Prospettive
assistenziali, n. 115, luglio-settembre 1996
LA SALUTE È UGUALE PER TUTTI?
MICHELE
CIMINALE * - FABRIZIO FAGGIANO ** - ANTONIO SCARMOZZINO *
Introduzione
Equità
nella salute implica che idealmente ogni cittadino dovrebbe avere una uguale opportunità
di raggiungere il proprio completo potenziale di salute, e che nessuno
dovrebbe essere svantaggiato nell'acquisirlo (Whitehead, 1992b). Tutti gli
uomini sono portatori di un rischio individuale di sviluppare malattie durante
la vita. Questo rischio è determinato dalle caratteristiche biologiche, dal
cumulo di esposizione a fattori di rischio cui l'individuo è stato esposto
durante la vita, siano essi volontari (consumo di sigarette, di alcool) o
involontari (esposizione occupazionale). Fin qui dunque non vi sono motivi per
ritenere che le differenze di probabilità di malattia fra individui siano in
qualche modo ingiuste o deprecabili. L'osservazione che il rischio di
malattia, che teoricamente si attenderebbe distribuito in modo casuale nella
popolazione, è spesso concentrato in strati sociali ben definiti, provoca
sovente il senso di disagio di una profonda ingiustizia.
Quali
sono le ragioni per le quali viene offeso il senso di giustizia in presenza di
ineguaglianze sociali nella salute?
In
primo luogo si ritiene che una delle più importanti nazioni industrializzate
del mondo contemporaneo, dotata di un moderno sistema sanitario che ha tra i
suoi principi ispiratori l'uguaglianza di accesso, debba assicurare equità nel
prodotto, cioè nelle opportunità di salute dei cittadini.
In
secondo luogo, l'Organizzazione mondiale della sanità ha invitato, già nel
1977, i paesi aderenti alle Nazioni unite a far propri i 38 obiettivi di
"Salute per tutti entro l'anno 2000" (WHO, 1985): il primo fra questi
riguarda l'equità nella salute entro e fra nazioni. In Italia, il primo Piano
sanitario nazionale, che fissa gli obiettivi del Sistema sanitario nazionale
per il triennio 1994-1996, mostra di aver recepito questa priorità e indica
nell'equità il proprio principio ispiratore.
Se
le motivazioni fin qui proposte fanno riferimento al principio etico della
giustizia, secondo
il
quale ogni differenza di salute riferibile all'istruzione, alla classe sociale
o ad altre caratteristiche individuali quali il sesso o l'origine, deve
considerarsi una discriminazione (Gillon, 1994), alcuni autori sottolineano
come l'equità condizioni sia i risultati che l'efficienza di un sistema
sanitario. Wilkinson (1992) ha identificato una correlazione inversa fra la
dimensione delle diseguaglianze nella salute in un paese e la quantità di
salute di cui gode la popolazione. I paesi dove sono minori le differenze
sociali di salute presentano la maggiore attesa di vita della popolazione
(Giappone e paesi scandinavi) mentre il contrario avviene negli USA e in altri
paesi anglosassoni. Inoltre Vagero (1994) ha evidenziato come l'equità non solo
non sia in opposizione con il principio dell'efficienza, principio in auge nei
periodi di carenza di risorse, ma anzi ne sia una componente essenziale.
Nonostante
queste premesse teoriche, è opinione generalizzata che il razionamento delle
risorse sociali imposto dalla congiuntura finanziaria, di cui sono vittime
molti paesi industrializzati, potrebbe avere conseguenze più pesanti sugli
strati sociali più svantaggiati, con riflessi sfavorevoli sulla salute. Poiché
però il diritto alla salute dovrebbe essere considerato indisponibile alla
contrattazione, e dato che anche il più sfrenato pensiero liberistico non ha
nessun argomento per pensare che le differenze nella salute siano un motore di
progresso, allora l'equità nella salute dovrebbe costituire una priorità per
qualsiasi sistema di pensiero politico e di amministrazione dello stato
sociale.
La
forza delle motivazioni sopra discusse ha condotto ricercatori di numerosi
paesi a studiare le differenze nella salute che si verificano nei diversi
strati sociali (Costa e Faggiano, 1994; Fox, 1989; Withehead, 1992b),
evidenziando differenze sia nella mortalità che nella morbosità. Queste si
caratterizzano per la loro regolarità qualunque sia il problema di salute
studiato, per la loro consistenza, apparendo simili qualsivoglia indicatore di
classe sociale venga preso in considerazione, e per la loro persistenza, non
mostrando importanti variazioni temporali.
