Prospettive assistenziali, n. 102, aprile-giugno 1993

 

 

UNA SANITÀ PER LA PERSONA

 

 

Pubblichiamo il documento redatto dalla Conferenza nazionale dei Presidenti delle Associazioni e delle Federazioni di Volontariato (1). Mentre concordiamo con le critiche rivolte al decreto legislativo 502/1992, non possiamo non rilevare che nel documento in oggetto si fa confusione fra servizi assistenziali (rivolti esclusivamente agli «inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere» (come stabilisce il primo comma dell'art. 38 della Costituzione) e servizi sociali (riguardanti cioè tutti i cittadini, come, ad esempio, le prestazioni sanitarie, i trasporti, le attività culturali).

L'integrazione dei servizi sanitari con quelli assistenziali attuata senza la definizione di precisi criteri e ambiti di intervento rischia - il che sa­rebbe gravissimo - di estendere a tutti i cittadini prestazioni che devono essere garantite esclusi­vamente agli «inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere» e cioè a circa i13-5% della popolazione.

Siamo, invece, perfettamente d'accordo su un unico organismo che gestisca a livello locale non solo i servizi sanitari e assistenziali, ma anche tutti gli altri servizi di base. Al riguardo, ricordia­mo che siamo stati i promotori della proposta di legge di iniziativa popolare "Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi di base"; presentata al Consiglio della Regione Piemonte il 21 luglio 1978 (2).

Infine, rileviamo l'opportunità che i bilanci delle singole materie siano separati, al fine di evitare che i settori forti (ad esempio la sanità) utilizzino i fondi destinati alla fascia più debole della popo­lazione (assistenza).

 

 

DOCUMENTO IN MERITO AL DECRETO 502/1992 SULLA SANITÀ

 

Premessa

Le organizzazioni che aderiscono alla Confe­renza nazionale dei Presidenti delle Associazio­ni e delle Federazioni del volontariato italiano esprimono una convinta denuncia sulla condi­zione in cui versa la sanità nel nostro Paese e avvertono l'esigenza, in base alle esperienze maturate dai propri gruppi sul territorio, di espri­mere valutazioni critiche e proposte sui recenti provvedimenti del Governo in materia.

Siamo mossi in questa nostra azione dal con­statare che, in questi ultimi anni, si sono essen­zialmente boicottate tutte le migliori indicazioni presenti nella legge di riforma della Sanità (leg­ge 833/1978).

C'è una responsabilità diretta dei vari soggetti politici che hanno presieduto al governo della sanità. Ne è una esplicita testimonianza la non approvazione del Piano sanitario nazionale che doveva farsi dopo 6 mesi dall'entrata in vigore della legge. Si è proceduto, pertanto, a tentoni senza una chiara progettualità, senza definire priorità, verificare i risultati e richiamare i vari soggetti istituzionali coinvolti nella sanità a delle ben precise responsabilità. Si è fatto, dopo tanti anni, solo un Progetto obiettivo di settore sugli anziani non autosufficienti, attraverso però una risoluzione del Parlamento e non un atto pieno di legge per cui a distanza di un anno ed alcuni mesi (dal gennaio '92) non si è ancora procedu­to adeguatamente. Le Regioni si sono mosse autonomamente senza avere però tutti i poteri per intervenire e senza avere quegli indirizzi ge­nerali che ne potevano supportare una vera e forte autonomia progettuale e gestionale.

Sono prevalsi, alla fine, gli interessi forti so­prattutto dì tipo economico e di parte, in partico­lare delle aziende farmaceutiche, tanto che an­cora non si è potuto seriamente attivare un pro­cesso di verifica e riduzione dell'ormai famoso e intoccabile prontuario farmaceutico.

Si sono gestite inoltre con logiche di partito o, quel che è peggio, secondo trame "correntizie", in alcuni casi affaristiche, le USL ed i servizi sa­nitari in genere.

Non è mancato, inoltre, dentro questo quadro di non attuazione della riforma e di gestione mediamente partitica della sanità un certo pre­dominio corporativo di alcuni settori del ceto medico.

