Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno 1996

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

RICERCA SULL'AFFIDO REALIZZATA A TRENTO

 

È stata presentata nel corso del convegno "L'affido familiare: risposta, risorsa, progetto" svoltosi a Trento il 18 maggio 1996 la ricerca realizzata a cura della Sezione ANFAA di Trento "Indagine conoscitiva sull'affido in Provincia di Trento - Il punto di vista delle famiglie affidata­rie ".

Il tema è stato affrontato partendo dall'espe­rienza di 48 affidatari che si sono resi disponibili per la compilazione del questionario.

Le famiglie affidatarie sono state contattate ed intervistate dal Dott. Fabio Moser, psicologo clini­co, che ha anche provveduto alla stesura del te­sto della ricerca. Egli è stato contattato apposita­mente dall'ANFAA come persona esterna all'As­sociazione per garantire alla ricerca stessa l'obiettività necessaria.

La ricerca è stata coordinata dalla Dott.ssa Ila­ria Bottanelli De Manincor, psicologa e psicotera­peuta, con la collaborazione dei soci ANFAA.

Ne riportiamo le conclusioni. Chi volesse rice­vere il testo completo può richiederlo all'ANFAA, Via Artisti 36, 10124 Torino.

 

Dal nostro lavoro volto a comprendere il punto di vista delle famiglie affidatarie rispetto al come hanno attraversato ed elaborato la loro espe­rienza, la prima impressione che se ne trae è che tale esperienza sia stata all'insegna dell'im­provvisazione.

Dai dati e dall'ascolto diretto delle famiglie si delinea una gestione degli affidi, e quindi della stessa scelta della famiglia affidataria, condotta nella maggior parte dei casi sotto la spinta dell'emergenza.

La famiglia che matura una propria disponibi­lità all'affido, a differenza della famiglia che vie­ne cercata per risolvere un'emergenza, è più pronta a cogliere ed affrontare le inevitabili tra­sformazioni che coinvolgono la coppia o la fami­glia intera, nel caso siano già presenti figli pro­pri. L'apertura di un nucleo familiare ad un nuo­vo membro, che inevitabilmente porta con sé un disagio relazionale più o meno profondo, richie­de ai genitori affidatari doti di solidità, chiarezza e disponibilità al cambiamento. E questo in quanto le diverse fasi dell'affido possono rimet­tere in discussione gli equilibri tra i coniugi, tra genitori e figli, portare a nuove alleanze e conflit­ti nella famiglia stessa.

È un dato che deve far pensare che in ben 7 casi su 48 gli affidatari abbiano sperimentato problemi gravi con i propri figli, problemi colle­gabili con l'affido, in 2 situazioni erano famiglie di parenti, in 5 casi famiglie di non parenti.

Gli affidatari, nell'impegnativo compito di ac­coglimento e accudimento, di responsabilità per il benessere dell'affidato, hanno a loro volta l'esigenza di un rapporto chiaro con un servizio competente che sappia fornire informazioni, for­mazione, ascolto e supporto per tutte le fasi dell'affido. Quasi metà delle famiglie interessate non si sono sentite coinvolte in un progetto di affido chiaro, con finalità e tempi definiti, o alme­no prevedibili nelle singole fasi. Ancora più alea­tori, o inesistenti, sono risultati essere i progetti educativi in cui era inserito il minore.

Abbiamo riscontrato poca chiarezza nella se­lezione delle famiglie. Sono emersi casi di cop­pie che, non potendo per vari motivi arrivare ad un'adozione, sono state dirottate sull'affido co­me sostituto dell'adozione stessa, con velata previsione di una futura trasformazione in ado­zione. L'iter dell'affido a rischio giuridico di ado­zione è una prassi già avviata da anni in altri contesti nazionali, ma per la sua complessità ri­chiede che la famiglia, i servizi, il Tribunale stes­so siano preparati a gestire rapporti liberi da mi­stificazione, che possono divenire inganno, e capaci di distinguere i due versanti affido/ado­zione riguardo al tempo ed al ruolo genitoriale, pur nell'incertezza dell'esito.

Se con l'adozione i genitori adottivi si sostitui­scono totalmente ad una famiglia mancante, o giudicata irrecuperabile, l'affido prevede l'affian­camento temporaneo a genitori non in grado per un periodo e per cause diverse di crescere i propri figli, senza però sostituirsi alle loro figure, se non nel ruolo temporaneo, e richiede la ca­pacità di tenere a bada il desiderio di "appro­priarsi" dell'affido.

