Prospettive assistenziali, n. 109, gennaio-marzo 1995

 

 

Notizie

 

 

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA RICONOSCE CHE GLI ENTI PUBBLICI NON POSSONO PRETENDERE CONTRIBUTI ECONOMICI DAI PARENTI DI ASSISTITI

 

In data 23 febbraio 1995 il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la mozione che ri­produciamo integralmente.

 

II Consiglio regionale della Lombardia

rilevato che molti enti pubblici sono soliti im­porre ai parenti degli assistiti adulti rette e con­tributi di diverso genere richiamando gli articoli 433 e seguenti del codice civile;

considerato che tale pratica è giuridicamente errata in quanto non è consentito a terzi, enti pubblici compresi, di sostituirsi agli aventi diritto agli alimenti che soli possono chiedere ai pa­renti obbligati e successivamente al giudice ra­gione della loro necessità;

considerato ancora che in base alla legge re­gionale 1/86 sono solo gli utenti stessi che in base al loro reddito familiare devono concorrere alle spese e non i loro parenti;

considerato infine che tutto ciò è suffragato da vari pronunciamenti, in particolare il parere del 30.12.93 del Ministero dell'interno avente per oggetto "Contribuzione a carico degli obbli­gati agli alimenti nei confronti degli utenti dei servizi assistenziali" e nota della Presidenza del Consiglio dei ministri "Contribuzione a carico degli obbligati agli alimenti nei confronti degli utenti dei servizi assistenziali" (come da docu­mentazione allegata) ed anche tenuto conto di quanto afferma il prof. Massimo Dogliotti nell'ar­ticolo "Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli ali­menti (n. 87/1989) di Prospettive assistenziali);

IMPEGNA LA GIUNTA

a inviare a tutti gli enti pubblici interessati lettera circolare atta a modificare il loro eventuale scor­retto comportamento, fornendo loro relativa do­cumentata spiegazione.

 

 

FREQUENZA GRATUITA DEI CENTRI DIURNI PER HANDICAPPATI

 

Nello scorso numero (1) avevamo segnalato che anche in base ai pareri espressi dalla Presi­denza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell'interno i parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, di handicappati maggiorenni non sono tenuti a versare alcun contributo economico agli enti pubblici che provvedono ai loro congiunti mediante interventi residenziali o ambulatoriali.

Questa posizione è confermata dalla circolare dell'Assessore all'assistenza della Regione Pie­monte prot. 11752/530 del 23 dicembre 1994 in cui è previsto quanto segue: «Si conferma il principio della necessarietà di una contribuzione dei soggetti portatori di handicap al costo delle prestazioni di mensa e trasporto per la frequenza ai centri diurni, secondo le modalità indicate nel­la nota 3371/530 del 4.5.1992.

«Si precisa tuttavia che la quota a carico degli utenti dovrà essere calcolata sulla base del red­dito individuale, comprensivo della pensione/i e di altri redditi, con esclusione dell'indennità di accompagnamento.

«Sono esentati dalla contribuzione al costo dei servizi offerti dai centri diurni i soggetti il cui red­dito individuale sia inferiore al minimo vitale sta­bilito dagli enti gestori della funzione socio-assi­stenziale.

«Si sottolinea altresì l’importanza dell'attivazio­ne dei centri diurni per fornire un concreto aiuto ai soggetti in stato di difficoltà, anche al fine di una possibile riduzione dei ricoveri in istituto».

 

 

GRAVISSIMA LA SITUAZIONE DEGLI ANZIANI MALATI CRONICI RICOVERATI PRESSO L'IRV DI TORINO

 

Abbiamo incontrato la Dottoressa Nicoletta Ai­monino alle Molinette. Infatti, oltre a far parte dell'équipe medica dell'Istituto di riposo per la Vecchiaia (IRV) di Torino, Corso Unione Sovieti­ca, esercita la sua attività anche presso la Divi­sione di geriatria diretta dal Prof. Fabrizio Fabris.

