Prospettive assistenziali, n. 113, gennaio-marzo 1996

 

 

L'INSERIMENTO LAVORATIVO DI NOSTRA FIGLIA HANDICAPPATA INTELLETTIVA: UNA ESPERIENZA MOLTO POSITIVA

ANGELO E GIOVANNA RIDOLFI

 

 

Pensavamo di non riuscire ad avere figli ma, dopo 8 anni di matrimonio, è nata Anna. È stata una gioia immensa. Nei primi anni di vita, nostra figlia sembrava una bambina come le altre. Era bellissima con i suoi occhioni da cerbiatta ed una cascata di ricci che le incorniciavano il viso. Ma al compimento del terzo anno di età, ha ini­ziato a manifestare i primi sintomi della sua ma­lattia: irrequietezza, mancanza di orientamento e di equilibrio nello spazio.

Ha avuto così inizio il nostro lungo pellegrina­re dai medici, ognuno dei quali accampava ipo­tesi, formulava terapie con l'unico risultato che le diverse diagnosi si contraddicevano l'una con l'altra. È stata poi una neurologa del Centro di ... di Genova a dare una risposta definitiva alle no­stre domande. La sua diagnosi ha avuto su di noi l'effetto di una doccia ghiacciata. Un misto di angoscia e di paura ci ha assaliti, paralizzati. Anna era affetta da insufficienza mentale. Risale a quel momento la nostra battaglia, talvolta logo­rante, contro handicap ed emarginazione per­ché anche Anna potesse essere considerata a tutti gli effetti una persona con i propri doveri, ma soprattutto con i propri diritti. Mattone dopo mattone abbiamo cercato di sgretolare lo spes­so muro di pregiudizi ed indifferenza dilaganti nella nostra società.

Anna ha frequentato la scuola dell'obbligo se­guita da un insegnante di sostegno. Era impor­tante muovesse i suoi passi in un ambiente "normale" a contatto con ragazzi della sua età con i quali relazionarsi e socializzare. Terminata la scuola dell'obbligo nel 1980, si poneva il pro­blema della preparazione professionale. Forte il desiderio di un lavoro che, come ha annotato Anna stessa sul suo diario «è l'unica cosa che ci realizza e ci fa sentire utili». Dopo vari tentativi, fi­nalmente si aprono due porte, quelle dei corsi di formazione professionale e dei tirocini non retri­buiti svolti presso enti comunali e non. Sette an­ni ricchi di esperienze, in cui Anna ha avuto mo­do di scoprire ed esprimere le proprie potenzia­lità. Tirocinio dopo tirocinio, ha imparato a svol­gere semplici mansioni di segretaria, a battere a macchina, a muoversi con i pullman di linea. Quanto agli spostamenti, già a partire dall'ultimo anno della scuola media abbiamo cercato di rendere nostra figlia il più possibile autonoma. Inizialmente Anna prendeva i mezzi pubblici per brevi tratti e noi dietro con la macchina senza farci vedere. Diverse volte si è persa, altre è sta­ta vittima di incontri sgradevoli. Adesso invece tira diritto per la sua strada, non dà confidenza a nessuno.

Gli anni dei tirocini, indubbiamente positivi per la crescita e la formazione professionale di Anna, non sono però stati esenti da frustrazioni e dalla paura per il futuro, così incerto ed insidio­so per le persone portatrici di handicap. Alla fine di ogni tirocinio, noi genitori dovevamo subito metterci alla ricerca di un altro, in quanto il Co­mune dava solo la copertura assicurativa.

Ma questa ricerca estenuante, che talvolta ra­sentava l'elemosina, ha avuto finalmente termine quando Anna, nel 1991, è stata assunta in quali­tà di operatrice scolastica presso un asilo co­munale. Quando abbiamo ricevuto la lettera di assunzione è stata una grande festa. II desiderio di tutti i genitori è vedere i propri figli "sistemati", desiderio che, nel caso di genitori di figli handi­cappati, è ancora più grande perché la paura di un futuro nel quale non ci sarai più e tuo figlio si troverà solo, ti toglie il respiro.