In Italia, la
riorganizzazione in atto del Servizio sanitario nazionale, nata dall'esigenza
da parte dello Stato di aumentare l'efficienza del sistema, se non ispirata a
principi di equità, rischia di colpire in forma sperequata la popolazione a
svantaggio di quella più bisognosa di assistenza e dotata di minor sostegno
finanziario. Recenti indagini hanno evidenziato una differente distribuzione
della mortalità tra le classi sociali a scapito di quelle meno abbienti, con
aumento del divario nel tempo: dal periodo 1971-82 al periodo 1981-89 il
rapporto di mortalità tra i senza titolo e i possessori di titolo (maturità e
laurea) è passato da 1.32 a 1.47 se riferito a tutte le cause, da 1.11 a 1.36
se riferito alle malattie cardiovascolari e da 0.73 a 1.80 per le malattie
metaboliche e ormonali (Costa, 1988).
Questo
articolo mira a evidenziare la presenza di differenze nello stato di salute
della popolazione italiana e a valutarne l'andamento nel tempo durante gli
anni '80.
A
questo scopo sono stati rianalizzati i dati provenienti da quattro indagini
sullo stato di salute e sul ricorso ai servizi sanitari condotte dall'ISTAT
negli anni 1980, 1983, 1986-87, 1990-91 su un campione rappresentativo della
popolazione italiana (almeno 75.000 individui per indagine), estratto mediante
una procedura di selezione che prevedeva l'utilizzo della famiglia come unità
campionaria e gli archivi anagrafici di tutti i Comuni italiani come base di
partenza per il campionamento. Ciascuna indagine si è basata sulla
compilazione da parte del soggetto selezionato, mediante l'ausilio di personale
precedentemente addestrato, di un questionario a domande chiuse che aveva come
oggetto di interesse il ricorso a servizi sanitari e a interventi
diagnostico-terapeutici, la tipologia dei disturbi di salute, la presenza di
malattie croniche.
In
particolare per questo articolo è stata presa in considerazione la
dichiarazione di presenza/assenza di una o più malattie croniche (malattie
cardiache, ulcere, diabete, malattie respiratorie croniche, malattie
allergiche) fra quelle previste dal questionario.
L'affermazione
di presenza di questa o quella malattia è stata, di volta in volta, messa in
relazione al titolo di istruzione posseduto dal soggetto al momento
dell'intervista, utilizzato come indicatore di livello sociale. La frequenza di
dichiarazione di malattia è stimata tramite prevalenze percentuali,
standardizzate sulla popolazione italiana per eliminare l'effetto di confondimento
della struttura per età delle diverse popolazioni.
Come stanno gli italiani
Nella
tabella di fondo pagina vengono riportate, rispettivamente per gli uomini e per
le donne di età compresa tra i 25 e i 74 anni, le frequenze in percentuale di
dichiarazione di malattia diabetica, di malattia respiratoria cronica, di
ulcera, di malattia cardiaca e di malattia allergica, per i diversi livelli di
istruzione.
Per quanto
riguarda il diabete, non si osservano differenze tra gli uomini. AI contrario
tra le donne, i soggetti in possesso dei gradi di istruzione inferiori si
ammalano da due a sette volte di più rispetto alle laureate. Inoltre, nel tempo
si è assistito, seppure con andamento incostante, ad un aumento del divario
tra i livelli sociali.
Per
quel che concerne le malattie respiratorie croniche, si è riscontrato, in
entrambi i sessi, un maggior rischio di malattia nei soggetti appartenenti
alle classi con basso titolo di studio rispetto ai soggetti laureati. Nel
corso dell'ultima indagine, si è avuto un aumento delle differenze sia per gli
uomini (il rapporto nella frequenza di malattia tra chi non ha raggiunto la
licenza elementare e chi è laureato è passato da 2 volte nel 1980 a circa 6
volte nel 1991) sia per le donne, anche se l'andamento non è stato altrettanto
lineare (1.5 volte nel 1980, 3.5 nel 1991).
I
dati presentati in tabella mostrano, in entrambi i sessi, una maggiore
probabilità di contrarre l'ulcera nei soggetti appartenenti alle classi con
basso titolo di studio rispetto ai soggetti laureati. Dal 1980 al 1991 si è
verificata una diminuzione delle differenze, in particolar modo nelle donne
(uomini: 2 volte più frequente tra i senza titolo rispetto ai laureati, donne:
da 2.5 volte nel 1980 a 1.5 nel 1991).