Sono emerse dalla ricerca problematiche di­verse nel caso di affidi a parenti (14 su 48 quelli da noi incontrati, anche se nel '93 essi erano il 63% dei casi in provincia di Trento). Se per un verso l'affido intrafamilíare offre all'affidato una meno drammatica discontinuità di identità fami­liare, con una maggiore omogeneità di espe­rienza rispetto ai legami con la propria origine, da un altro verso spesso non offre una garanzia di adeguatezza alle finalità dell'affido. Tra i pa­renti affidatari si riscontrano più facilmente pro­blematiche materiali che contribuiscono a ren­dere precario l'affido stesso. Abbiamo rilevato condizioni fisiche ed economiche difficili di non­ne anziane e vedove con il minimo della pensione. In altre situazioni di affidi intraparentali si è evidenziata la difficoltà degli affidatari a sospen­dere giudizi di condanna verso i genitori del bambino in affido, o ancora, si sono riscontrati atteggiamenti non equilibrati dei primi verso il genitore del minore perché troppo coinvolti nelle cause del suo stesso disagio. Le famiglie di affi­datari risultano essere alle volte poco solide e quindi poco capaci di esercitare un equilibrato potere contrattuale con il servizio, forse perché vivono l'affido come un dovere ed un risarci­mento alle difficoltà dei congiunti ad essere ge­nitori. Da parte sua il servizio tende spesso a di­menticarsi di loro e a non considerare quello a parenti un vero e proprio affido.

Tra le famiglie intervistate i minori presentano età e situazioni molto eterogenee (29 tra zero e 6 anni, di cui 17 sotto i 3 anni); spesso vengono inseriti nel nucleo affidatario dopo lunghi periodi di semiabbandono in istituti o in famiglie inade­guate, o dopo esperienze multiple. Solo 16 mi­nori provengono direttamente dalla famiglia d'origine o hanno vissuto con almeno un genito­re presso i nonni. In 15 casi hanno storie di ripe­tuti passaggi tra istituti e/o affidi precedenti.

La storia precedente all'affido risulta essere in genere poco nota agli affidatari. La storia del bambino o del ragazzo potrebbe essere una ri­sorsa per rafforzare la sua identità e mantenere il suo desiderio verso la propria appartenenza, in vista di un suo rientro nella famiglia d'origine, o in vista di un suo inserimento nella società più ampia. Questa mancanza di informazioni sulle fi­gure genitoriali o sulle esperienze relazionali precedenti diviene invece una difficoltà ulteriore per la famiglia affidataria nel suo compito di chiarezza nella costruzione degli affetti e dei ruoli nel rapporto con l'affidato. Se manca uno spazio di memoria, soprattutto se gli incontri con i genitori naturali si rarefanno o per lunghi periodi si interrompono, può venire ad acuirsi il bisogno di appartenenza ed identificazione con i genitori affidatari, e può aggravarsi il conflitto di lealtà che già spesso si agita quando l'affidato si trova a vivere l'esperienza della doppia famiglia. È meno facile che ciò avvenga se esistono buo­ni (o ottimi) rapporti tra le due famiglie, affidata­rie e d'origine, situazione riscontrata in 21 casi (di cui 8 ottimi).

In genere abbiamo incontrato famiglie poco informate sulla legislazione e sulle finalità dell'affido, sui doveri e diritti dell'affidatario, sullo stesso senso che viene dato all'erogazione del contributo per le spese.

Molto spesso gli affidatari si ritrovano smarriti, se non infastiditi, di fronte alle complicazioni bu­rocratiche. Purtroppo gli aspetti che dovrebbero essere più semplici e banali, invece che essere assistiti o facilitati dai servizi stessi, risultano frequentemente complicatissimi e difficili da sbrogliare. Per chi si trova a dover affrontare se­ri problemi sociali, relazionali e psicologici con il nuovo arrivato, con la sua famiglia e con la ge­stione della propria famiglia, le difficoltà buro­cratiche diventano il segno di un disinteresse, se non di un disincentivo, verso una forma di at­tenzione ai più fragili, quale è l'affido.

Riguardo al percorso dell'affido, abbiamo ri­scontrato una grande eterogeneità, legata sicu­ramente alle molte variabili in causa:

- grado di recuperabilità della famiglia d'ori­gine;

- età e condizioni del minore;

- motivazione e disponibilità della famiglia af­fidataria a collaborare al progetto;

- capacità di gestire questo difficile strumen­to da parte di chi opera nel settore.

Una difficoltà richiamata spesso dalla famiglia affidataria e che può pregiudicare il buon anda­mento dell'affido, è il continuo susseguirsi di cambiamenti degli operatori del servizio sociale che ha in carico il progetto di affido. Questo al­ternarsi di figure provoca facilmente vuoti o cambiamenti repentini di linea, in un settore che avrebbe bisogno di continuità o di tenuta.

Si riconosce da parte delle famiglie affidatarie che un progetto sul minore e sulla sua famiglia, in certe situazioni può essere veramente difficile da definire, in quanto non è facile per i servizi giudicare a priori il grado di recuperabilità delle capacità allevanti della famiglia d'origine. II pro­getto può cambiare nel tempo a seconda delle esigenze del minore, e delle prospettive di rien­tro nel suo ambiente. Ma solo se gli affidatari si sentono coinvolti in un progetto, l'affido acquista per gli stessi un senso compiuto e non rischia di diventare mero parcheggio con alti costi in tensioni per la famiglia affidataria e l'affidato stesso.

