Prospettive assistenziali, n. 114, aprile-giugno 1996

 

 

ANCHE LA REGIONE PIEMONTE RICONOSCE CHE I PARENTI DEGLI ASSISTITI NON SONO TENUTI A VERSARE CONTRIBUTI ECONOMICI, MA...

 

 

Con nota del 7 marzo 1996, prot. 260/SP, l'As­sessore all'assistenza della Regione Piemonte ha risposto all'interrogazione n. 430 così formu­lata:

 

«Il sottoscritto Pier Luigi Rubatto, Consigliere regionale del Gruppo "Alleanza Pensionati Euro­pei”

ritenendo

che la richiesta di contributi economici avanza­ta da molteplici Enti pubblici di assistenza nei confronti dei parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di persone assistite maggiorenni, è as­solutamente illegale, in quanto non prevista da alcuna disposizione

considerando

che molto spesso gli Enti pubblici (Comuni, Pro­vince, Unità sanitarie locali) pretendono contribu­ti economici dai parenti delle persone maggio­renni assistite ed in alcuni casi si fanno firmare delle impegnative di spesa

essendo noto

che anche nella nostra Regione vengono attuate tali richieste di sottoscrizione da parte delle fami­glie degli assistiti con lo spauracchio che, in caso di non apposizione di firma ad impegnative di in­terventi contributivi da parte della famiglia stessa nei riguardi del ricoverato, potrebbero anche es­sere rifiutate prestazioni

si interroga

l'Assessore alla sanità della Regione Piemonte e l'Assessore all'assistenza per sapere se tali voci rispondono a verità e come si comportano i Co­muni del Piemonte, le Province e le Unità sanita­rie locali rispetto a tale normativa che esclude che l'Amministrazione pubblica possa imporre ai familiari dell'utente dei servizi socio-assistenziali la partecipazione alle relative spese di gestione, qualora i familiari medesimi siano tenuti agli ali­menti».

All'interrogazione è stata fornita la seguente risposta: «Ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 616/77 i servizi e le prestazioni attinenti alla materia "be­neficenza pubblica" possono essere erogati in forma gratuita o a pagamento.

«Per quanto concerne, in particolare, l'inseri­mento in presidi per anziani, la delibera della Giunta regionale 41-42433 del 9.1.1995 chiari­sce che, mentre la quota sanitaria della tariffa è posta a carico dell'USL, la quota alberghiera gra­va sull'assistito. Qualora il ricoverato non sia in grado di provvedere integralmente al pagamento della quota a suo carico, l'ente pubblico compe­tente, previo accertamento della sussistenza dei necessari requisiti reddituali dell'utente, è tenuto all'integrazione della retta di degenza.

«L'art. 433 del Codice civile individua, a sua volta, le persone obbligate a prestare gli alimenti e riporta l'elenco dei tenuti in ordine di priorità all'obbligo.

«L'obbligazione legale degli alimenti trova fon­damento nel dovere della reciproca assistenza e della solidarietà in relazione ai bisogni essenziali per la vita che da sempre ha regolato le relazioni nell'ambito del gruppo familiare.

«L'esistenza di un obbligo a corrispondere gli alimenti da parte dei tenuti ex art. 433 del Codice civile, quando ricorrano le condizioni previste dallo stesso articolo, è pertanto pacificamente ri­conosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

«Il riferimento all'obbligo alimentare, presente nelle deliberazioni degli enti gestori delle attività socio-assistenziali (come pure nella delibera del­la Giunta regionale 41142433 del 9.1.1995) è quindi legittimo: quando l'ente pubblico provvede all'assistenza ed al sostentamento del soggetto che all'ente stesso viene affidato, non per questo viene meno l'obbligo privatistico di corrispondere gli alimenti a norma dell'articolo sopra citato.

«In che modo le persone individuate dal Codi­ce civile sono tenute alla corresponsione degli alimenti quando tale corresponsione non è diret­ta nei confronti del soggetto bisognoso, ma me­diata dall'intervento di un ente pubblico, in quan­to lo stesso soggetto necessita di ricovero in strutture idonee?

«La temporanea mancanza di norme che rego­lamentino le modalità di imposizione, in una par­ticolare situazione, degli obblighi derivanti dall’art. 433 del Codice civile sembrano indurre lo stesso Ministero per la famiglia e la solidarietà so­ciale, a suggerire, nella nota Dasl13811/1/Hl795 (1), la stipulazione di un accordo preliminare tra enti gestori e familiari degli assistiti.

«Un accordo convenzionale tra le parti potreb­be liberamente e legittimamente essere stipulato, come indica la nota stessa, e derivare ai familiari degli assistiti, attraverso la volontaria assunzione di oneri, impegni ed obblighi.

Per quanto concerne ipotetiche costrizioni ad impegnative che verrebbero imposte, nella no­stra Regione, ai familiari degli assistiti, a questo Assessorato non risulta che gli enti gestori delle attività socio-assistenziali abbiano adottato me­todi ricattatori, minacciando il rifiuto di prestazio­ni, nei confronti delle persone tenute o non tenu­te alla corresponsione degli alimenti».

