Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre 1996

 

 

VIVERE IN ISTITUTO, DALL'INTERNO

 

ANNA MAE HALGRIM SEAVER *

 

 

 

Questo è il mio mondo ora. È tutto quello che mi è rimasto. Capite, sono vecchia. E, non sono in buona salute come un tempo. Non è che sia proprio felice di questo ma lo accetto. A volte, un mio familiare viene a farmi visita. Mi portano fiori o un piccolo regalo, magari un paio di pan­tofole - ne ho otto paia. Restano con me per un "poco e poi ritornano al mondo, fuori, e io riman­go sola di nuovo.

Oh, ci sono altre persone qui in istituto. Ci chiamano pazienti. La maggioranza ha la mia età. Ho 84 anni. Molti sono in carrozzina. I più fortunati sono di passaggio - un femore rotto, un cuore che non funziona, qualcosa che li ha condotti qui per essere riabilitati. Quando stan­no bene, ritornano a casa.

La maggior parte di noi è consapevole della propria condizione - alcuni no. Vari stadi dell'Alzheimer hanno rubato loro molte capacità mentali. Ascoltiamo storie e domande ripetute senza fine. Le incontriamo di nuovo ogni giorno, ogni ora o più spesso. Sorridiamo e assentiamo gentilmente ogni volta che riascoltiamo una sto­ria. Raramente ascoltano le mie storie, così ho smesso di provarci.

L'assistenza qui è in fondo abbastanza buona, benché ci sia un gran turn-over. Appena mi sen­to a mio agio con qualcuno, questi cambia lavo­ro. Lo capisco: non è il miglior lavoro a cui aspi­rare.

Non mi piacciono molto alcune delle cose fisi­che che ci succedono. Non gradisco il pannolo­ne. Mi sembra di aver perduto il controllo acqui­stato così diligentemente da bambina. La diffe­renza è che io ne sono consapevole e imbaraz­zata ma non posso farci nulla. Ho avuto tre figli e so che non è piacevole pulire il pannolone di un altro. Mio marito portava una maschera anti­gas quando cambiava i bambini. Mi piacerebbe averne una ora.

Perché pensate che il personale insista a par­larmi come una bambina? Capisco l'inglese. Ho un diploma di musica e sono un'insegnante di ruolo. Ora sento molte parole che terminano in "ino". È cosi che si sentono i bambini? II mio ap­parecchio acustico funziona bene. Non c'è pressoché alcun bisogno che si mettano diret­tamente di fronte a me e alzino la loro voce con tutti quei diminutivi. A volte ci vuol più tempo per una parola per imprimersi; a volte la mia mente vaga quando sono annoiata. Ma non c'è nessun bisogno di gridare.

Ho provato una volta o due a far loro com­prendere i miei sentimenti. Ho persino gridato una volta. Questo mi ha fatto acquistare la fama di essere "bizzarra". Immaginatevi, io bizzarra. I miei figli non mi hanno mai sentito alzare la vo­ce. Mi sono sorpresa di me stessa. Dopo aver chiesto aiuto per più di una dozzina di volte ed aver ricevuto niente più che una dozzina di sor­risi condiscendenti e di "Sì, carina, lo sto facen­do", qualcosa si è cominciato a rompere. Quella volta volevo essere portata al bagno.

Mi piacerebbe andare fuori a pranzo, viaggia­re ancora. Mi piacerebbe andare alla mia chie­sa, cantare con il mio coro. Mi piacerebbe anda­re a trovare i miei amici. La maggior parte di loro sono morti ora o sono in diverse "case" che i lo­ro figli hanno scelto. Mi piacerebbe fare una buona partita di bridge, ma sembra che nessu­no qui si concentri molto bene.

I miei figli mi hanno messo qui per il mio bene.' Hanno detto che avrebbero potuto venirmi a tro­vare frequentemente. Ma hanno le loro vite da portare avanti. Ciò suona normale. Non voglio essere un peso. Lo sanno. Ma mi piacerebbe vederli di più. Uno di loro vive qui in città. Mi vie­ne a-trovare il più spesso possibile.

