenire, in particolare nei confronti della fascia più debole della popolazione.

 

Le piattaforme

Le forze sociali (gruppi di volontariato, asso­ciazioni, ecc.) possono rendere più incisiva la loro azione utilizzando lo strumento della piatta­forma.

È un mezzo che presenta due vantaggi. In pri­mo luogo costringe l'organizzazione a definire in modo preciso le proprie richieste. In questo mo­do si evitano anche futuri conflitti fra gli aderenti sulle linee da perseguire.

In secondo luogo, le varie amministrazioni (Regione, Comune, Provincia, Usi, Provveditora­to agli studi, ecc.), a cui la piattaforma è rivolta, sono in grado di conoscere le richieste presen­tate.

Nella piattaforma vanno precisati non soltan­to le richieste avanzate, ma anche l'ente o l'as­sessorato competente in materia.

 

Le competenze non assistenziali

AI riguardo occorre dare attuazione ad un principio di fondo, a nostro avviso, irrinuncia­bile, e cioè che l'organo a cui si chiede di inter­venire nei confronti delle persone in difficoltà sia lo stesso che deve provvedere o provvede già a tutti gli altri cittadini che presentano la stessa esigenza.

Pertanto per il trasporto degli handicappati motori i riferimenti sono, a seconda delle situa­zioni, l'Assessorato comunale ai trasporti, l'Azienda municipale dei servizi pubblici, le Fer­rovie dello Stato, e non il settore dei servizi assistenziali.

Parimenti, per la cura degli anziani cronici non autosufficienti si deve fare intervenire la sanità, e non il settore dell'assistenza/beneficenza.

A sua volta l'istruzione (Assessorato relativo, Provveditorato agli studi, ecc.) deve assicurare la frequenza della scuola dell'obbligo a tutti gli handicappati, compresi quelli colpiti gravemente sul piano intellettivo.

Questa è una posizione opposta a quella delle strutture speciali per i più deboli.

Oggi la linea di forza è quella dei servizi aperti a tutti, e cioè:

- non più scuole e classi speciali, ma normali e nelle normali sezioni degli asili nido e delle scuole materne;

- non più istituti per handicappati, ma comu­nità alloggio inserite nel normale contesto so­cio-abitativo, se proprio non sono possibili la permanenza in famiglia o l'inserimento autono­mo;

- non più ospedali geriatrici, ma ospedali ge­nerali.

 

Le competenze dell'assistenza sociale

Per quanto riguarda il settore assistenziale, è necessario ribadire che deve intervenire esclu­sivamente nei confronti delle persone in difficol­tà, sempre che si tratti di prestazioni non di competenza degli altri settori (sanità, scuola, ca­sa, ecc.).

Ad esempio, interventi di natura assistenziale sono l'assistenza economica diretta a garantire il minimo vitale alle persone non in possesso di beni mobili o immobili o aventi un reddito insuffi­ciente, ed i centri diurni per handicappati intel­lettivi ultraquindicenni non in grado, a causa della gravità delle loro condizioni psico-fisiche, di svolgere alcuna attività lavorativa proficua.

In materia di interventi assistenziali (ed anche di quelli sanitari), la priorità va assicurata alle prestazioni domiciliari, che sono più rispettose delle esigenze, consentono maggiori spazi di autonomia ai soggetti e sono anche meno onerose rispetto agli inserimenti in comunità-allog­gio e ai ricoveri in istituto.

 

La tutela delle esigenze e dei diritti dei minori in situazione di abbandono

Possono essere di qualche interesse alcuni accenni sulle iniziative assunte per la tutela del­le esigenze e dei diritti dei minori in situazione di abbandono materiale e morale da parte dei ge­nitori e dei parenti tenuti a provvedervi.

L'iniziativa è stata assunta dall'ANFAA, Asso­ciazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, costituitasi nel 1962.

Insieme alla denuncia delle infauste conse­guenze della carenza di cure familiari, conse­guenze all'epoca messe in risalto da tutte le ri­cerche scientifiche effettuate, è stato rivendica­to il diritto dei minori a vivere in famiglia, in primo luogo la propria, se del caso sostenuta sul piano psico-sociale ed economico, o presso una fami­glia adottiva, se sussiste una situazione di totale abbandono, o presso una famiglia affidataria negli altri casi.

A seguito delle iniziative condotte per il rag­giungimento dei sopraindicati obiettivi si è otte­nuto:

- l'aumento (ancora insufficiente) delle pre­stazioni a favore delle famiglie d'origine aventi difficoltà di vario genere nell'allevare, educare, istruire i propri figli;

- l'adozione di oltre 60 mila bambini;

- l'affidamento familiare a scopo educativo presso parenti o terze persone di alcune mi­gliaia di minori;

- la riduzione dei ricoveri in istituto, riduzione che dal 1962 al 1990 (ultimi dati disponibili e comparabili) è stata assai consistente:

- nei brefotrofi il calo è stato del 94%;

- negli istituti per minori normali dell'86%;

- negli istituti per handicappati fisici del 19%; - negli istituti per handicappati sensoriali del 64%;

- nelle colonie permanenti la riduzione delle giornate di presenza è stata del 95%. Invariato è, invece, il numero degli handicap­pati intellettivi ricoverati, anche se i relativi dati dell'ISTAT non distinguono questi soggetti da quelli malati psichici.

 

 

 

(1) La Commissione era costituita dai presidenti dell'Opera nazionale mutilati e invalidi di guerra, dell'Asso­ciazione nazionale vittime civili di guerra, dell'Associazione mutilati e invalidi del lavoro, dell'Unione nazionale mutilati per servizio, della libera Associazione mutilati e invalidi ci­vili.

(2) Cfr. Gianni Selleri, "Invalidopoli: un po' di chiarez­za!", Sempre, maggio 1996.

(3) Cfr. "Operatori di una casa di riposo sotto processo: la sentenza di Mestre", Prospettive assistenziali, n. 64, otto­bre-dicembre 1983 e "II rientro in servizio degli aguzzini della casa di riposo di Mestre: un esempio di inciviltà", Ibi­dem, n. 88, ottobre-dicembre 1989.

(4) Cfr. "Ancora sentenze di condanna di operatori assi­stenziali", Ibidem, n. 67, luglio-settembre 1984.

 

 

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