Alla Dottoressa Aimonino, che presta la sua apprezzata attività anche nel servizio di ospeda­lizzazione a domicilio, che funziona ininterrotta­mente da quasi dieci anni, rivolgiamo alcune do­mande per conoscere la situazione degli anziani cronici ricoverati presso l'IRV.

D. Innanzitutto quanti sono i degenti?

R. Sono 270 di cui 210 donne e 60 uomini. L'età media è di circa 83 anni. L'istituto è gestito direttamente dal Comune di Torino, che ne assi­cura la direzione tramite il proprio personale

amministrativo. Noi medici svolgiamo quindi un ruolo anomalo: quello della diagnosi e cura de­gli ospiti, ma non abbiamo alcuna competenza sull'organizzazione del servizio.

D. Nella ricerca svolta da una apposita Com­missione medica era risultato che praticamente tutti gli anziani ricoverati presso l'IRV erano mala­ti cronici non autosufficienti. La situazione è an­cora la stessa?

R. Non ci sono variazioni significative. Nei giorni scorsi ho accertato che il 90% degli anziani ricoverati presso l'IRV è non autosuffi­ciente per ragioni mediche; il 60% è affetto da più di tre patologie importanti sul piano clinico-­terapeutico, gli altri hanno più di quattro patolo­gie.

D.  Se capisco bene è una situazione che di­mostra che in effetti l'IRV è un ospedale, come aveva affermato il giudice conciliatore di Torino, Avv. Michele Bouvet il quale, nella sentenza dell'11 novembre 1991, aveva sostenuto che «in buona sostanza l'Istituto di riposo per la vec­chiaia svolge una funzione sostitutiva degli ospe­dali», sentenza a cui il Comune di Torino non aveva presentato ricorso, evidentemente ricono­scendo la validità dell'affermazione sopra ripor­tata.

R. Pensi che attualmente circa il 30% degli ospiti è in trattamento per gravi patologie acute (infarto miocardico acuto, ictus cerebrale, bron­copolmonite, scompenso cardiaco acuto, grave anemia, arteropatia obliterante arti inferiori, ecc.). La situazione è tale per cui il 40% degli ospiti ha necessità di terapia per via endoveno­sa, il 28% ha necessità di medicazioni quotidia­ne. In sostanza, gli anziani ricoverati presso l'IRV sono affetti da patologie molto complesse che richiedono un costante impegno di diagnosi e terapia oltre che di assistenza infermieristica adeguata e qualificata. La tipologia degli ospiti, il loro precario equilibrio psico-fisico, il facile so­vrapporsi di complicanze e/o il riacutizzarsi di pregressi eventi morbosi richiedono infatti inter­venti spesso immediati ed intensivi.

D. Molto spesso si legge sui giornali che de­vono essere create strutture (le Residenze sani­tarie assistenziali - RSA) per anziani cronici stabi­lizzati. Lei, invece, riferisce che non solo le riacu­tizzazioni sono frequenti, ma che il 30% degli ospiti dell'IRV soffre per gravi malattie acute. A questo punto quali dovrebbero essere le caratte­ristiche delle RSA?

R.  Come prevede il progetto obiettivo anziani varato dal Parlamento il 30.1.1992, le RSA sono strutture proprie del Servizio sanitario nazionale, preposte non a fornire una generica assistenza, ma a prestare diagnosi e cure altamente qualifi­cate. Affinché le RSA possano funzionare ade­guatamente è indispensabile non solo una ade­guata presenza di medici, e di infermieri e di ria­bilitatori; occorre anche che i pazienti siano in­viati solo dopo l'intervento delle UVG, Unità valu­tative geriatriche, il cui compito è quello di indi­viduare le esigenze, spesso complesse, degli anziani colpiti da patologie invalidanti.

 

 

«PORTATEVELO A CASA O CHIAMO I CARABINIERI!»

 

Dal n. 11/12, dicembre 1994 di "Diritti e socie­tà" riportiamo integralmente la descrizione di una ennesima vicenda di dimissioni selvagge, dimis­sioni rientrate grazie all'intervento del CODICI, Coordinamento per i diritti del Cittadino, Via Bue­nos Aires 5, Roma, tel. 06-855.89.59, fax O6­854.23.40.