In
entrambi i sessi, appare un maggiore rischio di ammalare per le malattie
cardiache nei soggetti con basso titolo di studio rispetto ai soggetti
laureati, in special modo tra le donne dove, peraltro, nel tempo, si è avuta
un'attenuazione del divario (da 10.5 nel 1980 a 9 nel 1991).
A1
trend generale di maggiore frequenza tra le classi meno avvantaggiate, si
contrappone unicamente il caso delle malattie allergiche per le quali si ha,
in entrambi i sessi, una morbosità minore nei soggetti appartenenti alle classi
con basso titolo di studio rispetto ai soggetti laureati.
Quale
interpretazione dei risultati?
Le
indagini ISTAT condotte nel periodo 19801991 hanno dunque messo in luce una
forte associazione tra classe sociale e morbosità per le malattie croniche
prese in esame. In particolare, tra gli strati sociali più bassi si è
riscontrata una maggiore probabilità di ammalare per diabete nelle donne, per
broncopneumopatie cronico-ostruttive, ulcera e malattie cardiache in entrambi
i sessi. A1 contrario, per le malattie allergiche il maggiore rischio è stato
osservato tra le classi più alte.
L'analisi
temporale dimostra che, mentre per quanto riguarda il diabete e le malattie
allergiche, non ci sono state variazioni dal 1980 al 1991 tra soggetti che
non- possiedono alcun titolo scolastico e soggetti laureati, andamenti opposti
si sono registrati tra le malattie respiratorie croniche da un lato (aumento
del divario) e ulcera e malattie cardiache dall'altro (diminuzione del
divario).
Sebbene
í problemi diagnostici siano importanti, non va dimenticato che indagini
condotte mediante analoghi metodi di rilevazione in altri paesi occidentali,
hanno confermato una maggiore morbosità per malattie croniche nelle classi
sociali più svantaggiate (Blaxter, 1987; Pincus, et al., 1987; Gutzwiller, et
al., 1989). Gli stessi risultati si sono avuti dove non ci si è avvalsi
soltanto di un'intervista per rilevare i dati, ma a questa è stata affiancata una
visita medica e dove, come indicatore di classe sociale, è stata usata la
condizione professionale, da sola o assieme al grado d'istruzione. Si è visto,
inoltre, che le differenze di salute per classe sociale, nel tempo, si sono
mantenute inalterate anche in Gran Bretagna dove il National Healfh Service ha
operato per vari decenni nel tentativo di ricomporle (DHSS, 1980; Black et
al., 1982).
Diverse
sono le possibili spiegazioni dell'andamento differenziale della morbosità tra
le classi sociali.
Nel caso del
diabete ci troviamo di fronte ad una malattia le cui soluzioni terapeutiche
sono efficaci nell'impedire la progressione della malattia e i cui fattori di
rischio sono almeno in parte noti e prevenibili. A questo proposito pensiamo
alla condizione di sovrappeso in cui si trova più frequentemente una persona
(con particolare riferimento alle donne) di bassa estrazione sociale rispetto
ad una dotata di istruzione superiore (Hazuda et al., 1988). Giova ricordare
le differenze di struttura corporea rilevate nel corso di un'indagine compiuta
nel nostro paese dall'Istituto nazionale della nutrizione nel corso dei primi
anni ottanta (D'Amicis et al., 1994). Utilizzando l'indice di massa corporea
(IMQ come parametro per misurare lo stato nutrizionale dell'individuo, è stato
osservato che le donne laureate hanno un IMC medio, inferiore del 10% rispetto
all'IMC delle donne di istruzione elementare. Inoltre I'IMC delle prime (20,8
kg/mq) è sostanzialmente sovrapponibile al valore riconosciuto
come peso desiderabile (Società italiana di nutrizione umana, 1989), mentre
quello misurato nelle seconde è ovviamente superiore. Tutto questo mette in
evidenza una maggiore attenzione verso la propria salute da parte delle donne
socialmente più avvantaggiate rispetto a coloro che godono di una condizione
meno privilegiata. Questo diverso atteggiamento in genere rientra in un
differente comportamento e approccio nei confronti della propria persona e del
proprio corpo. Una più forte ricerca del benessere e della salute è dunque
tipica soprattutto delle persone di alta classe sociale.
