Prospettive assistenziali, n. 107, luglio-settembre 1994

 

 

IL PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLE COMUNITÀ PER MINORI: UNA RICERCA DELL'ASSOCIAZIONE LILA

FRANCESCO BARBON (*) - LOREDANA GAMBUZZI (**)

 

 

Serve una comunità? Quanto serve? Come misurare in termini di efficacia il lavoro degli operatori che si occupano di un minore? Come possono gli educatori di una comunità e quelli dei servizi che con essa collaborano, trovare parametri comuni per valutare l'andamento degli interventi messi in atto?

A qualcuno questi interrogativi potranno ap­parire più consoni a persone che si occupano di processi produttivi piuttosto che di servizi socia­li: solitamente l'intervento socio-assistenziale si misura nella quantità di servizi che riesce a produrre.

Questa opinione risente probabilmente del clima che si respira nell'ambiente: una disperata lotta per ottenere l'indispensabile! Come si fa a sottilizzare sulla qualità?

I tentativi, e ce ne sono molti, di migliorare la qualità dei servizi risultano le avanguardie di un esercito malconcio, messi in mostra per spa­ventare il nemico e sperare che non si sogni di attaccare! Dietro questi tentativi esiste spesso un grande numero di realtà (soprattutto nel pri­vato sociale) che a fatica riesce a confermare la propria esistenza e ancor più faticosamente rie­sce ad impegnarsi sulla qualità dei propri inter­venti.

Non basta. Ed una volta che si è decisi a lavo­rare sulla "qualità", quali possono essere gli in­dicatori, quali gli strumenti per misurarla?

Nelle produzioni materiali è abbastanza facile determinare gli standard qualitativi di un prodot­to, molto più difficile appare la valutazione dell'intervento sociale dove l'oggetto è sempre una persona, e come tale compartecipante alla definizione degli interventi. Infatti, in questo am­bito, si risente di diverse interferenze dovute ad una molteplicità di committenti e di beneficiari; ad esempio: chi è il cliente di una comunità al­loggio? II minore? La famiglia? II servizio invian­te? II tribunale? La società? E a pro di chi lavora la comunità? Del minore? Della famiglia? ecc.

Questa "confusione" in realtà rappresenta l'abituale ambiente entro cui i servizi sociali in genere operano ed ognuno degli attori potrebbe definire un diverso obiettivo per lo stesso caso. Quale quello "giusto"?

Con queste domande si corre il rischio di ca­dere da un lato in una sorta di delirio d'onnipo­tenza (facciamo tutti contenti!), dall'altro di dira­dare a tal punto l'incisività di un intervento da renderlo alla fine inutile (tanto non possiamo ac­contentare tutti!).

Occorre perciò uscire dall'impasse di doman­de che si avvitano su se stesse, dal rischio di parlare delle cose già accadute e poco di quelle che ci aspettiamo, attraverso un processo di confronto volto alla definizione degli obiettivi e sostenuto da strumenti appositamente creati al­lo scopo.

Un primo passo è consistito nel creare stru­menti che ci aiutino ad utilizzare la nostra espe­rienza passata, in vista di ottimizzare l'intervento futuro.

Queste riflessioni e le questioni poste all'inizio mettono naturalmente in grosso imbarazzo il "povero" operatore sociale che, da una parte, si sente nella condizione di dover difendere le po­che o tante risorse costruite in questi anni e dall'altra vorrebbe poter riflettere sul proprio la­voro in termini di verifica e crescita: guardare ciò che si è fatto per migliorare.

L'Associazione Lila da oltre dieci anni gesti­sce delle comunità educative per minori e, ac­canto al lavoro quotidiano nelle strutture, ha in­trapreso un cammino di formazione e supervi­sione: lo scopo di questo processo è di sotto­porre a verifica il proprio operare sia nella di­mensione dei rapporti all'interno delle comunità (tra educatori, famiglie e minori, tra servizi ester­ni e comunità), ma anche in una dimensione macroscopica che comprenda il funzionamento della comunità intesa come servizio del territo­rio.

Da questa esperienza nasce l'esigenza di "in­ventare" un insieme di elementi di valutazione per le proprie strutture di accoglienza: da un la­to riuscire ad offrire all'esterno ed a noi stessi elementi di verifica del lavoro svolto, dall'altro dotarci di uno strumento di confronto utile an­che sul piano di impostazione degli obiettivi e del processo da avviare per ogni minore ac­colto.

