Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo 1995

 

 

ALMENO SETTE POSTI DI LAVORO PER LE PERSONE HANDICAPPATE OGNI CENTO LAVORATORI ASSUNTI: SI DEVE, SI PUÒ - SPUNTI PER COSTRUIRE UNA PIATTAFORMA OPERATIVA

 

GRUPPO NAZIONALE "HANDICAPPATI E SOCIETÀ"

 

 

 

Il gruppo nazionale "Handicappati e società" propone alcuni spunti, che spera possano esse­re utili a quanti (associazioni, operatori, sinda­calisti...) continuano ad agire per la difesa del posto di lavoro degli handicappati, anche in questo momento di grande crisi (*).

 

La legge non va elusa, ma cambiata

La crisi del mercato del lavoro è oggi un facile pretesto per aggirare la legge 482/1968, legge che tutela il collocamento al lavoro degli handi­cappati e che prevede l'assunzione di handi­cappati (con piena o ridotta capacità lavorativa) nella misura del 15% rispetto all'insieme dei la­voratori in servizio.

È vero, nel nostro Paese ci sono aree con forti tassi di disoccupazione. Vi sono però anche molte zone in cui il lavoro non manca. Nell'uno e nell'altro caso i cittadini handicappati devono essere trattati al pari degli altri.

Quindi, un tasso di disoccupazione non mag­giore degli altri, e opportunità almeno uguali quando si creano nuove occasioni di lavoro.

La legge 482/1968 va cambiata, certamente, ma, intanto, va rispettata.

 

Sette posti di lavoro ogni cento persone occupa­te è una proposta concretamente realizzabile

Sette posti di lavoro che devono essere ripar­titi tra chi può raggiungere una piena capacità lavorativa (e ha quindi numerose opportunità di scelta di posti di lavoro) e chi, avendo un'auto­nomia e una capacità lavorativa più circoscritta (ridotta), ha meno occasioni di inserimento, co­me ad esempio gli handicappati intellettivi, che possono essere inseriti solo in posti di lavoro con mansioni particolarmente semplici.

 

Chiedere posti di lavoro è un dovere per il Sindacato, per le Associazioni

I problemi economici ed esistenziali, conse­guenti allo stato di disoccupazione, riguardano gli handicappati in ugual misura che gli altri la­voratori.

Dunque, bisogna agire e capovolgere la ten­denza che vuole rimandare a "tempi migliori" la soddisfazione del diritto al lavoro degli handi­cappati, come se si trattasse di persone che possono "rimandare" il problema, avendo altre soluzioni al momento.

Questo modo di ragionare appartiene al vec­chio concetto, che sottostima I'handicappato come persona e lo ritiene pertanto privo di esi­genze o con così poche richieste da poter ac­contentarsi di vivere con la sola pensione di in­validità e cioè con la misera cifra di circa 327 mila lire al mese.

II Sindacato per primo deve perciò rivendicare il posto di lavoro anche per queste persone.

Quando l'impresa assume (e non ha ancora assolto all'obbligo della 482/1968), il delegato sindacale deve verificare chi, all'interno del col­locamento obbligatorio, può occupare quel po­sto avendone le capacità.

II caso della FIAT che ha ricevuto ingenti risor­se statali per avviare lo stabilimento di Melfi, è il più esemplare. Perché il Sindacato non ha con­trattato posti di lavoro per gli handicappati tra le migliaia di contratti di formazione lavoro avviati?

Anche le Associazioni però non devono ab­bassare la guardia e rinunciare.

È questo il momento di rilanciare nei confronti degli Enti locali la richiesta di politiche per l'oc­cupazione di tutti, handicappati compresi.

Ogni iniziativa, ogni legge di incentivazione deve esplicitamente contenere precisi riferimen­ti per gli handicappati con piena e con ridotta capacità lavorativa; tutte le azioni intraprese per creare nuova occupazione devono prevedere una quota di assunzione di handicappati, in par­ticolare di chi ha una limitata autonomia (handi­cappati intellettivi e fisici gravi).

