Prospettive assistenziali, n. 116, ottobre-dicembre 1996

 

 

IN ITALIA E ALL'ESTERO NON Sl DEVONO PIÙ COSTRUIRE ISTITUTI PER MINORI

 

 

Nel numero scorso, ponendo l'interrogativo “Perché si costruiscono all'estero istituti di rico­vero per bambini?", avevamo riportato le lettere indirizzate dal CSA, Coordinamento sanità e as­sistenza fra i movimenti di base, alla Presidente della Provincia di Torino, Prof. Mercedes Bresso, alle Segreterie provinciali della CGIL, CISL, UIL e al Comitato per la Resistenza del Colle del Lys in cui, in alternativa alla struttura di ben 120 posti, si proponevano le seguenti collaudatissime al­ternative: aiuto alle famiglie d'origine; adozione per chi è in stato di abbandono; affidamento fa­miliare dei minori le cui famiglie sono in una si­tuazione di temporanea difficoltà; comunità al­loggio, quando non è possibile intervenire diver­samente, con al massimo 8-10 posti, in modo da favorire la possibilità che si stabilisca un clima quasi familiare tra ospiti ed educatori.

A sostegno delle proposte venivano richiamati gli studi scientifici effettuati in vari Paesi del mondo, le cui conclusioni - mai smentite - comprovano che il ricovero in istituto provoca sempre danni notevoli sulla personalità dei mi­nori, spesso non risolvibili con il ritorno dei mi­nori stessi nella famiglia propria o adottiva.

Sorprendente la risposta inviata al CSA dalla Presidente della Provincia di Torino in data 30 agosto 1996: «Non intendo contestare la fonda­tezza delle vostre osservazioni relative all'oppor­tunità di prediligere la soluzione "casa di acco­glienza" rispetto alle altre da voi prospettate e che possono sicuramente essersi dimostrate mi­gliori in altri casi. Desidero però sottoporre alla vostra attenzione i seguenti punti:

- la scelta di istituire una casa di accoglienza è stata fatta dal Governo sloveno e né la Provincia di Torino né le altre istituzioni da voi chiamate in causa hanno il diritto di sindacare questa scelta;

- la Provincia di Torino, le Organizzazioni sin­dacali e il Comitato del Colle del Lys si sono limi­tati a fornire un aiuto finanziario utile a fronteg­giare una difficile situazione di emergenza.

Alla luce di quanto sopra non vedo in che mo­do sarebbe possibile ovviare a quello che voi considerate un errore, ma spero che questo non venga considerato un impedimento a valerci del­le preziose esperienze che la vostra associazio­ne ha maturato per quanto è di diretta competen­za della Provincia».

A questo punto era doverosa, a tutela delle esigenze e dei diritti dei minori bosniaci, la repli­ca del CSA, di cui riportiamo la lettera del 13 settembre 1996:

 

«Gentile Presidente,

«I danni del ricovero in istituto sono frutto di ri­cerche scientifiche ormai ampiamente docu­mentate.

«Non è un nostro punto di vista, bensì il risul­tato di attente valutazioni di esperti, che, con la diffusione dei loro risultati volevano la fine di questo modo di abusare dell'infanzia.

«A questi bambini, già così duramente provati dai fatti della guerra, un paese civile, che, oltre­tutto, non oserebbe più proporre per i suoi mi­nori una simile soluzione, dovrebbe - con tutte le debite attenzioni - comunque suggerire ri­sposte più consone al rispetto dei diritti dei bambini che, a nostro parere, deve prevalere sul "rispetto" delle decisioni degli adulti del Paese d'origine.

«Considerato il male profondo e irreversibile che procura l'istituto - di cui peraltro non nega­te la conoscenza - sulla fragile personalità di un bambino, ci sembra un'azione veramente disu­mana l'acconsentire alla sua costruzione e, ad­dirittura, contribuirvi finanziariamente. Se l'azio­ne è sbagliata, va contrastata nel bene dei bam­bini che non possono certo difendersi.

«C'è il diritto di sindacare quando si decide dì finanziare un'impresa. E ci sono spazi politici per almeno cercare di recuperare quanto è pos­sibile per correggere un'azione che avrà riper­cussioni gravissime nella vita di 120 bambini.

«Certo bisogna innanzitutto prendere co­scienza e poi avere il coraggio di operare scelte politiche che tengano conto più della vita delle persone, piuttosto che dell'immagine di una isti­tuzione».

 

 

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