 

Alcune note informative sulla comunità per minori

Per regolamento le nostre comunità accolgo­no minori (maschi e femmine) dai 6 ai 18 anni; dalla ricerca emerge che la maggior parte (64%) è stata inserita tra i dodici e i quindici anni e la tendenza attuale evidenzia un aumento dell'età media d'immissione.

La storia dei minori prima dell'ingresso in co­munità è spesso complessa; in generale si può parlare di gravi carenze educative della famiglia che spesso sfociano in episodi di una qualche gravità: abbandono scolastico o difficoltà nell'inserimento, disturbi psicologici e devianza sociale. In alcuni casi i ragazzi provengono da lunghi periodi di istituzionalizzazione, le cui con­seguenze negative sono note; per altri si tratta del fallimento di affidi familiari impropri (cioè di­sposti senza un definitivo progetto e senza l'in­dispensabile appoggio dei servizi) o adozioni fallite perché non correttamente attuate.

Purtroppo la mancanza di una legge quadro che promuova e regoli l'attività dei servizi per i minori rende precarie le condizioni degli inter­venti di sostegno e aiuto; i segnalatori del disa­gio si muovono su soglie molto alte, quando cioè la condizione del minore nella propria fami­glia è già gravemente compromessa; questo rende complesso e lungo il lavoro di recupero, che spesso vede anche difficoltà di coordina­mento da parte dei diversi organismi competenti (servizi sociali comunali, Usi, Tribunale, strutture d'accoglienza, centri specialistici). È quasi as­sente una cultura di promozione del benessere, tale da consentire non solo l'intervento sull'emergenza, ma anche specifiche attività di socializzazione nel territorio; una scuola rifor­mata in questo senso, rappresenterebbe una buona base di partenza, in quanto tra i suoi ban­chi passano bene o male tutti i minori.

Il lavoro svolto dalla comunità è innanzitutto teso a costruire un progetto educativo indivi­duale per ogni minore in collaborazione con i servizi invianti, le famiglie e il minore stesso. Es­so comprende obiettivi di tipo scolastico, lavora­tivo, di socializzazione, psicologico; anche nei casi più gravi la famiglia è considerata (salvo precise disposizioni del tribunale per i minoren­ni) come risorsa in quanto riteniamo che qual­siasi miglioramento per la condizione generale di un minore sia strettamente connesso all'ela­borazione delle relazioni familiari.

11 progetto viene verificato ed eventualmente aggiornato nel corso del tempo di permanenza in comunità; come già detto sopra, il coordina­mento con gli altri enti preposti risulta a volte difficile per le carenze organizzative e di perso­nale a cui essi sono sottoposti, accade così che la comunità diventa l'unico punto di riferimento e debba intervenire per sollecitare l'intervento delle istituzioni competenti.

L'inserimento di alcuni ragazzi in età "avanza­ta" (16 e 17 anni) e con una situazione familiare

e personale di non facile soluzione, ha posto al­la nostra associazione il problema di quei giova­ni che, compiuto il diciottesimo anno d'età, non hanno alcun riferimento per uscire dalla comu­nità. Per risolvere questo problema abbiamo creato una struttura d'accoglienza per giovani; il riferimento del 15% di ricoveri in istituto (termine corrente, anche se non adatto, usato per le strutture diverse dalle comunità per minori), pre­sente nelle tabelle allegate è appunto relativo al passaggio a questa struttura di alcuni dei ragaz­zi dimessi dalla comunità.

 

In che cosa consiste la ricerca

Si tratta di un sistema di questionari per rac­cogliere i dati relativi ai minori che sono stati ospiti della comunità. Gli ambiti di osservazione considerati sono: famiglia, scuola, lavoro, socia­lizzazione, servizi sociali, comunità. II questiona­rio comprende una sorta di anamnesi al mo­mento della dimissione e gli obiettivi raggiunti per ogni ambito considerato. Tali obiettivi sono predefiniti e valutabili attraverso una scala gra­duata che consente di valutare la qualità dell'obiettivo raggiunto.

Vediamo i questionari; sono tre: quello cen­trale, compilato al momento della dimissione, che fotografa il punto di arrivo, è preceduto da uno d'ingresso, che definisce gli obiettivi di ser­vizi, minore, famiglia ed équipe di comunità, e seguito da un altro compilato ad un anno dalla dimissione per verificare il mantenimento o me­no nel tempo della situazione raggiunta.

I dati di questa valutazione (oggetto di una pubblicazione richiedibile presso la segreteria dell'Associazione Lila) (1) nascono dalla sovrap­posizione di due immagini: quella riferita agli obiettivi individuati dall'équipe e dal servizio so­ciale al momento delle immissioni e/o durante la permanenza in comunità del ragazzo e quella dell'effettivo livello di raggiungimento di tali risul­tati al momento delle dimissioni e dopo un anno da esse, in ognuno dei sistemi relazionali osser­vati per ciascun minore.

