Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo 1995

 

 

NORME IN MATERIA DI APPARTAMENTI E COMUNITÀ ALLOGGIO PER PERSONE E NUCLEI FAMILIARI IN DIFFICOLTÀ

 

 

Uno degli interventi di prevenzione del biso­gno assistenziale riguarda la disponibilità di un appartamento adeguato alle proprie esigenze.

«La vita della persona umana - sottolinea il Cardinale Carlo Maria Martini (1) - si dispiega ordinariamente attorno al centro fisico e simboli­co rappresentato dalla casa. Ciascuno ha in qualche modo la "sua casa" fosse pure il casola­re, l'appartamento, il convento, il rifugio notturno dei senza fissa dimora... Ciascuno ha o cerca un luogo a cui fare riferimento. Vi torna o aspira a tornarvi, perché la casa esprime in un modo o nell'altro la vita della persona. È per ciascuno di noi una necessità e una protezione».

Occorre, quindi, aggiunge il Cardinale, che il restare a casa propria divenga l'obiettivo priori­tario di ogni intervento: «Per realizzarlo in con­creto è necessario innanzitutto che le case ci sia­no, che siano accessibili nel prezzo, che siano anche senza barriere architettoniche: bisogna costruire le case per gli uomini, per tutti gli uomi­ni e non solo per i sani».

II sopraggiungere della malattia, la perdita in qualche caso dell'autosufficienza non sono mo­tivazioni sufficienti a giustificare l'abbandono della propria casa. «La casa - continua l'Arcive­scovo di Milano - va garantita soprattutto quan­do le persone sono malate o in difficoltà».

La disponibilità di un'abitazione adeguata alle esigenze e con il canone d'affitto sopportabile è una delle condizioni imprescindibili per evitare il ricovero in istituti di assistenza/beneficenza o per poter ritornare a vivere insieme agli altri.

È il caso di Roberto e Piero entrambi portatori di gravi handicap motori con lunga permanenza nell'Istituto Cottolengo di Torino (35 anni Rober­to, 24 anni Piero) (2) che vivono insieme da oltre dieci anni in un alloggio privo di barriere archi­tettoniche assegnato dall'Istituto autonomo case popolari (IACP) e dal Comune di Torino.

In particolare, ciò è stato realizzato in quanto i movimenti di base avevano ottenuto che, se due o più soggetti handicappati desideravano convi­vere, i punteggi personali per l'assegnazione di alloggi si sarebbero dovuti sommare.

 

La legge quadro sull'handicap

L'art. 31 della legge 104/92 prevede la «­cessione di contributi in conto capitale a Comuni, Istituti autonomi case popolari, imprese, coope­rative e loro consorzi per la realizzazione con ti­pologia idonea o per l'adattamento di alloggi di edilizia sovvenzionata e agevolata alle esigenze di assegnatari o acquirenti handicappati ovvero ai nuclei familiari tra i cui componenti figurano persone handicappate in situazione di gravità o con ridotte o impedite capacità motorie».

Da segnalare che il riferimento alla «tipologia idonea» può aprire la strada a studi, ricerche, realizzazioni di comunità alloggio e di apparta­menti con caratteristiche innovative per quanto concerne l'accessibilità e l'adattabilità.

Inoltre sono previsti contributi «direttamente agli enti e istituti sfatali, assicurativi e bancari che realizzano interventi nel campo dell'edilizia abita­tiva che ne facciano richiesta per l'adattamento di alloggi di loro proprietà da concedere in loca­zione a persone handicappate ovvero ai nuclei familiari tra i cui componenti figurano persone handicappate in situazione di gravità o con ridot­te o impedite capacità motorie».

 

La legge 179/1992

II primo comma dell'art. 4 della legge 17 feb­braio 1992 n. 179 "Norme per l'edilizia residen­ziale pubblica" stabilisce quanto segue: «Le Re­gioni, nell'ambito delle disponibilità loro attribui­te, possono riservare una quota non superiore al 15 per cento dei fondi di edilizia agevolata e sov­venzionata per la realizzazione di interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi di particolari categorie sociali individuate, di volta in volta, dalle Regioni stesse, anche in deroga a quelli previsti dalla legge 5 agosto 1978 n. 567, e successive modificazioni».

Pertanto le Regioni dovrebbero aver definito o definire i criteri per la costruzione e assegnazio­ne di appartamenti da destinare a soggetti in dif­ficoltà: giovani, adulti, anziani, handicappati.

Un'altra destinazione può riguardare le convi­venze (v. il prima citato caso di Piero e Roberto) per le persone che decidono di vivere insieme con o senza il supporto dei servizi assistenziali.

Inoltre, spetta alle Regioni approvare le norme per la destinazione di appartamenti a comunità alloggio per bambini, adolescenti, handicappati, anziani, malati psichici, ecc.

La legge 179/1992 prevede, altresì, l'eroga­zione di contributi economici per il recupero e il risanamento di immobili.

 

Patrimoni delle IPAB e di altri enti

Com'è noto, le IPAB sono istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che fanno riferi­mento alla legge 17 luglio 1890 n. 6972; esse gestiscono, tra l'altro, istituti di ricovero per bambini, anziani, handicappati, oltre ad asili ni­do e scuole materne. I loro patrimoni mobiliari ed immobiliari sono assai rilevanti; nella seduta della Camera dei deputati del 17 febbraio 1982, l'On. Marisa Galli li valutò in 30-40 mila miliardi. Una ricchezza imponente che dovrebbe essere utilizzata in primo luogo, anche tramite vendite e riconversioni patrimoniali, per migliorare le con­dizioni di vita degli attuali assistiti. Non per crea­re ghetti d'oro, ma per istituire servizi alternativi e comunque adeguati alle esigenze degli utenti.