Ai guasti via via creati, allo sdegno dei cittadi­ni, alle denunce degli operatori sanitari onesti e preparati ha corrisposto sempre più un indirizzo generale di contro-riforma piuttosto che un avanzamento tramite una seria attuazione, verifi­ca ed eventualmente miglioramento della legge 833.

C'è anche una responsabilità della stessa so­cietà civile organizzata, in alcuni casi anche no­stra, che nonostante i notevoli sforzi (denunce ripetute, proposte precise, sperimentazioni di collaborazioni significative) ha spesso conside­rato la legge di riforma 833 un grande "evento" conclusosi nell'atto della approvazione e non un "processo" da gestire giorno per giorno con cri­teri di programmazione per progetto, di verifica dei risultati, di partecipazione ed innovazione ai vari momenti di gestione.

 

I criteri di valutazione e di proposta

I criteri che ci orientano nei nostri giudizi e nelle nostre proposte sono principalmente i se­guenti:

- la salute è un diritto pieno del cittadino;

- i servizi sanitari pubblici devono essere a servizio di tutti;

- al centro dei servizi sanitari va posta la per­sona;

- nella sanità più partecipazione e meno de­lega;

- il volontariato nella sanità: soggetto di muta­mento e non di delega;

 

a) La salute è un diritto pieno del cittadino

La salute non è un optional. È uno dei princi­pali diritti di cittadinanza. È un bisogno primario dei cittadini che lo Stato non può disattendere. Anzi è un diritto da promuovere e da sviluppare. Dentro questo contesto più ampio, si deve collo­care la sanità. Infatti, la grande novità della leg­ge 833/78 è rappresentata proprio dal passag­gio dalla riduttiva attenzione ai soli aspetti sani­tari alla tutela della salute nella sua globalità. La costituzione, inoltre, estende gli interventi sani­tari a tutti i cittadini senza limitazione alcuna. Le stesse prestazioni sanitarie sono da fornire di­rettamente ed a semplice richiesta del cittadino. Per i cittadini questo diritto deve essere real­mente esigibile, non deve umiliare e deve inco­raggiare la partecipazione ed il controllo.

 

b) I servizi sanitari pubblici devono essere a servizio di tutti

I servizi sanitari devono essere senza doppi binari tra la dimensione pubblica e quella più strettamente privata. Non è accettabile che in­torno a questo bisogno e diritto primario si sca­teni una logica di mero profitto o di affarismo af­fidando al mercato e alle assicurazioni il ruolo di garanti dell'uguaglianza del diritto al manteni­mento della salute e alla cura delle malattie. Certo nella gestione ci può essere spazio per un ruolo di integrazione, anticipazione, sperimenta­zione, innovazione da parte del privato sociale che non ha scopo di lucro. Lo stesso volontaria­to può avere un suo ruolo ma tutto ciò non può sostituire la dimensione pubblica, a cui rimane il principale compito di garantire e rendere esigi­bile il diritto alla sanità.

L'universalità delle prestazioni sanitarie non esclude una partecipazione alla spesa dei con­tribuenti: anzi, ogni cittadino ed ogni famiglia de­vono partecipare secondo criteri di reale ugua­glianza e giustizia. Per mantenere l'universalità delle prestazioni e la partecipazione alle spese sanitarie è necessaria una radicale riforma fi­scale al fine di non favorire gli evasori e per rac­cogliere le risorse economiche necessarie ad una adeguata sanità. In questo senso la scelta della minimum tax, voluta dai sindacati, è un passo in avanti e una prova che è possibile in­novare e rendere equo il nostro sistema fiscale. Gli stessi parametri per valutare costi e benefici della gestione della sanità vanno posti sempre in relazione sia al dato aziendale che a quello sociale senza che nessuno dei due prevalga sull'altro.

 

c) Al centro dei servizi sanitari va posta la persona

Al centro dei servizi e delle prestazioni sanita­rie va posta la persona. Non bisogna mai perde­re questo valore guida anche nella dimensione sanitaria. In particolare va evidenziata una forte centralità dei soggetti deboli, persone in preca­rie condizioni economiche, in stato di disagio o di emarginazione, o persone ammalate croniche non autosufficienti o con handicap. Questa cen­tralità va realizzata attraverso una reale pro­grammazione e territorializzazione degli interventi sanitari. Va anche realizzata attraverso il dispiegamento di tutta la nuova dimensione sa­nitaria: prevenzione, cura, riabilitazione da rea­lizzare anche nelle forme integrative della ospe­dalizzazione domiciliare, dei day hospital, delle residenze sanitarie, della costituzione dei reparti di lunga degenza e di riabilitazione degli amma­lati cronici non autosufficienti.