È dal confronto delle due immagini, peraltro in continua e progressiva evoluzione, che può ri­sultare possibile monitorare l'efficacia dell'inter­vento complessivo dei nostri servizi. Pensiamo inoltre che questo meccanismo possa parzial­mente eliminare l'arbitrarietà insita in questa sorta di autovalutazione. La definizione di obiet­tivi precisi permette anche un confronto in itine­re sul processo in atto e di "aggiustare il tiro" nel caso emergano segnali che alcuni obiettivi sono stati sovra o sottodimensionati.

 

I dati raccolti e i risultati

Premettendo che è la prima volta che questo strumento viene applicato e perciò mancano dati di confronto, ci sembra comunque impor­tante riferire sinteticamente alcuni dei risultati ottenuti.

Inoltre va ricordato che questo tipo di questio­nario non evidenzia il fondamentale lavoro svol­to dalla comunità sul piano psicologico indivi­duale e relazionale nei confronti dei minori: que­sto intervento attraversa e dà significato a tutti i diversi ambiti presi in esame nella ricerca e rap­presenta "l'anima" del lavoro delle comunità (per chi fosse interessato è possibile avere in­formazioni su questo piano da una pubblicazio­ne dal titolo: "Il progetto educativo", sempre ri­chiedibile presso la segreteria dell'Associazione Lila).

Raccogliendo brevemente in una visione d'in­sieme i dati della rilevazione, proponiamo alcu­ne considerazioni.

L'alta percentuale di obiettivi raggiunti nell'ambito della formazione personale del minore pesa a favore dell'intervento svolto, dimostrando in particolare l'utilità di un lavoro mirato, concentrato nel tempo più breve possibile e fon­dato su un uso attento del quotidiano come strumento educativo. Tra parentesi rileviamo che parte degli insuccessi è dovuta a cause in­dipendenti dell'Associazione, legate specie nei primi tempi a difficoltà amministrativo-burocrati­che (ad es. la sospensione della retta per due casi).

Ampliando il quadro, si nota una maggior per­centuale di fallimenti nell'ambito familiare piutto­sto che nel contesto sociale (scuola/lavoro); questo anche se una delle difficoltà più spesso esplicitate al momento delle immissioni è legata agli studi ed alle compagnie del minore.

È stato appurato in diversi casi che il passag­gio elementari-medie è vissuto in modo trauma­tico sia dal minore che dalla famiglia, non solo per le normali difficoltà del cambiamento (minor attenzione alle relazioni rispetto ai contenuti, pluralità di materie e di professori, ecc.), ma an­che per il nuovo impegno di sostegno culturale extrascolastico che pare necessario.

Pur non essendo certamente questa la moti­vazione principale dell'allontanamento, a volte un sentimento di insufficienza da parte del geni­tore di fronte alle nuove esigenze ed espressioni culturali (del ragazzo e del contesto sociale in continua evoluzione) confermà l'inadeguatezza nel seguire il minore, spesso esplicitamente af­fermata.

La comunità, d'altra parte, pone particolare attenzione alla scelta delle scuole (se possibile) ed al rapporto con gli insegnanti; la scuola è in­fatti per il minore il maggior ambito di riferimento anche temporale dopo la famiglia. Molte volte il fatto che il minore risieda in una comunità-al­loggio lo pone automaticamente in posizione di diversità nella classe, specie nell'approccio dei docenti; l'atteggiamento può variare da una ras­sicurazione sul ragazzo ed una conseguente delega per quanto riguarda la sua crescita per­sonale e culturale ("il minore è comunque se­guito"), ad una cura particolare verso il ragazzo stesso, con la definizione concordata di obiettivi scolastici concretamente perseguiti.

A partire da questi brevi cenni, si imporrebbe una riflessione sull'istituzione scolastica, sul senso delle proposte culturali ed educative che offre, sulla formazione degli insegnanti da un punto di vista socio-psicopedagogico oltre che didattico, riflessione che lasciamo a chi, più esperto di noi, può approfondire l'argomento con maggior cognizione di causa.

Se dunque la comunità, una volta concordati gli obiettivi con il servizio sociale di base, può ottenere buoni successi riguardo la maturazione e la socializzazione del minore lavorando auto­nomamente, dimostra però l'insufficienza dei proprio solitario intervento nel contesto familia­re, luogo principale del disagio.

È nell'affrontare quest'ambito che dovrebbe esprimersi il più intenso lavoro di rete fra servizi di vario livello, secondo le proprie specificità.