 

II fatto è accaduto all'Ospedale Forlanini di Roma e il primario in questione è il Prof. Pallotta. II fatto che lo riguarda, riportato alcuni giorni fa dai giornali, lo vede protagonista di accesissime discussioni con i parenti del sig. Sciamanna sul­la necessità di dimissioni immediate del loro congiunto. Nessuno contesta che il paziente sia affetto da malattie croniche, anche se queste sono particolarmente gravi; in particolare si trat­ta di broncopatia cronica ostruttiva, enfisema polmonare, ipertensione.

II punto cruciale del problema è: se un malato cronico ha bisogno di assistenza continua, co­me in questo caso, e non ci sono cure alternati­ve a casa, è possibile dimettere il paziente? E perché poi il Primario usa toni minacciosi e ri­corre alla Direzione Sanitaria, la quale a sua vol­ta denuncia il fatto al Commissariato? Di che co­sa sono accusati i parenti del Sig. Sciamanna? Quale legge hanno violato?

A nostro parere, in base alle attuali leggi, non si può imporre ai parenti la dimissione di un ma­lato in tali condizioni senza offrire alternative va­lide. Finché non sarà disponibile un posto letto presso una casa di cura per lungodegenti, il pa­ziente non può essere dimesso.

Chi ha veramente violato la legge? I parenti che secondo i sanitari dovrebbero trasformarsi, seduta stante, in medici ed infermieri, oppure quei sanitari che, con toni minacciosi, intimida­tori e violenti hanno affermato che il paziente va dimesso, cioè abbandonato a casa senza possi­bilità di cure valide a domicilio?

Per tutti questi motivi il CODICI Lazio, in rispo­sta alle vessazioni subite dal malato e dai suoi congiunti, ha presentato allo stesso Commissa­riato PS di Roma Monteverde un esposto detta­gliato nel quale sono elencate tutte le leggi che tutelano il diritto alle cure dei malati, anche se cronici, sostenendo che i veri violatori delle leg­gi sono casomai coloro che, con il loro compor­tamento omissivo e trascurato, non curano ade­guatamente questi pazienti, scaricando violente­mente le loro responsabilità sulle famiglie che, non per cattiva volontà, non sono in grado di af­frontare queste situazioni.

Nella conferenza stampa Ivano Giacomelli, se­gretario nazionale del CODICI, ha dichiarato che «non essendo stato possibile procedere al tra­sferimento programmato dell'anziano a Tivoli, vi­sto il rifiuto, venivano addebitate all'anziano, a partire dal 21 settembre le spese di 500 mila lire giornaliere per il proseguimento della degenza al Forlanini.

«Stando così lontano dai parenti, il signor Sciamanna in pochi giorni sarebbe morto. Pos­sibile - si è chiesto Giacomelli - che non si sia trovato un posto a Roma? Sono stati i parenti a trovare da soli un posto alla clinica San Raffaele dove l'anziano è ora ricoverato. Siamo di fronte a un classico esempio di dimissioni selvagge - ha affermato Giacomelli - collegato alla man­canza di strutture sanitarie sufficienti o di servizi di assistenza per gli anziani malati. E alcuni dati lo dimostrano».

Gli ultrasessantacinquenni nel Lazio sono cir­ca 700 mila. Oltre 19 mila necessitano di assi­stenza (14 mila avrebbero solo bisogno di assi­stenza domiciliare integrata - 5 mila dell'ospe­dalizzazione domiciliare). Gli anziani attualmente assistiti, soprattutto a livello sociale, sono solo 3.600 pari allo 0,5 per cento. Mentre nella regio­ne sono a disposizione 5 mila posti letto di lun­godegenza nelle cliniche convenzionate. Ciò vuol dire che circa 10 mila anziani nel Lazio de­vono procurarsi a proprie spese, o tramite la fa­miglia, l'assistenza di cui hanno bisogno.

