Prospettive assistenziali, n. 104, ottobre-dicembre 1993

 

 

Libri

 

 

ANDREA BARTOLI - TIZIANA LEPORE, Per una Chiesa a servizio degli anziani - Lettura approfondita della "Seconda indagine nazionale sui servizi socio-assistenziali collegati con la Chiesa", Editrice Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1992, pp. 88, L. 6.000

 

La pubblicazione "Per una Chiesa a servizio degli anziani", riprende e rielabora, in forma più compiuta, una parte del rapporto nazionale sulle attività socio-assistenziali collegate con la Chiesa, quella che riguarda i servizi per le persone anziane, che costituiscono la parte più consistente dell'impegno assistenziale della Chiesa stessa.

Secondo quanto scrive nella presentazione Mons. Giuseppe Pasini, direttore della Caritas italiana «la Chiesa deve domandarsi se i suoi servizi a favore delle persone anziane costituiscono un segno trasparente dell'amore di Dio per l'uomo che, come sappiamo, è stato ed è un amore personalizzante e mai massificante, un amore promozionale e liberante, un amore prefe­renziale per i più poveri».

Gli Autori rilevano, in primo luogo, che «so­prattutto rimane aperto il problema degli anziani non autosufficienti, a torto non considerati malati come gli altri». Ne deriva che per questi soggetti «la cura in strutture residenziali spesso non sani­tarie avviene frequentemente ancora secondo criteri inidonei».

In particolare Bartoli e Lepori individuano «una contraddizione che si manifesta tra le esi­genze dei ricoverati e il funzionamento delle strutture di ricovero. Gli stessi promotori dei ser­vizi motivano l'ingresso degli anziani nel circuito assistenziale principalmente per motivi di salute. D'altra parte gli istituti, le comunità residenziali e l'assistenza domiciliare non sono servizi sanitari e non mostrano di offrire cure in tal senso».

Più avanti gli Autori rilevano che «gli aspetti negativi per gli anziani non vanno sottaciuti ricor­dando come, oltre al trauma dell'istituzionalizza­zione, il ricovero assistenziale comporta spese aggiuntive (spesso ingenti) e minori cure sanita­rie» e aggiungono: «L'effetto "istituto" è per molti anziani "devastante": in struttura si muore, in me­dia, 4 volte di più che a casa propria. Non è una consapevolezza recente: già nel 1963 una ricer­ca italiana evidenziava come tra 17 ricoverati contro la propria volontà in istituto, la mortalità era pari a 16 individui dopo 10 settimane di rico­vero».

Il volume, che si collega ai due precedenti "Chiesa ed emarginazione in Italia", è rivolto a tutti coloro (utenti, familiari, operatori, e volonta­ri) che sono a servizio degli anziani, sia negli ospedali e nelle case di cura, che nelle strutture di ricovero assistenziale e nei servizi domiciliari.

 

 

EVA BUIATTI - FRANCO CARNEVALE - MARCO GEDDES - GAVINO MACIOCCO, Trattato di sa­nità pubblica, La Nuova Italia scientifica, Roma, 1993, pp. 895, L. 114.000

 

Per identificare i bisogni degli utenti e modu­larsi coerentemente su di essi, un Servizio sani­tario necessita, oltre che di periodiche ristruttu­razioni, di continui e capillari aggiustamenti.

Nel predisporre il volume, gli Autori hanno te­nuto conto non solo delle profonde trasforma­zioni avvenute in questi anni in campo normativo e organizzativo, ma anche delle nuove acquisi­zioni scientifiche e delle linee di tendenza che caratterizzano lo stato di salute della popolazio­ne.

Il testo si presenta, quindi, innovativo sia nell'impostazione che nei contenuti, e intende fornire agli operatori, agli amministratori sanitari e ai tecnici basi metodologiche corrette e cono­scenze aggiornate, indispensabili per la struttu­razione dei servizi, la programmazione delle atti­vità e la verifica del lavoro svolto.

Il volume si articola in quattro parti:

- la prima tratta i principi ed i metodi della sa­nità pubblica (e cioè l'evoluzione degli interventi e dell'ordinamento sanitario in Italia), la preven­zione ed i suoi strumenti;

- la seconda esamina l'origine delle malattie (fattori genetici, nutrizione, agenti chimici, fisici e infettivi, ambiente sociale, salute mentale);

- la terza riguarda l'epidemiologia e l'organiz­zazione sanitaria, e quindi la demografia, le sta­tistiche sanitarie, le tecniche epidemiologiche, i criteri di campionamento, la programmazione, l'organizzazione e la valutazione delle attività e dei servizi, l'assistenza sanitaria di base;

- la quarta prende in considerazione la tutela materno-infantile, i tumori, le malattie cardiova­scolari, le prestazioni per gli anziani, i servizi per la salute mentale, la tossicodipendenza, la tutela dell'ambiente, la prevenzione nei luoghi di lavo­ro, il controllo degli alimenti e delle malattie in­fettive, l'igiene delle strutture sanitarie e comuni­tarie, le certificazioni, gli accertamenti e le pre­stazioni medico-legali di competenza delle USL.