 

d) Nella sanità più partecipazione e meno delega

I cittadini, le varie forme di auto-organizzazio­ne della società civile, gli operatori sindacali e sanitari devono concorrere a determinare, in modo organico, gli indirizzi generali e le scelte operative gestionali della sanità. Ciò può avveni­re se si realizza una sanità che abbia almeno le seguenti caratteristiche: servizio al territorio, vi­cina cioè a bisogni della gente; controllo demo­cratico dei cittadini, ossia trasparenza nelle pro­cedure, dando la possibilità a tutti di accedere agli atti e alla vita amministrativa come è previ­sto e spesso non attuato dalla legge 241/90.

 

e) Il volontariato nella sanità: soggetto di mutamento e non di delega

In questi ultimi mesi si cita spesso il ruolo del volontariato. Alcuni ne scoprono solo adesso l'esistenza. Tanti altri confondono ruoli, peculia­rità e possibilità della presenza del volontariato nella sanità. È importante chiarire allora che il volontariato ha una lunga esperienza di presen­za nel settore sanitario. Spesso ha saputo gio­care un ruolo di innovazione e soprattutto negli ultimi anni ha maturato una progettualità che non va a sostituirsi al ruolo dei servizi pubblici ma va a completarne funzioni e possibilità. Non vogliamo sfuggire alle nostre responsabilità. De­ve essere ben chiaro che il volontariato è dispo­nibile a fare un passo in avanti nella attuazione del diritto alla sanità e vuole dare un contributo sentendosi un soggetto alla pari con le istituzio­ni, capace di esprimere non solo gestione ed in­terventi concreti, ma anche progettualità, verifi­ca e partecipazione. Si ristruttura invece la sani­tà, ad esempio nell'emergenza, senza un coin­volgimento alla pari tra le istituzioni e il volonta­riato organizzato che da decenni è impegnato in questi settori.

 

Il giudizio critico sul decreto legislativo 30.12.1992 n. 502

Esprimiamo un giudizio critico di fondo sul decreto del Governo sulla sanità. Non ci convin­ce l'indirizzo generale e la non coerenza con i caratteri più positivi della riforma sanitaria pre­senti nella 833. Facciamo appello alle Regioni perché possano svolgere un ruolo di reale pro­tagonismo e di sviluppo della sanità verso i prin­cipi della nostra Costituzione ed il percorso de­mocratico e gestionale che si è tentato di avvia­re in senso positivo nel nostro Paese in questi anni. Il referendum promosso da alcune Regioni può essere, in questo senso, un motivo di chia­rezza, di denuncia e di avvio di una nuova fase nella sanità e nel rapporto Stato-Regioni.

 

a) Manca una chiara ed irreversibile scelta strategica sulla territorializzazione della sanità

Salta, nella sostanza, una scelta reale di terri­torializzazione del sistema sanitario. Alla deci­sione di svoltare nella gestione delle USL con una loro aziendalizzazione e con un loro accor­pamento su base provinciale, non corrisponde una scelta altrettanto chiara e strategica nella direzione di territorializzare in piccole aree la questione di una parte rilevante delle prestazio­ni sanitarie. Non si punta insomma con la stessa determinazione e decisione sui distretti di base. Stando lontani dal bisogno sanitario dei cittadini si finisce per sprecare più risorse, per non inter­venire tempestivamente nella cura, di non sape­re anticipare la degenerazione delle malattie, di non sperimentare soluzioni innovative, di non promuovere la trasparenza e la partecipazione. In sostanza, si spenderà di più e peggio se ci si limiterà ad accorpare le USL e ad accentrare tutto sulla tradizionale ospedalizzazione. I di­stretti di base erano un asse portante della leg­ge di riforma 833. Tranne poche eccezioni nien­te è stato fatto. Si va delineando un vero e pro­prio passo indietro senza averne compiuto uno in avanti.