 

Alcune precisazioni

 

Finalmente, dopo anni di colpevole ritardo, la Regione Piemonte riconosce che i parenti degli assistiti maggiorenni, compresi quelli tenuti agli alimenti, non sono tenuti a versare contributi economici agli enti pubblici.

Parliamo di colpevole ritardo in quanto da quasi un decennio il CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, aveva pre­sentato alla Regione Piemonte la documentazio­ne da cui risultava la mancanza di leggi che consentissero agli enti pubblici di imporre le contribuzioni (2).

Entrando nel merito della citata risposta della Regione Piemonte all'interrogazione del Consi­gliere Rubatto, non si può fare a meno di osser­vare quanto sia falsa l'affermazione secondo cui attualmente vi sarebbe una «temporanea man­canza di norme che regolamentino le modalità di imposizione» in quanto disposizioni al riguardo non sono mai state approvate dagli organi com­petenti.

Ciò nonostante diversi Comuni e USL del Pie­monte (analoghe considerazioni valgono per tut­te le altre zone del nostro Paese) continuano co­me se nulla fosse a non tener conto delle norme vigenti e dei pareri della Presidenza del Consi­glio dei Ministri e del Ministero dell'interno, e della decisione del CORECO di Torino, a non osservare la lettera circolare della Regione Pie­monte ad essi trasmessa in data 23 dicembre 1994.

Si ricorda che la circolare stabilisce che nes­sun contributo economico può essere richiesto ai parenti di handicappati maggiorenni ricoverati in strutture residenziali o frequentanti i centri diurni (3).

Come se non bastasse, la Giunta della Regione Piemonte, contravvenendo alle proprie di­sposizioni, ha approvato il 19 febbraio 1996 la delibera n. 82-6189 in cui è previsto che il recu­pero della quota alberghiera a carico dei sog­getti ricoverati presso residenze sanitarie assi­stenziali (4) possa essere disposto «assicurando l'intervento economico dei parenti tenuti al man­tenimento ai sensi dell'art. 433 del Codice civile».

 

 

(1) Si tratta della lettera inviata il 29 ottobre 1995 al CSA dall'Avvocato dello Stato Enrico De Giovanni, Capo dell'Uf­ficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la famiglia e la solidarietà sociale, che ripor­tiamo integralmente:

«Esaminata la documentazione trasmessa, questo Dipar­timento ritiene di poter escludere, in via generale, che l'Am­ministrazione possa imporre ai familiari dell'utente dei ser­vizi socio-assistenziali la partecipazione alle relative spese di gestione, qualora i familiari medesimi siano tenuti agli ali­menti.

«In base all'art. 23 della nostra Carta costituzionale infat­ti, nessuna partecipazione patrimoniale può essere imposta se non in base a legge: ne consegue che un obbligo di con­tribuzione che non abbia espresso fondamento in una di­sposizione avente forza e valore di legge, non potrebbe es­sere imposto, perché sembrerebbe in contrasto con l'anzi­detto fondamento costituzionale.

«Sulla base di tali premesse si ritiene che un onere a ca­rico dell'indicata categoria potrebbe derivare soltanto da un accordo convenzionale tra le parti interessate e quindi dalla volontaria assunzione del correlativo obbligo da parte dei familiari, pur se tenuti agli alimenti».

(2) Ancora una volta ricordiamo che la posizione del CSA è sostenuta dal parere del Ministero dell'interno del 27 dicembre 1993, dalle note della Presidenza del Consi­glio dei Ministri del 15 aprile 1994 e del 25 ottobre 1995, dalla comunicazione della Provincia di Torino al CSA del 16 settembre 1994 e dal provvedimento del CORECO di Torino del 21 dicembre 1995. AI riguardo si veda l'articolo "il CORECO conferma che gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti degli assistiti», apparso su Prospettive assistenziali, n. 113, gennaio-marzo 1996.

(3) In particolare, la circolare regionale stabilisce quan­to segue: «Si conferma il principio della necessarietà di una contribuzione dei soggetti portatori di handicap al costo delle prestazioni di mensa e trasporto per la frequenza ai centri diurni, secondo le modalità indicate nella nota 3371/ 530 del 4.5.1992.

«Si precisa tuttavia che la quota a carico degli utenti do­vrà essere calcolata sulla base del reddito individuale, com­prensivo della pensione/i e di altri redditi, con esclusione dell'indennità di accompagnamento.

«Sono esentati dalla contribuzione al costo dei servizi of­ferti dai centri diurni i soggetti il cui reddito individuale sia inferiore al minimo vitale stabilito dagli enti gestori della funzione socio-assistenziale.

«Si sottolinea altresì l'importanza dell'attivazione dei cen­tri diurni per fornire un concreto aiuto ai soggetti in stato di difficoltà, anche al fine di una possibile riduzione dei ricove­ri in istituto».

(4) In base alle leggi vigenti, la cura dei malati «acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti» (art. 29 della legge 132/1968) presso strutture sanitarie è gratuita. Pertanto non è legittima neppure l'imposizione di contributi a carico dei ricoverati della cosiddetta quota alberghiera.

 

 

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