Prospettive assistenziali, n. 113, gennaio-marzo 1996

 

 

NO ALL'ADOZIONE DI UNA BAMBINA DI CINQUE ANNI DA PARTE DI UNA SETTANTENNE

 

 

Riportiamo il testo del ricorso (da noi piena­mente condiviso) presentato in data 10 febbraio 1995 dal Procuratore della Repubblica de L'Aquila contro la decisione del locale Tribunale per i minorenni.

Con ricorso del 17 dicembre 1993 - 10 feb­braio 1994 la signora L.E., nata a R. il 23 agosto 1925 e residente a V. in via L., coniugata con M.C., nato a R. il 15 aprile 1950, chiedeva l'ado­zione ex art. 44 lett. b) legge 184/83 della mino­re V.C., nata a R. il 2 luglio 1989, riconosciuta come figlia naturale dal marito, facendo presen­te che la piccola era vissuta con lei dall'età di tre mesi; che la madre naturale, A.M.R., dedita all'attività di artista, dopo l'avvenuto riconosci­mento non aveva più dato alcuna notizia di sé, e che la bimba aveva stabilito un buon rapporto con la ricorrente.

All'esito della compiuta istruttoria (nel corso della quale il M.C. prestava il consenso all'ado­zione, mentre non veniva acquisito l'assenso della madre naturale), richiesto del parere, que­sto P.M. il 28 dicembre 1994, così rispondeva: «II P.M. esprime parere contrario all'adozione, dato l'enorme divario di età tra adottante e minore (quasi settantenne L.E., mentre la piccola ha 5 anni), perché L.E. è separata di fatto dal marito (di 25 anni più giovane e che convive con una donna quarantasettenne) e perché L.E. non è in buone condizioni psichiche (è seguita da una psicoterapeuta). È contro natura parlare di rap­porto madre-figlia tra una settantenne ed una bimba di cinque anni. Inoltre, la L.E. è separata di fatto da M.C., padre della minore; e manca, al­tresì, l'assenso della madre naturale, signora A.M.R. (art. 46 legge 184/83)».

Con decreto del 27 gennaio 1995, l'adito Tri­bunale decideva farsi luogo alla chiesta adozio­ne, disponendo, altresì, che la minore conser­vasse il cognome di origine. Tale decisione, ad avviso del P.M., appare erronea e contraria all'interesse della piccola V.C. per le seguenti brevi considerazioni.

1. II primo punto che può e deve muoversi all'imputato decreto, è che esso non ha saputo cogliere la profonda evoluzione dell'adozione in casi particolari (corrispondente, per i minori, all'ex adozione ordinaria), che ha continuato a considerare come un'adozione tradizionale, di carattere esclusivamente patrimoniale e suc­cessorio, senza rilevarne l'avvenuta trasfor­mazione legislativa in istituto di protezione del­lo sviluppo della personalità psico-fisica del mi­nore.

È noto che l'adozione di tradizione romanisti­ca intendeva dare un erede alle persone che fossero prive di discendenti, affinché l'adottante potesse trasmettere all'adottato (erede) il pro­prio nome e patrimonio: l'erede era il continua­tore della personalità giuridica del defunto, su­bentrava nella sua stessa posizione giuridica (successio in locum et ius).

È, però, del pari noto che con le leggi 5 giu­gno 1967 n. 431 (c.d. adozione speciale) e 4 maggio 1983 n. 184 (adozione legittimante) l'adozione è stata considerata non più come isti­tuto puramente patrimoniale e successorio, co­me mezzo di trasmissione del patrimonio, bensì come strumento di promozione dello sviluppo della personalità del minore (cfr. Cass. 27 marzo 1975 n. 1162: «II sistema instaurato dalla legge 5 giugno 1967 n. 431 mira a tutelare non inte­ressi patrimoniali o di discendenza, ma unica­mente l'interesse del minore a svilupparsi in se­no ad una famiglia cui sia legato da vincoli affet­tivi»; Cass. 5 gennaio 1972 n. 11; Cass. 25 feb­braio 1975 n. 749, ecc.).