 

 

LA NUOVA COOPERATIVA, Volevamo soltanto cambiare il mondo. Storia di un'impresa sociale a Torino negli anni Ottanta, Edizioni Sonda, Torino, 1992, pp. 216, L. 24.000

Il 27 maggio 1980 nella sala del Consiglio di amministrazione dell'Opera pia degli ospedali psichiatrici di Torino nasce la Nuova Cooperati­va. È costituita quasi esclusivamente da ex de­genti dell'ospedale psichiatrico: da ricoverati in uno dei luoghi più devastanti diventano soci la­voratori, imprenditori di loro stessi.

Questo cambiamento era stato favorito dal­l'azione decisa della Sezione di Torino dell'As­sociazione per la lotta contro le malattie mentali (si veda in particolare il libro "La fabbrica della follia", edito da Einaudi) e, successivamente, dalle scelte fatte dai Sindacati CGIL, CISL e UIL insieme ai movimenti di base, scelte che porta­rono all'accordo con la Provincia di Torino de­nominato "Protocollo aggiuntivo" e alla conven­zione fra l'Opera pia Ospedali psichiatrici e la Provincia di Torino per la costituzione dei primi servizi territoriali e il distacco di parte del perso­nale del manicomio (1).

I soci lavoratori si pongono subito l'obiettivo di ottenere il riconoscimento e la retribuzione del proprio lavoro, e cioè il diritto per ogni socio di guadagnare un salario rapportabile all'orario e all'impegno professionale profuso.

Al 31 dicembre 1980 i soci lavoratori sono 77 ex degenti e 2 esterni. L'ammontare dei lavori per i primi 4 mesi di attività è di 280 milioni.

Il riconoscimento del ruolo della Cooperativa arriva nel 1989 con una sentenza del TAR pie­montese che legittima i rapporti privilegiati con l'USSL 24 (nel cui territorio ha sede l'ospedale psichiatrico), sentenza che riconosce la partico­lare prestazione riabilitativa della Cooperativa stessa e garantisce pertanto la procedura am­ministrativa dell'affidamento dei lavori.

La legge sulla cooperazione sociale n. 381/ 1991 assicura il riconoscimento normativo e giuridico, accoglie le richieste di fiscalizzazione degli oneri sociali per i soggetti inseriti e di age­volazione nell'acquisizione degli appalti attra­verso la trattativa privata.

La lettura del volume è indispensabile a colo­ro che vogliono documentarsi sulle iniziative in­traprese per il superamento degli ospedali psi­chiatrici e per ridare dignità di persona a coloro che autorità e operatori avevano brutalmente escluso dal contesto sociale.

Per coloro che sono diventati soci-lavoratori della Cooperativa (e per coloro che hanno be­neficiato di una attuazione corretta della legge 180/1978), il mondo è veramente cambiato.

 

 

STEFANO LEPRI - SILVANA TENGA, Terza età a Torino: i servizi territoriali e domiciliari, Regione Piemonte, Assessorato alla Cultura e CILTE, Torino, pp. 105, senza indicazioni di data e di prezzo.

 

Mentre è dimostrato da una infinità di dati e di testimonianze di amministratori, operatori, vo­lontari e utenti che la politica assistenziale per­seguita negli ultimi anni dal Comune di Torino è stata deleteria per le persone più indifese, in particolare per gli anziani cronici non autosuffi­cienti, la ricerca del CILTE, Centro di iniziativa locale per la terza età (organizzazione sostenuta dalla Fondazione Agnelli, che ha sede in locali messi a disposizione dal Comune di Torino con una rapidità incredibile) non ha occhi per vede­re e orecchie per sentire. Infatti, il CILTE sostie­ne che «siamo di fronte ad una amministrazione pubblica che dagli anni ottanta in poi - pur con comprensibili difficoltà legate principalmente a vincoli di bilancio - ha sempre cercato di garan­tire agli anziani più bisognosi un livello minimo di trasferimenti in denaro e servizi sociali e sta deli­neando con lungimiranza il loro sviluppo futuro».

Spudorata negazione della realtà, di fronte al­la situazione degli anziani malati cronici non au­tosufficienti, ai quali l'Amministrazione comunale di Torino, e in particolare l'Assessore democri­stiano alla sanità e assistenza, Giuseppe Brac­co, non hanno mai voluto riconoscere ciò che è evidente a tutti, anche agli sprovveduti, e cioè che si tratta di persone malate, che devono es­sere curate dal settore sanitario anche se in­guaribili. Anzi, proprio perché inguaribili, occor­re provvedere a conservare il massimo livello possibile di salute e di autonomia. "Inguaribile" non può significare "incurabile".