Dalle interviste alle famiglie affidatarie emerge comunque in maniera drammatica la domanda sul tempo e sulle risorse che vengono effettiva­mente spese a favore del recupero delle fami­glie d'origine, per il superamento delle gravi e spesso molteplici problematiche di disagio che hanno indotto alla scelta di un affido. Così, per quanto riguarda la conclusione dell'affido, si ha l'impressione in diversi casi che anche in que­sta fase domini la casualità. Non sempre la fine dell'affido è la conclusione prevedibile di un progetto conosciuta da tutte le parti coinvolte, è spesso solo la fine dell'emergenza.

Conforta osservare che pur di fronte alla com­plessità delle difficoltà e delle domande che le famiglie affidatarie hanno incontrato o si sono poste sul loro percorso, pur considerando che solo 18 su 48 affidi erano conclusi al momento dei colloqui, la quasi totalità giudica buona o ot­tima per la propria famiglia l'esperienza dell'affi­do. C'è però da tenere presente che questo giu­dizio espresso dagli interessati è contempora­neamente anche un giudizio sulle proprie capa­cità come coppia adeguata a gestire una fami­glia per l'affido.

Un ultimo dato viene a confermare comunque la positività dell'esperienza nel suo complesso per le famiglie affidatarie: in ben 20 casi sareb­bero disponibili a ripetere l'esperienza dell'affi­do. Nei 23 casi non più disponibili, sono 8 le coppie che lo escludono per limiti di età. In altri 5 casi ci dovrebbero pensare prima di offrire una ulteriore disponibilità. C'è da considerare comunque che 30 affidi erano ancora in corso al momento dell'intervista.

 

La situazione attuale (1995)

 

Nei due anni trascorsi dal momento dell'inter­vista, qualcosa è cambiato rispetto all'affido, an­che se non abbiamo dati certi. Quindi ancora una volta riportiamo le impressioni e le espe­rienze ascoltate tra le famiglie affidatarie.

Certamente l'ente pubblico ha avviato alcuni cambiamenti; ha preso corpo il Gruppo centrale per l'affido, che sta cercando un equilibrio tra i propri molti componenti ed una propria conse­guente capacità organizzativa.

L'Assessorato provinciale alla sanità ed attivi­tà sociali ha invitato le famiglie affidatarie ad un paio di incontri informativi e di ascolto.

Il Comune di Trento, il Comune di Rovereto, il Comprensorio C5, attraverso i propri servizi, stanno lavorando, d'intesa con le associazioni di volontariato quali la nostra, per informare e coinvolgere la popolazione sul tema dell'affido.

Di fatto però alcune esperienze raccolte nell'ultimo periodo ci fanno pensare che con­cretamente il percorso affido non sia cambiato granché. Rimane da costruire un quadro ben chiaro della domanda e dell'offerta; aperta è la questione dell'appoggio specialistico sul territo­rio in caso di necessità, per una risposta alle difficoltà che la relazione tra affidato, affidatario a volte propone; aperto è il problema della ca­pacità di lavorare in équipe tra i vari operatori coinvolti nel progetto d'affido.

Spesso ancora oggi, come in passato, il per­corso di un singolo affido cambia indipendente­mente dalla buona volontà di chi segue l'affido stesso, non essendo ancora attuati il coordina­mento e la supervisione di figure professionali che sappiano muoversi secondo un iter proce­durale per quanto possibile standardizzato e nel­lo stesso tempo agevole e mirato quale è neces­sario in un campo complesso e pieno di variabili.

Riteniamo che questo nostro lavoro avrà rag­giunto il suo scopo di confronto su obiettivi co­muni se servirà ad avvicinare quanti a diverso ti­tolo operano nel campo dei minori con difficoltà familiare alle molte problematiche e possibilità offerte dallo strumento dell'affido, caldeggiato come risorsa primaria dalla legge 184 del 1983.

 

 

MEGLIO TARDI CHE MAI

 

Sul n. 97, gennaio-marzo 1992, Prospettive assistenziali aveva pubblicato la ferma presa di posizione assunta dal Presidente dell'Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie contro la trasmissione televisiva "Fatti vostri" del 17 gennaio 1992 in cui era stato riaperto il caso della piccola Serena Cruz ed erano stati manda­ti in onda «gli interventi falsi e calunniosi della signora Giubergia, sostenuta dall'Aw. Marazzita, legale della signora stessa».

In particolare l'ANFAA aveva espresso il pro­fondo sdegno in quanto nella trasmissione «è stato violato il diritto alla riservatezza di una bam­bina già negli anni scorsi ripetutamente violato dai rriezzi di informazione» ed aveva stigmatizza­to «la superficialità e la spregiudicatezza con cui i responsabili di "Fatti vostri" hanno presentato la vicenda non rispettando la Carta dei diritti degli Utenti RAI-TV e la legge 184/1983».

Apprendiamo ora con viva soddisfazione (cfr. la Repubblica dell'8 maggio 1996) che Fabrizio Frizzi, che aveva condotto "Fatti vostri" ha di­chiarato quanto segue: «Anch'io ho sbagliato, anni fa, quando trattai il caso Serena Cruz».

 

 

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