L'evoluzione della finalità dell'adozione ordi­naria (il cui scopo, ritenuto, in un primo momen­to, esclusivamente patrimoniale e in un secondo momento anche personale o di protezione della persona del minore, a seguito della legge 431/ 67 aveva perso connotato patrimoniale, divenu­to secondario, per acquistare il fondamentale carattere personale) per influsso della disciplina dell'adozione speciale può essere rilevata ictu oculi dal raffronto tra le decisioni giurispruden­ziali anteriori e successive alla legge 431167, in quanto, mentre le prime affermavano che il dare una famiglia a chi non l'avesse era una finalità «non essenziale» dell'adozione ordinaria, la cui funzione «principale, essenziale e connaturale« ad essa era solo «il procurare all'adottato il be­neficio patrimoniale di poter essere erede legit­timo o legittimario dell'adottante» (Cass. 5 no­vembre 1959 n. 3277), tutte le pronunce suc­cessive al 1967 sottolineano che finalità essen­ziale dell'adozione ordinaria è quella di dare al minore una famiglia, onde la funzione patrimo­niale dell'istituto deve ritenersi «storicamente superata» e comunque secondaria (cfr. Trib. min. Milano 7 giugno 1968, in Giur. it, 1969, I, 2, 313; App. Milano 27 luglio 1970, ivi, 1971, I, 2, 514; Trib. min. Roma 14 maggio 1973, ivi, I, 2, 430; Trib. min. Perugia 14 giugno 1974, in Foro it., 1975, 1, 721).

Anche la Suprema Corte (Cass. 13 gennaio 1978 n. 156, in Foro it., 1978, I, 304 ss.) ha rile­vato al riguardo: «Anche l'adozione ordinaria (e salva l'opportunità di mantenerla in vita) per por­si in sintonia con la Costituzione, quando con­cerne minori (specialmente se di età inferiore agli otto anni), postula come finalità essenziale non già la continuazione del nucleo familiare o la trasmissione del nome e del patrimonio, ma l'inserimento dell'adottando in un nucleo familia­re adeguato alle sue esigenze psicofisiche... L'ordinamento diffida della idoneità in linea di principio di genitori ultracinquantenni a svolgere funzioni di allevamento ed educative nei con­fronti di neonati».

Alla luce di tali rilievi sembra lecito ritenere che il Tribunale ha considerato l'interesse della L.E. ad assicurarsi un erede, al quale trasmette­re il proprio nome e il patrimonio, e non già l'in­teresse (che per legge dovrebbe essere preva­lente su qualsiasi contrario interesse) della mi­nore ad avere una famiglia capace di favorirne il pieno ed armonico sviluppo della personalità. Nella laconica (ed apodittica) motivazione del decreto si dice che l'adozione conviene alla mi­nore, ma, a ben vedere, non si riesce a capire su quali elementi o circostanze di fatto tale as­serzione si fondi: il Tribunale, ha, forse, giudica­to l'adozione utile alla minore perché L.E. risulta dagli atti essere una persona facoltosa (onde la bimba erediterebbe, a tempo debito, un consi­stente patrimonio); ma, se così fosse, i giudici avrebbero continuato a considerare l'adozione dei minori un istituto esclusivamente patrimonia­le e non ne avrebbero colto l'avvenuta trasfor­mazione in un istituto personale, di tutela della personalità del minore, di garanzia del pieno svi­luppo della sua personalità (artt. 2 e 3 Cost.).

2. II decreto in esame, che afferma apodittica­mente che «ricorrono le circostanze di cui al ci­tato art. 44 lett. b) legge 184/83» e che «I'adozio­ne realizza il preminente interesse della minore», ad avviso di questo P.M. ha malamente interpre­tato tale interesse, facendo affermazioni astratte e non aderenti alla concreta realtà storico-pro­cessuale.

Giova sottolineare, quanto all'interesse del mi­nore (richiesto espressamente dall'art. 57 legge 184/83), che entrambe le forme di adozione (le­gittimante ed in casi particolari) mirano a garan­tire l'educazione del minore in un'idonea fami­glia che sia capace di promuovere il pieno svi­luppo della sua personalità. A tal uopo è neces­sario che «l'educazione», specialmente quando,

come nella specie, si tratti di un minore in tenera età, sia impartita ai figli da entrambi i genitori (cioè da una famiglia completa di tutte e due le figure genitoriali, considerate entrambe indi­spensabili dalle scienze umane - psicologia, pedagogia, psichiatria, ecc. - per un corretto processo educativo e per il pieno sviluppo della personalità del minore) e da valide figure genito­riali di riferimento. Quanto, in particolare, alla va­lidità di veri modelli educativi nei quali i minori possano identificarsi, è indispensabile che an­che la famiglia adottiva trovi corrispondenza nei modelli biologici e, in particolare, che tra genito­ri e figli sussista un divario di età che normal­mente intercorre tra generanti e generati.