Anche grazie alla politica di emarginazione perseguita dal Comune di Torino, il servizio di ospedalizzazione a domicilio, nonostante i posi­tivi risultati raggiunti ed i costi estremamente contenuti, non si è sviluppato, nessun centro diurno per malati di Alzheimer è stato istituito, sono diminuiti i posti letto destinati agli anziani cronici non autosufficienti prolungando ad oltre un anno il tempo di attesa per il ricovero (peral­tro effettuato contra legem dal settore dell'assi­stenza/beneficenza), sono continuate le dimis­sioni selvagge dagli ospedali, sono prosperate le pensioni abusive e, a tre anni dalla loro se­gnalazione all'Autorità giudiziaria, il giornale La Stampa del 2 luglio 1993 riferisce che in una di esse, che godeva della protezione di un as­sessore del Comune di Torino e che ricoverava venti anziani, i due gestori, entrambi pregiudica­ti, nascondevano armi.

Essendo questi i fatti, non si comprende nem­meno come i ricercatori del CILTE possano affermare che a Torino «siamo di fronte ad una so­cietà civile organizzata che, pur peccando talvol­ta di amatorismo e di poca "visibilità"; dimostra una grande vivacità e varietà di espressione e conferma la grande tradizione di solidarietà pre­sente a Torino fin dal secolo scorso», tenuto conto che, purtroppo, la stragrande maggioran­za dei gruppi di volontariato non ha mosso e non muove un dito a difesa dei diritti e delle esi­genze degli anziani cronici non autosufficienti.

 

 

FRANCESCO ELLETTI (a cura di), L'osservatorio permanente delle povertà e delle risorse, Caritas Ambrosiana, Milano, 1993, pp. 220, senza indicazioni di prezzo

 

Secondo Mons. Giuseppe Pasini, Direttore della Caritas italiana, l'Osservatorio permanente è «uno strumento di ricerca sulle povertà e sulle risposte alla povertà, sia sul piano legislativo che su quello dei servizi sociali, finalizzato ad assicu­rare ai responsabili della pastorale elementi che consentano di:

a) conoscere la realtà delle povertà e dell'emarginazione, le sue dinamiche, le sue cau­se e le linee di tendenza;

b) verificare l'incidenza quantitativa e qualitati­va della presenza della Chiesa nelle risposte di carità;

c) sviluppare un'azione di sensibilizzazione della comunità cristiana alla solidarietà e alla partecipazione sul territorio, e un'azione di stimo­lo all'amministrazione pubblica assicurando ai poveri uno spazio di reale giustizia;

d) dar vita a nuove sperimentazioni e a nuove progettualità».

Per Don Angelo Bazzari, Direttore della Cari­tas ambrosiana, l'Osservatorio permanente del­le povertà e delle risorse deve assicurare «una adeguata e circostanziata conoscenza della real­tà, di quello che capita alle persone» affinché «la presenza pastorale della comunità ecclesiale sia capace di accoglienza, di carità, di giustizia, di solidarietà operante».

Viene precisato che l'attività della struttura «non è di intervento, ma di lettura; il livello ope­rativo (presa in carico di utenti, condivisione del bisogno, risposte dirette alle domande) non ri­guarda l'osservatorio, ma le realtà a cui l'osser­vatorio rimanda le proprie riflessioni».

A nostro avviso, la separazione della indivi­duazione delle esigenze rispetto alla valutazione delle risposte effettivamente fornite, costituisce un insanabile limite dell'osservatorio.

Infatti, la conoscenza vera dei bisogni, della loro intensità, della loro continua evoluzione-in­voluzione può essere raggiunta solamente se si accertano anche le risposte effettivamente for­nite, essendo del tutto insufficienti - e molto spesso fuorvianti - le indicazioni contenute in leggi, delibere, programmi e dichiarazioni di mi­nistri, di amministratori e di operatori pubblici e privati.

Se si interviene sui singoli casi personali e fa­miliari, allora - purtroppo sovente - si conosco­no le realtà altrimenti nascoste: ad esempio che non mancano i mezzi economici, ma che i finan­ziamenti sono stati dirottati in altri settori o giac­ciono inutilizzati (com'è il caso di gran parte dei 135 miliardi assegnati dal CIPE alle Regioni il 31 gennaio 1992 per l'assistenza domiciliare in­tegrata e non spesi alla data del 20 giugno 1993).

Si apprenderebbe, inoltre, anche in questo caso con una certa frequenza, che il personale non mancherebbe se, come prevedevano preci­se disposizioni di legge, l'Amministrazione aves­se tempestivamente indetto i concorsi o deciso l'affidamento del servizio a enti pubblici e privati convenzionati.

E, soprattutto, solamente la conoscenza diret­ta dei tempi e delle modalità con cui le singole situazioni personali e familiari sono state indivi­duate dai servizi e la valutazione quantitativa e qualitativa delle prestazioni erogate consentono di avere elementi oggettivi validi per esprimere giudizi su ciò che è avvenuto e di fornire infor­mazioni corrette alla popolazione.

Solo coniugando lettura dei bisogni e delle ri­sposte, si può, a nostro avviso, perseguire l'obiettivo auspicato dal documento della Dioce­si di Milano "Costruiamo insieme il bene comu­ne" e cioè giungere «ad una attivazione di più soggetti sociali in integrazione con gli organismi pubblici per la valorizzazione di tutte le risorse presenti sul territorio».

 

www.fondazionepromozionesociale.it