Troppe volte l'allontanamento del minore si­gnifica solo uno spostamento del problema: an­che quando questo provvedimento esprime la volontà di "salvare" il minore da un contesto che si ritiene stabilizzato sul disagio cronico (valuta­zione del resto estrema) la soluzione è spesso molto parziale perché comunque il minore conti­nuerà a fare riferimento a quel nucleo e l'equili­brio personale raggiunto potrebbe rimanere quindi piuttosto fragile.

Ma anche nel caso di situazioni ritenute recu­perabili, non è pensabile che un intervento solo sul minore porti ad un automatico miglioramento della situazione in famiglia, che invece general­mente tende ad esprimere in modo diverso le proprie difficoltà, per esempio attraverso il disa­gio individuale della persona più debole del nu­cleo, magari precedentemente "protetta" dall'at­teggiamento problematico del minore.

Globalmente, dunque, l'esperienza comunita­ria pare positiva nel rispondere a problematiche specifiche, all'interno del proprio ruolo, ma in­sufficiente nell'affrontare situazioni compromes­se a livello sociale più ampio, per agire sulle quali si auspica una politica globale centrata su un generale miglioramento della qualità della vi­ta e, restando nell'ambito degli interventi mirati, sempre maggiori collegamenti ed organizzazione fra servizi di primo e secondo livello, oltre che con le agenzie educative e ricreative territo­riali.

Intendiamo protrarre nel tempo tale confronto: lo strumento elaborato per la valutazione viene qui verificato per la prima volta (la raccolta dati e l'analisi riguardano le dimissioni effettuate fra il 1982 e il 1992); dopo gli eventuali aggiustamenti verrà regolarmente applicato nelle comunità, aggiornandolo alle dimissioni di ogni minore.

Auspichiamo una collaborazione con i servizi sociali per un uso attivo di questo strumento; potrebbe cioè essere utile continuare l'osserva­zione dei dimessi per qualche tempo (com'è fi­nora stato fatto dagli operatori della comunità, informalmente), riproponendo le domande che nel questionario si definiscono "ad un anno dal­le dimissioni", sia per un controllo dei casi, a so­stegno e conferma dei risultati raggiunti con eventuali nuovi interventi, sia per un monitorag­gio conoscitivo sulla popolazione giovanile utente dei servizi e sul contesto in cui vive. II controllo è poi necessario se si vuole evitare che la comunità risulti essere per il ragazzo una parentesi fine a se stessa, senza possibilità di successive elaborazioni, che non sempre egli è in grado di promuovere e gestire autonomamen­te.

Siamo consapevoli che un lavoro di questo ti­po ha dei limiti derivanti dall'aver ridotto a sem­plici numeri un contesto professionale così complesso e particolareggiato; tuttavia conside­riamo estremamente importante l'individuazione di criteri oggettivi di osservazione del lavoro, utili a favorire uno scambio di esperienze tra realtà operanti nel nostro stesso ambito, e al contem­po dotare il sistema "Lila" di una costante verifi­ca.

 

COLLOCAMENTO DOPO LE DIMISSIONI

 

Tipologia

Al momento

delle dimissioni

Dopo 1 anno

dalle dimissioni

Attualmente

 

n° casi

%

n° casi

%

n° casi

%

Famiglia di

origine

19

69%

14

65%

17

62%

Famiglia

adottiva o

affidataria

1

3%

1

3%

0

-

Solo

1

3%

4

15%

1

3%

Istituto

4

15%

2

7%

3

11%

Costituito

famiglia

1

3%

1

3%

3

11%

Presso parenti

2

7%

2

7%

2

7%

Carcere

0

-

0

-

1

3%

Altro

0

-

0

-

1

3%

TOTALE

28

100%

28

100%

28

100%

 

 

OBIETTIVI FAMIGLIA

 

Obiettivi

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

 

non con-

non con-

non rag-

parzial-

raggiunto

 

sidera-

siderato

giunto

mente

 

 

bile

 

 

raggiunto

 

 

casi

%

casi

%

casi

%

casi

%

casi

%

Integrazione

1

3%

4

15%

12

43%

6

21%

5

18%

Autonomia

0

-

0

-

7

25%

10

36%

11

39%

Consapevolezza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

del minore

2

7%

0

-

7

25%

9

32%

10

36%

Consapevolezza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

della famiglia

3

12%

1

3%

14

50%

9

32%

1

30%

Capacità di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

gestire i con­-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

flitti interni da

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da parte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

del sistema

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

familiare

3

12%

0

-

9

32%

8

28%

8

28%

Livello di rag­-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giungimento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

obiettivi

9

6%

5

3%

49

35%

 