La Corte costituzionale (sentenze n. 11 del 1981, n. 189 del 1986, n. 183 del 1988, n. 44 del 1990) ha ripetutamente ammonito che anche l'adozione ordinaria (o in casi particolari), per porsi in armonia con la Costituzione, deve salva­guardare i fondamentali interessi del minore ed, in particolare, assicurare che tra genitori e figli ricorra una congrua distanza temporale, equi­parabile a quella biologica (adoptio naturam imi­tatur), in modo da garantire agli adottati mino­renni delle valide figure genitoriali, ossia dei veri genitori e non dei nonni. Ed anche la Suprema Corte, che pure si è mostrata oscillante sul pun­to se le differenze di età tra adottanti ed adottato costituiscano o meno un principio fondamentale o di ordine pubblico del nostro ordinamento (in senso negativo, cfr. Cass. 11 gennaio 1988 n. 67; in senso affermativo, cfr. Cass. 7 settembre 1991 n. 9444), ha, però, sempre ritenuto indi­spensabile che anche l'adozione ordinaria (o in casi particolari) assicuri «una congrua distanza, equiparabile a quella biologica tra genitori e fi­gli» (così Cass. 11 gennaio 1988 n. 67) (nello stesso senso, cfr. Procura min. L'Aquila 1 otto­bre 1991, in Nuovo diritto, 1991, 925: «Anche l'adozione in casi particolari (ex adozione ordi­naria), per porsi in armonia con la Costituzione, deve salvaguardare i fondamentali interessi del minore e, in particolare, assicurare che tra geni­tori e figli ricorra una congrua distanza tempora­le, equiparabile a quella biologica, in modo da garantire agli adottati minorenni delle valide figure genitoriali. Non può, pertanto, essere ac­colta la domanda di adozione di un minore ex art. 44 lettera b) della legge 184/83 da parte di una persona dell'età di 80 anni ed avente 70 an­ni più del minore, addicendosi a tale persona più il ruolo di nonno, che quello di genitore»).

Anche la dottrina è dello stesso avviso (cfr., in tal senso, Del Core, Situazione di abbandono e forza maggiore nella nuova legge sull'adozione, in Nuovo diritto, 1984, 505: «Più in generale va detto che il diritto del minore ad una famiglia tro­va la sua attuazione ottimale in un contesto fa­miliare in cui i ruoli materno e paterno trovano una corrispondenza nei modelli biologici. Le fi­gure dei genitori, infatti, non possono essere fa­cilmente surrogate da quelle dei nonni. Questi sono quasi sempre anziani, onde non sono in grado di prodigarsi in favore del minore con quell'impegno che, di regola, assorbe tutte le energie giovanili dei genitori. Inoltre, e qui sta l'aspetto più importante, il salto generazionale aggrava le difficoltà connesse con l'opera edu­cativa, perché, per come è dettame della comu­ne esperienza, maggiore è il divario di età tra detentori della funzione educativa e soggetti da educare, maggiore è il rischio di conflitti e in­comprensioni... Della necessità dell'uso di tale cautela può cogliersi un indiretto monito nella nuova legge, che sancisce la sostanziale inido­neità degli ultraquarantenni ad allevare un neo­nato»).

II decreto in parola non ha tenuto alcun conto di tali chiari ed inequivocabili moniti, essendosi limitato ad asserire apoditticamente che sussi­stono i requisiti richiesti dalla legge, mentre non ha dato alcun peso alla circostanza, evidenziata dal P.M. nel suo parere, che nella specie L.E. ha 65 anni più della piccola V.C., onde, a ragione, all'istante si addiceva più il ruolo di nonna (o bisnonna) anziché quello di madre, con la con­seguenza che l'accoglimento della richiesta di adozione non può dare alla bimba una valida e sostanziale figura materna; e con l'ulteriore con­seguenza che l'adozione avrebbe una funzione esclusivamente patrimoniale e che l'istituto adottivo, ridotto ad uno strumento puramente patrimoniale, viene meno alla sua essenziale funzione di promozione dello sviluppo della per­sonalità della minore, ponendosi in contrasto con i principi costituzionali che tale sviluppo ga­rantiscono.