 

b) Si rinvia ancora una volta l'appuntamento con l'integrazione tra la dimensione della sanità e quella dei servizi sociali

Si smorza notevolmente nel decreto la possi­bilità di arrivare finalmente ad una concreta inte­grazione, soprattutto sul territorio, della dimen­sione sanitaria con quella dei servizi sociali. L'asse strategico ritorna su una sanità separata e sul tradizionale ospedale. II decreto prevede la possibilità di convenzione tra USL e Comuni per la gestione di servizi sociali, a totale spese del Comune e senza l'impiego di personale dipen­dente dalle USL. Appare del tutto improbabile che in questo modo appiccicaticcio e in contra­sto con la legge 142/90 (la quale dispone che i servizi sociali sono di competenza comunale) possa farsi qualcosa di integrato e di coordinato tra la sanità e i servizi sociali. Si è lontani dalla realtà: la persona è unica e spesso vive contem­poraneamente un bisogno sanitario e un disagio sociale. Si sprecheranno ancora una volta risor­se economiche ed umane e non si affronteranno i reali bisogni dei cittadini in chiave innovativa e diretta alla rimozione delle cause dei vari males­seri e patologie.

 

c) Prevenzione e riabilitazione sempre più residuali

Sono tre i principali aspetti di una moderna sanità: prevenzione, cura e riabilitazione. Il de­creto non affronta unitariamente questi tre di­versi ma collegati aspetti. Si pone di fatto al cen­tro la cura, privilegiando il tradizionale intervento sanitario: gli ospedali. Alla fine faranno da cene­rentola la prevenzione e la riabilitazione e la stessa cura perderà di significato e di comple­tezza. Sappiamo, invece, quanto siano impor­tanti tutte le dimensioni della sanità e di come è necessario puntare sull'educazione sanitaria, sulla responsabilizzazione del cittadino, sul cu­rare a casa, sulla puntuale riabilitazione ed in questo ha un ruolo preminente il medico di fami­glia, figura cardine dell'assistenza sanitaria di primo livello. Inoltre, un certo provincialismo aziendalista finirà anche negli ospedali per pe­nalizzare gli ammalati di lungodegenza come, ad esempio, gli anziani e gli ammalati cronici non autosufficienti. Siamo insomma nelle condizioni peggiori per affrontare una forte sobrietà nell'utilizzo delle risorse pubbliche e una matu­razione sanitaria della nostra società.

 

d) L'utilizzo delle mutue è comunque un ritorno indietro

Nel decreto si sostiene che si possono orga­nizzare delle mutue che servono a fare da inter­mediazione tra la prestazione sanitaria e ì citta­dini. Anche se le mutue non hanno compito di gestione e di organizzazione dei servizi sanitari, come era nel passato, alla fine tenderanno di fatto a creare una sanità a più velocità. Le cate­gorie forti faranno mutue forti che sapranno contrattarsi buoni servizi, i soggetti deboli do­vranno accontentarsi dei residui perché il loro peso contrattuale è notoriamente scarso. Si in­coraggia la società a strutturarsi per categorie professionali, per corporazioni, e non per citta­dinanza solidale dove le persone si associano per scelte culturali, per convinzioni comuni, per collocazione territoriale...

 

Una proposta che va oltre il decreto 502: l'integrazione sanitaria e sociale vera sfida del futuro

Abbiamo mosso una critica di fondo al decre­to 502 perché riteniamo che bisogna affrontare i gravi problemi irrisolti della sanità con un altro percorso riformatore: attuare al meglio la legge 833 e passare alla reale sfida del futuro: inte­grare l'assistenza sanitaria con quella sociale. Per questa via è possibile porre al centro la glo­balità dei bisogni della persona, la centralità del territorio, l'innovazione delle prestazioni, l'aboli­zione degli sprechi economici, il superamento delle micro-ingiustizie quotidiane che rendono insopportabili, specie per i cittadini deboli, i mo­menti del bisogno, la ricerca dei propri diritti e l'esercizio dei propri doveri.

