Prospettive assistenziali, n. 105, gennaio-marzo 1994

 

 

Interrogativi

 

 

HANDICAPPATI ABILI DEFINITI DISABILI DAL LABOS

 

Nell'articolo "Handicap e lavoro: pregiudizi, opportunità, limiti", apparso sul n. 3 di "Guida H", pubblicazione del Labos, si afferma che «il primo problema che incontra chi intende porsi l'obiettivo di condurre un disabile al lavoro (...) ha proprio a che fare con la stessa proponibilità di un simile obiettivo».

In effetti, si può forse dar torto a un imprendi­tore, o anche più semplicemente all'uomo della strada, se davanti alla parola "disabile" si immagina un povero handicappato in carrozzina, con la coperta sulle ginocchia, anziché un giovane attivo al suo tavolo da lavoro, benché non deambulante?

Anche se è l'organizzazione mondiale della sanità a parlare di "disabili", è proprio inderogabile per il Labos l'uso di un termine che, anziché evidenziare le capacità della persona handicappata, la squalifica in partenza?

Continua a usare una terminologia che richia­ma immagini negative, non consolida la vecchia cultura paternalistica/assistenzialistica? Aiuta o frena le richieste di occupazione per quanti so­no in grado di lavorare?

A questo proposito, viene lecito chiedersi: perché si continua a parlare genericamente di "disabile" anche nella rivista del LABOS, che di­chiara di porsi nell'area dell'avanguardia e della ricerca?

È ormai ampiamente riconosciuto che, soprattutto ai fini dell'inserimento al lavoro, è indi­spensabile chiarire di quale handicappato si parla (fisico, sensoriale, intellettivo), e quale sia il grado di autonomia e di capacità lavorativa che esprime (piena, ridotta, nulla).

Se gli stessi "esperti" del Labos non hanno ancora recepito quanto sia urgente introdurre questi minimi cambiamenti culturali, dobbiamo stupirci se la gente comune (come i probabili compagni di lavoro di un giovane handicappato, oltre che le imprese e il sindacato) non crede alle sue capacità lavorative e oppone addirittura resistenze quando si propone un posto di lavoro ad un handicappato intellettivo?

Per promuovere il diritto al lavoro di queste persone, che è preferibile chiamare handicappati, perché è l'handicap che li pone in posizione di diversità dagli altri, bisogna diffondere una cultura nuova, che parta anche da denominazio­ni che rilancino positivamente la persona handi­cappata nella società.

 

 

L'INFORMAZIONE CORRETTA AGLI UTENTI DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI

 

Alessandro Battistella dell'IRS, Istituto per la ricerca sociale di Milano, sul n. 1/1994 di Prospet­tive sociali e sanitarie affronta il tema dell'in­formazione agli utenti dei servizi socio-sanitari e sostiene che «due problemi fondamentali riguar­dano la difficoltà e frammentarietà delle informa­zioni fornite: entrambi hanno origine dalla estre­ma difficoltà della materia, con leggi e provvedi­menti che si susseguono incessantemente e con regimi di assistenza assai diversificati a seconda dell'utente. Una maggiore chiarezza da parte del legislatore e una progressiva semplificazione degli iter burocratici appare in questi casi l'unica strada per poter fornire agli utenti indicazioni fa­cilmente comprensibili».

Precisa, inoltre, che «per quanto riguarda inve­ce il senso di abbandono frequentemente speri­mentato dall'utente svantaggiato di fronte a strut­ture di cui capisce poco il funzionamento, è ne­cessario un investimento di risorse nell'aggiorna­mento del personale di sportello, e un intervento di ridefinizione delle competenze e del ruolo di alcune figure professionali chiave, quali ad esempio il medico di base».

All'Autore poniamo alcuni interrogativi:

1. visto che la prima legge che garantisce agli anziani cronici non autosufficienti il diritto alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere, ri­sale a quasi quarant'anni fa (legge 4 agosto 1955 n. 692), e tenuto conto che gli operatori sanitari e le assistenti sociali ospedaliere affer­mano - dicendo coscientemente il falso - che le cure spettano solo ai pazienti acuti, come pensa si possa risolvere il problema che non dipende né dalla poca chiarezza delle leggi, né dalla mancanza di informazione sull'argomento?

2. analoghe considerazioni valgono, a nostro avviso, sulla voluta disapplicazione della legge 4 agosto 1968 n. 482 sul collocamento obbligato­rio e sull'espulsione dalla frequenza della scuo­la dell'obbligo di handicappati. A quest'ultimo ri­guardo ricordiamo la vicenda segnalata sul n. 102, aprile-giugno 1993 di Prospettive assistenziali.

Altri numerosi esempi possono essere fatti. Invece di dedicare tutte le energie alla forma­zione degli operatori (iniziativa che condividia­mo e appoggiamo), non è il caso di incominciare a predisporre anche attività di informazione ri­volte ai cittadini e di preparazione dei volontari che hanno scelto di stare dalla parte dei più de­boli?

 

 

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