Prospettive assistenziali n. 112   ottobre-dicembre 1995

Specchio nero

 

LA FONDAZIONE ITALANA PER IL VOLONTARIATO SI SOTTRAE AL CONFRONTO

Nell'editoriale dello scorso numero di Prospettive assistenziali, abbiamo segnalato che il Presidente della Fondazione italiana per il volontariato, invece di sostenere il riconoscimento del diritto al lavoro delle persone con handicap, propone che esse abbiano uno sbocco lavorativo non nelle normali aziende, ma esclusivamente nelle cooperative sociali. La suddetta richiesta riguarda non solo gli handicappati (compresi quelli con piena capacità lavorativa), ma tutti gli individui svantaggiati (1).

Alla nostra presa di posizione, la rivista della Fondazione italiana per il volontariato (n. 10/ 1995) ha reagito con evidente imbarazzo e senza entrare nel merito delle questioni da noi sollevate. Infatti riporta quanto segue: «Anziché interrogarsi e discutere intorno alle motivazioni etiche, sociali ed economiche in base alle quali vengono prospettate alcune ipotesi di soluzione dei problemi e vengono avviate alcune iniziative, l'editorialista (di "Prospettive assistenziali") chiama a raccolta per la battaglia. Si potrebbero tentare alcune risposte, ma è giusto evitare il rischio della polemica».

Saremmo lieti di conoscere le «motivazioni etiche, sociali ed economiche» in base alle quali la Fondazione italiana per il volontariato non vuole che handicappati e svantaggiati lavorino nelle normali aziende perché non si tratta di una sterile polemica: è in gioco il diritto al lavoro di centinaia di migliaia di persone e cioè la loro autonomia, la loro dignità e il loro ruolo di cittadini.

Se la posizione assunta dalla Fondazione italiana per il volontariato rimane diretta alla definitiva emarginazione sociale dei cittadini con handicap e di quelli svantaggiati, è ovvio che diventa inaccettabile la pretesa della Fondazione di gestire i centri di servizio del volontariato.

Infatti il volontariato non solo deve rispettare, ma anche promuovere il diritto all'inserimento sociale di tutti gli individui, con una particolare attenzione alle persone più deboli e soprattutto a quelle non in grado di autodifendersi.

Occorre tener conto che, in base al decreto del Ministero del Tesoro 21 novembre 1991, i centri di servizio per il volontariato «hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attività di volontariato. A tal fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato. In particolare fra l'altro:

a) approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti;

b) offrono consulenza e assistenza qualificata nonché strumenti per la progettazione, l'avvio e la realizzazione di specifiche attività;

c) assumono iniziative di formazione e qualificazione nei confronti degli aderenti ad organizzazioni di volontariato.

L'UNEBA CONTINUA A SOSTENERE GLI ISTITUTI DI RICOVERO

Da 50 anni sono note le deleterie conseguenze sulla personalità dei bambini provocate dalla loro permanenza in istituti di assistenza.

Ma non lo sa I'UNEBA. Infatti la loro consulente, Elvira Falbo, di fronte alla domanda: «Gli affidamenti dei minori sono sempre più scarsi, abbiamo attualmente solo 22 bambini e quasi esclusivamente i figli di extra-comunitari. Il nostro istituto è nato per accogliere oltre cento bambini, pertanto è quasi tutto vuoto. Che cosa fare?», propone di «dividere il grosso istituto in quattro o cinque nuclei familiari ove oltre alle suore siano presenti anche figure maschili, magari obiettori di coscienza o volontari che possano garantire il modello della figura paterna (...). Una parte del grande istituto potrà essere adibita a casa-famiglia o a comunità alloggio per disabili o per anziani» (2).

Dunque, l'esperta dell'UNEBA suggerisce di aumentare il numero dei ricoverati e non il loro reinserimento nella propria famiglia d'origine o, se è il caso, in un nucleo affidatario o adottivo.

Per quanto riguarda la riorganizzazione dell'istituto si tratta di una iniziativa che non tiene assolutamente conto che la creazione di ambienti meno anonimi rispetto alle tradizionali strutture di ricovero (come i cosiddetti gruppi famiglia consigliati da Elvira Falbo) e la presenza di personale specializzato non riducono in maniera sostanziale gli effetti nefasti della carenza di cure familiari e dell'istituzionalizzazione.

 

(1) La presa di posizione del Presidente della Fondazione italiana per il volontariato è stata assunta mentre in Parlamento è in corso l'esame della riforma del collocamento obbligatorio al lavoro delle persone con handicap.

(2) Cfr. Nuova proposta,n. 2/3, febbraio-marzo 1995.

www.fondazionepromozionesociale.it