 

Alcuni esempi

Chiedere ai Comuni di deliberare l'assunzione presso i propri uffici di persone con handicap fi­sici o intellettivi con limitata autonomia, promuo­vendo le seguenti iniziative:

a) individuazione nella pianta organica di man­sioni idonee per handicappati con limitata auto­nomia, con particolare riguardo agli handicappa­ti intellettivi, per ottenere assunzioni mirate;

b) attivazione della convenzione con l'Ufficio provinciale del lavoro in base a quanto stabilito dall'art. 42 del decreto legislativo n. 29/1993 e successiva direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'1.12.1993 (1);

c) attivare analoga iniziativa presso le Aziende municipalizzate e gli Enti - compresi quelli eco­nomici - nei quali il Comune ha propri rappre­sentanti;

d) concordare con le aziende, gli enti e coo­perative che hanno regolari rapporti economici con il Comune di avviare "una tantum" assunzio­ni di handicappati, anche se non sono soggetti all'obbligo della 482/1968;

e) utilizzo dei finanziamenti CEE, statali e re­gionali destinati all'avviamento al lavoro di citta­dini appartenenti all'area del disagio o disoccu­pati o in mobilità, anche per quote di handicap­pati;

f) avvio di quote di cittadini handicappati nell'ambito dei cantieri di lavoro e nei lavori so­cialmente utili;

g) valutare ogni possibilità di affidare in appal­to alle cooperative sociali, secondo quanto pre­visto dalla legge 381/1991, lavori che possono favorire l'assunzione di persone handicappate e che attualmente sono destinate ad altre impre­se.

 

Incentivi solo a chi assume handicappati con ridotta capacità lavorativa

Le imprese chiedono - giustamente - perso­ne che siano adatte al posto di lavoro e, quindi, produttive.

È chiaro ormai per tutti che la minorazione non sempre impedisce di esprimere anche una capacità lavorativa piena.

Da più di vent'anni le Associazioni degli han­dicappati rivendicano il riconoscimento delle potenzialità che la persona handicappata è in grado di esprimere se collocata in modo mirato nel posto di lavoro.

Distinguere tra chi può diventare un lavorato­re come gli altri, da chi ha maggiori difficoltà a trovare mansioni adatte alla sua capacità lavo­rativa (per esempio un handicappato intellettivo) è importante per orientare incentivi e sgravi fi­scali statali.

Per esempio alle aziende che assumono han­dicappati fisici e/o sensoriali che sono in grado di raggiungere una piena autonomia e produtti­vità si può riconoscere solo un contributo inizia­le per eventuali spese aggiuntive sostenute per l'adattamento delle barriere architettoniche, do­tazioni di particolari ausili...).

Per l'assunzione di handicappati con limitata autonomia (ad esempio handicappati intellettivi, dializzati, epilettici...) invece, la formula di un parziale sgravio fiscale (determinato tuttavia nel tempo) è da prevedere anche nella nuova rifor­ma della legge sul collocamento obbligatorio.

 

Preparare il "nuovo" collocamento

La legge 482/1968 non impedisce di avviare, già oggi, il collocamento mirato, fondato cioè sulla valutazione della capacità lavorativa della persona handicappata e non sulla sua percen­tuale di invalidità.

È sufficiente un accordo tra gli enti interessati e cioè l'Ufficio di collocamento, il Comune, la Regione. Le Associazioni e le Organizzazioni sindacali possono sollecitare l'avvio di una pro­cedura sperimentale che preveda:

- da parte dell'Ente locale la costituzione di un servizio di inserimento lavorativo presso il setto­re di competenza e cioè presso l'Assessorato al lavoro (e non quello preposto all'assistenza). II servizio dovrebbe avere il compito di predispor­re i piani di inserimento lavorativo mirato, in col­legamento con le attività di formazione profes­sionale e/o prelavorativa, attività che devono es­sere assicurate dalla Regione (legge 875/1978);

- da parte dell'Ufficio di collocamento la costi­tuzione di una Commissione per la valutazione della capacità lavorativa (piena, ridotta o nulla) degli aventi diritto; la Commissione sarà compo­sta da persone designate dal Ministero del lavo­ro, dall'Ente locale, dai Sindacati, dalle Associa­zioni degli imprenditori, dalle Associazioni degli handicappati. Inoltre dovrà essere assicurato il collegamento tra le disponibilità dei posti di la­voro individuati nelle aziende soggette all'obbli­go e le capacità lavorative dei soggetti handi­cappati, che liberamente scelgono di avvalersi di questa modalità sperimentale di collocamento mirato.