30%

35

26%

 

 

OBIETTIVO SCUOLA-LAVORO

 

Obiettivi

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

 

non

parzialmente

raggiunto

 

raggiunto

raggiunto

 

 

n° casi

%

n° casi

%

n° casi

%

Raggiungi­-

 

 

 

 

 

 

mento grado

 

 

 

 

 

 

scolastico

 

 

 

 

 

 

prestabilito

3

28%

2

18%

6

54%

Rapporto non

 

 

 

 

 

 

conflittuale

3

28%

4

36%

4

33%

Livello di rag­-

 

 

 

 

 

 

giungimento

 

 

 

 

 

 

obiettivi

6

27%

6

27%

10

46%

 

Obiettivi

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

 

non

parzialmente

raggiunto

 

raggiunto

raggiunto

 

 

n° casi

%

n° casi

%

n° casi

%

Raggiungi­-

 

 

 

 

 

 

mento grado

 

 

 

 

 

 

scolastico

 

 

 

 

 

 

prestabilito

2

12%

2

12%

12

76%

Inserimento

 

 

 

 

 

 

lavorativo

3

12%

1

6%

12

76%

Raggiungimento

 

 

 

 

 

 

autonomia

 

 

 

 

 

 

economica

4

25%

2

12%

10

83%

Rapporto non

 

 

 

 

 

 

conflittuale

2

12%

3

18%

11

70%

Livello di rag­-

 

 

 

 

 

 

giungimento

 

 

 

 

 

 

obiettivi

11

18%

8

12%

45

70%

 

 

 

TEMPO DI PERMANENZA IN COMUNITA

 

Permanenza

n° casi

%

Permanenza

n° casi

%

da 0 a 3 mesi

1

4%

da 3 a 4 anni

3

11%

da 3 a 6mesi

2

7%

da4a5anni

3

11%

da 6 a 9 mesi

0

-

da 5 a 6 anni

2

7%

da 9 a 12 mesi

1

4%

oltre 6 anni

2

7%

da 1 a 2 anni

6

21%

TOTALE

28

100%

 

 

 

FONTE DI SOSTENTAMENTO

 

 

Al momento

Dopo 1 anno

 

delle dimissioni

dalle dimissioni

 

n° casi

%

n° casi

%

Lavoro dipendente/

 

 

 

 

autonomo

13

48%

13

48%

Lavoro occasionale

 

 

3* (1)

 

e/o in nero

4

12%

3

21%

 

 

 

4* (1)

 

Famiglia

15

53%

7

35%

Sussidi

4

14%

4

14%

Altro

3

11%

2

7%

 

 

OBIETTIVI SOCIALIZZAZIONE

 

Obiettivi

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

Obiettivo

 

non con-

non con-

non rag-

parzial-

raggiunto

 

sidera-

siderato

giunto

mente

 

 

bile

 

 

raggiunto

 

 

casi

%

casi

%

casi

%

casi

%

casi

%

Inserimento in

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

gruppi strut­-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

turati

3

10%

3

10%

12

48%

7

26%

3

10%

Capacità di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

relazione con

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

coetanei

0

-

0

-

8

28%

6

22%

14

50%

Capacità di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

gestire il

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

rapporto con

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

altro sesso

3

10%

2

7%

7

25%

12

44%

2

24%

Acquisizione di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

comportamenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

socialmente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

accettabili

1

3%

0

-

5

18%

6

22%

16

57%

Livello di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

raggiungimento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

obiettivi

7

6%

5

4%

32

29%

31

28%

 

33%

 

 

 

MANTENIMENTO OBIETTIVI GENERALI

AD UN ANNO DALLE DIMISSIONI

 

Famiglia

Scuola-Lavoro

Socializzazione

 

n° casi

%

n° casi

%

n° casi

%

Evoluzione

positiva

4

15%

18

36%

5

21%

Mantenimento

4* (1)

13

60%

4* (1)

8

43%

4* (1)

11

54%

Regressione

1* (1)

6

25%

1* (1)

5

21%

1* (1)

6

25%

TOTALE

28

100%

28

100%

28

100%

 

 

HA MANTENUTO I CONTATTI CON LA COMUNITÀ

 

SI                 71%

NO                  29%

 

 

 

RIENTRI IN COMUNITÀ

 

NO                 93%

SI                  7%

 

 

 

 

 

 

 

(1)     Riguarda i casi dimessi nel 1991, per i quali non è ancora trascorso un anno dalle dimissioni.

 

 

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