Né a far ritenere sussistente nella specie l'in­teresse della piccola V.C. all'adozione può ba­stare il rilievo che la «minore è già ben inserita ed integrata sin dalla nascita nel nucleo familia­re dell'adottante», perché, anzitutto, occorre rile­vare che V.C. per molto tempo è vissuta col pa­dre e con L.E. e non ha vissuto sin dalla nascita solo con L.E., mentre tale nuova situazione si è verificata solo dal 1992 (due anni fa circa), onde il Tribunale avrebbe dovuto verificare se, a se­guito della separazione di fatto dei coniugi per la convivenza intrapresa da M.C. con una donna più giovane, la convivenza della minore solo con L.E. abbia o meno avuto ripercussioni sulla psi­che della minore. Ma, anche ammesso che la bimba abbia vissuto e viva serenamente con L.E., non bisognava dimenticare che una bimba piccola ha bisogno, per una corretta evo­luzione della sua personalità, anche della pre­senza educatrice di una figura paterna (funzione educatrice che non può essere assicurata da brevi, fugaci e sporadici incontri col padre, con la piccola non più convivente); e, soprattutto, il Tribunale, prima di giungere alla conclusione che era interesse della minore restare a vivere con L.E. si sarebbe dovuto chiedere cosa avver­rà della bimba quando L.E., settantenne, in un futuro più o meno prossimo, verrà a mancare, essendo facile prevedere che, in tal caso, la mi­nore resterà sola in tenera età ed in una delicata fase della sua vita evolutiva. E nel valutare il rea­le interesse della minore il Tribunale non avreb­be dovuto considerare soltanto il lungo tempo trascorso dalla bimba con L.E. (non avrebbe do­vuto, cioè, dare decisiva ed esclusiva rilevanza al passato), ma avrebbe dovuto valutare l'inte­resse della minore anche in una prospettiva fu­tura, considerando l'inidoneità di L.E. a rappre­sentare una vera figura materna e, soprattutto, il probabile venir meno della stessa per la sua età (nel senso dell'irrilevanza del solo passato o vis­suto anche positivo, cfr. Trib. min. Torino 16 marzo 1987, in Dir. fam., 1988, 922: «Pur in pre­senza di validi e consolidati rapporti affettivi tra il minore e la persona richiedente l'adozione in casi particolari, con la quale il minore pur viva da alcuni anni, non può farsi luogo all'adozione allorché risulti acclarata l'incapacità, presumi­bilmente irreversibile, dell'istante ad offrire al minore un ambiente familiare idoneo alla sua crescita»).

3. II Tribunale ha affermato che ricorrevano, nella specie, le condizioni volute dalla legge per far luogo all'adozione, senza accorgersi che, al contrario, nel caso in esame la ratio dell'ant. 44 lettera b) non era in concreto realizzabile.

Ed invero la Corte costituzionale nella senten­za 2 febbraio 1990 n. 44 (in Giur. it., 1990, I, 1, 1195 ss.) ha precisato che la particolare specie di adozione prevista dall'art. 44 lettera b) legge 184/83 è ispirata al fine di consolidare l'unità fa­miliare «agevolando l'inserimento in essa del mi­nore che sia figlio (anche adottivo) di uno solo dei coniugi, ed in particolare evitando il disagio sociale e le disarmonie nella formazione morale e psicologica che possono derivargli dal restare estraneo all'altro coniuge, pur se a lui affettiva­mente legato, e dal portare un cognome diverso da quello degli altri figli facenti parte del mede­simo nucleo familiare... II ricorso all'adozione ex art. 44, primo comma lettera b), evitando le con­seguenze dello scenario descritto, agevola più compiuta unione della coppia e della prole».

«L'adozione, in questa ipotesi, tende a dare una "famiglia" ad un minore che non si trova in stato di abbandono, in quanto ha già la titolarità formale e sostanziale del rapporto di filiazione nei riguardi di un genitore ed al quale si vuole, quindi, garantire solo la presenza anche dell'al­tra figura di genitore... Nell'ipotesi prevista dall'art. 44 lettera b) il singolo può adottare solo se coniugato e non separato neppure di fatto (tranne l'ipotesi che nelle more del procedimen­to sopravvenga la morte del genitore di origine). L'art. 44, comma 4, testimonia ancora una volta la volontà del legislatore di inserire nella manie­ra più ampia il minore in una comunità familiare, al fine di tutelare il suo interesse a svilupparsi come persona, onde il rapporto adottivo non può essere circoscritto, in caso di comunità co­niugale, ad uno solo dei coniugi, come avviene nell'adozione dei maggiorenni» (così L. Rossi Carleo, L'affidamento e le adozioni, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Utet, 1986, 294, 401).