La Commissione per la valutazione della com­patibilità "posto di lavoro - persona" avrà a di­sposizione una serie di dati raccolti in un'unica cartella contenente:

- la dichiarazione di invalidità (gli aventi diritto al collocamento obbligatorio sono i soggetti che hanno riconosciuta una percentuale di invalidità superiore al 45%);

- la descrizione della professionalità e/o dei titoli di studio o di qualifica professionali posseduti o delle esperienze acquisite con tirocini prelavorativi (per esempio per gli handicappati intellettivi)

- il grado di autonomia che il soggetto esprime o può raggiungere con adeguati sostegni (per esempio con l'eliminazione delle barriere architettoniche e/o l'adattamento del posto di lavoro, la messa a disposizione di ausili, l'acces­sibilità dei mezzi di trasporto...).

 

II ruolo importante della formazione professionale

Rimane centrale saper individuare le capacità di lavoro potenziali di una persona handicappa­ta e fornirgli una adeguata preparazione.

Le Associazioni ed il Sindacato non possono trascurare la necessità e l'importanza di assicu­rare corsi formativi adeguati a tutti i livelli. II mantenimento dei corsi di formazione di primo livello in numero sufficiente e l'avvio di corsi prelavorativi per gli handicappati intellettivi, che non sono in grado di conseguire la qualifica, ma possono essere preparati allo svolgimento di mansioni semplici, devono essere obiettivi di precisa richiesta nei confronti della Regione, te­nuta annualmente a garantire a tutti gli utenti il bisogno di formazione necessario per compete­re con le esigenze del mercato del lavoro.

In particolare, per quanto riguarda gli handi­cappati intellettivi, il collegamento con la forma­zione professionale è particolarmente importan­te, in quanto solo attraverso l'attuazione di pro­grammi di intervento fondati sulla acquisizione di strumenti e capacità lavorative anche se in mansioni generiche, essi possono aspirare ad entrare nel mondo del lavoro.

 

Note

1. La proposta di 7 posti di lavoro ogni cento lavoratori corrisponde all'incirca al 50% dell'at­tuale percentualé d'obbligo (15%) prevista dalla legge 582/1968 sul collocamento obbligatorio al lavoro degli handicappati.

È ampiamente risaputo, però, come una con­sistente quota di tale percentuale è in realtà ri­servata a persone che non sono handicappate: orfani, profughi, vedove...

La proposta del 7% ci sembra realisticamente praticabile e oggettivamente rispondente, in questo momento, alle esigenze di occupazione degli handicappati in lista d'attesa oggi al collo­camento.

2. Per un maggiore approfondimento si riman­da ai precedenti documenti del Gruppo "Handi­cappati e società":

a) Quali strategie per il lavoro (1991);

b) Handicappati e società: proposte per la rifor­ma del collocamento al lavoro (1993);

c) Handicappati e società: documento prepara­torio al convegno "II posto di lavoro: un dirit­to, un dovere" (1993);

d) Handicappati e società: 'Quali rimedi contro i falsi invalidi".

I documenti a), c) e d) sono pubblicati su Pro­spettive assistenziali, n. 93, 100, 107; possono essere richiesti alla segreteria del gruppo c/o Maria Grazia Breda, via Foligno 70, 10149 To­rino.

 

 

 

(*) Sono disponibili per ulteriori informazioni:

- Battaglia Augusto, Comunità Capodarco, Roma, via Lun­gro 3, tel. 06-718.63.20

- Breda Maria Grazia, CSA, via Artisti 36, Torino, tel. 011­812.44.69

- Cocanari Flavio, CISL, via Po 21, Roma, tel. 06­847.32.66

- Contardi Anna, Associazione Persone Down, Viale delle Milizie 106, Roma, tel. 06-325.17.49-70.02.35.

(1)            La legge finanziaria per l'anno 1995 impedisce nuo­ve assunzioni nell'ambito degli Enti locali, compresi i sog­getti del collocamento obbligatorio. Tuttavia, nulla impedi­sce di avviare nel 1995 nuove esperienze di tirocinio prela­vorativo o di preparare la regolarizzazione di tirocinanti che, in base a quanto previsto dalla Direttiva del Presiden­te del Consiglio dei Ministri dell'1.12.1993 possono essere assunti nella pubblica amministrazione, dopo un periodo di tirocinio di almeno due anni.

 

 

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