II Coordinamento per i Diritti del Cittadino ha messo in risalto come nel 1992 il Cipe abbia stanziato 18 miliardi per finanziare la realizza­zione del Progetto Obiettivo Anziani che prevede il servizio di ospedalizzazione a domicilio, l'isti­tuzione del Day Hospital, delle UVG, delle RSA. Nessuno di questi servizi è stato a tutt'oggi rea­lizzato eppure sappiamo benissimo che contri­buirebbero notevolmente ad abbassare la spesa sanitaria regionale. «Dal primo gennaio 1995 - ha detto Ivano Giacomelli - lo Stato rimborserà le strutture sanitarie solo secondo le prestazioni erogate. Ciò vuol dire che i pazienti dovranno pensare da soli alla propria continuità terapeuti­ca. Ma noi manderemo agli amministratori sani­tari delle Usi e delle aziende ospedaliere una lettera, notificata da un ufficiale giudiziario, in cui chiederemo di garantire una continuità tera­peutica programmata per i pazienti che saranno dimessi pur avendo bisogno di assistenza sani­taria. Se così non fosse li denunceremo per ab­bandono di incapace».

 

 

POCHI I POVERI IN CALABRIA SECONDO LE CARITAS LOCALI

 

Sorprendenti sono i risultati di una indagine svolta in Calabria nel 1993 da Vincenzo Bova (1) per conto della Caritas tramite l'invio di un que­stionario alle 853 parrocchie del territorio cala­brese.

AI fine di conoscere «le povertà presenti (o meglio percepite dai parroci)» è stata posta una domanda includendo «povertà, emarginazione e "ultimi" in senso evangelico».

Scrive l'Autore: «Ci si sarebbe attesi che la to­talità dei rispondenti avesse dichiarato la presen­za di poveri, salvo evidentemente a fare dei di­stinguo, rispetto alle tipologie di povertà (da quelle materiali a quelle spirituali)». Infatti - ag­giunge il Bova - «è fuori di dubbio che, nelle suddette tre accezioni, ogni parrocchia ha le sue situazioni più o meno estese di marginalità e di disagio sociale».

È pertanto estremamente preoccupante che il 23,4% dei parroci abbia dichiarato «non esservi, sul territorio di propria competenza, situazioni di povertà e emarginazione».

In particolare, la povertà «non è menzionata solo nel 14,6% delle parrocchie urbane, mentre le parrocchie rurali e quelle montane che non di­chiarano di aver poveri sono rispettivamente il 30,4% e il 31%».

Un altro dato preoccupante si riferisce alla quota bassissima (1,8%) delle Caritas parroc­chiali che «coinvolgono nella loro organizzazione anche persone povere o emarginate».

Secondo l'Autore della ricerca «questo ultimo dato evidenzia un'azione caritativa che è conce­pita e organizzata mantenendo una distanza fra gli operatori della carità e le persone in difficoltà che da essi sono incontrate».

Sferzante il commento di Mons. Giuseppe Pa­sini, direttore nazionale della Caritas italiana: «Questo dato dice eloquentemente che la carità è vista ancora prevalentemente o come donazio­ne di denaro (perciò vi partecipa solo chi dispo­ne di denaro) oppure come "fare qualcosa" per "gli altri"; e non come un lavorare "con" gli altri. L'idea dei poveri "portatori di valori" e l'esigenza che siano loro ad educare nelle risposte di carità, non traspare da queste risposte».

Infine è deplorevole che solo il 16,4% della Caritas della Calabria «vede nell'Ente pubblico un partner per la promozione di interventi e solo il 23,4% tenta di stimolare gli Enti pubblici ad una maggiore attenzione verso le povertà e le forme di emarginazione».