Recentemente
inoltre è stato segnalato che le classi sociali fanno un uso differente dei
servizi sanitari (La Vecchia et al., 1987). Una persona provvista di istruzione
superiore tende a ricorrere più frequentemente a quei servizi specialistici
ambulatoriali dove certamente l'azione di cura e prevenzione sono più mirati,
più forti e per definizione anche più efficaci (Ronco et al., 1991; Donato et
al., 1991). Viceversa colui che dispone di minore ricchezza culturale viene
più facilmente a contatto col servizio sanitario attraverso il medico di base
e avrà pertanto meno occasioni di fruire di interventi specialistici.
Quando
si parla di malattie respiratorie croniche viene piuttosto immediato pensare
alla inalazione di sostanze tossiche. II fumo di sigaretta in generale, i gas,
i fumi, i vapori e le polveri presenti in ambienti di lavoro sono nello
specifico i principali responsabili di bronchiti croniche, asma e tumori delle
vie respiratorie. Diverse analisi compiute lungo la stessa linea tematica delle
disuguaglianze dimostrano che, sia nel caso del fumo (La Vecchia et al., 1986;
Wagenknecht et al., 1990) che dell'attività lavorativa, la popolazione a
maggior rischio è quella meno avvantaggiata dal punto di vista socioeconomico.
Come
simbolo di prestigio e di appartenenza ad un certo status l'abitudine al fumo si è diffusa in un secondo momento tra
le classi meno abbienti. Questo potrebbe aver prodotto l'effetto rilevato dalle
indagini ISTAT di un aumento del divario tra ricchi e poveri nella dichiarazione
di morbosità per le affezioni respiratorie croniche.
Diversi
fattori interagiscono nel determinare l'insorgenza delle malattie cardiache.
Accanto a quelli riconosciuti da tempo quali il fumo, la scorretta
alimentazione (eccessivo apporto calorico e preponderante assunzione di
lipidi) e ancora la mancanza di moderato o vigoroso esercizio fisico (Arcà et
al., 1986; Ponti, 1989), ve ne sono altri di più recente individuazione che
possiamo indicare con l'espressione di "qualità della vita", vale a
dire un insieme di situazioni e condizioni che Marmot (1994) ha identificato
nel grado di controllo e gestione della propria attività lavorativa, nel ritmo
di lavoro, nella soddisfazione verso la propria attività, nella presenza di
eventi e difficoltà economiche e non nel corso della vita, nella presenza di
contatti e attività sociali e così via. II riscontro di una loro diversa
frequenza lungo la scala gerarchica occupazionale a favore di coloro che si
trovano nella posizione immediatamente più elevata rispetto a chi si trova nel
livello precedente induce a pensare che fattori psico-sociali siano in grado
di fornire importanti spiegazioni alle differenze esistenti tra un gruppo e l'altro.
II
tubo gastrointestinale come viscere possiede alcune somiglianze con il cuore
in relazione alla comune influenza del sistema neurovegetativo sulla loro
attività funzionale. La condizione di stress,
come descritto precedentemente a proposito delle malattie cardiache, a cui sono
sottoposti con maggior intensità soggetti in situazione di svantaggio sociale,
giocherebbe un ruolo di rilievo nell'insorgenza di ulcere gastroduodenali con
effetto assai più pervicace nelle classi meno avvantaggiate.
Le
affezioni allergiche si discostano dalle altre malattie perché più diffuse tra le classi
più agiate. L'evidenza di una più limitata esposizione ad agenti infettivi nel
corso dei primi anni di vita da parte di soggetti che hanno goduto di
condizioni socioeconomiche migliori rispetto a coloro che hanno vissuto in un
ambiente meno privilegiato ha suggerito l'idea dell'induzione di una minor
tolleranza immunitaria nei primi rispetto ai secondi: È possibile tuttavia che
la differenza tra le classi nella frequenza di queste patologie sia dovuta ad
una loro sottostima nelle classi inferiori. In sostanza esisterebbe una più
puntuale attenzione al disturbo da parte di quelle persone culturalmente più
dotate e viceversa una tendenza alla trascuratezza nel segnalare il disturbo
tra quelle meno dotate.
In
conclusione possiamo affermare che l'adozione di misure protettive nei
confronti della propria salute, e per alcune patologie, l'accessibilità alle
migliori cure (Costa, 1990; Davey Smith, 1990) sono i punti critici su cui è
possibile intervenire per abbattere le diseguaglianze in campo sanitario.
