Prospettive assistenziali, n. 105, gennaio-marzo 1994

 

 

Specchio nero

 

 

ABUSI DELLE QUESTURE DI VENEZIA E VERONA

 

Nel processo tenutosi a Venezia il 1° giugno 1993 a carico dei tre figli e dei due nipoti della signora R.F., nata nel 1902, denunciati alla ma­gistratura penale dall'ospedale Fatebenefratelli per il fatto che non avevano accettato la dimis­sione della loro congiunta ricoverata, in un reparto di lungodegenza (1), il Tribunale ha inter­rogato l'agente di polizia Pierpaolo Piraccini il quale ha testimoniato che, dopo aver ricevuto in ufficio una telefonata da parte del dottor Linguerri, direttore sanitario dell'ospedale Fatebenefratelli di Venezia, che chiedeva l'intervento della Questura per poter dimettere la signora R.F., si recò come "da disposizione dell'ufficio" da uno dei figli, che in seguito venne convocato presso il Commissariato e interrogato.

Secondo quanto ci ha scritto uno dei figli, il Commissario di pubblica sicurezza gli disse che, se non avesse portato a casa la madre, sa­rebbe incorso in una condanna da 1 a 5 anni di reclusione (2).

In merito a quanto sopra esposto chiediamo al Ministro dell'interno, al Prefetto e al Questore di Venezia se ritengono lecito che, addirittura sulla base di una semplice telefonata da parte del direttore sanitario di un ospedale privato, la Questura possa avviare indagini e minacciare cittadini onesti.

Che la segnalazione alla Questura sia una pratica usata non solo dall'Ospedale Fatebenefratelli di Venezia, ma anche da quello di Negrar (Verona) appartenente all'Opera Don Calabria, emerge dall'interpellanza n. 496 presentata dai Consiglieri Biasibetti e Contolini al Consiglio della Regione Veneto, la cui Giunta ha spudora­tamente risposto che «quanto alle minacciate denunce per abbandono di incapace e alle chia­mate dei Commissariati di polizia, riferite nei ri­guardi dei familiari, esse possono considerarsi mezzi di pressione psicologica, forse alquanto goffi, per accelerare la dimissione».

Data la gravità del problema, invitiamo il Mini­stro dell'interno, i Prefetti ed i Questori di Venezia e Verona a voler diramare una circo­lare al fine di fornire le necessarie indicazioni alle Questure (e anche ai Comandi dei Carabi­nieri), in modo che siano rispettate le leggi vi­genti che assicurano agli anziani cronici non autosufficienti, come a tutti i cittadini malati, il diritto alle cure sanitarie, comprese - occorren­do - quelle ospedaliere.

 

 

PER IL PRESIDENTE NAZIONALE DELL'ANFFAS I SERVIZI PER GLI HANDICAPPATI INTELLETTIVI CI SONO

 

Recentemente un bambino di Napoli, grave­mente handicappato sul piano intellettivo, la­sciato solo in casa, è morto bruciato vivo.

Alla domanda del giornalista (Cfr. La Stampa del 30 gennaio 1994) se la tragedia «si sarebbe potuta evitare se ci fossero state le strutture», Renzo Tornatore, Presidente nazionale del­I'ANFFAS (Associazione nazionale famiglie fan­ciulli e adulti subnormali), incredibilmente ha ri­sposto in questi termini: «Ma quelle (le strutture n.d.r.) ci sono. Il problema è che molte famiglie non sono propense ad utilizzarle».

Contro l'assurda risposta del Presidente na­zionale dell'ANFFAS ha preso giustamente posi­zione l'UTIM (Unione per la tutela degli insuffi­cienti mentali) che ha rilevato quanto segue: «Secondo noi, sono a dir poco stupefacenti le af­fermazioni del Presidente Tornatore. Sarà pur ve­ro che, in qualche raro caso la famiglia rifiuta la frequenza delle strutture esistenti, anche se, al ri­guardo, occorrerebbe conoscerne le ragioni. Una cosa è certa: da sempre in tutte le città del nostro Paese c'è una enorme carenza di centri diurni e di comunità alloggio. I familiari sono quindi costretti a tenersi, con scarsi o nulli aiuti, il congiunto a casa o ad accettare soluzioni assolu­tamente insufficienti ed inefficienti sia per co­struire un qualsiasi progetto di recupero, sia per essere sostenuti nel gravoso impegno di assicu­rare al proprio parente assistenza per 365 giorni all'anno».

 

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