In base alle esperienze maturate sul territorio sentiamo di offrire, qui di seguito, alcuni dei principali punti di riflessioni su cui dovrebbe scorrere una reale e innovativa integrazione.

a) Un vero e proprio raccordo fra le compe­tenze di assistenza sociale e quelle di assisten­za sanitaria può trovare la sua piena realizzazio­ne solo se esse vengono assegnate ad un unico organismo. Ove si continui ad attribuire alle at­tuali USL, totalmente indipendenti dai Comuni, le competenze sui servizi sanitari e ai Comuni quelle sui servizi sociali, sarà veramente difficile attuare un coordinamento fra due tipi di presta­zioni.

Se davvero «il Comune è l'ente locale che rap­presenta la propria comunità, ne cura gli inte­ressi e ne promuove lo sviluppo» (legge 142/1990), allora esso non può essere privato delle competenze relative anche ai servizi sanitari.

La Regione, in base al disposto costituzionale, può emanare una legge-quadro entro cui i Co­muni devono organizzarsi per la gestione dei servizi sociali e sanitari, utilizzando anche azien­de speciali e istituzioni, prevedendo forme di de­centramento per i grandi Comuni e di associa­zione, anche obbligatoria, per i piccoli.

Quanto sopra è in linea con gli articoli 22 e 23 della legge 142/1990 sull'ordinamento delle au­tonomie locali, i quali stabiliscono che il Comu­ne può gestire servizi pubblici a mezzo di azien­de speciali e di istituzioni. Successivamente precisa che l'azienda speciale è ente strumen­tale dell'ente locale, dotato di personalità giuri­dica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto approvato. dal consiglio comunale.

b) Anche se la legge stabilisce che sono i ser­vizi pubblici ad essere gestiti da aziende (tra­sporti, nettezza urbana, elettricità, acqua, ecc.), non è escluso che la norma possa essere este­sa per analogia, anche alla gestione congiunta dei servizi sanitari e sociali. Una siffatta azienda potrebbe assumere la denominazione di Unità locale dei servizi sociali e sanitari (ULSSS) e ri­spondere del proprio operato come le altre al Comune.

Le istituzioni, che sono organismi strumentali dell'ente locale per l'esercizio dei servizi sociali, prive di personalità giuridica e dotate di autonomia gestionale, vanno assegnate alle ULSSS le quali possono utilizzarle per interventi sia sociali che sanitari. Fra le istituzioni potrebbero essere ricomprese anche le strutture sanitarie (ospe­dali e quant'altro).

Sarebbe infatti, un grave errore scorporare gli ospedali dalle ULSSS perché in tal modo essi resterebbero fuori dalla programmazione di queste e tenderebbero a prevalere sugli altri servizi e prestazioni, assorbendo la maggior parte delle risorse. I vantaggi che si sta cercan­do di ottenere con l'unificazione gestionale dei servizi sociali e sanitari verrebbero nullificati da questa nuova separazione.

Al di sotto delle ULSSS, come organi delle stesse, dovrebbero essere previsti i distretti di base. In questo modo si perverrebbe ad una to­tale integrazione tra interventi sanitari e sociali e si supererebbe persino il loro tanto auspicato coordinamento.

c) Un disegno siffatto non può non determina­re una revisione anche della recente legge sull'ordinamento delle autonomie locali (142/1990) la quale smembra fra due enti locali le competenze sociali e sanitarie, assegnando, con l'articolo 9, al Comune le funzioni ammini­strative nei settori organici dei servizi sociali e, con l'articolo 14, alla Provincia le funzioni ammi­nistrative riguardanti i servizi sanitari di igiene e profilassi pubblica, pur se nei limiti attribuiti dal­la legislazione statale e regionale.

L'unificazione territoriale dei servizi sociali e . sanitari, è tra l'altro in armonia con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale, al terzo comma dell'art. 25, stabilisce che «gli ambiti territoriali... devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari» e con il quinto com­ma dell'art. 11 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il quale dispone che «le Regioni, sentiti i Comuni interessati, determinano gli ambiti terri­toriali delle Unità sanitarie locali, che debbono coincidere con gli ambiti territoriali di gestione dei servizi sociali».