Altra cosa che ho imparato ad accettare è la perdita di privacy. Abbastanza spesso chiudo la porta quando la mia compagna di camera - im­maginate avere una compagna di camera alla mia età - è nella sala della TV. Apprezzo di di­sporre di un po' di tempo per me stessa e credo di essermi guadagnata almeno questa gentile concessione. Appena mi siedo a pensare o scri­vere, uno del personale, invariabilmente, apre la porta senza annunciarsi e entra come se io non ci fossi. A volte apre persino i miei cassetti è co­mincia a rovistarci dentro. Sono invisibile? Ho perduto il diritto al rispetto e alla dignità? Cosa accadrebbe se si rovesciassero i ruoli? Sono ancora un essere umano. Mi piacerebbe essere trattata come tale.

I pasti non sono quello che sceglierei da me stessa. C'è una certa varietà ma non abbiamo la scelta. lo sono una dei fortunati che può ancora usare le stoviglie. Ricordo di aver mangiato in stoviglie tanto dozzinali durante la Grande De­pressione. Ho lavorato duro per non doverle usare mai più. Ma eccomi qui.

Siete mai stati seduti su una sedia a rotelle per un lungo periodo? Non è comodo. II sedile ti comprime nel centro e applica una pressione continua ai fianchi. I braccioli sono troppo stretti e le braccia scivolano. Sono più fortunata di al­tri. Altri sono legati nelle loro carrozzine e ab­bandonati di fronte alla TV, prigionieri obbligati di una giornata di TV: telenovelas, talk-shows e pubblicità.

Uno dei pazienti è morto oggi. Era un tipo indi­pendente che un tempo era entrato nel mondo degli affari e aveva creato un'azienda da milioni di dollari. I suoi figli lo hanno trasferito qui quan­do ha perso il controllo degli sfinteri. Non parla­va con la maggior parte di noi. Spesso parlava in tono secco al personale come se fossero i suoi impiegati. Alla fine si è arreso; ha voluto la sua morte. II personale ha rifatto la camera ed è arrivato un altro uomo.

Un giorno tipico. Svegliata dal respiro affan­noso della vicina di letto: una ex-fumatrice ac­canita con l'asma. Chiamo un'assistente per la­varmi e mettermi nella sedia a rotelle e aspettare la colazione. Mancano solo 67 minuti alla cola­zione. Aspetto. Colazione nella sala da pranzo. La maggior parte dei pazienti è in carrozzina. Al­tri usano bastoni o deambulatori. Alcuni si sie­dono e si chiedono cosa stanno aspettando. Pri­mo pasto del giorno. Solo 3 ore e 26 minuti fino a pranzo. Mi siedo un po' in giro e aspetto. Che giorno è oggi? Un giorno si mescola all'altro fino a che giorno e data non significano più niente.

Guardiamo un po' la TV! Oprah e Phil e Geral­do e chi se ne importa se qualche travestito ha problemi nel trovare un guardaroba coordinato nella collezione del marito dell'amica della ma­dre. Pranzo. Non può aspettare. Qualcosa di secco con puré di piselli e budino di cocco. Non c'è da meravigliarsi che stia perdendo peso.

Ritorno nella mia camera semi-privata per un breve momento di semi-privacy o un riposo. Ho bisogno del mio bel riposo: domani potrebbe venire a trovarmi qualcuno. Di nuovo, che giorno è oggi? II pomeriggio si trascina nella prima parte della serata. Questo di solito era il momento favorito della mia giornata. Le cose si rilassavano e potevo togliermi le scarpe e met­tere i piedi sul tavolo da caffè. Con uno schioc­co potevo aprire una bottiglia di Chablis e gode­re i frutti della mia giornata di lavoro con mio marito. È morto. Così la mia salute. Questo è il mio mondo.

 

 

 

 

* È vissuta a Wauwatosa, Wisconsin, ed è morta in mar­zo. Suo figlio ha trovato queste note nella sua camera do­po la sua morte. La traduzione da Newsweek è di Andrea Bartoli.

 

 

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