II
comportamento individuale è uno dei componenti fondamentali su cui bisogna
agire in maniera diretta per indirizzarlo verso l'assunzione di misure
personali di prevenzione nei confronti della propria salute. Questo presuppone
l'attivazione o il potenziamento di interventi di educazione sanitaria,
ovviamente tagliati e strutturati in funzione delle esigenze e delle capacità
di recepimento (ricezione) della popolazione individuata come la più bisognosa
di tali interventi.
Spetta inoltre
al Servizio sanitario nazionale eliminare i punti deboli della propria
organizzazione in relazione al principio di equità nella fornitura dei
prodotti sanitari (in termini di accesso alla qualità tecnica delle
prestazioni) per assicurare che ogni utente possa usufruire dei più aggiornati
interventi diagnostici e terapeutici senza discriminazione di cultura, razza e censo. La disparità e
la variabilità di trattamenti oggi presente, in parte probabilmente dovuti ad
una carente formazione del personale sanitario e in parte ad una cattiva
gestione delle risorse disponibili, può essere risolta solo attraverso il
coinvolgimento del personale sanitario e non, in programmi di formazione e
aggiornamento permanente.
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Tabella -
PREVALENZE STANDARDIZZATE (PSD) PER CENTO
Istruzione |
Diabete |
Malattie respiratorie croniche |
Ulcere gastroduodenali |
Malattie cardiache |
Malattie allergiche |
UOMINI |
|
|
|
|
|
|
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1987 1991 |
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1991 |
S/titolo |
3.18 4.56 4.20
3.96 |
18.02 14.74 13.77
15.40 |
9.90 10.80 9.01
5.12 |
5.37 5.37 4.62
3.26 |
2.31 2.28 2.09 |
Elementari |
3.54 4.11 3.44
3.95 |
14.90 10.79 9.14 6.99 |
8.15 8.33 6.73
5.11 |
4.10 4.10 3.75
3.73 |
2.90 2.17 2.26 |
Medie |
3.91 4.87 4.10
3.29 |
11.69 8.85 6.04 4.12 |
7.87 7.31 4.99
3.91 |
4.28 4.28 3.75
3.59 |
3.20 2.08 2.87 |
Superiori |
3.49 4.48 3.26
2.44 |
9.20 6.70 4.59 3.20 |
6.70 5.70 4.07
3.50 |
2.99 2.99 2.45
2.63 |
3.84 3.06 3.56 |
Laurea |
4.25 3.82 2.95
3.72 |
8.39 4.55 2.84 2.70 |
4.63 4.69 3.70
2.72 |
2.23 2.23 1.94
2.55 |
4.08 3.00 3.91 |
Totali |
3.43 4.18 3.59
3.21 |
14.35 10.18 7.84 5.63 |
7.91 7.59 5.69
4.01 |
4.01 4.01 3.50
3.31 |
3.27 2.65 3.13 |
|
|
|
|
|
|
DONNE |
|
|
|
|
|
|
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1987
1991 |
1980 1983 1991 |
S/titolo |
5.86 6.18 5.86
5.75 |
6.93 6.50 7.61 6.02 |
3.68 3.81 3.82
2.33 |
7.91 7.91 7.52
7.21 |
3.36 3.77 2.69 |
Elementari |
4.13 4.05 3.56
3.85 |
5.00 4.01 4.01 3.10 |
2.72 3.25 2.41
2.52 |
5.18 5.18 4.04
3.62 |
3.49 3.00 2.95 |
Medie |
2.62 2.44 3.51
2.68 |
3.95 3.63 2.83 2.95 |
3.09 2.72 2.45
1.76 |
3.86 3.86 2.95
2.88 |
3.82 2.78 3.95 |
Superiori |
1.56 2.29 2.44
2.50 |
5.04 2.74 2.45 1.33 |
2.22 2.70 1.58
2.47 |
3.73 3.73 2.88
2.11 |
4.99 3.28 4.21 |
Laurea |
1.42 0.86 2.57
0.82 |
4.22 2.13 1.48 1.71 |
1.39 1.63 0.84
1.56 |
1.41 1.41 1.47
0.80 |
5.15 2.81 3.21 |
Totali |
2.02 4.42 3.97
3.77 |
5.45 4.33 4.06 2.94 |
2.85 3.27 2.49
2.28 |
5.28 5.28 4.15
3.52 |
3.90 3.10 3.72 |
' I dati relativi al 1980 non sono disponibili
* Scuola di specializzazione in igiene e
medicina preventiva - Università degli studi di Torino.
"*
Dipartimento di sanità pubblica -
Università degli studi di Torino.
www.fondazionepromozionesociale.it