 

 

CORSO DI FORMAZIONE SULL'AFFIDO

 

Nel corso di formazione organizzato da "Fami­glia dovuta" (*), svoltosi in data 14, 21 e 28 mag­gio e 4 giugno 1994, cui hanno aderito famiglie affidatarie, volontari e operatori sociali per il confronto sulle motivazioni all'affido, dalle espe­rienze e dai rapporti con le istituzioni, è emerso quanto segue:

1) le motivazioni degli affidatari e di coloro che si sono dichiarati disponibili all'affido appaiono sufficientemente valide; pur tuttavia la mancan­za di punti di riferimento chiari nelle istituzioni per le necessarie informazioni e di occasioni di approfondimento della tematica non favorisce l'affiorare delle motivazioni e la crescita ed il contagio delle esperienze affidatarie;

2) il confronto tra affidatari, volontari ed ope­ratori ha fatto emergere la necessità di un mag­gior numero di operatori qualificati, sia per la selezione delle famiglie che per un costante so­stegno alle stesse durante le varie tappe dell'af­fido, con particolare attenzione ai delicati rap­porti fra famiglie d'origine e affidatarie;

3) i vissuti raccontati hanno fatto comprende­re che, ove ci sia il collegamento fra operatori, volontari ed educatori delle strutture assisten­ziali, sia nel programma che nella realizzazione, gli affidi procedono in modo valido. Purtroppo numerose sono risultate le esperienze di soffe­renza per la mancanza di chiarezza di informa­zioni e di sostegno agli affidi in corso che non raramente s'interrompono drammaticamente.

Pertanto, tutti i partecipanti a questa prima esperienza di formazione

chiedono

1) agli Enti locali di:

a) attuare una concreta politica di sostegno nei confronti delle famiglie, attraverso adeguati servizi sociali;

b) potenziare il numero degli operatori e cu­rarne l'aggiornamento professionale;

c) privilegiare la permanenza dei bambini nel­le proprie famiglie di origine con interventi di as­sistenza domiciliare e con ogni altra forma di sostegno atta a prevenirne l'allontanamento;

d) istituire presso ogni Comune il "servizio af­fidi" ed elaborare i relativi regolamenti. In parti­colare al Comune di Bari di procedere rapida­mente all'approvazione del regolamento elabo­rato dal coordinamento tra operatori pubblici e volontari, nonché dei relativi protocolli d'intesa con i consultori familiari;

2) agli operatori sociali di:

a) sensibilizzare alla cultura dell'accoglienza;

b) selezionare e valutare attentamente le per­sone disponibili all'affido;

L'associazione "Famiglia dovuta", preso atto dell'interesse dimostrato dai partecipanti s'im­pegna ad organizzare altri momenti di formazio­ne, auspicando che analoghe occasioni venga­no proposte anche dalle istituzioni e da altri or­ganismi.

Come associazione, continueremo nella no­stra attività di:

- impegno nei confronti dei minori in difficoltà e delle loro famiglie;

- favorire occasioni periodiche di confronto e sostegno reciproco fra famiglie affidatarie;

- collaborazione con le istituzioni ed ogni al­tro organismo che si occupa di minori nel ri­spetto dell'autonomia e dei ruoli;

- sviluppare nei confronti dei giovani l'attività già iniziata di promozione alla solidarietà.

 

 

INIZIATIVE DEL SERVIZIO DI CONSULENZA DI TRENTO

 

- Seminario sulla comunicazione dei bambini sordociechi, Trento, 2-3-4 giugno 1995.

- Settimana estiva per genitori di bambini con problemi di udito, Trento, 30 giugno - 7 luglio 1995.

- Settimana estiva per genitori con bambini con problemi di vista, Trento, 9-16 luglio 1995.

- Settimana estiva per genitori di bambini con sindrome di Down, Bibione (Venezia), 3-10 set­tembre 1995.

 

Per informazioni, rivolgersi al Servizio di consu­lenza, Via Druso 7, C.P. 601, 38100 Trento, tel. 0461-82.86.93.

 

 

(1) Cfr. Vincenzo Bova, "Chiesa e integrazione sociale in Calabria: un modello organizzativo", Aggiornamenti sociali, n. 1, 1995.

(*) L'Associazione "Famiglia dovuta" ha sede c/o Luciana lannuzzi, Viale della Resistenza 48/d, 70125 Bari, tel. 080-42.02.98.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it