Se lo scopo dell'art. 44 lett. b) è quello di con­solidare l'unità della famiglia, di dare una «fami­glia» (cioè entrambe le figure genitoriali) ad un minore che abbia già solo un genitore, è eviden­te che l'applicabilità dell'art. 44 lettera b) postula che sia tuttora sussistente l'unità familiare, men­tre non è possibile consolidare tale unità familia­re quando essa sia venuta meno, come nel caso di specie, poiché emerge chiaramente ed ine­quivocabilmente dagli atti che L.E. ed M.C. si so­no separati di fatto, da oltre due anni, avendo M.C. abbandonato la coniuge anziana per anda­re a convivere con una donna molto più giovane di LE. e quasi coetanea di lui. Data tale situazio­ne di fatto, nel caso di specie l'adozione non po­teva servire a dare a V.C. una famiglia completa, e cioè, oltre al padre, anche la L.E. per madre, ma solo L.E. (onde non poteva parlarsi di conso­lidamento di unità familiare, di fatto da tempo ve­nuta meno).

4. Altro requisito che difettava nel caso di specie e che rappresentava un ostacolo all'ac­coglimento della domanda di adozione è la mancata acquisizione dell'assenso dell'altro genitore, e cioè della madre naturale della minore, A.M.R. Tale omissione concreta la vio­lazione dell'art. 46 della legge 4 maggio 1983 n. 184.

È vero che l'ultimo comma dell'art. 46 cit. di­spone espressamente che «parimenti il Tribuna­le può pronunciare l'adozione quando è impos­sibile ottenere l'assenso per incapacità o irrepe­ribilità delle persone chiamate ad esprimerlo».

Ma è altrettanto vero che, prima di ritenere A.M.R. irreperibile, il Tribunale avrebbe dovuto compiere tutti gli accertamenti previsti dagli artt. 140-143 c.p.c., accertamenti ed adempimenti del tutto omessi e che, perciò, inficiano la validi­tà del censurato decreto.

5. L'impugnato decreto, infine, contiene un'ul­teriore violazione di legge nella parte in cui di­spone che la minore conservi il cognome di ori­gine.

È noto che l'adozione in casi particolari (corri­spondente, per i minori, all'ex adozione ordina­ria) non ha effetti legittimanti (a differenza dell'adozione piena o legittimante) e non inter­rompe perciò i legami dell'adottato con la fami­glia di origine (cfr. art. 300 c.c.: l'adottato «con­serva tutti i diritti ed i doveri verso la famiglia di origine»). Con l'adozione particolare l'adottato acquista una nuova famiglia, senza perdere quella di origine, onde nell'adottato con adozio­ne particolare coesiste un doppio status. Con­seguenza di tale doppio status è l'assunzione del doppio cognome (cfr., in tal senso, A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell'adozione e dell'affi­damento dei minori, Giuffrè, 1993, 524: «L'as­sunzione del cognome dell'adottante è una con­seguenza del nuovo status di figlio adottivo, mentre il mantenimento dei due cognomi di­scende dal fatto che, attesa la permanenza dei rapporti con la famiglia di origine, nell'adottato coesiste un doppio status»; E. Talone, in Le nuo­ve leggi civili commentate, 1984, 201: «II cogno­me di origine e di adozione testimoniano il dop­pio status dell'adottato e I'anteposizione del co­gnome di adozione il particolare favore del le­gislatore per il rapporto di adozione»).

La minore, perciò, a seguito dell'adozione, si sarebbe dovuta chiamare E.C.V., ex artt. 55 leg­ge 184/83 e 299, comma 1 c.c.

Quanto al cognome dei minori che (come V.) siano figli naturali riconosciuti e poi adottati con adozione particolare, ritiene questo P.M. che la regola da seguire sia quella posta dall'art. 299, comma 1 c.c., non sembrando condivisibile l'af­fermazione secondo la quale tali minori dovreb­bero assumere solo il cognome dell'adottante, sostituendolo al proprio (così Trib. min. Roma 21 gennaio 1985, in Dir, giur., 1985, 423). È stato esattamente notato (E. Talone, op. cit., 202 ss.) che «la sola interpretazione in armonia con il si­stema della legge sia I'anteposizione del cogno­me d'adozione, secondo le regole generali: solo così si tutela la condizione paritaria dei figli rico­nosciuti rispetto a quelli legittimi anche nel dirit­to a conservare il proprio cognome di origine».

 

 

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