Da notare che in base alla discutibile senten­za della Corte costituzionale n. 396 del 1988, molte IPAB possono essere privatizzate secon­do una modalità che vuol semplicemente dire .regalare ai privati". Incredibile ma vero.

I patrimoni ed i redditi delle IPAB, comprese quelle privatizzate, dovrebbero conservare la lo­ro destinazione a servizi di assistenza (3).

Oltre alla necessità di vigilare affinché i redditi ed i beni delle IPAB, ex IPAB e degli altri enti soggetti allo stesso vincolo siano utilizzati esclu­sivamente per attività assistenziali, è molto im­portante che vengano predisposti dai Comuni progetti per la riconversione dei patrimoni non più utilizzabili e per la creazione di servizi ade­guati, quali ad esempio comunità alloggio.

Analoghe considerazioni valgono per i patri­moni degli altri enti (ECA, ONMI, ENAOLI, ecc.) che sono stati trasferiti ai Comuni.

 

La legge 67/1988

In base alla legge 11 marzo 1988 n. 67 i Co­muni e le USL hanno avuto, per il primo triennio di applicazione, la disponibilità di finanziamenti per un importo di ben 444 miliardi e 267 milioni per la realizzazione di residenze sanitarie assi­stenziali (RSA) per soggetti non autosufficienti: handicappati, malati di mente, ecc. (4).

A nostro avviso le RSA destinate agli handi­cappati dovrebbero avere le stesse caratteristi­che delle comunità alloggio, anche per quanto concerne la capienza massima (8-10 posti).

 

La comunità alloggio

La concentrazione di handicappati o di altri soggetti in villaggi o strutture similari è assoluta­mente deleteria perché crea una situazione di vero e proprio ghetto venendo a mancare gli sti­moli esterni ed i rapporti con il contesto sociale.

Come sosteniamo da anni, nei casi in cui non sia possibile la permanenza in famiglia, occorre predisporre comunità alloggio aventi al massi­mo 8-10 posti, comunità che possono essere istituite in appartamenti normali, soprattutto in quelli dell'edilizia economica e popolare, oppure utilizzando case monofamiliari.

La comunità alloggio è un servizio positiva­mente sperimentato da anni. È in grado, se do­tata di un numero sufficiente di operatori validi, di fornire un'accoglienza personalizzata. Non è assolutamente una struttura anonima e ghettiz­zante come l'istituto.

La personalizzazione delle prestazioni è con­sentita sia dalle sue ridotte dimensioni, sia dal suo inserimento nel vivo del contesto abitativo e sociale. In questo modo, fra l'altro, è non solo consentita, ma efficacemente favorita la parteci­pazione degli utenti alle attività esterne (scuola, formazione professionale, tempo libero, ecc.).

La comunità alloggio è un servizio estrema­mente flessibile; può infatti essere destinata a vari soggetti. Vi sono, infatti, comunità alloggio per minori handicappati e non, per adolescenti in difficoltà, per handicappati adulti con limitata o nulla autonomia, per malati psichici, per anzia­ni autosufficienti, ecc. Per i minori, handicappati e non, è anche un'importante risorsa che favori­sce, a seconda della situazione, il ritorno dei mi­nori dai loro genitori oppure il loro inserimento in famiglie adottive o affidatarie.

 

Conclusioni

Numerose sono le iniziative che possono es­sere assunte dagli amministratori delle Regioni, dei Comuni e delle USL per la predisposizione di appartamenti da destinare ad abitazione per­sonale o familiare, a convivenze e a comunità al­loggio per soggetti in difficoltà. In alcuni casi è sufficiente l'approvazione di criteri (ad esempio per l'attuazione del primo comma dell'art. 4 della legge 179/92), in altri occorre solo utilizzare i fi­nanziamenti statali disponibili (v. la legge 67/88).

 

 

 

(1) Discorso di apertura tenuto al convegno di studio "Prima intervenire a casa - Gli interventi domiciliari di cura e sostegno alle persone malate o in difficoltà come priorità per amministratori, operatori e volontari" (Milano, 19-20 aprile 1990), organizzato dal Centro studi e programmi so­ciali e sanitari di Roma.

(2) Cfr. "Nuovi istituti, vecchia emarginazione e gli stessi danni - La storia di Roberto e Piero per continuare a riflet­tere", Prospettive assistenziali, n. 78, aprile-giugno 1987.

 (3) Questa destinazione, che rispetta la volontà dei be­nefattori, 8 stata esplicitamente prevista dalla legge della Regione Piemonte 19 marzo 1991 n. 10: «II patrimonio mo­biliare ed immobiliare delle IPAB che abbiano conseguito il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, i relativi redditi netti derivanti dalla gestione ed i proventi de­rivanti dalla sua alienazione o trasformazione sono destinati esclusivamente alle attività socio-assistenziali previste dallo Statuto».

(4) II finanziamento stabilito dalla legge 67/1988 per le RSA per anziani non autosufficienti è stato, per il primo triennio di applicazione, di 2.365 miliardi e 880 milioni.

 

 

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