Anna è contentissima del suo lavoro, basti pensare che da quando è stata assunta non ha mai usufruito di un'ora di permesso. «Ora vi pos­so aiutare - dice spesso -. Con lo stipendio mi pago il corso di nuoto, gli incontri con la psicolo­ga. Quando esco con gli amici posso utilizzare i miei soldi per pagarmi qualcosa da bere». Anna è consapevole che senza il suo stipendio do­vremmo fronteggiare seri problemi economici. Questo la fa sentire utile, indispensabile, una persona come le altre.

Dopo sette anni di lunga attesa, un lavoro "ve­ro", retribuito, che ha per sempre posto fine alla pensione di invalidità ricevuta da Anna a partire dal compimento del 18° anno di età, ma mai ac­cettata volentieri. Per Anna sono da considerarsi invalide quelle persone che essendo portatrici di handicap fisico, sono impossibilitati a svolge­re qualsiasi tipo di lavoro. «Che cosa mi impedi­sce - ripeteva nostra figlia - di guadagnare quei soldi che mi vengono ingiustamente regalati? Posso anch'io essere un elemento produttivo».

La giornata di Anna adesso inizia al mattino presto: la sveglia suona alle 7.30, una tazza di latte e via di corsa. Varcata la soglia dell'asilo, i bambini le corrono incontro, tutti la salutano. Ini­ziano così le sue giornate lavorative ritmate dalle corvée in cucina ed in lavanderia e dalle pulizie dei bagni.

Nei primi mesi dell'assunzione non sono mancate le prese in giro ed un carico di lavoro eccessivo dovuto ad una non equa ripartizione delle mansioni. Anna ha toccato con mano le re­sistenze, il rifiuto, l'ignoranza di talune persone allorquando si trovano dinanzi al problema della diversità.

Con il passare del tempo la situazione è per decisamente migliorata e quelle persone che all'inizio hanno accettato con difficoltà il suo in­serimento sono ora diventate sue amiche. A vol­te, ancora adesso, Anna viene rimproverata dal­le colleghe perché non svolge bene i propri compiti. «Faccio quello che posso», ribatte. Via via che il tempo passa Anna sembra divenire sempre più consapevole delle proprie possibili­tà e dei propri limiti. Fino a qualche anno fa af­fermava di volersi sposare. «Adesso che ho un lavoro - diceva - posso pensare al matrimonio». Ultimamente ne parla di meno, quasi come se fosse consapevole di non poter provvedere ad una famiglia. Cogliamo in lei quasi una rasse­gnazione a star da sola. «Parte dei soldi dello sti­pendio - dice - lo metto da parte per le emer­genze, per il mio futuro». E l'accento cade su quel "mio", non senza un velo di tristezza. L'assunzione presso l'asilo è stata per Anna determinante. Sarebbe stato altrimenti impensa­bile il miglioramento registrato in questi ultimi anni. L'ampliarsi delle sue relazioni sociali, il ba­gaglio sempre più pesante di responsabilità, hanno indubbiamente inciso sulla sua crescita e sul consolidamento della sua autonomia. Quando, dopo una giornata di lavoro, fa ritor­no a casa, è serena, tranquilla, nonostante la stanchezza. È bello vederla sorridente e soddi­sfatta.

Anna possiede una cartellina nella quale cu­stodisce gelosamente la documentazione dei di­versi tirocini, la lettera di assunzione, le ricevute delle buste-paga. Tutto rigorosamente in ordine. Qualche giorno fa dovevamo verificare la data di un tirocinio, abbiamo aperto la cartellina e vi ab­biamo trovato un foglio scritto a mano: «Da quando lavoro all'asilo sono felice. Anch'io sono utile a qualcuno. Fra un mese è il compleanno di mamma. Le farò un bel regalo!».

 

 

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