Si richiama, infine, quanto già osservato che una tale riorganizzazione, cioè, impone l'adozio­ne di radicali decisioni in campo nazionale con l'abolizione del Ministero della sanità e con la sottrazione a tutti i Ministeri delle funzioni in ma­teria di assistenza sociale, di beneficenza pub­blica e di interventi economici a favore del sin­golo e del nucleo familiare.

d) Una totale integrazione fra gli interventi economici e sociali e quelli sanitari richiede an­che l'unicità del destinatario dei relativi finanzia­menti e questo destinatario non può che essere il Comune. In base all'attuale normativa e al re­cente decreto 502, in sostanza, i Comuni e le USL sono portatori di interessi contrastanti. Sarebbe facile per molti amministratori locali trovare motivi di deresponsabilizzazione (dato l'estremo disagio in cui versano le finanze co­munali) quando il Comune si rifiuta di accollarsi le spese per assistere una persona, minore, adulto o anziano che sia - presso una famiglia, una struttura, semiresidenziale o residenziale - nel momento in cui questa persona, per le sue condizioni psicofisiche, anche se non completa­mente precarie, potrebbe permanere in una struttura sanitaria a spese dell'USL. E la stessa cosa accadrebbe domani appena prenderà vita lo scorporo delle strutture ospedaliere dalle USL.

L'unicità di finanziamento per gli interventi economici, sanitari e sociali comporta, inoltre, che questo non venga distinto per prestazioni; esso dovrà essere unico, lasciando ai Comuni, singoli o associati, in base a chiari indirizzi e pa­rametri delle Regioni, ampia libertà di gestione nell'ambito delle materie suddette. All'unicità di destinazione e di gestione del fondo, dovrà es­sere rapportata l'intercambiabilità della destina­zione economica relativa agli immobili di pro­prietà del Comune, comunque ad esso pervenu­ti, o da esso gestiti.

In questo modo l'efficienza potrà raccordarsi con l'efficacia nel rispetto del principio: gestione efficiente per risultati efficaci, anche in presenza di una organizzazione di tipo aziendalistico.

 

 

 

(1) I componenti della Conferenza permanente dei Pre­sidenti sono: ACISIF (Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane), Associazione Papa Giovanni XXIII, Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini), AVULSS (As­sociazione per il Volontariato nelle Unità Locali dei Servizi Sociosanitari), FOCSIV (Federazione degli Organismi Cat­tolici di Servizio Internazionale di Volontariato), Mo.V.I. (Movimento di Volontariato Italiano), SEAC (Segretariato Enti ed Assistenti Volontari Operanti nel Carcerario), AICAT (Associazione Italiana Alcoolisti in Trattamento), ANPAS (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze), CIPSI (Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Inter­nazionale), Confederazione Nazionale Misericordie d'Italia, Gruppi di Volontariato Vincenziano, Radio Club Ciechi d'Italia, Società San Vincenzo de' Paoli, Lega Nazionale per il Diritto al Lavoro degli Handicappati, Arci Ragazzi e Arci Solidarietà, AGE, Telefono Amico Italia, Fratres, AIART.

(2) L'art. 2 della proposta di legge regionale di iniziativa popolare stabiliva quanto segue: «Al fine di evitare una ge­stione della sanità e dell'assistenza separate dagli altri ser­vizi e allo scopo di consentire ad un unico organo di gover­no locale di intervenire negli altri settori della vita sociale, la Regione provvederà entro un anno dall'entrata in vigore del­la presente (proposta di) legge a costituire l'Unità locale di tutti i servizi di base. A tal fine, entro il termine sopra indica­to, la Regione delega agli organi di cui all'art. 4 (Comuni singoli, associati e decentrati, n.d.r.) e ne riordina le funzio­ni inerenti le attività gestibili a livello delle Unità locali di tutti i servizi e riguardanti le seguenti materie: assetto del territo­rio, urbanistica, assistenza scolastica, istruzione artigiana e professionale, musei e biblioteche, agricoltura e foreste, ar­tigianato, lavori pubblici, turismo e industria alberghiera, viabilità, acquedotti, tranvie e linee automobilistiche, naviga­zione e porti lacuali, fiere e mercati, acque minerali e terma­li, cave e torbiere, protezione della fauna» (Cfr. Prospettive assistenziali, n. 43, luglio-settembre 1978).

 

 

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